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Modello Metacognitivo di Craving e Dipendenze Patologiche

Gabriele Caselli 1,2, – Marcantonio M. Spada 1,3

Modello Metacognitivo di Craving e Dipendenze Patologiche

1 London South Bank University, London, UK 
2 Studi Cognitivi, Cognitive Psychotherapy School, Milano, Italy
3 North East London NHS Foundation Trust, London, UK

ABSTRACT:

ll craving è descritto come un’esperienza soggettiva che motiva gli individui a cercare e raggiungere un oggetto o praticare un’attività (target) allo scopo di ottenere certi effetti. Per molti autori è considerato il processo nucleare che sostiene le dipendenze patologiche. Recentemente diversi studi hanno esplorato quale processo cognitivo potrebbe alimentare o sostenere questa sensazione di desiderio incontrollabile e quali scopi o credenze metacognitive possono sostenerlo. Il pensiero desiderante è una forma di elaborazione cognitiva volontaria di informazioni riguardanti oggetti e attività piacevoli e positive che avviene a due livelli interagenti: prefigurazione immaginativa (es: immagino il sapore del fumo nella bocca, mi immagino tutto ciò che ho dentro al frigorifero) e perseverazione verbale (es: devo farlo al più presto, ho bisogno di un bicchiere, devo provare a usare quella macchinetta).

La presentazione descriverà una rassegna di recenti studi che hanno esplorato il ruolo del pensiero desiderante e delle relative metacognizioni nelle dipendenze patologiche tracciando un modello metacognitivo preliminare dell’esperienza di craving..

Le implicazioni per lo sviluppo di una terapia metacognitiva delle dipendenze patologiche e future direzioni di ricerca saranno presentate e discusse.

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Inimmaginabile: l’album musicale dei pazienti psichiatrici presentato a Modena

 

La Redazione di State of Mind consiglia la lettura di questo contenuto:

 

Questo venerdì 27 Settembre 2013 viene presentato a Modena il nuovo album musicale Inimmaginabile (2013). Frutto del lavoro collettivo di diverse band nate nel contesto di un progetto musicale all’interno dell’ospedale psichiatrico Villa Igea, Modena.

Fondatore del progetto è lo psichiatra e cantautore Gaspare Palmieri, già noto ai lettori di State of Mind per la sua psycho-rock-band Psicantria e apprezzato autore di articoli su Musica & Psicoterapia.


Quando “la fatica di ascoltare il ritmo della vita” non concede tregua, il quotidiano si tramuta in condanna. “Quanta gente che barcolla sofferente tra la folla”. E la solitudine diventa un cappio sempre più stretto. “Noi siamo una comunità, le curve della nostra psiche ci hanno portato qua. I farmaci a volte non sono sufficienti e allora nascono amicizie tra i pazienti. Ma il mondo è fuori ed è lì che dobbiamo andare”. Poi qualcosa cambia, qualcuno canta. La voce è tornata. “Con l’ansia c’è poco da fare, questa frequenza ti può aiutare. Mentre la mente si estranea e vola in un magnifico altrove, questa frequenza ti mette voglia di iniziare un’altra storia. La libertà è partecipazione”.
Carlo Alberto, Rossana, Cesare, Elio, Franca, Natalia, Serena, Giuliano … 85 voci per 15 canzoni. 85 pazienti di Villa Igea che in tandem con i propri angeli custodi – leggi operatori sanitari – hanno dato vita ad un album sorprendente. “Inimmaginabile”. Un titolo che dice tutto. E cioè che nessuno si aspettava un simile risultato.

 

 

Villa Igea, un cd di canzoni per sentirsi vivi e capaci L-ALBUM – Cronaca – Gazzetta di ModenaConsigliato dalla Redazione

villa igea
Si intitola “Inimmaginabile” l’album musicale composto dai pazienti psichiatrici Nei testi la sofferenza quotidiana e la voglia di sentirsi parte del “mondo fuori” (…)

 

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Interazione tra Controllo e Metacognizione nei disturbi di asse 1

S. Sassaroli, G. Caselli, G. M. Ruggiero

Studi Cognitivi, Scuola di Specializzazione post-laurea / Centro di Ricerca

Milano, Modena

L’interazione tra Controllo e Metacognizione nei disturbi di asse 1

 

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La Risposta Neurale al pianto dei neonati. Neuroscienze & Gender Studies

Differenze di genere: genitori e figli . - ©-Vojtech-Vlk-Fotolia.com_.jpg Gli studi neuroscientifici forniscono delle interessanti conferme rispetto ai diversi comportamenti e attitudini che caratterizzano le differenze di genere maschile e femminile e che spesso ci capita di osservare direttamente o indirettamente nella nostra esperienza quotidiana.

Una delle aree che storicamente ha da sempre evidenziato maggiori differenze tra i sessi è quella riguardante la genitorialità e la relazione con i figli, in particolare con i bambini piccoli.

Nella maggior parte delle culture le madri provvedono alla cura dei bambini in maniera più diretta rispetto ai padri, dedicandovi più tempo, energie ed attenzione.

Secondo alcuni studi (Boukydis et al., 1982; Zeifman, 2003), inoltre, le donne avrebbero, rispetto agli uomini, una predisposizione maggiormente accogliente verso il pianto dei bambini, che evocherebbe in loro risposte emotive di accudimento e comprensione.

Sappiamo da tempo che il pianto dei neonati e dei bambini piccoli rappresenta più di una modalità comunicativa, è un meccanismo prezioso che permette loro di guidare l’attenzione dell’adulto che se ne prende cura verso la soddisfazione dei propri bisogni primari, che rischierebbero, altrimenti, di restare insoddisfatti, mettendo in pericolo la sopravvivenza dei bambini stessi. Oltre a ciò, come ormai è noto, la risposta e la disponibilità emotiva elicitate dal pianto sono fondamentali per la creazione e lo sviluppo di un buon legame di attaccamento con l’adulto di riferimento.

Vi sono in letteratura numerosi studi condotti con tecniche di neuroimaging, riguardanti l’effetto del pianto dei bambini sulla risposta neurale degli individui adulti, ma la maggior parte di questi ha preso in considerazione esclusivamente le madri e soli pochi hanno coinvolto anche soggetti di sesso maschile.

Una delle eccezioni è rappresentata dallo studio di un gruppo di ricerca dell’Università di Trento, guidata dal dott. Nicola De Pisapia, che ha analizzato, avvalendosi dell’utilizzo della risonanza magnetica funzionale, la risposta cerebrale di individui adulti (maschi e femmine) in stato di mind wandering (quel particolare stato di “riposo mentale” in cui non siamo cognitivamente impegnati in nessuna specifica attività e il nostro pensiero è libero di vagare) in reazione a stimoli uditivi corrispondenti al pianto di bambini affamati.

I ricercatori hanno scelto di studiare la risposta neurale in stato di mind wandering poiché rappresenta la modalità di pensiero più comune, che caratterizza quasi la metà della nostra attività mentale quotidiana in stato di veglia. La condizione di non essere focalizzati su alcun particolare stimolo esterno e di ritrovarci “immersi nei nostri pensieri”, è perciò dotata di una elevata validità ecologica.

I risultati dello studio hanno evidenziato che, indipendentemente dal fatto di essere già genitori o meno, il cervello degli uomini e quello delle donne reagisce in maniera differente al pianto dei bambini piccoli.

In particolare, durante l’esposizione al pianto dei bambini, due delle principali aree neurali che formano il default mode network, il circuito responsabile del mind wandering, ovvero corteccia prefrontale mediale e cingolata posteriore, regioni tipicamente associate all’auto-riflessione e al pensiero centrato sul sé, restavano attive negli uomini, mentre subivano una deattivazione nelle donne.

Ciò dimostrerebbe una peculiare modulazione genere-dipendente nella risposta dei circuiti cerebrali alla richiesta del bambino di essere nutrito, che si manifesta in una rapida interruzione dello stato di mind-wandering nelle donne (madri e non).

Questi risultati confermerebbero, a livello evolutivo, una tendenza naturale da parte del genere femminile a una modalità di “cura alloparentale” nei confronti dei figli. Tale predisposizione, infatti, risulta comune a diverse specie di mammiferi, dove le femmine adulte cooperano e si aiutano reciprocamente nella cura della prole.

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BIBLIOGRAFIA:

 

EFM, esperienze alla frontiera della morte – Recensione

Recensione del Libro:

EFM, esperienze alla frontiera della morte.

Analisi ricerche e testimonianze per un approccio quantistico della coscienza.

LEGGI TUTTE LE RECENSIONI DI STATE OF MIND 

 

Efm Esperienze-alla-frontiera-della-morte - LocandinaVivere significa morire. Prima o poi tutti ci chiediamo cosa potrebbe esserci dopo la vita o aldilà della vita; le risposte in nostro possesso sono poche, scarse, evasive. 

Si resta affascinati dai racconti di pre-morte narrati dalle persone che hanno attraversato questa esperienza, l’incredulità mista allo stupore rende queste narrazioni piene d’incanto.  Jung (1998) diceva: “Un uomo dovrebbe poter dire di aver fatto del suo meglio per formarsi un concetto della vita oltre la morte, o per creare una qualche immagine di essa, anche se dovesse confessare di non esservi riuscito. Non averlo fatto significa, aver perso qualcosa di vitale importanza”. Quindi, dovrebbe essere importate sapere cosa aspettarsi, creare un archetipo, detto in termini junghiani, dopo aver lasciato la materialità di questa vita. Delle risposte sono state inserite nel libro di Claudia Petricelli, EFM, esperienze alla frontiera della morte edito da Edizione Progetto Cultura per la collana LiberaMente.

In quattro capitoli si illustrano teoria, esperimenti ed esperienze di coloro che per qualche motivo hanno avuto il “privilegio” di vivere questa particolare avventura. Dopo aver parlato di coscienza e dei suoi stati alterati son presentate le teorie di alcuni grandi studiosi che in qualche modo, da sempre, hanno cercato risposte a una delle grandi domande: “Qual è il nostro destino dopo la morte?”.

La soluzione dovrebbe essere contenuta nella così detta esperienza di pre-morte, caratterizzate da diverse fasi, che scandiscono il progredire di questo cammino. La fasi sono inferite dalle molte testimonianze raccontate da coloro che sono tornati in vita, e, quindi, non hanno superato il fatidico confine o punto di non ritorno. Si tratta di dieci fasi, riscontrate a livello transculturale e attendibili, controlli incrociati lo attestano, che ineluttabilmente inducono a un cambiamento di alcuni valori, regole, della persona che ha vissuto questo particolare momento. Ma esattamente di cosa si tratta, di semplice attività cerebrale simile alle fase di sogno o di altro?

Secondo i neuroscienziati si tratterebbe della prima soluzione: durante queste fasi alcune aree del cervello sono sovraeccitate e trasmettono più sinapsi. Al contrario, per i credenti, o per coloro che hanno fede, si tratterebbe di un’esperienza in cui si entra in contatto con l’aldilà, anzi sarebbe la prova evidente dell’esistenza del paradiso, ci sarebbe l’incontro con persone che in qualche modo sono in grado di farci riflettere, danno consigli e fanno sentire ammirati.

Anche alcune droghe o anestetici possono riproporre una esperienza simile, ad esempio l’LSD ha degli effetti fortissimi sulla coscienza, infatti sarebbe in grado di far provare delle esperienze molto simili a quella di pre- morte, come osservare se stessi dal di fuori.

In ogni caso, una simile esperienza provoca un cambiamento dello stile di vita precedente. L’attraversare la luce, che tutti vedono durante l’esperienza di pre-morte, fa sentire accolti, amati, protetti, fino al punto, una volta in vita, di provare meno ansia nell’affrontare la morte e di essere meno legato alla materialità.  Alcuni sopravvissuti sviluppano una maggiore fede, si sentono prescelti e vivono la loro nuova vita apprezzando maggiormente quanto gli si presenta, accettando con più determinazione le avversità poiché si ha la consapevolezza che lo spirito continuerà a vivere aldilà della luce e nella luce.

Non commetterò il tipico errore di considerare ciò che non sono in grado di spiegare come una frode” (Jung, 1998).

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BIBLIOGRAFIA:  

Neuroscienze & Ferormoni: percepire l’odore della Paura

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Come gli animali anche gli esseri umani sono in grado di recepire l’odore della paura o della repulsione, una capacità che può essere utile in situazioni di imminente pericolo.

L’essere umano in fin dei conti è un animale e ha mantenuto nel tempo alcune caratteristiche archetipiche che lo spingono a comportarsi in determinati modi a seconda della situazione.

Una di queste è la comunicazione per mezzo dell’odore di alcune emozioni come ad esempio la paura.

Un recente studio condotto da alcuni ricercatori tedeschi ha raccolto dei campioni di sudore di un gruppo di studenti che aspettava di sostenere un esame in un breve lasso di tempo, confrontandolo con un altro gruppo di studenti che svolgeva esercizi di ciclismo.

Successivamente gli studiosi hanno scansionato il cervello di 28 studenti mentre le due fonti di odori sono state fatte annusare con un’adeguata maschera di ossigeno. Inizialmente gli studenti non riuscivano a discriminare l’odore emesso, ma si è riscontrata una differente risposta del cervello dei partecipanti ai due odori.

Il risultato ottenuto ha indicato che nessuno dei volontari ha individuato a livello cosciente una differenza tra il sudore di chi doveva sostenere l’esame e di chi aveva fatto semplicemente sport.

L’odore di sudore tratto da studenti in trepidante attesa di un esame orale ha portato però ad una maggiore attivazione del cervello di una fascia di aree cerebrali note per essere coinvolte in empatia, emozione, rappresentazione degli stati mentali altrui. Tra queste, l’insula, giro del cingolo, il fusiforme della corteccia e la corteccia prefrontale dorsomediale.

Questa scoperta dimostra che l’odore della paura possa innescare una risposta del cervello emotivo in assenza di consapevolezza cosciente, dunque potrebbe contribuire a spiegare perché siamo a volte mossi da paure apparentemente senza senso, senza registrare alcuna esperienza sensoriale di accompagnamento.

Responsabile della percezione olfattiva inconscia nel senso di timore sono i ferormoni, sostanze rilasciate per mezzo della sudorazione che segnalano a chi ci sta accanto, quali emozioni stiamo provando.

Infatti il senso dell’olfatto umano è molto più sensibile di quando finora si pensasse, e può contribuire a spiegare perché le sensazioni di panico si diffondono rapidamente in gruppo, dove alcuni individui sono particolarmente impauriti.

Si è concluso che il cervello umano orienta automaticamente le regolazioni fisiologiche ai segnali di ansia chemosensoriali, senza dipendere da mediazione cosciente. 

 

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BIBLIOGRAFIA

 

 

Il Disturbo Bipolare: Infanzia e Adolescenza. Report dal Congresso di Pavia

 

Report dal Convegno:

IL DISTURBO BIPOLARE NELL’INFANZIA E ADOLESCENZA

FOCUS SULLA CLINICA E LA TERAPIA

Pavia, Venerdì 20 Settembre 2013 Collegio Nuovo

DISTURBO BIPOLARE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA: FOCUS SULLA CLINICA E LA TERAPIA - ReportageIl disturbo bipolare in età evolutiva sembra rappresentare un’area poco studiata da parte di neuropsichiatri e psicologi infantili. Nei paesi anglosassoni, invece, è diventato negli ultimi decenni oggetto di grande interesse sia clinico (come dimostra il proliferare di ricerche cliniche: prima del 1980 erano 26, nel 2013 superavano le 700 unità), sia mediatico (come dimostrano alcuni articoli, tra cui la copertina del Time che titolava “Young e Bipolar”: giovane e bipolare).

Seguendo dunque questa riflessione clinica, il convegno tenutosi al Collegio Nuovo di Pavia, non solo ha ripercorso la storia e la diatriba psichiatrica di questa patologia, ma ha anche rappresentato un bello spunto di riflessione circa la terapia (sia farmacologica che psicoterapica) e l’attuale nosografia, coinvolgendo tecnici dell’area psichiatrica così come rappresentanti dell’area psicologica.

 

Il disturbo bipolare fu introdotto nella nosografia psichiatrica alla metà dell’800 con il termine di “follia a doppia forma”, o, secondo altri autori, “follia circolare. Successivamente Kraepelin definì il disturbo “psicosi maniaco depressiva, distinguendolo così dalla schizofrenia.

Si alternarono dibattiti e approcci che attribuivano le cause del disturbo a problematiche endogene (quasi genetiche), oppure – viceversa – a cause ambientali, passando per gli approcci che tendevano a considerarlo frutto di un “impasto” di concause (genetiche ed esperienziali).

Fu il DMS III, negli Anni ’80 a proporre per primo una nosografia separata per i Disturbi Depressivi e i Disturbi Bipolari, che vennero così suddivisi in Bipolare I, Bipolare II e Ciclotimia, abbassando la soglia di inclusione e dando origine ad una vasta area di disturbi indefiniti o sottosoglia.

BIPOLAR DISORDER - TIME - COVER - 2002 Inizierà anche ad affacciarsi l’idea di uno “Spettro Bipolare” (che va dagli sbalzi di umore al disturbo conclamato) e si assisterà a un aumento di incidenza del disturbo, che passerà dal 0.8% al 5% in quegli anni.

E’ lecito interrogarsi su come diagnosi, clinica e disturbi mentali si intreccino ai mutamenti sociali ma anche all’introduzione di psicofarmaci di “largo consumo”. Una riflessione tuttora valida, soprattutto a ridosso della pubblicazione del DSM V che comporta un cambiamento nelle categorie nosografiche, soprattutto per quanto riguarda i pazienti in età evolutiva.

 

E’ interessante notare come il Disturbo Bipolare è stato oggetto di interesse a fasi alterne: negli Anni ’60, infatti, non era considerato appartenere alle fasi evolutive. Si stimava, infatti, che bambini e adolescenti attraversassero costituzionalmente fasi di rabbia, mania e di eventuale disagio e sconforto. Gli stessi terapeuti consideravano la depressione come trasversale ai disturbi psicologici e più che una malattia vera e propria era considerata quasi una posizione della mente.

Oggigiorno si assiste ad un cambiamento di paradigma e si ritiene che l’elevata conflittualità presente nei nuclei familiari, così come nel contesto sociale, possa slatentizzare diversi disturbi e in particolare quello Bipolare, soprattutto in età evolutiva. Ci si interroga così su quali possa essere l’eziologia della patologia e quali interventi possano essere messi in atto per attutirne l’impatto sulla vita del paziente.

 

Le ricerche empiriche dimostrano che vi è una familiarità per tale disturbo (la probabilità di svilupparlo, infatti, aumenta se un parente di primo grado soffre di una patologia psichiatrica). Nonostante l’alta ereditarietà del disturbo (che si attesta intorno al 50% circa) anche i fattori ambientali (livello socio economico, condizioni familiari etc.) concorrono in maniera rilevante alla manifestazione della problematica.

Il disturbo bipolare in adolescenza merita una considerazione ulteriore rispetto alla patologia adulta, perché sembra intersecare le tematiche chiave di questa fase evolutiva, andando cioè a “toccare” 4 aree particolarmente rilevanti:

  • Stima di Sè (che viene messa alla prova dai compiti evolutivi richiesti all’adolescente, pensiamo semplicemente alla scuola, o alle relazioni con i famigliari e i pari);
  • Idee di grandezza (necessarie per certi versi a supportare il Sè in un momento di critica e di interrogazione circa la propria identità e il proprio futuro);
  • Sensi di colpa (piuttosto presente in adolescenza);
  • Affettività depressiva.

Jeammet, uno dei principali autori contemporanei in merito a problematiche adolescenziali, rintraccia tre cause che concorrono al manifestarsi del disturbo bipolare in adolescenza e che possono impattare in modo incisivo il precario equilibrio adolescenziale:

  1. Rifiuto o disistima genitoriale (in particolar modo quella materna);
  2. Disarmonia all’interno della coppia genitoriale (come detto, le ricerche dimostrano che la presenza di conflittualità in famiglia è tra le cause per lo sviluppo di un disturbo psicologico in adolescenza);
  3. Stress emotivo (in particolar modo una delusione sentimentale, divorzio dei genitori, lutti o malattie). La delusione sentimentale rappresenterebbe, per Jeammet, un fallimento profondo per l’adolescente che proverebbe sconforto e angoscia nel non riuscire a stare dentro ad una relazione a due. Questo porterebbe così l’adolescente a viversi come non degno d’amore: incapace di amare e di essere amato.

 

Inoltre, uno dei problemi comuni a chi lavora con soggetti in fase evolutiva, riguarda la diagnosi differenziale, cruciale per impostare un lavoro di cura coerente e soprattutto efficace, a maggior ragione quando – come nel caso del disturbo bipolare – vengono chiamati in causa medicinali che hanno un impatto non certo irrisorio sulla persona.

In genere il Disturbo Bipolare in età evolutiva ha un’alta comorbilità con ADHD, disturbi di ansia, abuso di sostanze, e si distingue da quello adulto per:

  • Episodi di mania con aggressività e rabbia in assenza della grandiosità tipica del disturbo negli adulti;
  • Mancanza di una ciclicità netta;
  • Irritabilità continua e non episodica.

 

Al giorno d’oggi la ricerca e l’attenzione dei ricercatori punta ad individuare le fasi prodromiche dei disturbi mentali (nel 30% dei casi di Disturbo Bipolare l’insorgenza avviene prima dei 17 anni e in concomitanza con ansia, depressione) e ad impostare così interventi mirati di prevenzione primaria che in genere si svolgono al di fuori dei luoghi della grande psichiatria per evitare il rischio di stigmatizzazione.

Un progetto interessante, ancora in fase sperimentale, è rappresentato dal programma “BASIS” (Costola del Progetto OASIS, coordinato dal dott. Paolo Fusar Poli) per la diagnosi precoce che nei quartieri a Sud di Londra cerca di intercettare adolescenti e giovani adulti (15-25 anni) a rischio di Disturbo Bipolare. Il progetto prevede un monitoraggio costante dell’umore dei soggetti inseriti nel programma tramite ipad e app create appositamente, interventi psico-educativi, incontri di psicoterapia e danzaterapia, interventi farmacologici mirati.

Proprio perchè il Disturbo Bipolare comporta una grave compromissione funzionale è importante diagnosticarlo tempestivamente e distinguerlo da altre patologie dell’età evolutiva, come ad esempio ADHD, il Disturbo Oppositivo, il Disturbo della Condotta, il Disturbo Borderline di personalità, e il così detto Severe Mood Disregulation (la nuova categoria diagnostica introdotta dal DSM V).

Tutte queste patologie si differenziano per familiarità e decorso, pur mantenendo per certi versi una linea di continuità.

Ad esempio, il Severe Mood Disregulation ha un esordio più precoce rispetto al Disturbo Bipolare (prima dei 10 anni), presenta crisi di rabbia almeno 2-3 volte la settimana ed è considerato mutualmente esclusivo con il Disturbo Bipolare. Presenta anch’esso comorbilità con ADHD e i pazienti che ne soffrono sviluppano più facilmente disturbi di ansia e depressivi. I tassi di ricaduta risultano piuttosto elevati e il buon accudimento materno si dimostra il miglior fattore prognostico positivo.

Come per il Disturbo Bipolare gli aspetti predittivi negativi sono l’esordio precoce, il livello socioeconomico basso, la comorbilità con ADHD e la familiarità.

 

Uno dei principali problemi per una corretta diagnosi differenziale sembra essere proprio le scale di valutazione utilizzate. A seconda, infatti, delle scale diagnostiche utilizzate risulterebbero diagnosi differenti per una stessa manifestazione. Questo porta un interrogativo mai sopito sulle categorie diagnostiche e, vista l’elevata comorbilità tra ADHD e DB, nel mondo clinico inizia ad affacciarsi l’ipotesi che l’ADHD possa essere, forse, un sottotipo del Disturbo Bipolare.

 

Per concludere, dunque, il Disturbo Bipolare in età evolutiva rappresenta una sfida tuttora aperta per ricercatori e clinici, impegnati sia sul fronte della prevenzione (con l’ideazione e attuazione di interventi di diagnosi precoce che prendano in carico non solo il soggetto ma anche il nucleo famigliare senza stigmatizzarlo), sia sul fronte degli interventi (cercando di affinare le capacità diagnostiche e soprattutto la ricerca sui farmaci da utilizzare).

Tale disturbo, però, rappresenta anche un punto di partenza per una riflessione a tutto tondo sul valore delle categorie diagnostiche e sulle etichette che sembrano ad oggi proliferare.

 

ARGOMENTI CORRELATI: 

DISTURBO BIPOLARE

INFANZIA & ADOLESCENZA 

REPORTAGE DA CONGRESSI & CONVEGNI

 

BIBLIOGRAFIA:

  • AA.VV., “Young and Bipolar”, Time magazine cover, 19 August 2002
  • Jeammet P., 1992, “Psicopatologia dell’adolescenza”, Borla Editore. ACQUISTA ONLINE

PROGETTO OASIS – South London and Maudsley NHS Foundation Trust

VEDI I DETTAGLI DEL CONGRESSO DI PAVIA

La formazione dei tutor a scuola secondo il post-razionalismo

Patrizia Mattioli.

La formazione dei tutor a scuola . - Immagine: © Rido Fotolia.com_.jpgL’approccio del post razionalismo sviluppato da Vittorio Guidano a partire dagli anni 80 rappresenta un cambiamento epistemologico nello studio dei processi della conoscenza. L’attenzione non è più focalizzata su quanto siano attendibili le caratteristiche di un oggetto o un fatto percepito, ma sul punto di vista della persona che percepisce.

Non esiste un ordine esterno predefinito, ma ogni individuo fa riferimento ad un ordine interno personale, a un’Organizzazione di significato personale o Organizzazione del dominio emotiva, che si costruisce intorno ad un nucleo cognitivo/emotivo invariante e caratteristico per ogni individuo, che si differenzia all’interno delle relazioni sociali significative, durante tutto l’arco di vita. L’impegno post razionalista è volto a cogliere la coerenza interna di un Organizzazone di significato personale e non più a modificare le attitudini di un individuo.

Anche a scuola ogni individuo porta un suo Significato personale, per uno studente è un significato in corso di organizzazione. E’ in questo periodo infatti che si consolida l’organizzazione del dominio emotivo che si è andata differenziando nelle fasi evolutive precedenti.

I significati personali si esprimono e si articolano all’interno dei rapporti scolastici e diventano più o meno comprensibili e condivisi dagli altri, in base al livello di comunicazione stabilito.

Il grado di convivenza che si crea a scuola, la rende un luogo in cui si costruiscono necessariamente rapporti significativi all’interno dei quali avvengono scambi emotivi di varia intensità che possono essere elaborati attraverso un significato personale o attraverso un significato comune.

L’intrecciarsi dei significati personali a scuola, costruisce un significato comune che offre ad ognuno un’ immagine di sé che non può più prescindere dagli altri. Possiamo dire che nel tempo si strutturi un’identità scolastica che definisce per ogni partecipante il sentirsi (o non sentirsi) parte di quella comunità. Facendo riferimento a Dodet (2001), potremmo dire che nelle relazioni scolastiche, come nelle relazioni familiari, i rapporti armonici sono caratterizzati da un significato comune per il racconto di vicende comuni, nei rapporti disarmonici invece questo significato si perde e i racconti diventano separati focalizzandosi su aspetti diversi della questione, con attribuzioni diverse rispetto ai rapporti di causa-effetto. Armonia e disarmonia si riferiscono a quanto gli eventi, conflittuali o meno, vengono punteggiati allo stesso modo.

Il principale obiettivo è quello di favorire tra i protagonisti della scuola, la costruzione di significati condivisi.

Il lavoro che presento in questo articolo si riferisce a un progetto che si muove in questa direzione.

Sappiamo che l’adolescenza rappresenta un momento cruciale nel percorso di costruzione dell’identità personale, per i cambiamenti rapidi e vistosi che avvengono in tale fase e per la difficoltà a maneggiare le nuove capacità cognitive e riflessive e a gestire l’oscillazione tra spinta all’autonomia e mantenimento dell’attaccamento.

In questa oscillazione si inserisce il rapporto con i pari a sostegno del momento di transizione.

L’importanza che riveste il rapporto con i pari è uno degli elementi alla base della strategia di Peer Education utilizzata nei Progetti di Accoglienza offerti da un numero sempre maggiore di istituti.

Anche la Peer Education è il risultato di un cambiamento epistemologico negli interventi di prevenzione e promozione della salute, avvenuto negli anni novanta. Prima c’era un esperto che insegnava e un alunno che passivamente riceveva. Il nuovo paradigma interviene nel gruppo attraverso alcuni suoi componenti, tiene conto cioè di alcuni aspetti importanti della rivoluzione adolescenziale: l’elemento centrale è la trasmissione orizzontale del sapere.

Per essere in grado di governare il progressivo emergere del senso di solitudine epistemologica (Chandler 1975), l’adolescente deve continuamente porre il proprio senso di sé e della vita al centro della propria esperienza quotidiana, il nuovo paradigma considera l’adolescente proprio come soggetto attivo, in grado di costruire il proprio sviluppo e lo pone al centro degli interventi, in diritto di partecipare in modo attivo e consapevole alla propria formazione.

Il passaggio alla scuola superiore è un evento potenzialmente critico, in un periodo della vita considerato ad alto rischio rispetto all’insorgenza di svariati quadri psicopatologici.

L’adolescente si trova inserito in un nuovo gruppo artificioso, la classe, imposto dagli adulti per motivi precisi che rappresenterà buona parte della sua realtà sociale con dinamiche, problemi e potenzialità particolari, in grado di generare oscillazioni emotive intense, a volte destabilizzanti.

Questo fattore di rischio, spinge le Istituzioni alla ricerca di culture preventive mirate alla promozione della salute, salute intesa non come assenza di malattia ma come stato di benessere perpetuato attraverso lo sviluppo delle potenzialità personali e collettive, per esempio lo sviluppo di buone relazioni tra adolescenti, e conseguentemente l’abbassamento del rischio di disagio. La salute che noi possiamo definire come la costruzione continua di un significato condiviso, è qualcosa che si crea e si produce costantemente all’interno dei luoghi della quotidianità, come lo è la scuola, ed è in relazione alle azioni dei suoi protagonisti.

I Progetti Accoglienza prevedono un percorso di accompagnamento degli studenti del primo anno della scuola superiore, realizzato attraverso un gruppo di coetanei degli anni successivi, preventivamente formati a questo scopo. A partire dal primo giorno di scuola e per alcuni giorni i primini vengono accolti in classe dai compagni più grandi che li stimolano e li sostengono nella conoscenza reciproca e nella costruzione del gruppo classe attraverso una serie di attività guidate, l’illustrazione delle novità della scuola superiore, la guida nel giro conoscitivo della scuola..

L’abbassamento delle attivazioni emotive favorisce l’inizio della reciprocità e la costruzione del senso di appartenenza al nuovo gruppo. Si realizza così un modulo di prevenzione primaria che si basa sullo stare bene a scuola, e consente di uscire dalla logica dell’emergenza che genera azione solo di fronte a problematiche conclamate.

Le ricadute di queste attività sono molteplici, a partire dalla prevenzione di fenomeni di nonnismo e bullismo grazie alla relazione che si crea tra primini e tutor che prosegue al di là delle prime settimane di accoglienza..

L’effetto sociale e socializzante dell’intervento dei Peer sul gruppo classe, ha impatto sui Peer per primi, che per arrivare ad essere tali hanno seguito un corso di formazione in cui per primi si sono trovati a fare l’esperienza di entrare in un gruppo nuovo.

Il Progetto Accoglienza prevede infatti due fasi: una fase di formazione degli studenti che ricopriranno la funzione di tutor e una fase di accoglienza.

La fase di formazione comincia con la selezione degli studenti del terzo anno da formare. La selezione avviene attraverso le indicazioni degli studenti stessi e degli insegnanti, e di un breve colloquio individuale. Si tiene conto soprattutto delle capacità empatiche del ragazzo, dell’interesse e della curiosità verso il progetto, della motivazione a investire il suo tempo e la sua energia e infine ma soprattutto, della possibilità che egli stesso per primo tragga benefici dall’esperienza del gruppo e ne possa usufruire nella sua stessa classe; viene quindi privilegiata la selezione di ragazzi che sembrano avere meno strumenti relazionali e sono motivati a migliorarli. Si mira a rinforzare quello che sembra il polo più debole di un gruppo.

Il percorso di formazione è molto orientato alla crescita emotiva, alla costruzione di strumenti per il riconoscimento, la comprensione e il rispetto degli stati d’animo personali e di quelli degli altri, all’aumento della capacità di gestione delle relazioni e della frustrazione; in sintesi, per dirla in termini post razionalisti, a costruire/articolare la capacità di organizzare la conoscenza, di autorganizzarsi, compatibilmente con le possibilità della fase evolutiva.

Questo viene portato avanti tenendo conto dei principi del post razionalismo tenendo cioè presente che:

– “ …. le emozioni, e in generale l’affettività, hanno un ruolo primario nella conoscenza..” anzi: “..emozioni e affettività sono forme di conoscenza…” (Guidano 1992);

– “…ogni conoscenza è intrinsecamente interazionale e “partecipatoria”: si basa cioè sulla reciproca negoziazione di un mutuo consenso, piuttosto che sulla trasmissione in quanto tale, di informazioni da un sistema a un altro” (Guidano, 1988);

– E’ l’attivarsi dei processi emotivi che consente il cambiamento (la formazione) “…l’affiorare di nuove esperienze emotive, aggiungendo nuove tonalità del sentire nella configurazione unitaria dei temi affettivi di base, può incidere sulla sua autoregolazione e modificare la modulazione prodotta dall’esperienza immediata, facilitando così un riordinamento dei pattern di coerenza del significato personale.” (Guidano 1992);

– La consapevolezza di sé è “un processo costruttivo autoreferenziale che determina in gran parte la forma che l’esperienza personale finisce con l’assumere…” (Guidano 1992);

– un cambiamento o meglio un ri-ordinamento può avvenire per la presenza simultanea di due processi fondamentali: un effetto discrepante derivante dalla situazione in sè e dalla spiegazione offerta dal terapeuta (dal conduttore) e un livello adeguato di coinvolgimento emotivo (consentito dal gruppo) (Guidano 1992);

Durante la formazione i ragazzi devono sperimentare eventi emotivamente significativi che possano essere attribuiti a sé e favorire l’integrazione in corso, piuttosto che risultare disturbanti.

Il conduttore cerca di stimolare tali eventi.

La rete di relazioni costruite nel gruppo facilita l’assimilazione di nuove esperienze in quanto comuni e condivise.

Il gruppo è dunque un momento di esplorazione e messa alla prova personale.

E dal momento che si considera l’apprendimento come un’attività che implica costruire un significato per le esperienze, allora la formazione deve solo creare le condizioni per l’apprendimento lasciando la responsabilità di quest’ultimo ai peer educator stessi, in un certo senso la formazione dei peer è autoformazione.

Nella seconda parte dell’articolo si parlerà di come la peer education viene praticamente applicata in ambito scolastico.

FINE PRIMA PARTE.

LEGGI ANCHE: 

APPRENDIMENTO – RAPPORTI INTERPERSONALI – ADOLESCENTI

IL COUNSELING IN ADOLESCENZA

 

BIBLIOGRAFIA:

 

Pornografia e atteggiamenti sessisti: la personalità fa la differenza

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

La pornografia ha da sempre avuto un ruolo controverso nella nostra società. In particolare il dibattito si accende se si tratta di capire in che modo essa influenza le nostre attitudini e i nostri comportamenti nei confronti dell’altro sesso.

Una ricerca recentemente pubblicata sul Journal of Communication fornisce il suo contributo a riguardo scoprendo che l’esposizione a contenuti pornografici effettivamente è correlata e addirittura sembra incrementare atteggiamenti sessisti, anche se tale risultato è stato trovato solo per un sottogruppo di partecipanti allo studio. 

Dopo aver reclutato 200 soggetti eterosessuali tra i 18 e i 30 anni, i ricercatori hanno indagato l’uso passato di materiale pornografico, mettendolo in relazione al tratto di personalità relativo all’Amicalità. Infatti, bassi livelli di amicalità sono tipicamente connessi a diversi atteggiamenti negativi quali antagonismo, sospettosità, freddezza, ostilità, disaccordo ed egoismo.

Tra le donne l’uso passato di pornografia non era associato a nessuno degli atteggiamenti indagati, mentre tra gli uomini un maggiore uso di pornografia era associato a maggiori comportamenti negativi nei confronti delle donne quali ostilità, pregiudizi negativi e stereotipi.   

È stato quindi indagato se e in che modo la personalità dei partecipanti (relativamente all’Amicalità) avrebbe influenzato i loro atteggiamenti nei confronti dell’altro sesso in seguito alla visione di materiale pornografico in laboratorio. I risultati evidenziano effettivamente che il tratto dell’Amicalità influenza tale relazione.

Nello specifico, solo nelle persone con bassi livelli di amicalità la pornografia era in grado di aumentare comportamenti negativi quali quelli presi in esame. Tra questi soggetti l’esposizione in laboratorio a contenuti pornografici incrementava, seppur in modo modesto, atteggiamenti ostili verso l’altro sesso. Tale incremento inoltre era causato dall’attivazione sessuale scaturita dalla visione del materiale pornografico. Questo dato non è stato invece trovato per tutti gli altri partecipanti.

I risultati dello studio sottolineano l’importanza del ruolo svolto dalle differenze individuali all’interno della ricerca sulla pornografia. Mostra infatti come i suoi effetti sugli atteggiamenti delle persone potrebbero non essere gli stessi per tutti, ma dipendere in parte da alcuni tratti di personalità. 

LEGGI ANCHE: 

PERSONALITA’ – TATTI DI PERSONALITA’ – SESSO – SESSUALITA’

 

BIBLIOGRAFIA:

 

Tribolazioni 13 – La Dimensione Delirante

I soldi non comprano la felicità. Ma essere felici paga bene… – PsicoEconomia

ARTICOLI CONSIGLIATI

Il Prof. Satya Paul, della University of Western Sydney ha indagato i livelli di felicità percepita in un campione di circa 10.000 persone, su un arco di tempo di 5 anni. I risultati dimostrano come a parità di condizioni (età, posizione geografica, titolo di studio…) le persone che più si percepivano come felici correlavano con più alti livelli di guadagni. La deduzione che si prova a derivare è quindi che essere felici spinga ad essere più produttivi.

”Income doesn’t have a significant effect on happiness, but I wondered if happy people were more productive than others, and if happy people could affect their income generation through how much they worked,” said Satya Paul, professor of economics at the University of Western Sydney and author of the study.

BREVE INTERVISTA AL PROF. SATYA PAUL, UNIVERSITY OF WESTERN SYDNEY

His findings, to be presented at the HILDA Research Conference next month at the University of Melbourne, also revealed there were two classes of happy workers: those who wanted to work more hours because they enjoyed the work (resulting in fatter pay packets) and those who wanted to work less in order to have a better work-life balance (taking more holidays and often feeling more relaxed and productive at work). ”Happiness affects hours, happy people tend to work more, and their incomes increase,” he said.

 

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ARTICOLO CONSIGLIATO: Psicologia Sociale: alla (non) ricerca della felicità

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Insonnia: Terapia Cognitivo-Comportamentale è l’alternativa ai farmaci

La Redazione di State of Mind consiglia la lettura di questo contenuto:

Stando gli ultimi dati raccolti dal San Raffaele di Milano, soffre di insonnia persistente circa il 10% della popolazione mondiale; un altro 10% è rappresentato non da veri insonni, ma da coloro che dormono poco e male. Stress, ansia e depressione sono alla base di circa il 50% di tutti questi disturbi. “Fondamentale  è ricordare i principi di igiene del sonno: evitare dopo le cinque del pomeriggio caffè e tè, preferire una cena leggera, coricarsi sempre alla stessa ora, evitare computer e fonti luminose dopo le dieci di sera”, continua Ferini Strambi.

“Un’alternativa al farmaco è la terapia cognitivo-comportamentale (Cognitive-behavioral therapy, CBT) che insegna a evitare gli atteggiamenti sbagliati”.

Capita spesso, infatti, che le persone insonni abbiano percezioni e pensieri distorti sul non dormire abbastanza e sugli effetti collaterali che ne derivano.

Rimedi per un dolce sonnoConsigliato dalla Redazione

Di insonnia soffre circa il 10% della popolazione mondiale. Difficoltà ad addormentarsi, frequenti risvegli nella notte o sveglia precoce al mattino: (…)

Tratto da: D - la Repubblica

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INSONNIATERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE


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Zzz… Il sonno è una cosa seria!
L'insonnia può avere conseguenze significative sulla salute quindi la sua gestione richiede approcci mirati e diversificati
Il disturbo di insonnia e l’intervento psicologico: il trattamento di elezione – Editoriale Cognitivismo Clinico
La CBT-I è un insieme di strategie terapeutiche che in gran parte mirano a modificare i fattori di mantenimento e perpetuanti dell'insonnia
Il trattamento dell’insonnia
Attraverso la modifica di credenze negative e comportamenti inefficaci, la CBT-I rappresenta la terapia di elezione per l'insonnia
Sogni lucidi: prospettive di utilizzo nella pratica clinica
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L'utilizzo dei sogni lucidi come pratica terapeutica potrebbe servire come strumento per il trattamento degli incubi nel PTSD e dell'insonnia
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Recentemente, la Mindfulness Based Stress Reduction è stata applicata a pazienti che soffrono di insonnia con risultati interessanti
Sonno le aree cerebrali coinvolte le fasi e i disturbi del sonno
Neurofisiologia del sonno
Quante fasi (o stadi) del sonno esistono? Quali sono le aree cerebrali coinvolte e quali i disturbi più comuni? Esiste un legame tra sonno e attaccamento?
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La lettura fornisce riflessioni interessanti sul sonno e sull'insonnia che consentono di comprenderne alcune dinamiche e contestualizzarla
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Insonnia e disturbi psichiatrici: il trattamento con la CBT-I e la sua efficacia
Insonnia e disturbi psichiatrici: l’efficacia del trattamento cognitivo-comportamentale dell’insonnia
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Chi soffre di insonnia sembra avere livelli più bassi di resilienza e maggiori difficoltà nella regolazione delle emozioni rispetto a chi dorme bene
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Insonnia e Perfezionismo: quanto influiscono le cognizioni disfunzionali relative al sonno nel mediare tra questi due fenomeni?
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Rimuginio e ruminazione, in particolare legati al sonno e alla preoccupazione di non riuscire a dormire, rivestono un ruolo centrale nei disturbi del sonno
Curare l insonnia senza farmaci 2015 di Devoto e Violani Recensione Featured
Curare l’insonnia senza farmaci. Metodi di valutazione e intervento cognitivo-comportamentale (2015) di Devoto e Violani – Recensione del libro
La CBT- I è un protocollo breve per il trattamento non farmacologico dell’insonnia primaria e cronica descritto nel libro 'Curare l'insonnia senza farmaci'
Insonnia: l'efficacia del trattamento con terapia cognitivo comportamentale
La terapia cognitivo comportamentale per l’insonnia (CBTi): l’efficacia del trattamento e gli effetti su depressione, ansia e stress
Sembra che un programma di terapia cognitivo comportamentale mirato possa alleviare l'insonnia e i sintomi di depressione, ansia e stress.
Digital cognitive behavioural therapy la dCBT nel trattamento dell insonnia
dCBT: la digital cognitive behavioural therapy nel trattamento dell’insonnia – Psicologia Digitale
Il corrispettivo digitale della CBT, ossia la Digital Cognitive Behavioural Therapy (dCBT) è risultata efficace nel trattamento dell'insonnia
Insonnia: la qualità del sonno dei soggetti insonni e i possibili interventi
Il sonno dei soggetti insonni è davvero di “cattiva qualità”?
Nell'insonnia sembra esserci una difficoltà a riconoscere il giungere del sonno sulla base di alcuni segnali fisici e minore consapevolezza di aver dormito
Insonnia 2019 di Enrico Rolla Recensione EVIDENZA
Insonnia: il metodo semplice per (ri)addormentarsi in 7 minuti (2019), di E. Rolla – Recensione del libro.
"Insonnia" offre nozioni, consigli e trucchi per affrontare e superare la problematica dell'insonnia, in modo efficace e duraturo.
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Buio in Sala 2013 – Il Cinema incontra la Psicoanalisi

BUIO IN SALA

Il Cinema incontra la Psicoanalisi

IX edizione 11/10-22/11 2013

Auditorium Stensen – Firenze

LADOLESCENZA

 

Buio in Sala 2013 - Il Cinema incontra la Psicoanalisi - SPI Firenze Cambiano i tempi, cambiano le culture e le società, cambiano gli adolescenti. Nel complesso più liberi, più scolarizzati, più coccolati, più soli, gli adolescenti non rischiano la vita in guerra ma sulla strada. Non hanno paura del sesso ma del futuro. Raramente sconfinano nella tossicodipendenza e tuttavia fanno largo uso di sostanze. Cambiano gli adolescenti ma l’adolescenza, i suoi dolori, il suo immenso potenziale creativo non sono sempre gli stessi?

Buio in sala 2013 esplora questo mondo attraverso una serie di film ambientati in luoghi e anni diversi: storie universali e al contempo, per i protagonisti, drammaticamente private.

Per questa edizione, il dibattito con lo psicoanalista al termine della proiezione sarà arricchito dal confronto con gli studenti di alcune scuole superiori fiorentine.

Parlare dell’adolescenza insieme agli adolescenti servirà a saperne di più: ad aiutarci a riflettere ma anche a invitarli a riflettersi.

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ARTICOLI SU: CINEMAPSICOANALISI 

RUBRICHE: CINEMA & PSICOTERAPIA

ASSOCIAZIONI: PSICOLOGIA FILM FESTIVAL TORINO

Programma:

 

venerdì 11 ottobre – ore 21.00

Noi siamo infinito di Stephen Chbosky (Usa 2012, 103′)

Charlie è un ragazzo timido e insicuro che osserva il mondo tenendosi in disparte. Entrato al liceo, due carismatici studenti dell’ultimo anno, la bella Sam e lo spavaldo fratellastro Patrick, lo portano sotto la loro ala protettrice alla scoperta di amicizia, musica, amore. Allo stesso tempo, il professore di inglese incoraggia il suo talento per la scrittura. Ma un doloroso passato lo tormenta e, quando gli amici si preparano al college, il suo fragile equilibrio inizia a sgretolarsi…

 

Interviene: Roberto Goisis

Psichiatra, psicoanalista, membro ordinario SPI e IPA, esperto IPA analisi adolescenti

 

 

Evento speciale alla presenza degli attori

domenica 13 ottobre – ore 20.30

L’intervallo di Leonardo Di Costanzo (Italia, Svizzera, Germania 2012, 90′)

David di Donatello miglior opera prima 2013

 

Napoli, in un gigantesco ospedale abbandonato, un ragazzo e una ragazza. Tutti e due, per ragioni diverse, prigionieri: la bella Veronica ha fatto uno sgarbo al capocamorra del quartiere, il timido Salvatore è costretto a farle da carceriere. Tra fondamenta allagate e rigogliosa vegetazione incolta, il racconto onesto di una giornata di ‘intervallo’ da una schiacciante quotidianità.

venerdì 18 ottobre – ore 21.00

In un mondo migliore di Susanne Bier (Danimarca, Svezia 2010, 113′)

Oscar miglior film straniero 2011

 

In una cittadina della provincia danese si incontrano due ragazzini che condividono una storia di solitudine e dolore. Tra Christian, pieno di rabbia per la morte della madre, ed Elias, vittima dei bulli d’ordinanza mentre il padre è lontano in campi profughi d’Africa, sboccia una straordinaria amicizia, che rischia però di sconfinare in pericolosa alleanza. Metteranno in gioco la loro stessa vita, costringendo le famiglie a fare i conti con le proprie responsabilità.

Interviene: Massimo Vigna Taglianti

Neuropsichiatra infantile, psicoanalista, membro ordinario SPI e IPA

venerdì 25 ottobre – ore 21.00

Fish Tank di Andrea Arnold (Gran Bretagna, Paesi Bassi 2009, 123′)

Mia ha 15 anni, vive con una madre più ‘adolescente’ di lei, ha un carattere turbolento, nessun amico e l’hip-hop per esprimere sé stessa. Quando in casa arriva Connor, il nuovo amante della madre, sembrano esserci le premesse per la costruzione di un nucleo familiare. Ma tra Connor e Mia si crea un’ambigua tensione che spezzerà il sogno illusorio e porterà la ragazza a fare chiarezza sui propri bisogni.

Interviene: Arianna Luperini

Psicoterapeuta, psicoanalista SPI e IPA

venerdì 8 novembre – ore 21.00

Scialla di Francesco Bruni (Italia 2011, 95′)

Luca, studente svogliato cresciuto senza un padre, prende ripetizioni da Bruno, professore indolente e solitario che ha lasciato l’insegnamento per dedicarsi alla scrittura. Quando la madre di Luca deve lasciare l’Italia per lavoro, i due si trovano costretti a una difficile convivenza, che li porterà a una reciproca scoperta e ridefinizione delle proprie responsabilità. Nei toni leggeri della commedia, una storia che si interroga sul significato del crescere.

Interviene: Giuseppe Saraò

Psichiatra, psicoanalista, membro ordinario SPI e IPA

venerdì 15 novembre – ore 21.00

An Education di Lone Scherfig (Gran Bretagna 2009, 100′)

Nella periferia londinese degli anni Sessanta, Jenny passa le giornate china sui libri, soffocata dalle aspettative dei genitori che la vorrebbero ammessa a Oxford. Impaziente di diventare adulta, sogna però un’eccitante vita da bohémienne a Parigi, che la sottragga a quel frustrante anonimato. In una giornata piovosa come tante, entra in scena David, un pretendente che ha quasi il doppio dei suoi anni e che tuttavia riesce ad affascinare sia la ragazza che i suoi austeri genitori.

 

Interviene: Cristina Saottini

Psicoterapeuta, psicoanalista, membro ordinario SPI e IPA, giudice onorario del Tribunale dei Minori di Milano, esperta in adolescenza e in gruppi

 

venerdì 22 novembre – ore 21.00

L’onda di Dennis Gansel (Germania 2008, 101′)

Germania, oggi. Il professor Rainer Wenger vuole mostrare ai suoi studenti come funzionano i totalitarismi. Inizia così un gioco di ruolo dalle tragiche conseguenze: quella che era cominciata come un’innocua esercitazione si trasforma in un vero e proprio movimento, L’onda. Quando il conflitto esplode in tutta la sua violenza durante una partita di pallanuoto, l’insegnante decide di interrompere l’esperimento. Ma è ormai troppo tardi: la logica di gruppo ha preso il sopravvento.

 

Interviene: Giovanni Foresti

Psichiatra, psicoanalista e consulente organizzativo, membro ordinario SPI e IPA, socio IL NODO group (Torino) e OPUS (Londra)

 

 

Dove:

Tutti gli spettacoli all’AUDITORIUM STENSEN

Viale Don Minzoni 25/C, Firenze

 

Ingresso:

Intero: € 6,00

Ridotto (studenti e soci CPF): € 4,50

Abbonamento: € 30,00

 

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ASSOCIAZIONI: PSICOLOGIA FILM FESTIVAL TORINO

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La terapia di Coppia in Psicoterapia Cognitiva

Marianna Trezza

 

La terapia di coppia in psicoterapia cognitiva . - Immagine: ©-hypnocreative-Fotolia.com_.jpgLo scopo della terapia cognitiva per la coppia è rendere chiaro il modo di pensare e comunicare dei partner per evitare, innanzitutto, le interpretazioni sbagliate.

AMORE E RELAZIONI SENTIMENTALI TERAPIA DI COPPIA
PSICOTERAPIA COGNITIVALINGUAGGIO E COMUNICAZIONE

Il termine cognitivo si riferisce al modo in cui gli esseri umani formulano giudizi, prendono decisioni, interpretano le azioni altrui correttamente o scorrettamente.

La rivoluzione cognitiva negli ultimi tempi ha gettato nuova luce sul modo in cui usiamo l’intelletto sia per risolvere i problemi che per crearli o addirittura aggravarli.

È il modo in cui pensiamo che genera il nostro comportamento e i suoi risultati.

Quando sbagliamo nel giudicare o nel comunicare arrechiamo sofferenza sia a noi stessi che al nostro compagno/a subendo a nostra volta dolorose ritorsioni.

Per sbrogliare questo groviglio di pensieri bisogna accedere a una forma di ragionamento superiore che si usa sempre quando ci accorgiamo di aver commesso un errore e vogliamo correggerlo (Beck,1988).

Ma nei rapporti intimi, nei quali ha un’importanza il pensiero chiaro e la correzione degli errori, è carente proprio la capacità di rettificare e riconoscere i giudizi sbagliati che si danno del partner. Inoltre, anche quando si crede di parlare lo stesso linguaggio ciò che dice l’uno e sente l’altro sono spesso due cose completamente diverse. Il difetto della comunicazione causa e poi aggrava molte delle frustrazioni e delle delusioni delle coppie.

Le frequenti interpretazioni errate e la rabbia reciproca che ne consegue finiscono con il minare le basi del rapporto fino a creare una situazione irreversibile. Solo se le persone se ne rendono conto e riescono ad arginare i danni prima che sia troppo tardi si può bloccare la tempesta.

Lo scopo della terapia cognitiva è rendere chiaro il modo di pensare e comunicare dei partner per evitare, innanzitutto, le interpretazioni sbagliate.

Le coppie credono spesso, inizialmente, che il proprio rapporto sia “diverso” rispetto a quello di altri, ma prima o poi si imbattono nella difficoltà ad affrontare i problemi e i conflitti che si accumulano giorno per giorno.

In questi casi, si inizia ad avvertire un crescente senso di irrequietezza, frustrazione e dolore spesso senza sapere dove risiede il problema.

Quando poi subentra la delusione, la scarsa comunicazione e l’incomprensione si comincia a pensare che stare insieme sia un errore.

 Le coppie impegnate in un legame duraturo si creano certe reciproche aspettative. L’intensità della relazione alimenta desideri di amore, lealtà e appoggio incondizionati e proprio per tutto ciò sono portati ad interpretare erroneamente le azioni e i significati dell’altro.

Di fronte ad un conflitto dovuto ad una comunicazione carente il più delle volte tendono ad incolparsi a vicenda, invece di considerarlo come un problema che può essere risolto.

Con l’insorgere di difficoltà, con il proliferare delle ostilità e dei fraintendimenti si perdono di vista tutte le qualità positive dell’altro fino a mettere in discussione il rapporto precludendosi l’opportunità di sbrogliare i nodi che stravolgono il proprio giudizio.

Nell’ultimo decennio, con la diffusione degli approcci cognitivi, ci si è orientati anche alla risoluzione delle problematiche coniugali. Fra coloro che se ne sono occupati spiccano Aaron A. Beck e il suo Centro della Pennsylvania ma anche Norman Epstein, Jim Pretzer e Barbara Flemig con le loro ricerche  e nell’applicare le loro conclusioni ai trattamenti clinici. Altri pionieri sono stati J. Abrahms, David Burns, Frank Dattilio, S. Hausner, S. Joseph, Chris Padesky e Creig Wiese.

La terapia cognitiva ha individuato nelle persone con problemi di coppia uno schema di pensiero comune. Quando i partner sono frustrati nelle loro aspettative sono inclini a giungere immediatamente a conclusioni negative.

Con una modalità tipica della lettura del pensiero il partner deluso incrimina subito l’altro. Di contro, l’altro, offeso, può attaccare o ritirarsi generando una reazione a catena. Così si instaura un circolo vizioso di attacco e ritorsione.

La terapia cognitiva ha mostrato che i coniugi possono imparare ad essere più ragionevoli adottando un atteggiamento di minor sicurezza di sé e di una maggiore umiltà rispetto alla lettura del pensiero dell’altro. Insegnando ai partner a considerare ipotesi alternative alle loro conclusioni negative.

 

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STRINGIMI FORTE – SETTE PASSI PER UNA VITA PIENA D’AMORE – RECENSIONE

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AMORE E RELAZIONI SENTIMENTALI PSICOTERAPIA COGNITIVALINGUAGGIO E COMUNICAZIONE – TERAPIA DI COPPIA

BIBLIOGRAFIA:

 

L’Ossessivo Furio in Bianco, Rosso e Verdone. Cinema & Psicoterapia nr.9

RUBRICA CINEMA & PSICOTERAPIA  #09

Bianco, Rosso e Verdone (1981)

Proposte di visione e lettura (CorattiLorenziniScarinciSegre, 2012)

Bianco Rosso e Verdone - LocandinaL’ossessivo-compulsivo per conquistare il paradiso rende la vita delle persone vicine un inferno. E Furio recita alla “perfezione” il ruolo.

Info

Film diretto ed interpretato da Carlo Verdone. Italia 1981. Commedia.

Trama

Il film è articolato in tre episodi. Spunto per la trama del film è una tornata elettorale. I protagonisti si mettono in viaggio per rispondere al loro diritto/dovere di elettori. Durante il viaggio si rivelano aspetti grot­teschi, punteggiati da gag esilaranti. L’episodio che viene considerato è quello che vede protagonista Furio Zoccaro.

Pignolo, opprime la giovane moglie ed i figli Antongiulio e Antonluca con una serie di pedanti e rigide richieste. Programma il viag­gio in maniera puntuale, calcolando, senza possibilità di errore, i mini­mi particolari. La moglie esasperata si allontana da lui in modo quasi romanzesco. Personaggi simili sono stati riproposti da Verdone in altri film Viaggi di nozze e Grande, grosso e Verdone.

Motivi di interesse

L’ossessivo-compulsivo per conquistare il paradiso rende la vita delle persone vicine un inferno. E Furio recita alla “perfezione” il ruolo.

Telefona all’ACI per calcolare il tempo di percorrenza, si ferma con minuziosa puntualità a fare rifornimento per non rovinare la tabella di marcia, mettendo a serio rischio le vesciche della moglie e dei figli. In sostanza ordine, perfezionismo, controllo mentale e interpersonale rap­presentano gli elementi pervasivi del quadro clinico del nostro prota­gonista. Rigido e testardo nel richiedere alla moglie e ai figli una serie di scrupolosi comportamenti che soddisfano i suoi standard è molto attento ai dettagli, e all’organizzazione, ma finisce per perdere gli scopi importanti, infatti perde la moglie che esasperata scappa con un altro uomo.

Indicazioni per l’utilizzo

Il film presenta il disturbo di personalità ossessivo compulsivo con chiarezza ed immediatezza. Può essere un ottimo trampolino di lancio per la scoperta di sé e per accelerare la comprensione dei propri temi problematici. Consente di discutere con il paziente sulle conseguenze dei comportamenti disfunzionali e di stimolare l’autoriflessività. Ottimo per fini didattici.

Un breve estratto dal film con il personaggio Furio:

 

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RECENSIONI – CINEMA DISTURBO OSSESSIVO DI PERSSONALITA’ CONTROLLO

 

BIBLIOGRAFIA:

 

 

La fobia dei fori e il polpo ad anelli blu

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Con il termine tripofobia si intende una paura eccessiva e irrazionale dei fori: non riconosciuta dai vari sistemi diagnostici internazionali è comunemente caratterizzata dalla fobia dei fori che si manifesta per esempio alla vista di oggetti o piante con piccoli buchi ravvicinati.

Geoff Cole e Arnold Wilkins dell’Università di Essex si stanno occupando in termini di ricerca di questo bizzarro fenomeno fobico.

Forse perché lo stesso Cole ne soffriva è iniziato l’interesse scientifico tripofobico.

In particolare un recente studio pubblicato su Psychological Science suggerisce che la tripofobia può verificarsi a seguito di una specifica caratteristica visiva dell’oggetto ansiogeno.

Hapalochlaena lunulata. - Immagine: Wikipedia
Hapalochlaena lunulata.

Anzitutto un dato diagnostico: all’interno del campione reclutato il 16% dei soggetti ha riportato reazioni tripofobiche alla vista di immagini di piante, animali o oggetti con piccoli fori.

Confontando 76 immagini di stimoli tripofobici con 76 immagini di controllo i ricercatori hanno identificato che una specifica caratteristica visiva accomunava gli stimoli tripofobici, come se i fori percettivamente andassero a costituire delle strisce. Ma perché vi sarebbero queste reazioni fobiche?

Tra gli stimoli tripofobici troviamo anche molti animali letali per l’uomo, ad esempio il polpo ad anelli blu, uno degli animali più velenosi al mondo. Tra gli altri anche lo scorpione Deathstalker , alcuni serpenti velenosi e ragni: tutti caratterizzati dalle medesima caratteristica percettiva.

I ricercatori della Essex ipotizzano che la tripofobia e le reazioni tripofobiche possano avere una base evolutiva poiché gli esseri umani per questioni di sopravvivenza avrebbero imparato ad evitare gli animali con tali caratteristiche visive di fori raggruppati secondo specifici pattern percettivi.

Un po’ come se la parte più antica del nostro cervello ci stesse dicendo che guardando un oggetto punterellato (vedi link: http://trypophobia.com/trypophobia-picture/) che siamo di fronte a un letale avversario animale.

 

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Crescono i disturbi alimentari: ogni anno 2.500 nuovi casi di anoressianervosa e 3.700 di bulimia, specie fra le giovanissime, con manifestazioni già agli albori dell’età adolescenziale e forme conclamate intorno ai 15-19 anni. Un fenomeno in espansione anche fra i maschi, soprattutto di casi di BED (Binge Eating Disorder, l’abitudine compulsiva al cibo). Sono i dati, preoccupanti, diffusi dal Ministero della Salute in un recente ‘Quaderno’ a tema, che analizza il malsano rapporto con il cibo come un malessere sempre più sociale.


 

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