Le frasi iconiche del cinema: da Forrest Gump a “Silenzio, Bruno!”
Nel corso dei decenni, molte pellicole cinematografiche ci hanno regalato frasi celebri e motti che sono entrati nell’immaginario di cinefili e non. Qualche esempio?
“La vita è come una scatola di cioccolatini. Non sai mai quello che ti capita” (Forrest Gump) oppure “Al mio segnale, scatenate l’inferno” (Il Gladiatore), o ancora “Non può piovere per sempre” (Il Corvo), “Verso l’infinito e oltre” (Toy Story), “Nessun posto è bello come casa mia” (Il Mago di Oz).
Stavolta tocca alla Pixar offrirci una citazione degna di nota: “Silenzio, Bruno!”, tratta dal film Luca del 2021, del regista Enrico Casarosa.
Facciamo un passo indietro. Luca Paguro è il protagonista del film, un giovane mostro marino attratto dalla vita in superficie che stringe amicizia con Alberto Scorfano, suo simile e amante dell’esplorazione del mondo degli umani. “Silenzio, Bruno!” dice Alberto a Luca, quando la coppia di amici sta per provare la loro Vespa home made buttandosi a capofitto da un dirupo sul mare. Luca è preoccupato per il risultato della loro avventura, ma Alberto intuisce qual è il suo problema: ha “un Bruno in testa”, e lo invita non solo a non dargli ascolto, ma a zittirlo completamente intimandogli il silenzio. Così possono semplicemente agire e osare su quel dirupo. “Silenzio, Bruno!” è una battuta, un artificio letterario semplice e divertente ideato dallo sceneggiatore del film, Jesse Andrews, che richiama il dialogo interno presente in ogni individuo quando si trova ad affrontare sfide, ostacoli o problemi nella vita quotidiana.
Dialogo interno e self talk
Lo studio del dialogo interno ha una storia che risale ai filosofi greci, come Aristotele e Platone, e ai teologi cattolici romani tardo antichi, come Sant’Agostino (Latinjak et al., 2023). La letteratura effettua un distinguo tra dialogo interno e self talk. Il dialogo interno è una forma di comunicazione intrapersonale, un processo cognitivo che può prevedere il coinvolgimento in veri e propri dialoghi con figure immaginarie, la simulazione di conversazioni tra vari interlocutori nei propri pensieri, nonché il confronto tra punti di vista diversi (Oleś et al., 2020). Il self talk è una tipologia di dialogo interno autodiretto e autoreferenziale, sia silenzioso che ad alta voce, con una funzione principalmente di autoregolazione (Brinthaupt, 2019). Il self talk può avvenire in reazione o in anticipazione rispetto a specifiche circostanze, ad esempio eventi stressanti, mentre il dialogo interno riguarda aspetti generali dell’identità di un individuo.
Cosa accade quando il dialogo interno è negativo o non funzionale ai nostri obiettivi e al nostro equilibrio psicofisico?
Quando abbiamo “un Bruno in testa”
“Alberto, non ce la fai, Alberto, ti fai male …”. Il film Luca prosegue fornendo allo spettatore alcuni esempi di dialogo interno negativo. Si tratta di previsioni, aspettative e cognizioni nefaste e distorte, in quanto basate su errori ed eccessive semplificazioni di pensiero, i cosiddetti bias cognitivi. Se ripetuto nel tempo, un dialogo interno negativo rischia di strutturare convinzioni malsane e negative su se stessi, sulle proprie capacità e sulle relazioni interpersonali. Il dialogo interno negativo può tradursi in un circolo vizioso di pensieri, atteggiamenti, stati emotivi e comportamenti e in profezie negative che si autoavverano (De Muynck et al., 2017). Una rassegna di studi (Latinjak et al., 2023) ha evidenziato come il dialogo interno sia collegato a vari stati e tratti psicologici come benessere, emozioni positive o negative, ansia, stress post-traumatico e depressione; esso rappresenta una finestra sulla mente umana, inoltre, contribuisce a creare consapevolezza e capacità di autoregolazione emotiva, cognitiva e comportamentale (Van Raalte et al., 2016). Non a caso, una mancanza di controllo sul dialogo interno di tipo negativo è associata a elevate preoccupazioni e ruminazioni (Boudreault et al., 2018).
Riferirsi a se stessi in terza persona (lui/lei/loro) o con il proprio nome sembra promuovere la gestione delle esperienze stressanti ed è associato alla valutazione degli stress futuri come sfide piuttosto che come minacce ( Kross et al., 2014; 2017 ). Questo tipo di dialogo interiore è anche collegato a modalità specifiche di attività cerebrale alla base di un autocontrollo senza sforzo ( Moser et al., 2017 ) e una regolazione delle emozioni (Orvell et al., 2019).
Possiamo riconoscere un dialogo interno negativo da espressioni come:
- Sembra difficile
- Non credo di poterlo fare
- Sono sicuro che lo rovinerò
- Non sono così bravo
- Probabilmente fallirò
- Sono sempre stato così
- Mi arrendo, è troppo
- Non merito questa occasione
- Non so niente di niente
- Non credo che farò un buon lavoro ecc.
Il potenziale terapeutico del dialogo interno
Gli interventi psicoeducativi basati sull’auto-dialogo interno hanno una lunga tradizione, in particolare nella psicologia dello sport. Attualmente diffusi sono il cosiddetto instructional cueing (o autoistruzioni), che mira a migliorare le prestazioni attraverso la corretta focalizzazione dell’attenzione e la messa in atto di azioni o strategie specifiche per l’obiettivo, come nel caso dei pazienti affetti da ADHD (Posavac et al., 1999), e il self-talk motivazionale, che punta a migliorare la prestazione aumentando la sicurezza, ispirando un maggiore sforzo fisico e mentale e creando un umore positivo ( Theodorakis et al., 2000).
La distanza da se stessi (self-distancing) associata all’utilizzo di un dialogo interno in seconda o terza persona, inoltre, rappresenta un passo fondamentale per il processo terapeutico. Consente, infatti, al paziente di ri-considerare in modo più oggettivo pensieri ed emozioni, guardando a essi non come realtà assolute, ma come il proprio punto di vista sulla realtà (Alford & Beck, 1998). Il self-distancing o decentramento è usato tradizionalmente nella psicoterapia cognitivo comportamentale così come nelle “terapie di terza ondata” (Mindfulness, Acceptance and Commitment Therapy – ACT, Terapia dialettico comportamentale – DBT) che insegnano al paziente ad adottare una distanza psicologica dai propri pensieri e stati emotivi, osservarli e accoglierli (Ayduk & Kross, 2010; Hayes et al.,1999; Linehan, 1993; Segal et al., 2002).
Essere consapevoli di quello che diciamo a noi stessi nei momenti critici della nostra vita, può aiutarci ad affrontare sfide e avversità. Se abbiamo “un Bruno in testa” che ci suggerisce di arrenderci, possiamo provare a riformularlo con pensieri più salutari e positivi che ci invitano a persistere, non demordere e riprovare. Dopotutto … Domani è un altro giorno!