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Acceptance and Commitment Therapy – ACT

L'acceptance and commitment therapy (ACT) è un intervento psicoterapico che integra strategie di accettazione, mindfulness e di impegno nell’azione.

Aggiornato il 25 ago. 2023

Introduzione

L’ ACT (Acceptance and Commitment Therapy) è un intervento psicologico e psicoterapeutico sviluppato all’interno di una cornice teorica e filosofica coerente e basato su evidenze sperimentali, che usano strategie di accettazione e mindfulness insieme a strategie di impegno nell’azione e modificazione del comportamento, per incrementare la flessibilità psicologica (Hayes, 2005).

Con il termine flessibilità psicologica si intende essere pienamente in contatto con il momento presente, come essere umano consapevole e, sulla base di ciò che la situazione permette, cambiare o persistere in comportamenti che perseguano i valori che ciascuno ha scelto come importanti.

Obiettivo dell’ ACT è di aiutare la persona a scegliere di agire in modo efficace (comportamenti concreti in linea con i propri valori) in presenza di eventi privati difficoltosi o interferenti.

L’ACT è stata fondata da Steven C. Hayes, professore di Psicologia dell’Università del Nevada, negli Stati Uniti.

L’Acceptance Committment Therapy (Acceptance Commitment Therapy) può definirsi come una delle terapie di terza onda nel panorama della psicoterapia cognitivo-comportamentale.

Secondo la visione di Steven Hayes, l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) fa parte di un movimento più ampio, basato e costruito su precedenti terapie comportamentali e cognitivo-comportamentali. Tuttavia, alcuni concetti presenti nella struttura corporea dell’ACT sono caratterizzati da istanze peculiari che costituiscono una nuova fase evolutiva, sia da un punto di visto teorico sia applicativo.

Le terapie cosiddette di “terza ondata” sono caratterizzate da strategie di cambiamento su basi contestuali ed esperienziali (oltre agli aspetti più didattico-direttivi) e da una forte sensibilità al contesto dei fenomeni psicologici e non alla loro forma o al loro contenuto. Insomma, il focus è concentrato sui processi mentali.

L’ACT, in quanto terapia di terza ondata presenta alcuni tratti distintivi rispetto ad altre tipologie di psicoterapia cognitivo-comportamentale:
• Focus sui processi di accettazione;
• Focus sul decentramento cognitivo;
• Focus su ciò che per l’individuo è importante nella vita (i valori).

L’ ACT è una forma di terapia cognitivo-comportamentale che mira ad incrementare le capacità personali di perseguire obiettivi e valori individuali significativi.

Il modello teorico: Relational Frame Theory

L’ ACT si basa su un modello teorico-filosofico noto come Relational Frame Theory. Secondo tale teoria, nell’essere umano, il linguaggio è basato sull’abilità appresa di mettere in relazione gli eventi in modo arbitrario (per derivazione di frame relazionali, di cornici relazionali, nucleo centrale del linguaggio e non necessariamente per esperienza diretta). La concezione centrale dell’ ACT è che la sofferenza psicologica sia solitamente causata dall’interfaccia tra il linguaggio, il pensiero e il controllo dell’esperienza diretta sul comportamento.

L’origine della sofferenza psicologica risiede nella normale funzione di alcuni processi del linguaggio umano (es. problem solving), quando applicati alla risoluzione di esperienze private/interne (es. pensieri, emozioni, ricordi, sensazioni corporee, ecc.), invece che alla risoluzione di eventi/situazioni del mondo esterno.

Tali processi mentali portano l’individuo a dare significato e sperimentare il pensiero in modo letterale. Per questo motivo, se ho un pensiero di inadegatezza allora “Io sono inadeguato”. L’eccesso di tale processo porta a quello che in ACT viene chiamato il sé concettualizzato (una maschera scomoda e disfunzionale che indossiamo, vedasi il paragrafo successivo).

L’obiettivo dell’ACT è promuovere la flessibilità psicologica dell’individuo. Secondo il modello, la flessibilità psicologica si può raggiungere (o almeno promuovere) attraverso interventi su ciò che vengono considerati i sei pilastri del modello ACT.

Secondo il modello ACT ciò che promuove il cambiamento e il benessere psicologico è un insieme di competenze di accettazione e impegno (commitment). Tali atteggiamenti, se mantenuti e sperimentati nel tempo, portano alla flessibilità psicologica, e quindi a stare meglio.

I sei pilastri dell’ACT

Secondo l’Acceptance Committment Therapy (ACT) la flessibilità psicologica si può promuovere attraverso interventi su quelli che vengono considerati i sei pilastri del modello ACT.

I sei processi chiave, sottendono due macro-aree. Le due macroaree in questione sono: 1) i “processi di mindfulness e accettazione”; e 2) i “processi di modificazione comportamentale e azione impegnata secondo i valori”.

L’evitamento esperienziale

Il primo processo chiave target dell’intevento ACT è l’evitamento esperienziale. L’ evitamento esperienziale è quell’insieme di strategie che mettiamo in atto con lo scopo di controllare e/o alterare le nostre esperienze interne (pensieri, emozioni, sensazioni o ricordi), anche quando ciò causa un danno comportamentale.

Tentativi per controllare l’ansia, pensieri per controllare altri pensieri (es: rimuginare), cercare in tutti i modi di non pensare o di non ricordare un dolore tramite comportamenti dannosi e disfunzionali.  L’evitamento esperienziale si concretizza anche nei tentativi di fuga o di controllo dell’esperienza esterna, come evitare situazioni ansiogene, evitare i conflitti o l’espressione della rabbia.

Il corrispettivo funzionale dell’evitamento esperienziale nell’ACT viene chiamato “Accettazione” e può definirsi come “lasciare spazio” o “aprirsi all’esperienza” delle emozioni dolorose e ai pensieri e ricordi dolorosi. In tal senso, la terapia ACT mira a promuovere alcune tendenze di accettazione: a) non giudicare le nostre esperienze interne (ed esterne) con uno sguardo malevolo dell’inquisitore di noi stessi; b) accogliere gli stati emotivi e dar loro l’importanza “informativa” che meritano; c) indebolire il potere dei pensieri sul nostro comportamento e sulla nostra esperienza quotidiana.

La fusione cognitiva

Il secondo processo fondamentale per l’ACT è la fusione cognitiva. In ACT si definisce “fusione cognitiva” la tendenza degli esseri umani ad essere catturati, “imbrigliati” dai contenuti dei propri pensieri. Il principio che giustifica la disfunzionalità di tale “aggancio ai pensieri” è riassunto nella seguente frase:

Non è tanto ciò che pensiamo a crearci problemi e sofferenza ma il modo con cui noi ci mettiamo in relazione con ciò che pensiamo.

Quando siamo “fusi” con i nostri pensieri, soprattutto quelli disfunzionali, dimentichiamo che stiamo interagendo con un pensiero e non con un evento reale, un po’ come se i nostri pensieri e le nostre valutazioni sulla realtà vivessero al posto nostro.

La controparte virtuosa della fusione cognitiva, nell’ACT è la Defusione. Quindi è di primaria importanza intervenire non sui contenuti dei pensieri disfunzionali, bensì su come l’individuo si relaziona con i propri pensieri. In questo modo, ci si concentra sull’atteggiamento nei confronti dei propri pensieri e non sui pensieri in sé.  Ad esempio, fare pensieri disfunzionali di tipo depressivo o di tipo ansioso non fa molta differenza dal punto di vista dell’ACT: è l’influenza che hanno sulla vita dell’individuo (dettata dall’atteggiamento che l’individuo stesso ha nei confronti dei propri pensieri depressivi/ansiosi) a definirne l’impatto sulla sofferenza individuale.

Dominanza del passato e del futuro sul momento presente

Il terzo processo chiave su cui si focalizza l’Acceptance Committment Therapy è la “dominanza del passato e del futuro sul momento presente”. Tale processo si può definire come un insieme di difficoltà a dirigere e mantenere l’attenzione sul momento presente e a cambiare il focus dell’attenzione tra le varie dimensioni della propria esistenza. Tutte le energie dell’individuo sono concentrate su un “tema” o una difficoltà e da quell’argomento non riesce ad uscire, limitando così la sua influenza nella propria vita. Esempi prototipici di dominanza del passato o del futuro sul momento presente sono il rimuginio e le ruminazioni depressive. Nel momento in cui si rimugina o si rumina sul passato, tali processi richiedono molte energie e concentrano tutta la nostra attenzione sul processo stesso.

La proposta di intervento dell’ ACT è promuovere il contatto con il momento presente, Essere psicologicamente presenti e disponibili verso ciò che accade nel momento presente. Noi esseri umani, per motivi legati a una sorta di “economia mentale”, tendiamo naturalmente a svolgere moltissime attività quotidiane senza porre attenzione a quello che facciamo. Come se spesso le nostre azioni fossero gestite da un “pilota automatico” che ci permette di svolgere più attività in contemporanea. Sebbene, in molte occasioni, tale automaticità sia utile e funzionale, esistono diverse occasioni in cui agire in automatico e perdere il contatto con ciò che stiamo facendo è dannoso e disfunzionale per la nostra vita. Entrare in contatto con il momento presente significa anche scegliere consapevolmente di portare la propria attenzione su ciò che sta accedendo dentro di me e nel mondo fisico esterno in quel preciso momento.

Il Sè concettualizzato

Il quarto processo chiave della Acceptance Committment Therapy e’ il “Sé Concettualizzato”. Potremmo definire il sé concettualizzato come un insieme di “fusioni” di definizioni di noi stessi che la mente di ognuno di noi ci racconta. Queste definizioni, solitamente, toccano aspetti nucleari e rilevanti per la definizione di sé e di sé-in relazione con gli altri.

Quando questo processo è molto presente e può essere dannoso, ci si identifica fortemente con i contenuti della propria mente.

Ci sono varie forme che il sé concettualizzato può assumere nella nostra quotidianità. Alcune tra le più frequenti possono essere le “etichette” che noi stessi ci diamo. Pensiamo, ad esempio, all’essere “il malato”, “lo sfortunato”, “l’imbranato”. In altre occasioni il sé concettualizzato assume il contenuto di fissazioni rigide su specifici problemi, blocco che porta a non riuscire a cogliere l’evoluzione dell’esperienza. In altre occasioni ancora, il sé concettualizzato può essere caratterizzato da “fusioni” con alcuni aspetti di sé rigidi e astratti/valutativi.

Il sé-concettualizzato è una maschera talmente incollata alla pelle del nostro viso che ci scordiamo di averla addosso e diventa i nostri occhi, le nostre orecchie e la nostra bocca. Il sé concettualizzato contiene una descrizione complessa di noi stessi, a cui ci siamo affezionati e che presto diventa così cristallizzato che noi lo scambiamo per la realtà assoluta. Quindi, una problematica come un problema d’ansia (ma vale veramente per qualsiasi tipo di difficoltà) si trasforma nel sé concettualizzato “io sono un ansioso” e non importa quante esperienze io faccia in cui non ho provato quell’ansia forte e spaventosa, io continuo a descrivermi verbalmente con “io sono un ansioso”.

Ciò che l’ACT suggerisce come controparte virtuosa del sé concettualizzato è Il Sé Come Contesto. Il sé come contesto è un punto di vista nuovo, talvolta mai sperimentato, in cui impariamo a osservare la nostra esperienza interna ed esterna da un punto di vista privilegiato, cioè quello di un “osservatore partecipe, gentile, compassionevole e curioso” della propria esperienza. Ciò che l’ACT promuove è l’osservazione delle esperienze mentre esse avvengono, tramite uno sguardo attento e consapevole di autoriflessione della propria esperienza mentre avviene.

Questo potrebbe portare a scoprire che noi stessi possiamo imparare ad osservare la nostra esperienza mentre avviene, a guardarla in modo curioso e allargare in questo modo l’orizzonte delle possibilità, delle scelte e riconoscere in questo modo quale sia la maschera che indossiamo.

Mancanza di contatto con i propri valori

Un processo fondamentale su cui lavora l’ Acceptance and Commitment Therapy è ciò che viene chiamato la “mancanza di contatto con i propri valori”. Con tale espressione si intende l’insieme di difficoltà legate all’individuazione di ciò che per il singolo individuo è importante e rende(rebbe) la propria vita significativa e ricca. In taluni casi si può osservare la confusione e la vacuità degli scopi personali e delle mete individuali. In sostanza, le persone che presentano difficoltà nel processo “Mancanza di contatto con i propri valori” hanno difficoltà a rispondere alla domanda: “cosa voglio dalla vita?” oppure “cosa è importante per me?” oppure “quali sono i miei valori?”.

Con il termine valori nell’ ACT si intende qualcosa di diverso dagli obiettivi personali, dalle aspirazioni concrete e dalla morale. Potremmo definire i valori come “long-term desired qualities of life” (qualità della vita desiderate a lungo termine; Hayes et al., 2006). I valori sono ciò che motiva le persone al cambiamento, ad affrontare momenti difficili. Le scelte difficili della nostra vita, spesso vengono fatte proprio facendoci guidare dai nostri valori. Spesso i valori sono mete finali, che guidano l’azione impegnata nella vita. Possiamo avvicinarci ai nostri valori tramite insiemi di obiettivi, concreti, fattibili (workable, una delle parole chiave dell’ ACT) e praticabili.

Mancanza di attività e impegno per perseguire un valore personale

Il sesto pilastro dell’ Acceptance and Commitment Therapy è il processo che viene chiamato “mancanza di attività e impegno per perseguire un valore personale”.

Con questa espressione si fa riferimento al fenomeno per cui anche quando riusciamo a diventare consapevoli dei nostri meccanismi dannosi, delle nostre fusioni, delle maschere che indossiamo e dei momenti di mindlessness, resta ancora un passo importante da fare, e cioè impegnarsi per agire e per perseguire i propri valori.

Gli ostacoli più dannosi a tale impegno possono essere riassunti in due categorie di comportamenti: l’impulsività e l’evitamento persistente. Entrambi tali comportamenti portano a vivere una vita caratterizzata da restrizione delle attività e rigidità del repertorio comportamentale. Fare sempre le stesso cose, evitare sempre le stesse situazioni equivale a non fare.

La proposta dell’ACT risiede nel concetto di “azione impegnata”: il termine è usato per definire l’azione personale guidata dai propri valori, prevede invece che l’individuo “faccia i conti” con le proprie difficoltà e fragilità.

Accogliendo e prendendo contatto con le proprie fragilità e guidando le proprie azioni partendo dai propri valori personali permette di perseguire una vita significativa e ricca, non senza sofferenze, ma soddisfacente e scelta.

In particolare è importante per l’Acceptance and Commitment Therapy il concetto della workability, della “fattibilità“. Un’azione impegnata e guidata dai propri scopi deve essere anche fattibile, perseguibile.

In altre parole, l’azione impegnata consiste nello scegliere continuamente di impegnarsi in azioni nella direzione dei propri valori personali, nonostante le emozioni difficili che si potranno incontrare durante il percorso.

Bibliografia

  • Hayes, S. C. & Pierson, H. (2005). Acceptance and Commitment Therapy. In A. Freeman, S. H. Felgoise, A. M. Nezu, C. M. Nezu, & M. A. Reinecke (Eds.), Encyclopedia of Cognitive Behavior Therapy. New York: Springer.
  • Harris R. (2009). ACT Made simple. New Harbinger Publications New York
  • Harris R. (2011). Fare ACT. Franco Angeli: Milano
  • Hayes, S.C. &Strosahl, K.D. (2010). A Practical Guide to Acceptance and CommitmentTherapy. Springer: New York.
  • Hayes, S.C., Strosahl, K.D.& Wilson, K.G. (1999). Acceptance and CommitmentTherapy: An ExperientialApproach to BehaviorChange. Guildord Press: New York.

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