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Vulvodinia: caratteristiche psicologiche e risvolti negativi di una neuropatia fortemente diffusa

Oltre a conseguenze fisiche, la vulvodinia comporta anche effetti a livello psicologico, compromettendo il benessere e la qualità vita di chi ne soffre

Di Sara Cutrale

Pubblicato il 16 Mag. 2023

La vulvodinia, conosciuta anche come vestibulodinia o vestibulite vulvare, è un disturbo neuropatico (ossia un disturbo dovuto ad una lesione o a un malfunzionamento dei nervi del sistema nervoso periferico o centrale), che colpisce circa il 10-15% delle donne in età fertile o in post menopausa (Stockdale & Lawson, 2014), in rapporto di 1 donna su 7.

Cos’è la vulvodinia?

 La vulvodinia è definita dall’International Society for the Study of Vulvovaginal Disease (ISSVD, 2003) come disagio vulvare, con assenza di segni evidenti o di un disturbo neurologico (Bonstein et al., 2015). La donna di solito lamenta bruciore e/o dolore persistente, fastidio intenso e irritazione, che si verificano all’ingresso della vagina e nella zona circostante, ossia la vulva, la parte esterna dei genitali femminili. Inoltre, vengono descritte sensazione come di spilli, ferite o lacerazioni. Di solito, il dolore può presentarsi anche con fitte o scosse, fino ad estendersi a glutei, ano e interno cosce. Può avere origine spontanea o provocata, data perciò da sfregamento o contatto, come avviene durante un rapporto sessuale con penetrazione, quando si praticano sport come ciclismo, equitazione, spinning, oppure con l’inserimento di tamponi o di ovuli vaginali. Spesso anche stare seduti, incrociare le gambe o indossare indumenti troppo stretti può innescare o peggiorare il dolore.

Tale patologia è spesso associata anche al vaginismo, ossia dolore e difficoltà alla penetrazione della vagina, causati dall’involontaria contrazione muscolare. Esistono altre condizioni ad essa associabili, come la cistite interstiziale, i dolori mestruali o la sindrome del colon irritabile.

Una patologia ad oggi sempre più riconosciuta

La vulvodinia è stata fino a non molto tempo fa una patologia invisibile, quasi sconosciuta, e quindi complessa da diagnosticare. Da una ricerca condotta nel 2020 dall’Associazione Italiana Vulvodinia su alcune donne italiane, è stato constatato come l’impatto della vulvodinia sulla vita di chi ne soffre sia molto forte. Molte donne ricevono la diagnosi con anni di ritardo rispetto ai sintomi, e solo dopo aver consultato almeno tre specialisti. Le problematiche per la risoluzione di tale condizione sono diverse; infatti, molte donne sono costrette a spostarsi e a viaggiare per curarsi da un esperto specializzato e qualificato e, inoltre, i costi delle cure sono elevati e non tutte possono sostenerli. Tuttavia, il fattore sicuramente più invalidante e forte, che costringe spesso a rinunce nella vita quotidiana, è il dolore.

Oggi la vulvodinia è una patologia che sta avendo anche in Italia l’attenzione meritata, grazie anche ad alcune attiviste, come Giorgia Soleri, che vivono spesso in prima persona la patologia, o a programmi come Le Iene, che hanno rotto il silenzio su questa condizione.

Affinché patologie come la vulvodinia vengano riconosciute come vere e proprie patologie, il 3 maggio 2022 è stata avanzata una proposta di legge alla Camera dei Deputati per il riconoscimento di tale patologia tra i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) del Servizio Sanitario Nazionale. Viene richiesto quindi il riconoscimento di tali patologie tra le malattie croniche e invalidanti e, inoltre, è stata proposta la creazione di centri specializzati in ogni regione d’Italia e l’istituzione di una Commissione Nazionale che stili delle linee guida di diagnosi e cura.

Le difficoltà del convivere con una patologia così invalidante e dolorosa

Imparare a vivere con un dolore cronico come quello che caratterizza tale disturbo è molto complesso. Nello specifico, i sintomi della vulvodinia la rendono una malattia invalidante, che riduce la qualità della vita della donna che ne soffre.

I fattori psicologici sono correlati alla vulvodinia in maniera bidirezionale e possono quindi essere causa come anche conseguenza.

Tra i fattori di natura psicologica che possono predisporre alla vulvodinia vi sono i traumi sessuali e/o la familiarità per disturbi psicologici e della sfera sessuale (Puliatti et al., 2010). Altro fattore che ha un forte ruolo nel mantenimento del dolore cronico vulvare è la ruminazione mentale a seguito di un evento traumatico, come un abuso sessuale (Khandker et al., 2019).

D’altro canto, la vulvodinia comporta anche conseguenze a livello psicologico, perché compromette il benessere di chi ne soffre e ne influenza la qualità e lo stato di vita. Nonostante ciò, solamente pochi studi negli anni hanno evidenziato quali siano gli effetti psicologici che questa malattia ha sulla salute psicofisica delle donne che ne soffrono. Infatti, la sofferenza psichica provata porta a diverse ripercussioni negative a livello emotivo ma anche sul benessere soggettivo (Arnold et al., 2006). Si possono verificare livelli significativi di distress psicologico in domini come quelli di somatizzazione, ansia, stress, sintomi fobici, paranoia e, inoltre, difficoltà relazionali e sessuali, con peggioramento generale della qualità della vita di chi ne soffre. Inoltre, nei casi più complessi e gravi si può innescare una depressione reattiva, una forma di depressione che può comparire in risposta ad un evento stressante specifico (Wylie et al., 2004).

Secondo la letteratura (Plante & Kamm, 2008) le donne che soffrono di una patologia dolorosa e complicata come la vulvodinia hanno maggiori difficoltà a livello emotivo ed affettivo, ma anche per quanto riguarda la messa in atto di strategie per fronteggiare i problemi, rispetto alle donne che non hanno avuto tale diagnosi. Queste donne si sentono troppo spesso incomprese e giudicate come esagerate o mitomani, questo perché si tende a minimizzare i loro sintomi, oppure perché vengono ricondotti a una sindrome psicosomatica. È stato evidenziato che la difficoltà che queste donne hanno nel rapporto con loro stesse e con il loro corpo è traumatico; infatti, spesso le donne che soffrono di un tale disturbo si riferiscono come “rotte”, dicono di sentirsi “difettose”, e ovviamente tutto ciò ha importanti ripercussioni sull’immagine di sé stesse e sull’autostima (Kaler, 2006). La patologia ha dei risvolti negativi anche a livello relazionale e questo può comportare l’evitamento di alcune situazioni sociali, il sentirsi incomprese, la chiusura in sé, fino al disagio e al senso di colpa verso il partner. Le donne che soffrono di vulvodinia, ma anche di patologie ad essa correlate, raccontano che spesso il dolore mina la loro sicurezza nella messa in atto di alcuni ruoli sociali, come quello di amante o madre, ma anche genericamente di donna.

La vulvodinia si configura come un ostacolo alla realizzazione del ruolo sessuale di partner, infatti, il piacere e il desiderio sessuale sono inibiti dai forti dolori provati durante i rapporti (dispaurenia), che inficiano la serenità a livello intimo. Tutto ciò viene ancor di più complicato dal crearsi di una specie di circolo vizioso che parte dalla paura del dolore, che a sua volta porta all’irrigidimento dei muscoli vaginali e tutto questo rende la penetrazione ancora più dolorosa. Quindi, la donna, a causa dei dolori intollerabili, può voler completamente evitare di avere rapporti sessuali e ciò ha ripercussioni nella relazione con il partner e può minare l’autostima anche nella relazione. Reed e colleghi (2000) hanno affermato che alcune donne si vedono in modo più negativo come partner sessuali e meno desiderabili, definendosi persino come “sessualmente incompetenti”. Altre donne si sentono maggiormente limitate anche nell’adempiere a un altro compito unicamente femminile, ossia la maternità. È stato infatti sottolineato come queste donne abbiano maggior paura del parto a causa del dolore (Katz, 1995; Kaler, 2006), ma anche nell’affrontare la gravidanza stessa.

La gestione della vulvodinia su più fronti e il supporto psicologico

Nonostante tutto ciò, bisogna ricordare che la vulvodinia si può gestire, sia a livello fisico che psicologico. Innanzitutto, una diagnosi precoce è essenziale ed è ciò a cui in primis si deve puntare per dare un nome e riconoscere l’esistenza di un quadro sintomatologico di cui si soffre, per uscire dallo stato di incomprensione e iniziare il trattamento specifico della malattia, così da limitarne le conseguenze. In tutto ciò, la psicologia può essere un valido aiuto per le donne a cui viene diagnosticata questa neuropatia.

 Lavorare sulla vulvodinia vuol dire lavorare a più livelli: farmacologico, fisioterapico, alimentare ma anche psicologico (Corsini-Munt et al., 2017). Infatti, lavorare sull’aspetto psicologico del disturbo è molto importante per trovare risposte e soluzioni a domande che non possono essere trattate con l’uso di farmaci. Sembra essere efficace iniziare un percorso di psicoterapia, così le pazienti potranno far fronte alle problematiche psicologiche correlate alla patologia (ansia, emozioni negative, senso di inferiorità e inadeguatezza, etc.), imparare a gestire e alleviare il dolore attraverso tecniche di rilassamento come training autogeno e, inoltre, si potranno aiutare sia la donna che l’eventuale coppia ad elaborare possibili difficoltà di tipo sessuale. Quindi, è importante che la donna che soffre di una patologia così intensa trovi uno spazio definito e specifico in cui sentirsi ascoltata e sostenuta. Infatti, attraverso il dialogo e con il supporto dello psicoterapeuta ogni donna può esprimere liberamente come si sente, quali sono le difficoltà che incontra quotidianamente e cosa pensa della sua condizione, oltre che spiegare come lei stessa la vive e come crede che la vivano le persone che la circondano.

I trattamenti psicologici a cui le pazienti con vulvodinia possono sottoporsi sono individuali, ma anche di gruppo. Per quanto riguarda la terapia psicologica di tipo individuale, essa vede una prima fase di valutazione a livello globale della donna e una seconda fase di intervento vero e proprio. Invece, il percorso psicologico di gruppo avviene con un numero di soggetti tra gli 8-10 massimo, con la condivisione da parte delle donne della problematica. Il potere terapeutico del gruppo sta proprio nella condivisione delle esperienze della malattia.

Da tempo sembra che la psicoterapia funzionale stia ottenendo risultati incoraggianti nei casi di dolore cronico, come quello della vulvodinia, proprio per il suo intervento integrato e globale che coinvolge i vissuti, le emozioni ma anche ciò che riguarda il funzionamento fisiologico e posturale-muscolare. Perciò, con questo tipo di psicoterapia, la donna viene trattata e compresa nella sua globalità: mente e corpo. Alcuni studi (Turk e Meichenbaum, 1989) affermano che la psicoterapia cognitivo-comportamentale può aiutare le persone ad affrontare l’impatto che la vulvodinia, o altre condizioni di dolore cronico, ha sulle loro vite. Questa terapia mira ad aiutare le persone a gestire il dolore e i problemi personali, cercando di intervenire sul modo in cui pensano e agiscono.

Il panorama cognitivo-comportamentale è stato di recente ampliato grazie a due nuove modalità di trattamento: la Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR, Kabat-Zinn, 1990) e l’Acceptance and Committment Therapy (ACT, Hayes et al., 1999). Questi due modelli, a differenza della psicoterapia cognitivo-comportamentale classica, si basano sulla promozione dell’accettazione del dolore cronico.

In particolare, il National Institute for Clinical Excellence (NICE) afferma che il modello psicoterapico più efficace per la gestione del dolore cronico, come per la vulvodinia, è l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy). Sembra che tale modello aiuti il paziente a una maggior adesione terapeutica e aumenti l’efficacia del farmaco utilizzato, agendo sul dolore e sulla sua percezione e aumentando la consapevolezza sulla necessità di aderire correttamente alla terapia (Deledda, 2022).

Inoltre, la consulenza psicosessuale è utile quando il dolore condiziona l’intimità nella relazione, perché aiuta ad affrontare problemi come paura e ansia durante il sesso e a ristabilire una relazione fisica con il partner.

Le sensazioni che affliggono le donne con questo tipo di patologia sono molte con cui fare i conti ogni giorno ed è questo il motivo per cui, dopo essersi rivolte ad un ginecologo, è importante trovare il coraggio di intraprendere un percorso psicologico per capire insieme ad uno specialista come affrontare il problema.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Arnold, L.D., Bachmann, G.A., Rosen, R., Kelly, S., Rhoads, G.G., (2006). Vulvodynia: characteristics and associations with co-morbidities and quality of life. Obstetrics and Gynecology, 107(3), 617-624.
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