expand_lessAPRI WIDGET

Psicoterapia cognitivo comportamentale (CBT)

La psicoterapia cognitivo comportamentale nasce negli anni '60 con Ellis e Beck, ma utilizza attualmente sempre più tecniche di terza ondata.

Aggiornato il 25 lug. 2023

Introduzione

La psicoterapia cognitivo comportamentale (TCC) o in inglese Cognitive Behavioural Therapy (CBT) è uno specifico orientamento della psicoterapia. La terapia cognitivo comportamentale è oggi molto diffusa e considerata una modalità di trattamento dimostrata valida ed efficace dal punto di vista scientifico da una considerevole e consolidata mole di ricerche empiriche (evidence-based medicine) di carattere internazionale.

Tale orientamento raggruppa al suo interno molteplici teorie, modelli di funzionamento psicopatologico, protocolli e tecniche di trattamento, che tuttavia presentano caratteristiche comuni. In termini generali, la psicoterapia cognitiva e comportamentale spiega il disagio emotivo attraverso una complessa relazione di pensieri, emozioni e comportamenti.

In ognuno di noi, in determinate situazioni, insorgono particolari pensieri, di cui spesso non siamo consapevoli, che possono dar vita a emozioni e comportamenti problematici e fonte di malessere. La psicoterapia cognitivo comportamentale ha lo scopo di individuare tali pensieri disfunzionali e modificarli

La psicoterapia cognitivo comportamentale agisce quindi su emozioni, pensieri (o schemi cognitivi) e comportamenti in modo attivo.

La CBT in poche parole

 

Come funziona la terapia cognitivo comportamentale

La psicoterapia cognitivo comportamentale prevede anzitutto che vi sia una attenzione molto alta nella definizione chiara, concreta e condivisa con il paziente degli scopi della terapia rispetto ad altri approcci. Gli obiettivi della terapia vengono definiti in modo condiviso e collaborativo tra paziente e psicoterapeuta, in funzione della diagnosi e concordando con il paziente stesso un piano di trattamento. E’ nella buona prassi che il terapeuta valuti in modo oggettivo (anche attraverso test e questionari) i cambiamenti sintomatologici e l’andamento rispetto agli scopi definiti nel corso della psicoterapia.

Dopo aver definito nello specifico (e in modo concreto e condiviso) gli obiettivi del trattamento, nella terapia cognitivo comportamentale, lo psicoterapeuta e il paziente collaborano entrambi attivamente in primo luogo per identificare pensieri, emozioni e comportamenti che entrano in gioco nelle situazioni di malessere e psicopatologiche; in secondo luogo collaborano attivamente per modificare abitudini di pensiero e di comportamento maladattive e disfunzionali e per regolare in maniera più efficace le proprie emozioni.

Il paziente viene chiamato ad agire attivamente nel corso della terapia, ad esempio identificando i propri pensieri ed emozioni, essendo stimolato a formulare pensieri e credenze alternative, sperimentandosi in repertori di comportamenti differenti, praticando diverse tecniche per facilitare la regolazione emotiva, sia in seduta che a casa nel corso della settimana. In tal senso, la terapia cognitivo comportamentale implica la prescrizione di “compiti a casa” o homework, allo scopo di promuovere e generalizzare modalità di riconoscimento e regolazione delle emozioni, dei pensieri e dei comportamenti acquisiti in seduta.

La psicoterapia cognitivo comportamentale lavora quindi sul presente, sul “qui ed ora” in termini di funzionamento del paziente, indagando e lavorando su emozioni, pensieri e comportamenti del presente, che emergono nella quotidianità della vita di ciascuna persona. Tuttavia diversi modelli e teorie all’interno del gruppo delle psicoterapie cognitivo comportamentali considerano importante anche l’indagine del cosiddetto “passato” per comprendere in che modo il paziente ha co-costruito e in qualche misura “appreso” nelle proprie relazioni, determinati schemi, credenze su di sè, sugli altri e sul mondo. A seconda degli obiettivi terapeutici, alcuni modelli teorici e di trattamento prevedono necessariamente un lavoro che consideri l’interdipendenza tra esperienze passate e presenti.

Inoltre, come suggerisce lo stesso nome psicoterapia cognitivo comportamentale, tale approccio ha una duplice origine: il comportamentismo e il cognitivismo. La psicoterapia cognitivo comportamentale lavora su due aspetti strettamenti interdipendenti e correlati: comportamenti e cognizioni, attraverso strategie e tecniche più propriamente definite comportamentali (ad esempio, l’esposizione graduale sistematica a stimoli fobici) o cognitive (ad esempio, la disputa dei pensieri e delle idee irrazionali). Tuttavia, il termine psicoterapia cognitivo comportamentale non rende ragione del terzo grande protagonista di questo approccio terapeutico, e cioè le emozioni. Anch’esse strettamente interconnesse a cognizioni e comportamenti, pur non essendo manifestamente evidenti nel nome dell’approccio, la regolazione delle emozioni risulta essere inevitabilmente centrale nel lavoro clinico della psicoterapia cognitivo comportamentale.

La terapia cognitiva: indicazioni

La psicoterapia cognitivo comportamentale (TCC) può essere considerata il trattamento psicologico d’elezione per diverse situazioni di malessere psicologico e per diversi quadri diagnostici psicopatologici e psichiatrici, con una efficacia dimostrata a livello scientifico secondo una prospettiva di Evidence-based Medicine.

Secondo moltissimi studi scientifici e secondo le linee guida internazionali per la diagnosi e la cura in ambito psicologico e psichiatrico (vedasi ad esempio le linee guida del National Institute for Care and Health Excellence), la psicoterapia cognitivo comportamentale è un trattamento efficace e indicato in una serie di situazioni sintomatiche e patologie tra cui:

  • Disturbi d’ansia: attacchi di panico (con o senza agorafobia), ansia generalizzata, fobia sociale, ipocondria, fobie specifiche;
  • Disturbi dell’umore unipolari e bipolari: la cosiddetta e frequentemente diffusa depressione nelle sue diverse sfaccettature diagnostiche, e disturbi bipolari (i secondi in associazione alla terapia farmacologica)
  • Disturbi del comportamento alimentare (DCA): anoressia, bulimia, binge eating disorder, etc.
  • Disturbo ossessivo-compulsivo
  • Disturbo post-traumatico da stress
  • Dipendenze patologiche
  • Disturbi sessuali
  • Insonnia e disturbi del sonno
  • Disturbi della personalità
  • Schizofrenia e psicosi (in associazione alla terapia farmacologica)

A seconda della gravità del caso, la terapia cognitivo comportamentale è associabile anche al trattamento psicofarmacologico, che dovrà essere valutato e indicato da un medico psichiatra.

La psicoterapia cognitivo comportamentale viene erogata da professionisti della salute mentale che sono gli psicoterapeuti, medici o psicologi in possesso di un diploma di specializzazione specifico, e cioè in psicoterapia cognitivo comportamentale. E’ importante quindi accertarsi che il professionista sia in possesso di un diploma di specializzazione di orientamento cognitivo comportamentale e non afferente ad altri approcci.

Come nasce la terapia cognitivo comportamentale

La terapia cognitivo comportamentale nasce e si sviluppa negli Stati Uniti intorno agli anni sessanta, originando inevitabilmente dall’avvento del cognitivismo e dall’evoluzione dal punto di vista teorico ed empirico delle terapie puramente comportamentali o behaviouriste, che iniziarono a nascere già negli anni cinquanta.

La psicoterapia cognitivo comportamentale ha almeno due padri fondatori: Albert Ellis e Aaron T. Beck.

Albert Ellis e la Rational Emotive Behaviour Therapy (REBT)

Albert Ellis, di formazione psicoanalitica, dopo alcuni anni di pratica psicoanalitica ortodossa, insoddisfatto dalla concezione psicoanalitica del funzionamento della mente umana e dai risultati poco efficaci ottenuti con i pazienti, fonda un nuovo approccio che inizialmente denomina “Rational Therapy”, e nel corso degli anni poi affinerà con il termine Rational Emotive Behaviour Therapy (REBT).

La Rational-Emotive Behaviour Therapy (REBT) è quindi una specifica teoria e prassi psicoterapeutica di impostazione cognitivo-comportamentale basata sul principio fondamentale secondo cui la sofferenza mentale deriva da credenze e valutazioni automatiche degli eventi (per es., “non deve/può succedere”, “non posso sopportarlo”, “sarà terribile”), che il soggetto si autoinfligge.

Sono quindi gli individui a strutturare, più o meno inconsapevolmente, i propri “disturbi emotivi”; d’altra parte, sono essi stessi a possedere la fondamentale capacità di modificare le proprie convinzioni e la propria “filosofia di vita”, oltre che il proprio comportamento, in modo da raggiungere una vita emotiva più soddisfacente. La REBT accompagna l’individuo in questo percorso, attraverso la disputa attiva della veridicità e della consistenza logico-empirica delle convinzioni irrazionali, la ristrutturazione cognitiva (basata in primo luogo sull’accettazione degli aspetti della realtà che non possono essere modificati ─ aspetto estremamente attuale che precorre approcci terapeutici come la terapia metacognitiva di Wells e l’ACT di Hayes) e l’esercizio quotidiano di quanto appreso in seduta.

Aaron T. Beck e la psicoterapia cognitiva standard

Tra la metà e la fine degli anni sessanta, appare in scena anche Aaron Beck, altro teorico riconosciuto come fondatore della terapia cognitivo comportamentale standard. Anch’esso in origine psicoanalista, si definisce “psicoterapeuta cognitivo” richiamando la famosa opera Cognitive Psychology di Neisser del 1967, manifesto appunto del cognitivismo.

Beck mette a punto un metodo che risulta essere efficace nel lavoro con pazienti depressi e ansiosi, osservando la relazione tra cognizioni (pensieri) – in quanto valutazioni soggettive di un determinato trigger emotigeno – emozioni e comportamenti. In altre parole, la stessa situazione può far scaturire emozioni differenti, in individui differenti o anche nello stesso individuo, a seconda del significato (interpretazione o valutazione cognitiva) che le viene attribuito. In tal senso le valutazione cognitiva dei trigger emotigeni sono soggettive e si possono paragonare a delle lenti attraverso cui noi guardiamo e in qualche misura costruiamo nella nostra mente la realtà. Dunque secondo il metodo cognitivo di Beck – prendendo le distanze dal concetto di inconscio psicoanalitico- è fondamentale diventare consapevoli delle proprie cognizioni coscienti (schemi cognitivi e pensieri automatici), dei fattori che le ingenerano e che le mantengono, portando a una condizione di malessere e sofferenza. Ma divenirne consapevoli non è sufficiente, la terapia cognitiva standard prevede (attraverso diverse tecniche e strategie, tra cui ad esempio la ristrutturazione cognitiva) la modificazione di tali cognizioni disfunzionali e delle distorsioni che sono ad esse correlate (anche definiti errori cognitivi) abitualmente e spesso inconsapevolmente applicate dalla persona. Tali cognizioni disfunzionali sono strettamente intedipendenti alle emozioni e alle condotte comportamentali della persona.

Sviluppi successivi della psicoterapia cognitivo comportamentale

Oltre al contributo ortodossianamente Beckiano e alla terapia razionale di Albert Ellis, ricordiamo che nello stesso periodo a partire dagli anni cinquanta nel panorama scientifico e clinico cognitivo fioriscono altri modelli di terapia cognitiva, tra cui la teoria dei costrutti personali di Kelly, il modello costruttivista di Michael Mahoney, e in Italia il cognitivismo post-razionalista di Guidano.

Intorno agli anni ’80 la tecnica terapeutica cognitiva continua a svilupparsi ulteriormente con molti studi e ricerche empiriche. Citeremo sinteticamente alcuni autori: gli studi di Salkovoskis sulla credenza della responsabilità personale nel disturbo ossessivo-compulsivo; il contributo del gruppo di Frost nell’indagine del perfezionismo patologico in relazione a disturbi del comportamento alimentare; il contributo di Sassaroli, Ruggiero e Gallucci sui costrutti di controllo e perfezionismo nei DCA; e infine il lavoro di Thomas Borkovec nella ricerca sul rimuginio.

Nel corso degli anni, a partire dai suoi albori, il panorama della psicoterapia cognitivo comportamentale si è arricchito e oggi è decisamente non riducibile alla terapia cognitiva standard nè alla REBT. All’interno della famiglia delle terapie cognitivo comportamentali, ritroviamo diversi modelli diversificati di terapia, tra cui per esempio la terapia metacognitiva, la Acceptance Commitment Therapy (ACT), la Mindfulness, la terapia dialettico-comportamentale, la prospettiva cognitivo-evoluzionista di Giovanni Liotti, la Schema Therapy di Young, etc.

In particolare negli ultimi anni si è assistito alla nascita delle terapie di terza ondata: l’attenzione si è spostata dai contenuti ai processi mentali, dagli interventi concettuali a quelli meditativi ed esperienziali. Centrale diventa l’accettazione, che sta prevalendo sul paradigma precedente, che poneva al centro la conoscenza. La validazione emotiva ha svolto un ruolo intermedio, un interregno sentimentale tra la logica occidentale del comprendere che dominava un tempo e la nuova attitudine orientale dell’accettare e del non giudicare.

Strategie e tecniche della psicoterapia cognitivo comportamentale

La psicoterapia cognitivo comportamentale prevede l’utilizzo di specifiche strategie e tecniche, che si inseriscono all’interno di protocolli di trattamento validati scientificamente e che vengono applicate dal terapeuta in funzione degli obiettivi concordati con il paziente.

Anzitutto vale la pena sottolineare che frequentemente nel colloquio con lo psicoterapeuta cognitivo comportamentale emergerà una strategia di conduzione del colloquio che si basa sulla scoperta guidata e sul dialogo socratico, ovvero si pongono progressivamente una serie di domande sempre più approfondite aventi lo scopo di far emergere nell’interazione tra paziente e terapeuta le credenze, convinzioni, pensieri e significati che la persona ha su di sé, gli altri e le situazioni.
Senza avere la pretesa di esaustività, riporteremo qui di seguito alcuni esempi concreti di strategie e tecniche della psicoterapia cognitivo comportamentale.

La tecnica dell’ABC

Una delle tecniche più utilizzate in seduta è la famosa tecnica dell’ABC. La tecnica ABC è utile per aiutare il paziente a prendere coscienza di come si sviluppano i propri episodi emozionali, a partire da un evento che accade nel qui ed ora. La tecnica ABC non solo è uno schema teorico utile per concettualizzare le variabili fondamentali connesse alla condotta dell’individuo, ma è anche una procedura tramite la quale può essere concretamente attuata una valutazione, una formulazione del caso, una sua pianificazione, ed un trattamento.

La struttura logica connessa alla tecnica ABC può essere immaginata come uno schema a tre colonne:

  1. A -Activating event- identifica le condizioni antecedenti, gli stimoli, gli eventi, le situazioni;
  2. B -Belief system- indica il sistema di credenze, il pensiero, il ragionamento, le attività mentali che formano il Bagaglio o la Base cognitiva dell’individuo;
  3. C -Consequences- definisce le conseguenze di queste attività mentali ed identifica reazioni emotive e comportamentali (De Silvestri 1981).

La disputa o disputing

Il disputing è l’intervento terapeutico che mette in discussione le convinzioni del paziente. Una volta che il nostro paziente inizia a essere più consapevole del legame tra le sue emozioni di disagio e i suoi pensieri, il passo successivo è semplice. Il paziente può iniziare a sperare che, modificando le sue idee, possa cambiare anche lo stato d’animo. Nel disputing si discute il fondamento logico e/o esperienziale delle opinioni che sono state messe in relazione con gli stati d’animo di ansia, tristezza, timore, e così via.

Gli esercizi comportamentali

Gli esercizi comportamentali, come ad esempio l’esposizione, hanno valore come esposizione a nuove esperienze da cui imparare nuove informazioni e non come tentativi di instaurare nuovi riflessi comportamentali. Ogni esercizio comportamentale ha valore solo se discusso ed elaborato cognitivamente in seduta.

Oltre all’esposizione, gli esercizi comportamentali possono essere molteplici, inclusi anche veri e propri esperimenti “in vivo” per disconfermare credenze e pensieri disfunzionali, oppure possono fare riferimento alle tecniche di rilassamento muscolare progressivo e simili tecniche.

Le tecniche metacognitive

Le tecniche metacognitive hanno la finalità di promuovere nei pazienti nuovi modi di reagire ai pensieri negativi attraverso nuovi modi di controllare e ri-orientare l’attenzione, modificando regole e credenze metacognitive controproducenti. Nello specifico si agisce tentando di modificare i processi di rimuginio e ruminazione, ovvero forme di pensiero ripetitivo negativo che vengono percepite come difficili da controllare e che alimentano stati d’animo negativi.

Bibliograia

  • https://www.nice.org.uk/
  • Semerari, A. (2000). Storia e tecniche di psicoterapia cognitiva. Roma, Laterza
  • Sassaroli, Ruggiero (2013). Il colloquio in psicoterapia cognitiva. Raffaello Cortina Editore
  • Ruggiero, G.M. (2011). Terapia cognitiva. Una storia critica. Raffaello Cortina Editore

cancel