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Dai contenuti ai processi mentali: la terza ondata della Terapia Cognitiva

La rivincita di Epimeteo, colui che pensa dopo: Le Psicoterapie di terza ondata si spostano dai contenuti ai processi mentali, con interventi esperienziali

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 22 Mag. 2014

Aggiornato il 01 Giu. 2014 18:49

 

 

La nuova sfiducia post-moderna nell’intelligenza può generare anche una nuova capacità di apprezzare l’attesa, l’attesa che la mente da sola elabori soluzioni senza che l’attenzione sia costantemente e ansiosamente focalizzata sui problemi, sulle difficoltà e sugli ostacoli. Ovvero, il saper pensare dopo, invece che prima. Il che, per Epimeteo, potrebbe essere una bella rivincita, dopo che per millenni lo abbiamo considerato il fratello scemo di Prometeo (Graves, 1955).

Credo che per molti di noi, cresciuti in un’atmosfera culturale differente, i nuovi paradigmi di terza ondata della terapia cognitiva pongano qualche difficoltà.

Nei nuovi trattamenti metacognitivi, nei nuovi interventi di mindfulness c’è minore fiducia nella terapia come comprensione.

L’attenzione si è spostata dai contenuti ai processi mentali, dagli interventi concettuali a quelli meditativi ed esperienziali. Tutto questo sembra suggerire una maggiore sfiducia nelle parole e nei significati logici e verbali.

Centrale diventa l’accettazione, che sta prevalendo sul paradigma precedente, che poneva al centro la conoscenza. La validazione emotiva ha svolto un ruolo intermedio, un interregno sentimentale tra la logica occidentale del comprendere che dominava un tempo e la nuova attitudine orientale dell’accettare e del non giudicare.

In realtà il seme era già piantato nei primi sviluppi della terapia cognitiva, ed era un seme non del tutto orientale. Anche il pragmatismo anglo-sassone non condivide da secoli la concezione mediterranea e platonica che privilegia il sapere esplicito e teorico, le idee, e lo fa coincidere con l’eudamonia, ovvero -semplificando- con la serenità del saggio e in qualche modo con il benessere del paziente. L’attitudine anglo-sassone ha sempre visto il benessere clinico come azione concreta da ottenere e non come frutto automatico del capire e del sapere.

Il luogo comune vuole che la centralità del conoscere e del contenuto del pensiero sia frutto di una mentalità soprattutto europea. È plausibile, però –a mio parere- non del tutto esatto.

Credo sia più corretto collegare questa mentalità a fenomeni storici più precisi e definiti. Per esempio, in Italia questa mentalità è nutrita dalla centralità degli studi classici e umanistici. In Europa non saprei se è davvero così. Forse è vero per la Francia o per altri paesi latini. Onestamente, in fondo non lo so. Sono però abbastanza sicuro che gli studi classici sono poco importanti nei paesi del nordeuropa. Almeno questa è la mia esperienza.

I colleghi nordeuropei che ho incontrato in occasioni di lavoro avevano per lo più frequentato scuole professionali dalla forte impronta pragmatica e parevano abbastanza a digiuno di studi umanistici e storici. Il che li portava a sviluppare una mentalità molto pratica, in cui i concetti e le parole hanno un valore funzionale e non sono portatori di una verità in sé.

Non è quindi un caso che le varie terapie cognitive, non solo negli Stati Uniti ma anche nel nordeuropa, abbiano in realtà sempre dato poca importanza al contenuto mentale e alla storia personale. È stata semmai la corrente costruttivista l’unica scuola cognitiva che davvero ha dato importanza centrale ai contenuti.

E questa corrente si è diffusa in Italia e in Spagna, ma anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. A conferma che l’attenzione ai contenuti può essere a sua volta coltivata dagli anglo-sassoni e non è un fatto necessariamente solo europeo.

Credo che il costruttivismo in Italia abbia probabilmente soddisfatto una mentalità forgiata nell’atmosfera del Liceo Classico, dove si da grande importanza agli studi umanistici e dove vige la concezione greca della verità che libera.

Non penso che tutto questo sia destinato a finire. Certo però che questa mentalità deve integrarsi -ma anche ridimensionarsi- con la sempre maggiore influenza delle tradizioni filosofiche che accordano meno importanza al pensiero verbale, all’intelligenza e alla derivazione logica.

E, ancora una volta, questa sfiducia nell’intelligenza logica è -credo- non solo orientale (ma non mi pronuncio, dato che nulla so di filosofie orientali), ma anche del pragmatismo anglo-sassone, almeno da Charles Pierce in poi (1839-1914; 2003 ed. italiana).

Un’immagine mi viene in mente quando penso alle difficoltà dell’incontro tra una cultura che da importanza ai contenuti di pensiero e alle idee intelligenti -perfino a costo di continuare a rimuginare fino alla morte sulle proprie preoccupazioni- e una mentalità che invece tende all’economia del pensiero e alla non sopravvalutazione dell’intelligenza.

L’immagine è quella di Prometeo, il titano che rubò il fuoco agli dei e lo donò agli uomini, dando inizio al progresso tecnologico. Prometeo è, letteralmente, colui che pensa prima. Ovvero la persona intelligente, che pensa (medomai) prima (pro). Con tutto il correlato di retorica che in Occidente ci portiamo dietro in favore dell’intelligenza.

Il guaio o la fortuna è che, da qualche decennio, o da qualche secolo, mi pare che anche in Occidente si sia diventati sempre meno disposti ad adorare la ragione e l’intelligenza. Si teme sempre più spesso che il “pensare prima” sia apparentato non solo con il nome greco Prometeo, ma anche con la parola di derivazione latina “preoccupazione”, a sua volta legata all’ansia. E i latini già erano meno legati dei greci al mito intellettualistico del primato del pensiero.

Prometeo, come tutte le persone intelligenti, aveva un gran bisogno di definirsi in relazione al suo opposto: le persone (supposte) stupide. E infatti Prometeo aveva un fratello: Epimeteo, colui che pensa dopo. Ovvero lo stupido. E tale è stato considerato nella tradizione occidentale. Almeno finora.

La nuova sfiducia post-moderna nell’intelligenza può generare anche una nuova capacità di apprezzare l’attesa, l’attesa che la mente da sola elabori soluzioni senza che l’attenzione sia costantemente e ansiosamente focalizzata sui problemi, sulle difficoltà e sugli ostacoli. Ovvero, il saper pensare dopo, invece che prima. Il che, per Epimeteo, potrebbe essere una bella rivincita, dopo che per millenni lo abbiamo considerato il fratello scemo di Prometeo (Graves, 1955).

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Graves, R. (1955). The Greek Myths. Harmondsworth: Penguin. Ed. Italiana I miti greci, Longanesi, 1954.
  • Peirce, C. (2003). Opere. Bompiani, Milano.
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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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