La Schema Therapy di Joeffrey Young nasce nel 1990 come un approccio per il trattamento dei pazienti con Disturbi di Personalità o con una grande resistenza al cambiamento. Di derivazione cognitivista, la Schema Therapy cerca di colmare alcune lacune del modello di Beck grazie all’integrazione con altre importanti teorie tra cui quella comportamentista, quella dell’attaccamento, la teoria della Gestalt e la psicodinamica (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
Nucleo teorico centrale della Schema Therapy è che ogni essere umano, fin dall’infanzia, ha dei bisogni forndamentali da soddisfare.
Se nell’ambiente in cui è cresciuto il bambino, i bisogni sono andati incontro, in modo continuativo, a una mancata soddisfazione, allora l’individuo crescerà con dei bisogni insoddisfatti e svilupperà una valutazione negativa non solo dell’altro ma anche di sé. E’ in questo modo che nascono gli Schemi Maladattivi Precoci, schemi che andranno a permeare le future relazioni dell’individuo e a costituirsi quali fattori di mantenimento del disturbo nei pazienti difficili e con disturbi della personalità.
L’obiettivo terapeutico della Schema Therapy è quello di rendere consapevole il paziente dell’esistenza e del funzionamento di questi schemi e di aiutarlo a trovare strategie di coping più efficaci per soddisfare i propri bisogni (ibidem).
Schema Therapy: i concetti cardine
Schemi Maladattivi Precoci (SMP)
In campo psicologico si tende a definire schema un qualsiasi principio organizzativo tramite cui una persona può interpretare le esperienze vissute.
Come già anticipato, secondo Young (1990, 1999), alcuni schemi – soprattutto quelli che si formano nell’infanzia in seguito alle esperienze negative – potrebbero essere all’origine dei disturbi di personalità o di altre patologie croniche. A tal proposito Young parla di Schema Maladattivo Precoce (SMP), di cui possiamo delineare le caratteristiche principali:
- è un concetto o modello omnicomprensivo;
- è formato da ricordi, emozioni, pensieri e sensazioni somatiche;
- è utilizzato per comprendere se stessi e il rapporto con gli altri;
- è sviluppato nell’infanzia o nell’adolescenza;
- è presente in tutte le fasi della vita;
- è poco funzionale.
Uno Schema Maladattivo Precoce non va confuso con il comportamento disfunzionale: secondo Young i comportamenti maladattivi sono risposte allo schema, sono da questo innescati ma non sono la stessa cosa.
Gli Schemi Maladattivi Precoci sono resistenti al cambiamento: essi sono ben conosciuti dal soggetto e, pur essendo fonte di sofferenza, risultano sicuri e familiari.
Young (2002) individua in particolare 18 Schemi Maladattivi Precoci, raggruppabili in macrocategorie: Distacco e Rifiuto (Abbandono/Instabilità, Sfiducia/Abuso, Deprivazione emotiva, Inadeguatezza/Vergogna, Esclusione sociale); Mancanza di Autonomia e di Abilità (Dipendenza, Vulnerabilità, Invischiamento, Fallimento), Mancanza di Regole (Grandiosità, Insufficiente Autocontrollo); Orientamento all’altro (Sottomissione, Autosacrificio, Ricerca di approvazione); Ipercontrollo e Inibizione (Negatività, Inibizione emotiva, Standard severi/Ipercriticismo, Punitività)
I bisogni: ovvero come si sviluppano gli schemi
Esistono alcuni bisogni fondamentali per l’essere umano: il bisogno di protezione, stabilità, cura e accettazione; il bisogno di autonomia, senso di competenza e d’identità; il bisogno di esprimere le emozioni fondamentali; il bisogno di spontaneità e gioco; il bisogno di limiti e controllo.
Come specificato a inizio articolo, gli SMP, secondo Young, derivano dalla frustrazione, durante l’infanzia, di almeno uno di questi bisogni. Esistono quattro tipi di esperienze che facilitano la nascita di SMP durante l’infanzia:
- Frustrazione dei bisogni primari
- Trauma o maltrattamento
- Troppe attenzoni e/o eccessive aspettative
- Interiorizzazione dell’altro significativo
I processi degli schemi
Gli schemi possono dar vita a due processi: il mantenimento e la correzione.
Tutte le azioni (volontarie o involontarie) che attivano lo schema costituiscono il processo di mantenimento. Gli schemi si mantengono attraverso tre principali meccanismi: le distorsioni cognitive (che generano un’interpretazione errata della situazione, volta a confermare lo SMP), gli stili di vita autodistruttivi (scegliendo situazioni o relazioni che convalidano lo SMP) e gli stili di coping (modalità che consentono di evitare le emozioni intense e violente che gli SMP generalmente procurano, gli stili di coping maladattivi mantengono lo schema e non vanno con esso confusi: lo schema contiene i ricordi, le emozioni, le sensazioni somatiche e i pensieri dell’individuo, ma non le sue risposte comportamentali. Il comportamento non fa parte dello schema, ma dello stile di coping).
I mode
Affermare che un individuo presenta un determinato schema non implica ritenere che esso sia attivo in ogni momento della sua vita; lo schema è un tratto caratteristico che può essere attivo in un determinato momento ma non in un altro (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
E’ in questa cornice che si introduce il concetto di mode, forse l’aspetto più complesso del modello di Young. I mode comprendono sia le emozioni che le risposte di coping (adattive o meno) di cui tutti gli individui, prima o poi, fanno esperienza. In una determinata situazione può essere elicitato un mode che in altri contesti, invece, non si palesa, rimane inattivo o latente. Un mode è dunque un insieme di schemi e relative operazioni (adattive o maladattive) attivo in un paziente in un determinato momento. Per questo motivo la Schema Therapy prevede una costante analisi sia dei mode adattivi che di quelli maladattivi; e uno degli obiettivi del percorso terapeutico è aiutare il paziente a passare da un mode disfunzionale ad uno più funzionale.
Ma quando un mode è disfunzionale? Quando determinati schemi o risposte di coping emergono sotto forma di emozioni negative per l’individuo, evitamento o comportamenti autodistruttivi.
Tutte le persone infatti sviluppano diversi mode che prendono il sopravvento in particolari situazioni (es: una persona, se criticata, può entrare in modalità contrattacco furioso oppure sottomissione incondizionata). Nelle persone senza disturbi psicologici i vari mode sono integrati sotto un cappello unitario (l’identità personale) e soprattutto volontariamente regolati nella loro espressione. Secondo Young e colleghi, i pazienti con disturbi di personalità, in particolare chi soffre di Disturbo Borderline di Personalità, presentano una tendenza a passare da un mode all’altro in modo rapido, improvviso e senza rendersene conto. Sono completamente fusi dentro la prospettiva del mode attivo nel momento presente. In un momento sono vittime, un momento più tardi furiosi persecutori, più tardi ancora possono trasformarsi in salvatori. Manca l’integrazione di questi aspetti, la capacità di prendere le distanze dal mode che li domina, la capacità di gestirne l’espressione.
Nella Schema Therapy si contano dieci mode ascrivibili a quattro categorie (durante le sedute, si sceglie col paziente il nome da dare ai singoli mode):
- i mode Bambino (innati e universali). Essi sono quattro: Bambino vulnerabile, Bambino arrabbiato, Bambino impulsivo/indisciplinato e Bambino felice.
- i mode Coping disfunzionale. Sono tre: il Protettore distaccato, l’Ipercompensatore, e l’Arreso compiacente. Questi tre mode corrispondono a tre stili di coping: evitamento, ipercompensazione e resa.
- i mode Genitore disfunzionale. Sono due: il genitore punitivo e il genitore esigente. Quando si trova in uno di questi mode, il paziente acquisisce l’atteggiamento del genitore che ha interiorizzato.
- il mode Adulto funzionale.
Nel corso della terapia si cerca di aiutare il paziente non solo a rinforzare il mode Adulto funzionale ma anche ad esplorare quelli disfunzionali, modificandoli o migliorando il loro funzionamento (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
Schema therapy: tra obiettivi, assessment e modificazione degli SMP
L’intento della Schema Therapy è quello di rendere consapevole il paziente dell’esistenza e del funzionamento degli Schemi Maladattivi Precoci e di aiutarlo a trovare strategie di coping più efficaci per soddisfare i propri bisogni (ibidem).
L’obiettivo terapeutico ultimo è quindi trasformare uno schema maladattivo in uno schema più funzionale, operando una correzione. Non dimentichiamo che uno schema consiste in un insieme di ricordi, di emozioni, di sensazioni somatiche e di pensieri, correggerlo vuol dire ridurre la pervasività dei ricordi ad esso associati, l’intensità delle emozioni e delle sensazioni somatiche che ne derivano e la quantità dei pensieri disfunzionali. Ma non solo: è necessario anche un cambiamento comportamentale. Questo tipo di cambiamento avviene attraverso l’apprendimento, da parte del paziente, di strategie adattive nuove e alternative agli stili di coping disfunzionali.
Alla luce di tutto questo, il trattamento prevede un intervento trasformativo sui livelli emotivo, cognitivo e comportamentale. In questo modo lo schema maladattivo si indebolisce e si attiva con intensità e frequenza via via minori.
Il trattamento secondo Schema Therapy si divide in due fasi: “Assessment e psicoeducazione”, e “Cambiamento”.
Assessment e psicoeducazione
In questa prima fase, al terapeuta spetta il compito di aiutare il paziente nell’identificare gli schemi maladattivi, cercandone le origini. Così facendo il paziente impara a familiarizzare con il modello degli schemi, a riconoscere i propri stili di coping maladattivi e a capire in che modo essi contribuiscano al mantenimento degli schemi.
In questa fase ci si avvale di molteplici techiche: colloqui per analizare la storia di vita del paziente, somministrazione di questionari, compiti di automonitoraggio ed esercizi immaginativi che aiutano il paziente a collegare le esperienze vissute in infanzia agli attuali problemi.
Terminati questi passaggi, terapeuta e paziente elaborano una concettualizzazione del caso basata sugli schemi e programmano una terapia centrata su di essi, che includerà l’utilizzo di strategie cognitive, esperienziali e comportamentali e si fonderà sulla relazione terapeutica (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
Modificazione degli schemi
In questa fase il terapeuta utilizza con flessibilità le strategie cognitive, esperienziali, comportamentali e interpersonali previste, tenendo conto delle esigenze che il paziente manifesta di settimana in settimana, senza ricorrere a protocolli rigidi.
Le tecniche cognitive
Non si possono modificare gli schemi se il soggetto crede che essi abbiano una validità. Per questo motivo i pazienti, durante la terapia, devono mettere in discussione la validità dello schema. Inizialmente elencano, insieme al terapeuta, tutte le situazioni della vita che possono costituire una prova a favore della validità dello schema o una contraria ad essa. Quando, però, le prove non sono sufficienti a invalidare lo schema, si può ricorrere a delle strategie per modificare gli aspetti della vita del paziente che non risultano soddisfacenti (es. il terapeuta aiuta a contrastare la convinzione che il fallimento sia inevitabile, permettendo così, al paziente, di acquisire capacità concrete in ambito lavorativo). Al termine di questi esercizi, terapeuta e paziente creano un promemoria (flash card) su cui riportano le prove individuate a sfavore dello schema; il paziente dovrà portarlo con sé e leggerlo di frequente, soprattutto nelle situazioni che possono ri-attivare lo schema (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
Le tecniche esperienziali
Le tecniche esperienziali servono ai pazienti per affrontare lo schema dal punto di vista emotivo. Con le procedure immaginative, ad esempio, i pazienti possono esprimere la rabbia o la tristezza che provano per ciò che hanno vissuto nell’infanzia. Così facendo possono confrontarsi col genitore (o con gli altri significativi dell’infanzia) e proteggere e confortare il bambino vulnerabile, riuscendo a esprimere quei bisogni che avevano da bambini ma che non sono stati soddisfatti. Attraverso le tecniche immaginative e i role-playing i pazienti si possono esercitare a dialogare con le persone significative della loro vita, controbattendole e interrompendo il circolo vizioso che lo schema crea a livello emotivo (ibidem).
La modifica dei comportamenti disfunzionali
Paziente e terapeuta si mettono d’accordo su alcuni esercizi comportamentali da svolgere al di fuori delle sedute per sostituire le strategie di coping maladattive con risposte nuove e più funzionali.
Vengono stabiliti, con l’aiuto del terapeuta, alcuni esercizi comportamentali che il paziente deve svolgere al di fuori delle sedute per imparare a sostituire le risposte di coping maladattive con pattern comportamentali nuovi e più funzionali. Il paziente impara a capire che importanti decisioni di vita, come ad esempio la scelta del partner, favoriscono il mantenimento dello schema e comincia, così, ad ipotizzare e sperimentare la possibilità di fare scelte più funzionali che si contrappongono ai vecchi modelli di vita autodistruttivi.
I compiti da svolgere potrebbero non essere sempre facili per il paziente, per questo durante le sedute, il terapeuta può prepararlo attraverso le procedure immaginative e i role-playing, aiutandolo ad attraversare eventuali ostacoli. Una volta concluso un compito, si analizzano insieme i risultati.
La relazione terapeutica
Gli schemi, gli stili di coping e i mode che il terapeuta deve valutare ed esaminare sono ben visibili anche nella sua relazione con il paziente. Attraverso la relazione terapeutica, infatti, il paziente interiorizza il terapeuta come un adulto funzionale che contrasta gli schemi maladattivi, aiutandolo a vivere in modo più soddisfacente.
Due aspetti della relazione terapeutica sono particolarmente degni di nota secondo la Schema Therapy: l’atteggiamento di confronto empatico del terapeuta e l’utilizzo del parziale reparenting. Attraverso l’empatia, il terapeuta si approccia agli schemi maladattivi che si palesano nella seduta, sottolineando come le reazioni di coping a questi siano distorte o disfunzionali. La funzione di reparenting invece prevede che il terapeuta, nei limiti del rapporto terapeutico, fornisca al paziente ciò di cui aveva bisogno ma che non ha ricevuto dai genitori durante l’infanzia. Si crea così una relazione di accudimento in cui il terapeuta funge da genitore buono che cerca di rispondere adeguatamente ai bisogni del bambino paziente, prestando però attenzione al fatto che il terapeuta non acquisca potere nei confronti del paziente ma che validi e riconosca i suoi bisogni.
Con il Reparenting e attraverso gli esercizi immaginativi, si crea in seduta una specie di “macchina del tempo” che permette al paziente di ritornare ad essere quel bambino e rivivere le esperienze che hanno determinato la formazione degli schemi, questa volta in un contesto protetto e sicuro, vedendo finalmente soddisfatti i suoi bisogni, grazie all’intervento del terapeuta nella scena.
La Schema Therapy per i Disturbi di Personalità
Schema Therapy e Disturbo Borderline
Come abbiamo già anticipato, la Schema Therapy è stata sviluppata da Jeffrey Young (Young et al., 2003) per il trattamento dei pazienti che non rispondono alla CBT, in particolare quelli con disturbi della personalità.
Un intervento specifico è stato sviluppato inizialmente per il Disturbo Borderline di Personalità (Arntz & van Genderen, 2009; Young et al., 2003). Da allora, sono stati sviluppati modelli specifici per quasi tutti gli altri disturbi della personalità (Arntz e Jacob, 2012; Bamelis, Renner, Heidkamp e Arntz, 2011).
In particolare, nel caso del Disturbo Borderline, il modello prevede la presenza di alcuni particolari mode nel paziente collegati ai sintomi tipici del disturbo: il mode bambino abbandonato/maltrattato (a cui sono correlate le intense emozioni negative del paziente borderline); il mode del bambino arrabbiato/impulsivo (legato agli scoppi di rabbia del paziente e ai suoi comportamenti impusivi); il mode del genitore punitivo (connesso ai sentimenti di auto-svalutazione e auto-punizione) e il mode del protettore distaccato (correlato si comportamenti associati all’evitamento emotivo, come la dissociazione, l’abuso di sostanze o il ritiro sociale).
Questo modello guida il trattamento: ogni mode richiede tecniche e obiettivi di trattamento specifici. Inizialmente le tecniche esperienziali hanno la priorità, al fine di superare il distacco e avviare il cambiamento a livello di schema. D’altro canto, vengono anche utilizzate tecniche cognitive e comportamentali per garantire che cognizioni e comportamenti funzionali sostituiscano quelli disadattivi. Nella relazione terapeutica, invece, il terapista offre un’esperienza relazionale correttiva diretta.
Schema Therapy e Disturbo Narcisistico
Un altro campo di applicazione della Schema Therapy, all’interno dei Disturbi di Personalità, riguarda il Disturbo Narcisistico di Personalità. Secondo la Schema Therapy, i narcisisti mostrano Schemi Maladattivi Precoci formatisi in seguito alla frustrazione dei bisogni di attaccamento. Per tale motivo sono inclini a emozioni intense dovute alla ferita narcisistica, anche se tali emozioni non vengono spesso mostrate direttamente. Al loro posto vengono invece attivati particolari mode, tipici dei pazienti narcisisti (Dieckmann E, Behary W, 2015). Tra questi:
- il mode Auto-esaltatore: i narcisisti di successo passano molto tempo in questo mode, il cui focus è ottenere riconoscimenti e attenzioni controllando l’ambiente, per questo mostrano poca empatia e sono manipolatori. Sono altresì invidiosi e competitivi e si lasciano andare molto spesso a fantasie di successo;
- il mode bambino vulnerabile: attivato soprattutto della mancanza di riconoscimenti o dalle critiche, sentono di aver perso il loro status speciale. L’essere nella media è esperito attraverso sentimenti di vuoto e solitudine. Quando sono in questo mode, i pazienti proveranno disperatamente a ritornare al primo mode o ad attivare il terzo
- il mode Protettore Distaccato: i sentimenti spiacevoli vengono evitati. Questo mode può declinarsi in molte forme tra cui l’abuso di sostanze, sessualità promiscua, gioco d’azzardo, fantasie grandiose o dipendenza dal lavoro. Tutto questo per evitare il mode Bambino vulnerabile (Michiel van Vreeswijk, Jenny Broersen, Marjon Nadort, 2012).
Anche in questo caso il modello guida il trattamento, sebbene una attenzione particolare deve essere data alla relazione terapeutica. Gli aspetti fondamentali nel creare una relazione terapeutica con questi pazienti sono sostanzialmente due. Il primo aspetto riguarda il far leva sulla terapia durante la terapia stessa, e cioè aiutare i pazienti a identificare i loro sentimenti di vuoto o solitudine, perché solitamente non riconoscono le proprie emozioni e negano di avere un problema. In alternativa; il rischio è che i pazienti narcisisti quasi si dimentichino del perché siano lì con il terapeuta, percepiscano frustrazione e lascino la terapia. Un altro aspetto riguarda la necessità creare una relazione terapeutica calorosa, genuina, schietta, diretta, non distaccata. Il terapeuta deve mostrare empatia e compassione per il paziente, cioè deve sentire sinceramente comprensione e dispiacere profondi nei suoi confronti.
L’efficacia della Schema Therapy sui Disturbi di Personalità è stata ampiamente dimostrata (Jacob e Arntz, 2013) ma, come vedremo a breve, ultimamente è risultata utile nel trattamento di altri disturbi, soprattutto quando integrata con la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale.
Lo svincolo dalla CBT
Young (1990, 1999) ha sviluppato la Schema Therapy con l’obiettivo di espandere i confini della CBT tradizionale, integrando tecniche di diverse scuole, per ottenere un modello terapeutico efficace nel trattamento dei disturbi di personalità.
Secondo l’ideatore della Schema Therapy, la CBT, attraverso tecniche quali l’ABC, la ristrutturazione cognitiva, l’esposizione alle situazioni temute, mira a modificare i comportamenti disfunzionali e i pensieri negativi ma, secondo Young, nel caso di pazienti con tratti patologici di personalità, questo risulta più difficile.
Un altro aspetto della CBT che Young tenta di superare riguarda la relazione terapeutica: nella CBT l’assunto di base è che, essendo il paziente collaborativo e motivato, si possa sviluppare in poche sedute una buona intesa e la relazione, di conseguenza, non è uno degli obiettivi primari della terapia, quanto un obiettivo secondario da raggiungere per aiutare il paziente nei momenti di difficoltà che può incontrare nel percorso terapeutico (Young, Klosko, Weishaar, 2007). Secondo Young tale presupposto può costituire un grosso limite nel trattamento dei pazienti gravi, in quanto questi presentano un importante elemento distintivo: la difficoltà cronica nelle relazioni interpersonali (Millon, 1981), che impedisce loro di instaurare legami stabili, sia nella vita privata che nella terapia.
Rispetto alla CBT, la Schema Therapy – che, a seconda dei casi, può essere di breve, media o lunga durata – dà molta più importanza all’analisi delle diverse fasi dello sviluppo del disturbo (a partire dall’infanzia o dall’adolescenza), alla sfera emotiva, alla relazione terapeutica e alle modalità di coping disfunzionali (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
Tuttavia i due tipi di intervento non sono da intendersi come mutalmente escludentesi: nel trattamento di molti disturbi di Asse I e II che hanno origine da tratti patologici di personalità, la Schema Therapy può essere molto efficace dopo la riduzione della sintomatologia acuta. La Schema Therapy, infatti, mira al trattamento di quegli aspetti patologici di personalità che sottostanno al disturbo o lo mantengono attivo, anziché dei sintomi psichiatrici acuti (come la depressione maggiore o gli attacchi di panico ricorrenti). In virtù di questo, risulta spesso importante affiancare la Schema Therapy ad altri tipi di intervento, come la CBT standard e il trattamento farmacologico.
L’integrazione tra Schema Therapy e CBT: il caso della depressione e del DOC
Schema Therapy e depressione
La Schema Therapy è stata applicata, con preliminari prove di efficacia, anche al trattamento dei sintomi depressivi e in particolare della depressione cronica. Lo sviluppo del modello specifico per questo disturbo nasce con Huibers & Renner e si sviluppa ulteriormente grazie all’aggiuntivo contributo di Arntz (2013). Un recente lavoro di Basile, Tenore e Mancini (2018) si è prefissato l’obiettivo di approfondire i costrutti della Schema Therapy, cercando di analizzare il ruolo dei mode e degli stili di coping di evitamento, all’interno del quadro depressivo. In particolare il focus sui coping di evitamento è stato esaminato poiché individuato da Renner come un aspetto cardinale nel mantenimento del quadro depressivo. I dati hanno infatti messo in luce una forte associazione positiva tra pervasività e gravità degli schemi, dei mode e dei coping evitanti e importanza della sintomatologia depressiva. Gli schemi principali predittori del livello di gravità del disturbo risultano essere quelli di inadeguatezza/vergogna, grandiosità, abbandono, standard elevati/ipercriticismo e deprivazione emotiva.
I mode che meglio spiegano il quadro depressivo risultano essere invece il bambino abbandonato/ vulnerabile e l’impulsivo e il mode del genitore esigente/con standard elevati. A partire da questi dati è stata suggerita la possibilità di spiegare la depressione, la sua eziologia e il suo funzionamento, attraverso l’integrazione di elementi già noti alla Terapia Cognitivo-comportamentale, con nuovi elementi e nuove tecniche provenienti dal modello della Schema Therapy.
L’utilizzo di un approccio emotivo-esperienziale come quello della Schema Therapy permette al terapeuta di intervenire, per esempio tramite la tecnica dell’imagery with resripting o la tecnica delle sedie, sui mode disfunzionali genitoriali o sugli stili di coping evitanti, con lo scopo di arginarli o de-potenziarli, promuovendo in parallelo l’appagamento dei bisogni emotivi fondamentali frustrati (accudimento, accettazione, incoraggiamento e così via) del paziente.
Schema Therapy e Disturbo Ossessivo-Compulsivo
Nel trattamento del Disturbo Ossessivo Compulsivo, Basile, Mancini, Luppino e Tenore (Luppino et al., 2018; Tenore et al., 2018; Basile et al., 2018) hanno proposto un modello integrato che tenesse conto non solo dei sintomi ma anche delle esperienze precoci.
Gli autori partono dal modello cognitivo del DOC teorizzato da Mancini (2016), in cui si mette in risalto che lo scopo perseguito del paziente ossessivo è quello di prevenire un’emozione di colpa per propria responsabilità, valutata inaccettabile e grave. Da questo modello deriva uno specifico intervento psicoterapico cognitivo, i cui obiettivi principali sono:
1) ridurre i circoli viziosi che sono alla base del mantenimento del DOC perseguendo l’accettazione del rischio percepito
2) abbassare la sensibilità alla colpa deontologica nei pazienti.
Un aspetto risultato però particolarmente interessante negli studi di Basile, Mancini, Luppino e Tenore è il ruolo delle esperienze precoci che possono sensibilizzare alle emozioni di colpa e di disgusto: tali esperienze risultano utili non solo per comprendere lo sviluppo della sintomatologia ma anche come punto di azione terapeutica.
Ampio risalto è dato dunque all’integrazione delle tecniche cognitive e di quelle esperienziali della Schema Therapy nel trattamento del paziente ossessivo. Le tecniche emotivo-esperienziali principali usate, riprese dalla Schema Therapy, inlcudono l’imagery with Rescripting (Arntz e Weertman, 1999) e il lavoro con le sedie (chairwork) (Kellogg, 2004), utili soprattutto per lavorare sul senso di colpa, solitamente associato a ricordi di rimprovero da parte di entrambi i genitori, e sul timore di essere disgustosi. Si vanno così a riscrivere tutte quelle memorie relative ad eventi precoci di colpevolizzazione e rimproveri che caratterizzano l’infanzia di questi pazienti, producendo un abbassamento della sensibilità alla colpa nel paziente.
Dal punto di vista cognitivo, invece, si lavora sull’accettazione. I pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo considerano la colpa e il disgusto come vissuti inaccettabili da controllare e prevenire ad ogni costo. Il lavoro di accettazione potrebbe essere fatto attraverso l’uso del dialogo socratico e della discussione “reductio ad absurdum” (Mancini, 2016). Altre fasi implicano il lavorare sulla credenza che il senso di colpa è nell’ordine naturale delle cose e decatastrofizzare la sua esperienza. Ciò può avvenire attraverso il dialogo socratico, con esperimenti comportamentali, esercizi di distanziamento e de-fusione. Tutti questi aspetti consentono il rafforzamento dell’Adulto sano. Gli interventi cognitivi possono essere adottati anche durante gli esercizi di immaginazione e nel contesto del lavoro con le sedie.
La Schema Therapy con bambini e adolescenti
Una proposta di applicazione della Schema Therapy con i più piccoli, è stata avanzata da Loose, Graaf e Zarbock e che ha dato vita alla pubblicazione del Libro “La Schema Therapy con i Bambini e gli Adolescenti”. Nel testo gli autori usano questa metafora: gli schemi sono atomi che si combinano a formare diverse molecole, i mode. Anche nella terapia con i bambini e gli adolescenti è fondamentale individuare mode, schemi, stili di coping e bisogno primario non soddisfatto.
Sebbene l’applicazione della Schema Therapy in età evolutiva debba in prendere in considerazione la fase specifica di sviluppo del paziente, è possibile delineare una sintesi dell’intervento con bambini e adolescenti:
- La prima tappa è: l’identificazione del mode. Potremmo dire al bambino “dobbiamo creare una squadra, chi sono i giocatori di questa squadra? Quali sono le emozioni che conosci di questa squadra?”.
- La seconda fase è accedere al bambino vulnerabile, quello che ha più bisogno di supporto, senza critiche.
- La terza fase riguarda il determinare la funzionalità dei mode del nostro paziente, ovvero riuscire ad individuare tutti i punti di forza e le difficoltà del bambino. Qualunque mode sia, una volta che si è compresa la sua funzionalità, si procede a riorientare il mode, rafforzando i mode più funzionali e positivi e togliendo così forza alle componenti disfunzionali che determinano comportamenti problematici.
- Ultima fase è il trasferimento di questo nella vita di tutti i giorni, nessuna terapia ha senso senza che abbia un effettivo beneficio nella vita quotidiana.
Importante però risulta essere anche il lavoro con i genitori. In Schema Therapy si usa l’espressione coaching genitoriale per indicare una forma di consulenza sullo sviluppo del bambino e sulla comprensione di come i propri schemi possano colludere con gli schemi dei figli. I genitori sono guidati anche verso l’individuazione dei propri schemi maladattativi, il comportamento problematico del figlio potrà essere visto anche come sintomo derivato dall’esistenza di schemi e mode disfunzionali in famiglia.
Bibliografia:
- Jacob, G. A., & Arntz, A. (2013). Schema Therapy for Personality Disorders: A Review. International Journal of Cognitive Therapy, 6(2), 171-185. https://doi.org/10.1521/ijct.2013.6.2.171
-
van Vreeswijk, M., Broersen, J., & Nadort, M. (2012). The Wiley-Blackwell Handbook of Schema Therapy: Theory, Research and Practice. New york: Wiley-Blackwell.
- Dieckmann E, Behary W. Schematherapie: Ein Ansatz zur Behandlung narzisstischer Persönlichkeitsstörungen (2015). Schema Therapy: An Approach for Treating Narcissistic Personality Disorder. Fortschr Neurol Psychiatr ;83(8):463-478. doi:10.1055/s-0035-1553484
- Jeffrey E. Young, Janet S. Klosko e Marjorie E. Weishaar (2007) Schema therapy. La terapia cognitivo-comportamentale integrata per i disturbi della personalità, a cura di A. Carrozza, N. Marsigli e G. Melli, Firenze, Eclipsi.