Silvia Taddei
Oggi abbiamo il piacere di pubblicare, per i lettori di State of Mind, l’intervista alla Dott.ssa Wendy Behary, esperta a livello internazionale e con numerose certificazioni che si occupa di Schema Therapy con pazienti con Disturbo Narcisistico di Personalità, fondatrice e direttrice del Cognitive Therapy Insitute nel New Jersey, del New Jersey Institute for Schema Therapy e del Schema Therapy Institute di New York.
1) Con un paziente con Disturbo Narcisistico di Personalità sappiamo quanto in psicoterapia sia difficile instaurare una buona relazione terapeutica che permetta quindi al paziente di poter iniziare e continuare la terapia. Quali strategia utilizza nelle sue terapie per raggiungere questo obiettivo?
Gli aspetti fondamentali nel creare una relazione terapeutica con questi pazienti sono sostanzialmente due. Il primo aspetto far leva sulla terapia durante la terapia stessa, e cioè aiutare i pazienti a identificare i loro sentimenti di vuoto o solitudine, perché solitamente non riconoscono le proprie emozioni e negano di avere un problema. In alternativa; il rischio è che i pazienti narcisisti quasi si dimentichino del perché siano lì con il terapeuta, percepiscano frustrazione e lascino la terapia. Un altro aspetto riguarda la necessità creare una relazione terapeutica calorosa, genuina, schietta, diretta, non distaccata. Il terapeuta deve mostrare empatia e compassione per il paziente cioè deve sentire sinceramente comprensione e dispiacere profondi nei confronti del paziente.
2) Quali ostacoli possono presentarsi in terapia nel cambiamento del paziente narcisista?
Il cosiddetto “Protettore Distaccato” rappresenta un grande ostacolo. Questi pazienti solitamente negano qualsiasi problema esistente e faticano a stare e a provare le loro emozioni più dolorose. Spesso tendono a essere troppo critici nei confronti del terapeuta; tendono a far sì che vi sia l’attivazione degli schemi del terapeuta e così diventa difficile mantenere quel livello di alleanza terapeutica: se il terapeuta si sente sovraccarico, distratto e se non si fa abbastanza leva sulla terapia. Il terapeuta può sentirsi attaccato e provocato dal paziente, reagendo con comportamenti controproducenti per la terapia.
3) Tra pochi mesi in Italia uscirà il suo libro “Disarming the Narcissist” definito da molti autori a livello internazionale un manuale pratico in grado di offrire indicazioni su come gestire le sfide emotive che nascono da una relazione con un narcisista. Vuole condividere qualche riflessione in merito?
Sono molto entusiasta del libro in uscita in Italia. E’ stato scritto soprattutto perché ci sono stati molte dei miei pazienti che vivono con partner narcisisti, che li amano, che ne volevano sapere di più, e desideravano sapere quali sono gli schemi che si attivavano all’interno della loro coppia e anche conoscere una strada più efficace per stare con loro. Entrambi i termini di questa equazione – il narcisista e il suo partner- hanno ispirato il senso di questo libro.
4) Quali indicazioni generali può dare ai nostri colleghi terapeuti per trattare i pazienti narcisisti?
La cosa più importante è che abbiano una buona supervisione e che facciano un buon lavoro su di sé per capire i propri schemi e la propria sensibilità ad alcuni aspetti specifici – anche aggressivi– che si possono innescare con i pazienti narcisisti. Questo permette al terapeuta di essere più forte e persistente. Bisogna inoltre essere pazienti per mantenere la continuità del trattamento con un paziente narcisista.
5) Esistono studi di efficacia riguardo la Schema Therapy applicata a pazienti con Disturbo Narcisistico di Personalità?
Al momento non ci sono evidenze forti in merito, da nessuna delle scuole di pensiero che si occupano di narcisismo. Per lo più esistono raccolte di esperienze e di casi clinici seguiti nel corso del tempo. Per quanto riguarda la Schema Therapy sono in corso alcuni studi in Olanda che includono pazienti narcisisti e alcune ricerche in ambito forense che ci auguriamo siano in grado di raccogliere dati in merito. D’altro canto, il problema delle evidenze scientifiche e della raccolta dati ha a che fare con altre questioni come per esempio il fatto che molte terapie non riescano a tollerare il trattamento in sé, oppure il terapeuta non è riuscito a identificare i sentimento di vuoto e solitudine del paziente, il quale non si sente compreso e quindi non termina la terapia. E così diventa difficile avere un campione rappresentativo che consenta una raccolta dei dati sensata.
6) Che cosa pensa dello sviluppo della Schema Therapy in Italia in questo periodo?
Ritengo che la Schema Therapy nel vostro paese sia in crescita. E’ entusiasmante dato che Alessandro Carmelita ha diffuso il modello nel vostro paese tra diversi professionisti, essendo egli in prima persona certificato in Schema Therapy, e trasmettendo entusiasmo tra i colleghi clinici. Penso che questo sia molto bello perché stiamo spingendo sempre più persone a far parte della nostra comunità di terapeuti afferenti al modello.
7) Che cosa pensa che i terapeuti dovrebbero imparare per lavorare con un paziente narcisista?
Mi sento un po’ di parte nel rispondere a questa domanda poiché credo che la Schema Therapy sia una delle metodologie più efficaci per il trattamento di questi pazienti. Ritengo che, in quanto terapisti Schema Therapy, abbiamo a disposizione una concettualizzazione molto ricca, una forte comprensione dello spettro di elementi della personalità del narcisista, quindi sicuramente penso che la via migliore per trattarli sia quella di intraprendere un training in Schema Therapy e di applicare poi il modello alla popolazione dei pazienti narcisisti, una tra le più difficili e impegnative tra trattare.
8 ) Vuole dirci qualcosa a riguardo della nuova formulazione del DSM5?
Mi piacerebbe poter dire qualcosa a riguardo, ma in realtà penso che la direzione che si prenderà non è ancora chiara. Ritengo che una parte dei motivi che stanno dietro al cambiamento delle codifiche diagnostiche abbia a che fare con la complessità del narcisismo che è un disordine dello spettro narcisistico; il punto è che si sta cercando di cogliere i diversi elementi del narcisismo e i diversi modi con cui si manifesta.
Ad ogni modo sarebbe una circostanza assolutamente negativa se di fatto dovesse venire eliminato come disturbo perché penso si manifesti in modo chiaro e distinto nelle nostre popolazioni cliniche.
Comunque il tutto è molto controverso a fronte del fatto che vi sono ancora molte discussioni aperte rispetto a ciò che accadrà.
9) Pensa che la Schema Therapy stia veramente seguendo le nuove evidenze scientifiche nell’ambito della neurobiologia e del funzionamento cerebrale?
Ritengo che la Schema Therapy sia aperta e interessata è ciò che si sta scoprendo nell’ambito della comunità scientifica della neurobiologia interpersonale, poiché sicuramente supporta le nostre premesse di base, e cioè quelle attivazioni implicite delle memorie e che implicano connessioni con l’amigdala e il sistema limbico – i centri emotivi del cervello; inoltre, la neurobiologia spiega la connessione con il nostro sistema di sopravvivenza che supporta la nostra idea di modalità di coping. Quindi quest’area di studi è un altro modo per mettere la scienza alla base della nostra proposta e a far sì che la Schema Therapy abbia un razionale sia da un punto di vista scientifico che pratico-applicativo.
10) Può dirci qualcosa riguardo al cambiamento del funzionamento cerebrale mediante l’utilizzo degli esercizi immaginativi?
Non penso vi siano ancora risposte chiare in merito. Siamo ancora piuttosto speculativi su questo tema ma ci sono alcuni dati che supportano i cambiamenti nei patterns di attivazioni cerebrali a seguito del trattamento e dell’elaborazione di un aspetto traumatico nel paziente. In questo senso si rilevano emozioni di intensità minore, e parimenti una minore attivazione e un più veloce ritorno allo stato emotivo di base complessivamente nel sistema biologico. Questo è quello che noi diciamo in riferimento al nostro modello: il miglioramento clinico non è necessariamente valutato in relazione alla cancellazione degli schemi, poiché questo non è possibile, gli schemi sono parti della nostra memoria. Il miglioramento clinico è invece determinato da una minore attivazione, una minore frequenza e un recupero più veloce in relazione a queste memorie, e questo è in qualche modo quello che si vede in alcuni studi neuroscientifici.