Tra conversazioni sospese e domande mai poste
Non so come dire a mio padre che non voglio più i suoi soldi
Ogni volta che cerco di rimettermi in gioco, una voce mi dice ‘tanto non ce la farai!’
Se solo potessi tornare indietro e dirle quanto male mi ha fatto!
Conversazioni sospese, domande mai poste e risposte mai cercate.. in ognuno di noi si nasconde “quella cosa che vorremmo o avremmo voluto dire ma che non siamo mai riusciti a dire”.
Che l’interlocutore sia un altro individuo o che sia una parte di sé, spesso è in questi dialoghi mai nati o interrotti troppo presto che si può celare un’intensa sofferenza emotiva. In terapia, una delle tecniche utili a costruire dei “dialoghi terapeutici” (Pugh, 2017) è la tecnica delle due sedie (o chairwork o tecnica della sedia vuota o anche tecnica delle sedie).
La tecnica delle due sedie: cos’è?
La tecnica delle due sedie è una tecnica derivante dalla terapia della Gestalt che incoraggia i pazienti a esplorare ed esprimere i propri sentimenti verso un’altra persona (reale o immaginaria) appartenente al proprio passato o al presente o verso un aspetto di se stessi. L’idea è quella di conversare con la sedia vuota come se fosse occupata da qualcun altro o da un’altra parte di sé. Ciò aiuta il paziente a comprendere meglio i propri pensieri e le proprie emozioni.
La tecnica viene utilizzata dunque per affrontare questioni irrisolte, conflitti ed emozioni disfunzionali. L’idea alla base della tecnica della sedia vuota è risolvere il conflitto, aumentando la consapevolezza nel momento presente (Lovering, 2021).
Esternalizzando questi conflitti interni o i sentimenti e le emozioni irrisolti, il paziente può acquisire una visione approfondita dei propri vissuti, esplorare diverse prospettive e lavorare per la risoluzione. Questa tecnica può essere particolarmente efficace per le persone che affrontano dolore, senso di colpa, risentimento o ansia (MentalHelp, 2017).
Come si svolge la tecnica delle sedie
Il chairwork tipicamente prevede l’uso di due sedie una di fronte all’altra. Il paziente si siede su una sedia e affronta un dialogo immaginario con un familiare o un’altra persona seduta sulla sedia opposta; in alternativa, il paziente si muove avanti e indietro tra le sedie e parla da diversi aspetti di sé (Kellogg, 2007).
Passaggio 1: identificare l’interlocutore
Attraverso il lavoro con il terapeuta, viene identificata la persona e/o l’aspetto di sé con cui sarebbe più utile dialogare.
Passaggio 2: Iniziare il dialogo
Con l’aiuto del terapeuta, si inizia a parlare con la parte di sé o con la persona che si immagina essere sulla sedia vuota. Si spiegano i propri sentimenti e si espone il proprio punto di vista sulla situazione fonte di sofferenza.
Passaggio 3: cambiare posto
Il paziente cambia posto e personifica il suo interlocutore: risponde a ciò che ha appena detto, dal punto di vista dell’interlocutore. Il paziente può muoversi avanti e indietro tra le sedie più volte per continuare il dialogo. Nel frattempo, il terapeuta esplora questa comunicazione con domande e approfondimenti man mano che la situazione si svolge.
Passaggio 4: valutazione e discussione
Dopo una sessione di chairwork, risulta molto utile discutere di quanto accaduto con il terapeuta che potrebbe aiutare il paziente a capire le sensazioni, le emozioni e le strategie emerse (Lovering, 2021).
La storia della tecnica delle sedie
Il chairwork, sebbene abbia le sue origini nel 1921 nello psicodramma di Jacob Levy Moreno, studente di Sigmund Freud, è diventata una tecnica popolare grazie al lavoro di Frederick “Fritz” Perls, il fondatore della terapia della Gestalt (Kellogg, 2007).
Perls ha dato negli anni ’50 un contributo fondamentale al lavoro con le due sedie, introducendolo e rendendolo centrale all’interno dall’approccio gestaltico.
Formatosi con Moreno, per Perls i conflitti emotivi si sarebbero potuti risolvere solo rendendoli evidenti nel qui e ora. Quindi, piuttosto che parlare dei loro problemi, Perl affermava che i pazienti dovessero parlare ai problemi (Grechi, 2023).
Si deve a Leslie S. Greenberg invece l’analisi della scientificità di queste tecniche: le sue ricerche condotte a partire dagli anni ’70 ne hanno sancito l’efficacia clinica (Greenberg et al., 1993).
Ad oggi il chairwork rappresenta una delle tecniche esperienziali maggiormente adottate all’interno della Schema Therapy (ST) di Jeffrey Young. Nel corso dei decenni, trasversalmente a diversi modelli psicoterapeutici, si sono sviluppate diverse modalità di applicazione della tecnica che può essere utilizzata in contesti di psicoterapia individuale, di coppia e familiare (apc.it, 2020).
Diversi utilizzi della tecnica delle sedie
Vediamo alcuni di questi utilizzi (Kellog, 2007).
Dialoghi con l’altro
Esistono particolari situazioni in cui la crescita personale del paziente risulta bloccata da eventi accaduti nel passato (come traumi o perdite importanti). Rielaborando queste situazioni tramite il chairwork (attraverso il dialogo con altri abusanti o deceduti, ad esempio), i pazienti possono esprimere la loro rabbia per come sono stati trattati, il loro dolore per ciò che hanno vissuto e la loro determinazione a non lasciare che quanto accaduto influenzi più la loro vita (Goulding & Goulding, 1997). Il chairwork in questo caso, se fatto con la parte di sé ferita, può anche essere usato per esprimere amore e cura al sé bambino, adolescente o adulto maltratto.
Dialoghi con sé
In questo caso l’attenzione è rivolta ai conflitti all’interno dell’individuo. Man mano che queste diverse parti del sé vengono identificate o sviluppate, possono essere nominate e affrontate tramite il chairwork (Young et al., 2003). È molto comune in questo lavoro incontrare una “voce” punitiva o critica che impedisce al paziente di stare meglio.
Dialoghi correttivi
In questo caso la tecnica delle due sedie può essere vista come un’implementazione del disputing di matrice cognitiva: le cognizioni distorte dei pazienti vengono individuate e verbalizzate su una sedia. Una controargomentazione (o pensiero alternativo) viene sviluppata attentamente in modo collaborativo dal terapeuta e dal paziente (Young et al., 2003). Il paziente poi va avanti e indietro tra le due sedie, presentando il pensiero distorto e poi lavorando – grazie alla controargomentazione individuata – per correggerlo.
Role playing
La tecnica delle due sedie può essere molto utile anche per allenare l’assertività e per altri problemi di comunicazione. Il capo esigente o il coniuge litigioso possono essere messi su una sedia e il paziente può esercitarsi a chiedere ciò che desidera in modo assertivo (Kellogg, 2007).
Per chi è più adatta la tecnica della sedia vuota?
Come per ogni tecnica psicoterapica, anche per la tecnica delle due sedie è bene valutarne l’applicazione a seconda del paziente e del problema presentato.
Ricerche preliminari suggeriscono che queste tecniche esperienziali sono clinicamente efficaci, sia nel trattamento di disturbi emotivi come depressione e traumi (Greenberg & Watson, 1998; Paivio et al., 2010) che in processi psicologici problematici come autocritica e ruminazione (Neff et al., 2007; Shahar et al., 2012).
Due esperti della tecnica delle due sedie, Scott Kellogg e Amanda Torres, hanno affermato in una pubblicazione del 2021, che il metodo potrebbe essere molto utile per le persone con:
- depressione
- disturbi d’ansia
- una storia di maltrattamenti
- disturbi della personalità
- conflitti interiori
- scarsa autostima e odio per se stessi
La tecnica delle due sedie risulterebbe inoltre utile anche nei casi in cui si intende lavorare sulla mentalizzazione del paziente: chi presenta un deficit metacognitivo ha difficoltà a comprendere gli stati emotivi e cognitivi altrui, aspetto che porta anche alla nascita di problematiche relazionali. Attraverso la tecnica delle due sedie, il terapeuta può aiutare il paziente ad abbandonare più facilmente il proprio punto di vista e ad aprire un varco nella comprensione dell’altro (Confalonieri, 2023).
È stato più volte sottolineato in questo articolo il ruolo fondamentale del terapeuta nell’applicazione di questa tecnica. È bene infatti ricordare che, per quanto il chairwork possa sembrare uno strumento di facile applicazione, resta imprescindibile la guida di uno psicoterapeuta adeguatamente formato che, con le giuste domande, le giuste indicazioni, il giusto contenimento nei momenti emotivamente più intensi e l’integrazione all’occorrenza di altri strumenti terapeutici, sappia sfruttare tutto il potenziale terapeutico di questa tecnica.