Secondo l’ottica della terapia cognitiva, ciò che porta il paziente a vivere stati emotivi negativi, sono i pensieri che automaticamente egli genera in determinate situazioni. Sono dunque i pensieri del paziente, le sue credenze, a determinare la sua sofferenza emotiva. Il disputing è l’intervento terapeutico che mette in discussione queste convinzioni disfunzionali del paziente.
Una volta che il nostro paziente inizia a essere più consapevole del legame tra le sue emozioni di disagio e i suoi pensieri, il passo successivo è semplice. Il paziente può iniziare a sperare che, modificando le sue idee, possa cambiare anche lo stato d’animo. Nel disputing si discute il fondamento logico e/o esperienziale delle opinioni che sono state messe in relazione con gli stati d’animo di ansia, tristezza, timore, e così via.
Come effettuare il disputing
Per procedere con il disputing occorre avere ben presenti i parametri da sottoporre a critica. È bene iniziare con domande aperte, chiedendo semplicemente che cosa non ci va in una certa cosa, dove sia l’implicazione negativa (Che cosa non le va in questo?).
Proseguire a esaminare le implicazioni negative in termini di significati personali e soggettivi è proprio soprattutto della via costruttivista di George Kelly e di altri. In parte è anche la strada di Ellis. Tuttavia lo stile più standard della terapia cognitiva prevede una maggiore concentrazione, almeno all’inizio, non tanto sui significati negativi personali ma sui pericoli concreti temuti dal paziente, utile soprattutto se il paziente tende a esprimersi in termini generici e vaghi. Chiedere invece al paziente cosa esattamente teme può incoraggiarlo a essere più collegato alla realtà. (Che cosa teme esattamente? E quando le viene in mente questo cosa immagina? Quanto è probabile, da 0 a 100, che accada questa eventualità? Definiamo meglio questa eventualità. È così grave? E perché? Qual è l’esito peggiore di questa situazione che lei teme? È l’unico esito possibile? Ce ne sono altri meno terribili? E qual è l’esito più probabile?)
Anche in tal modo può essere possibile che il paziente inizi a sdrammatizzare i suoi timori. O meglio, che il paziente apprenda a farlo. Ciò che avviene in terapia è un modello che il paziente deve imparare ad applicare nella sua vita di tutti i giorni.
Dopo aver riflettuto su gravità e probabilità degli eventi temuti, si può passare a trattare le capacità di fronteggiamento del paziente. Questo è un parametro che il paziente molto spesso trascura. (Ragioniamo anche sulla sua capacità di fronteggiare questo pericolo, di gestirlo, di rimediare in qualche modo. Pensa di non essere capace di reagire in nessun modo?)
Occorre quindi incoraggiare il paziente a criticare e ristrutturare i suoi pensieri negativi.
Non è consigliabile iniziare un disputing attaccando attivamente le convinzioni negative del paziente. Questa mossa è debole, poiché mette tutto il carico cognitivo ed emotivo del cambiamento sulle spalle del terapeuta.
La domanda va invece formulata nei termini opposti: in modo che sia il paziente a dover dimostrare che il suo pensiero negativo è plausibile e giustificato. Deve essere lui a farsi carico della sua visione negativa e dimostrare prima di tutto a se stesso prima che al terapeuta che la sua visione negativa è fondata. In tal modo si incoraggia il paziente ad assumere una posizione di distacco critico. Fino a quel momento, il paziente non ha mai esaminato criticamente le basi logiche e/o empiriche dei suoi tristi pensieri. Con il disputing, invece, il paziente può iniziare a pensare che le sue non sono constatazioni di verità di fatto, ma potrebbero essere interpretazioni discutibili. (T.: Riflettiamo insieme. Lei è depresso/ansioso/arrabbiato perché ha una visione negativa delle cose. Ma ora la invito a riflettere su quanto sia fondata questa valutazione negativa).