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Dolore

Attraverso il dolore l’organismo ci segnala che qualcosa non va. Esso però non si limita alla sola esperienza organica ma coinvolge più aspetti..

Aggiornato il 25 ago. 2023

Come definire il dolore?

Il dolore rappresenta il mezzo attraverso cui l’organismo ci segnala che c’è qualcosa che non va, che siamo di fronte ad un potenziale problema. Sebbene si tratti di un importante campanello d’allarme, quando tale esperienza si protrae nel tempo, mantenendosi continua ed intensa, può trasformarsi in una vera e propria malattia.

Quando si prova dolore, esso non si limita ad essere una semplice sensazione, ma riguarda qualcosa di più che tocca pensieri ed emotività.

La definizione di dolore della IASP (International Association for the Study of Pain) mette in rilievo la sua componente esperienziale e cognitivo/affettiva, infatti lo definisce “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno”.

Il dolore dal punto di visto fisiologico

Il dolore quindi non si limita ad essere una “semplice” sensazione, ma causa un complesso fenomeno di risposta omeostatica che interessa un network cerebrale e fisiologico complessissimo, che riguarda tutti i livelli di (ri)trasmissione dell’impulso nervoso (vedi Figura 1- tratta da Schweinhardt et al., 2010.)

Questo network altamente riverberante e ad ampio spettro illustra la complessità della risposta dolorifica, ma anche la sua validità filogenetica, dato che tutti i livelli di ritrasmissione, perfino quelli più “antichi” partecipano a definire l’esperienza dolorifica. Il network, come si evince dalla figura, va a toccare aree del sistema nervoso centrale che partecipano a livello psicologico e soggettivo a definire la parte cognitiva, emotiva e di risposta fisiologica/omeostatica dell’esperienza dolorifica.

Il dolore oltre l aspetto fisiologico: componenti psicologiche, cognitive ed emozional_Fig 1

Dolore: aspetti attentivi e di risposta omeostatica

Quando ci si fa male, si percepisce immediatamente dolore ed è facile che l’attenzione venga rivolta subito verso la parte del corpo dolorante che, al contempo, si ritrae rapidamente. Tutto questo accade in maniera spontanea portando a interrompere qualsiasi attività e catalizzando tutte le risorse attenzionali verso la fonte dolorifica (Price, 1988).

L’attenzione è così importante nel definire il modo in cui viene percepito lo stimolo che utilizzando tecniche di distrazione, si riduce sensibilmente l’intensità dolorifica percepita e la tolleranza (per esempio è stato utilizzato efficacemente il visore di realtà virtuale). La cattura dell’attenzione non si realizza casualmente, ma è finalizzata a determinare una risposta nei confronti della fonte dello stimolo doloroso. Detto in altri termini: l’attenzione è un meccanismo di selezione per l’azione: quando si sente dolore ne consegue una spinta “arcaica” finalizzata alla fuga dalla fonte dello stimolo nocivo (Ercolani e Pasquini, 2007). Questa “spinta” ovviamente è sostenuta dall’attivazione del nostro sistema omeostatico (HPA) che si attiva quando il nostro sistema rileva uno stimolo stressogeno, di cui il dolore è il miglior rappresentante.

Non è di per sé sorprendente osservare che il dolore catturi in toto la nostra attenzione e che il suo fine principale sia quello di attivare sistemi di regolazione omeostatica che hanno l’obbiettivo di rispondere o fuggire alla fonte dello stimolo.

Aspetti cognitivi, emozionali e psicopatologici del dolore

Capita spesso che in caso di dolore persistente, ci si possa sentire nervosi, oppure depressi, come se il dolore condiziona l’intera giornata. Riprendendo la definizione proposta dalla IASP, il danno tissutale può essere in atto o potenziale. Questo è un punto fondamentale perché sottolinea come la percezione del dolore sia influenzata dalla nostra interpretazione e valutazione. Quando si prova dolore, soprattutto a livello cronico, il sintomo che più spesso vi si associa è l’ansia. Paura ed ansia portano il paziente ad anticipare il dolore che proverà, esacerbando di conseguenza la sensazione. Inoltre, l’ansia anticipatoria correlata al dolore, può portare a gravi livelli di disabilità, poiché conduce all’evitamento massivo di tutte quelle situazioni e luoghi (anche lavorativi e scolastici) dove il soggetto ha sperimentato dolore (Gatchel et al., 2007).

La depressione è forse il sintomo più comune, secondo la  letteratura essa è presente in una percentuale che varia tra il 40% e il 50% nelle persone che soffrono di dolore cronico. Tuttavia, non sembra essere tanto la sensazione dolorifica in sé a generare lo stato depressivo, quanto le difficoltà nel farvi fronte e le ricadute sulla vita quotidiana. Ancora una volta non è la sensazione dolorifica a determinare una disfunzionalità quanto l’esperienza di dolore in generale.

Infine, insieme all’ansia e alla depressione troviamo la rabbia, che nell’individuo con sofferenza cronica di solito viene repressa (Okifuji e colleghi, 1999), perché socialmente indesiderabile, questo conduce ad una maggiore probabilità di trovare soggetti che rivolgono la rabbia verso se stessi piuttosto che verso gli altri. Anche in questo caso il nostro stato emotivo (rabbia) e il giudizio della situazione sociale determinano in modo importante il modo in cui esprimiamo e processiamo l’ esperienza dolorifica.

Insieme a questi fenomeni cognitivo-affettivi abbiamo costrutti “puramente” cognitivi. Tra i più importanti troviamo le credenze e la tendenza a catastrofizzare. Un modello che cerca di fondere aspetti cognitivi ed affettivi in modo abbastanza coerente è quello proposto da Vlaeyen e Linton (2000) conosciuto anche come Fear-avoidance Model (Figura 2 – Tratta da Vlaeyen e Linton, 2000).

Nello schema (figura 2), si può osservare come la tendenza a catastrofizzare sia centrale nel definire la paura associata alle esperienze dolorifiche, al contempo però la catastrofizzazione dipende dalla affettività negativa e da come viene valutata la malattia (o lo stimolo doloroso). Senza addentrarci nella spiegazione di questo sistema di elaborazione delle informazioni, appare importante sottolineare come questo modello metta in evidenza la natura estremamente multicomponenziale dell’ esperienza dolorifica e il fatto, ormai non più trascurabile, che il dolore non si esaurisca nella sua componente sensoriale.

Parlando di “secondarietà” dell’aspetto sensoriale, non si vuole lasciar passare il concetto che il dolore come espressione nocicettiva non debba essere trattato; anzi, il primo passo per migliorare la sofferenza di un individuo è consentirgli di non provare più dolore. Ciò che è bene sottolineare, soprattutto in condizioni di cronicità, è che il dolore come nocicezione è solo la punta dell’iceberg di un complesso sistema di valutazione ed espressione.

Il dolore è forse l’esperienza soggettiva più difficile da spiegare. Tanti hanno provato a definirlo ma pochi hanno colto nel segno come la definizione che segue:

Il dolore si differenzia molto chiaramente dagli altri sistemi sensoriali poiché nell’elaborazione di una percezione identificata come dolore, la sensazione, l’emozione e la cognizione sono strettamente legate (Le Bars e Willer, 2004, pag. 3)

 

Il dolore oltre l aspetto fisiologico componenti psicologiche, cognitive ed emozionali_fig2

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