expand_lessAPRI WIDGET

Attenzione

L’attenzione è un processo cognitivo che permette di organizzare le informazioni provenienti dall’esterno e di regolare i processi mentali in base ad esse.

L’attenzione è un processo cognitivo che permette di selezionare alcuni stimoli ambientali, ignorandone altri. Da un punto di vista evolutivo, si tratta di un meccanismo estremamente utile ai fini della sopravvivenza dell’uomo in quanto consente di organizzare le informazioni provenienti dall’ambiente esterno, in continuo mutamento, e di regolare di conseguenza i processi mentali.

Attenzione TAG

Introduzione

In generale, in psicologia possiamo definire l’attenzione come l’insieme dei processi di selezione che il cervello mette in atto nei confronti degli stimoli che giungono dal mondo esterno attraverso gli organi di senso. Una metafora spesso usata è quella del filtro, che lascia passare soltanto gli stimoli rilevanti.

Già agli albori delle scienze psicologiche William James osservava che l’uomo non può essere consapevole di tutto, a fronte di una quantità di dati e informazioni sensoriali molto elevata. Di fatto il sistema cognitivo umano è un sistema limitato, cioè che possiede una quantità di risorse limitate per l’elaborazione delle informazioni (Broadbent, 1958). In tal senso, l’attenzione si può ricondurre all’insieme di meccanismi e processi che consentono di focalizzare le proprie risorse mentali su alcuni stimoli o informazioni a scapito di altri, determinando ciò di cui siamo coscienti in un dato istante.

La psicologia dell’attenzione ha come obiettivo lo studio dei processi attentivi attraverso l’utilizzo di specifici paradigmi sperimentali, tecniche e strumenti. Accanto agli studi di neuroimaging, che mirano a identificare l’attività cerebrale in relazione ai processi attentivi, in letteratura si ritrovano anche tecniche tradizionali ancora utilizzate. Ad esempio, è possibile studiare il comportamento di soggetti chiamati a svolgere determinati compiti attentivi in laboratorio misurandone i tempi di reazione (TR). Il tempo di reazione è la quantità di tempo che intercorre tra la presentazione di un stimolo e l’emissione di una risposta. Maggiore è il tempo che intercorre tra stimolo e risposta, maggiore è l’elaborazione richiesta. Alcuni paradigmi sperimentali sono invece finalizzati ad indagare la relazione tra attenzione, percezione di oggetti o eventi e coscienza.

Quando si parla di attenzione ed efficacia nelle prestazioni, è importante fare riferimento alla teoria dell’arousal, inteso come stato globale di attivazione dell’individuo che può variare dal sonno all’eccitazione diffusa. L’attenzione è una funzione che si correla con il livello di globale attivazione. La relazione tra livello di attivazione, vigilanza ed efficienza nell’eseguire compiti o prestazioni è rappresentata da una curva ad U invertita. A bassi livelli di attivazione l’individuo si distrae facilmente (con effetti negativi in termini di efficacia nel compito), mentre, parimenti, a livelli eccessivi di attivazione l’ansia impatta negativamente sulla prestazione (Teoria di Yerkes e Dodson). Secondo la teoria di Yerkes e Dodson, sia livelli troppo basi che troppo elevati del livello di attivazione aumenterebbero anche la distraibilità e un deterioramento nelle prestazioni.

Il controllo dell’attenzione

L’attenzione può essere diretta in modo volontario (o endogeno) oppure in modo automatico.

Un esempio di attenzione diretta in modo volontario si ritrova nel classico esperimento di Posner. In questo esperimento viene utilizzato il “paradigma del suggerimento spaziale” (spatial cueing) per studiare lo spostamento dell’attenzione. Il soggetto si trova di fronte a un monitor e gli viene richiesto di mantenere fisso lo sguardo su un punto di fissazione (una croce sullo schermo, ad esempio). Accanto alla croce sono presenti anche due quadrati e, durante l’esperimento, compare in alcuni momenti uno stimolo target all’interno di questi quadrati. Il compito del soggetto è rilevare il più velocemente possibile la comparsa del target. Inoltre, poco prima compare una freccia accanto al quadrato suggerendo con un’elevata probabilità la posizione di comparsa del target. Misurando i tempi di reazione del soggetto, si è visto che gli individui rispondevano più velocemente quando la freccia indicava correttamente la posizione di comparsa del target. In tal senso, i soggetti erano in grado di spostare preventivamente l’attenzione nella posizione indicata e questo consentiva una velocizzazione dell’elaborazione dell’informazione. In questo paradigma del suggerimento spaziale, l’attenzione viene diretta in modo volontario, poiché il soggetto dirige l’attenzione nel quadrato indicato dalla freccia, essendo consapevole che con una ragionevole probabilità la freccia precede correttamente la comparsa del target.

L’attenzione può anche essere diretta in modo automatico (o esogeno), cioè indipendentemente dalla volontà del soggetto. Ad esempio, questo tipo di orientamento dell’attenzione automatico si osserva quando compare un segnale luminoso periferico nuovo e inaspettato. Si può definire automatico un orientamento dell’attenzione che è indipendente dal carico cognitivo ed è resistente alla soppressione, agendo quasi come un riflesso.

Al di là degli esperimenti di laboratorio, nella nostra quotidianità accade spesso che le componenti di orientamento volontario e quelle di orientamento automatico dell’attenzione siano compresenti. Ad esempio, se il nostro obiettivo è cercare qualcosa, capita spesso che la nostra attenzione venga distratta dalla presenza di un altro oggetto. In generale, si ritiene che l’attenzione possa essere catturata automaticamente da eventi, stimoli e informazioni irrilevanti rispetto allo scopo e al compito del soggetto.

L’attenzione selettiva

Per attenzione selettiva si intende la capacità di concentrarsi sullo stimolo target, sull’oggetto di interesse, e di elaborare in modo privilegiato le informazioni rilevanti per il raggiungimento di uno specifico scopo. L’informazione a cui si presta attenzione viene selezionata ed elaborata in maniera più efficiente, ha accesso alla coscienza e guida la risposta.

Di fronte a un ambiente complesso e ricco di stimoli, l’individuo per raggiungere uno scopo e/o attuare un comportamento dovrà essere in grado di selezionare alcuni di questi stimoli-oggetti e trascurarne altri. Attraverso l’attenzione selettiva e l’attenzione spaziale il fuoco dell’attenzione è rivolto a una porzione delimitata dello spazio e alcuni stimoli che ricadono entro il fuoco dell’attenzione sono considerati come rilevanti e raggiungono il livello di coscienza.

Un tipico esempio è il fenomeno del cocktail party in cui si riesce a prestare attenzione ad una sola conversazione nonostante ve ne siano molte altre che potrebbero interferire: nonostante le emissioni sonore provenienti dai diversi invitati siano colte dai recettori acustici, l’individuo attraverso l’attenzione selettiva seleziona e analizza solo quelle provenienti da alcuni interlocutori.

Diversi contributi teorici hanno tentato di comprendere e di spiegare in quale momento del processo di elaborazione dell’informazione, interviene l’attenzione e avviene la selezione dell’informazione da elaborare. Un primo approccio teorico fa riferimento alla selezione precoce dell’informazione, mentre altre teorie propendono invece per una selezione tardiva dell’informazione. Entrambi questi approcci condividono l’idea che l’attenzione agisca per mezzo di una sorta di filtro che consente il passaggio e l’elaborazione solo di una quantità limitata di informazioni. La differenza sta nel momento in cui interviene questo filtro considerando l’intero processo di elaborazione, e cioè in una fase più precoce o tardiva.

Secondo le teorie della selezione precoce l’attenzione agisce come un filtro che esclude dal processamento gran parte dell’informazione che proviene dall’esterno e la selezione è già attuata a livello dell’input sensoriale. Un esempio di teoria di selezione precoce dell’informazione è la teoria del filtro di Broadbent che fa riferimento al paradigma dell’ascolto dicotico. Questo paradigma richiede che il soggetto presti attenzione solo ai messaggi che vengono trasmessi ad un orecchio, ignorando le informazioni trasmesse all’altro orecchio. Secondo questa teoria vi sarebbe una fase iniziale di elaborazione dell’informazione durante la quale tutti gli stimoli vengono analizzati velocemente e in parallelo dal sistema sensoriale (S) simultaneamente e immagazzinati per un breve periodo. A tale elaborazione iniziale seguirebbe una fase di elaborazione seriale più avanzata a carico del sistema percettivo (P). Un filtro, posto tra il sistema S e il sistema P, seleziona gli stimoli che possono avere accesso ai livelli di elaborazione più avanzati.

Una teoria simile è la teoria del filtro attenuato di Treisman. Partendo dalla classica teoria del filtro di Broadbent, l’autore rivede il concetto stesso di filtro attentivo in un’ottica di attenuazione: il filtro non eliminerebbe completamente l’elaborazione dell’informazione non rilevante, ma ne attenuerebbe l’elaborazione e li manterrebbe sottosoglia. Tali stimoli sottosoglia, a certe condizioni, potranno essere riattivati e rielaborati in maniera più complessa e conscia dal soggetto.

Quindi, secondo l’approccio della selezione precoce, la selezione dell’informazione avviene prima dell’elaborazione del contenuto semantico, con un decadimento progressivo dell’informazione non selezionata in quanto ritenuta a monte non rilevante. Secondo le teorie della selezione tardiva, invece, il processamento dell’informazione non rilevante è comunque completo, non decade a priori.

Ad esempio, la teoria di Deutsch e Deutsch (1963) si basa sull’assunto che tutte le informazioni e gli stimoli, di diversa rilevanza,  siano elaborati a livello semantico. L’attenzione selettiva entra in gioco solo quando bisogna selezionare una risposta da emettere. In tal senso, l’attenzione selettiva consente di controllare l’accesso dell’informazione alla coscienza.

Uno degli esprimenti classici sull’attenzione selettiva è il test di Stroop. Durante l’esperimento di Stroop al soggetto vengono mostrate delle parole scritte con colori diversi. Il compito consiste nel pronunciare a voce alta il colore dell’inchiostro con cui è scritta la parola. Quindi, il colore è l’informazione rilevante per lo svolgimento del compito, mentre il significato della parola (che non deve essere letto) è l’informazione non rilevante. Gli stimoli presentati nell’esperimento di Stroop possono essere di tipo neutro, congruente e incongruente. Si parla di neutri quando si visualizza solo il testo o solo colore. Mentre, si ha congruenza quando la parola «rosso» è scritta in rosso, e incongruenza quando la parola «rosso» è scritta in verde. Si ricordi che la risposta richiesta è il nome del colore, cioè rosso nel primo caso e verde nel secondo.

Stroop (1935) notò che i partecipanti sottoposti al compito di denominazione presentavano tempi di risposta più lenti se il colore dell’inchiostro era diverso dal significato della parola scritta, nonostante fossero istruiti affinché non tenessero conto del significato della parola. L’effetto Stroop, dunque, consiste nel produrre una risposta avente latenza più lenta nel caso della condizione incongruente e più veloce nel caso della condizione congruente. Lo scopo dell’esperimento di Stroop è quello di creare una interferenza cognitiva e semantica: in questo caso ad esempio, la mente tende a leggere meccanicamente il significato della parola (ad esempio legge la parola “rosso” e pensa al colore “rosso”, ma l’inchiostro usato è di colore diverso). Per questo motivo, il test di Stroop rappresenta una consolidata procedura sperimentale per lo studio dell’attenzione selettiva.

Come sostenuto dalle teorie della selezione tardiva, l’individuo metterebbe in atto una sorta di elaborazione anche a quelle informazioni o stimoli a cui non si presta direttamente e “coscientemente” attenzione in modo volontario.

Con l’avvento del cognitivismo, i primi studi che mettevano in relazione attenzione e coscienza si focalizzavano sulla cosiddetta percezione subliminale. Con il termine di “percezione subliminale” si fa riferimento in psicologia a quei fenomeni in cui uno stimolo influenza il comportamento pur essendo «colto in modo inconsapevole» dal soggetto, ad esempio perché presentato in modo troppo veloce.

Negli studi che utilizzano il paradigma del priming viene presentato in primo luogo uno stimolo detto “prime” e, immediatamente dopo, un secondo stimolo definito “target” che implica l’emissione di una risposta del soggetto. Alcuni studi relativi alla velocità di comprensione linguistica hanno fornito supporto empirico alle teorie della selezione tardiva: il soggetto comprenderebbe con minori tempi di reazione le parole semanticamente correlate ai prime. Viceversa, quando lo stimolo target da riconoscere non è semanticamente correlato al prime i tempi di reazione aumentano. In tal senso l’ipotesi esplicativa è che le rappresentazioni delle informazioni irrilevanti sarebbero inizialmente attivate e semanticamente elaborate e, solo in un secondo momento, inibite perché appunto irrilevanti.

L’attenzione divisa

Con il termine attenzione divisa si fa riferimento alla capacità dell’individuo di focalizzare l’attenzione su più stimoli o eventi contemporaneamente. Nella quotidianità infatti è un fenomeno psicologico attentivo molto diffuso e ci consente di effettuare più attività contemporaneamente, quali banalmente ascoltare un programma radiofonico mentre siamo alla guida dell’automobile.

Nell’ambito della psicologia sperimentale, i ricercatori hanno principalmente utilizzato il paradigma del doppio compito per studiare il fenomeno dell’attenzione divisa. Il paradigma del doppio compito implica che il soggetto sia impegnato in due task sperimentali contemporaneamente, che chiamano in gioco abilità differenti o che abbiano diversi livelli di difficoltà.

Nelle situazioni quotidiane o sperimentali, quando ci troviamo di fronte a un doppio compito, entrano in gioco due tipologie di processi cognitivi: i processi di controllo e i processi automatici. I primi avvengono sotto il controllo cosciente, sono più lenti e richiedo un carico cognitivo più elevato, mentre i processi automatici sono più rapidi e inconsapevoli. Generalmente, il compito su cui siamo più esperti può richiedere un maggior uso di processi automatici (apprendimento già consolidato, ad esempio pedalare) senza interferenza tra i due compiti. Invece, nel caso in cui due compiti necessitano di processi di controllo consapevoli e seriali, si va incontro a una competizione per risorse limitate e a un peggioramento della prestazione.

Riguardo l’attenzione divisa, d’altro canto le cosiddette teorie della capacità sostengono la divisibilità delle risorse cognitive tra i diversi compiti eseguiti contemporaneamente e l’utilizzo parziale delle risorse attentive per i diversi compiti.  Ad esempio, il modello di Kahneman integrando le teorie strutturali con quelle delle capacità, in primis riconosce il limite intrinseco nelle risorse dell’individuo per l’esecuzione di attività mentali. In secondo luogo, secondo il modello di Kahneman vi sarebbe un aumento graduale delle risorse mobilitate in funzione delle richieste nel caso di un doppio compito, anche se tale aumento graduale arriva a una soglia limite. A tale soglia limite, le richieste eccedono le risorse dell’individuo e si osserva l ’interferenza tra i compiti.

Il disturbo dell’attenzione e iperattività (ADHD)

Le manifestazioni cliniche di base dell’ ADHD sono la difficoltà a prestare attenzione, la messa in atto di comportamenti impulsivi e/o la presenza di un livello di attività motoria accentuato.

Si parla di ADHD con disattenzione predominante quando il problema centrale del bambino è proprio il deficit attentivo. L’attenzione selettiva e l’attenzione sostenuta risultano essere le più compromesse in questa tipologia di ADHD, ma anche le funzioni esecutive, in particolar modo la pianificazione e la memoria di lavoro, sono deficitarie. Questa discontinuità dell’attenzione compromette l’apprendimento e non permette lo sviluppo di abilità cognitive come il problem solving e di strategie comportamentali adeguate ad instaurare relazioni soddisfacenti con gli adulti ed i compagni.

Si parla di ADHD con impulsività e iperattività predominante, invece, quando la funzionalità attentiva risulta lievemente compromessa, mentre il focus del disturbo risiede nel comportamento ipercinetico e nella mancanza di autoregolazione. Questi deficit si traducono in un’attivazione motoria spropositata ed inappropriata, eloquio eccessivo, difficoltà di inibizione delle risposte e difficoltà nel rispettare regole e turni.

cancel