Le applicazioni della realtà virtuale
Conflitto di interesse: Nessuno dichiarato.
Intervistatori (I.): Ci racconti come il tuo percorso accademico e la tua esperienza lavorativa ti hanno condotto al mondo della salute digitale?
Valentino Megale (V.M.): Ho iniziato come ricercatore nell’ambito della neurofarmacologia occupandomi inizialmente di sintesi organica di farmaci con un potenziale impatto nell’ambito sanitario. Successivamente ho continuato il mio percorso esplorando l’utilizzo di nuove tecnologie per sostituire il trattamento farmacologico. Dopo il dottorato, insieme ai miei colleghi ingegneri biomedicali, sviluppatori software e innovatori nell’ambito del mondo healthcare, abbiamo cercato di capire come fosse possibile supportare il paziente all’interno del contesto clinico ospedaliero con meno farmaci. Eravamo interessati non solo alle necessità fisiologiche, ma anche a quelle psicologiche e sociali e il digitale si presta molto bene in questo ambito.
I.: Quando avete iniziato ad applicare strumenti digitali nell’ambito della salute?
V.M.: Nel 2015 – 2016 c’è stato un momento d’oro per la realtà virtuale (RV): sono usciti dispositivi più economici e più facilmente utilizzabili. Abbiamo quindi iniziato ad esplorare l’utilizzo di questa nuova tecnologia realizzando il concept di TOMMI, uno dei nostri progetti di realtà virtuale per la riduzione del dolore pediatrico. Dopo un programma di accelerazione in Germania, decidiamo così di fondare la nostra società, Softcare Studios, nel 2017, dedicandoci completamente ai trattamenti non farmacologici con le nuove tecnologie per la cura dei pazienti.
I.: Di che cosa si occupa Softcare Studios?
V.M: Softcare Studios si occupa di sviluppo di soluzioni di realtà virtuale, destinate agli ospedali, per il supporto dei pazienti; di ricerca, collaborando con diverse università tra cui il Politecnico di Milano, l’Università della Tuscia e la Sapienza a Roma; infine, ci occupiamo anche di training e di formazione per il personale sanitario. Tutto questo è possibile grazie a un team profondamente multidisciplinare.
Realtà virtuale e dolore pediatrico
I.: Hai accennato al vostro progetto per la riduzione del dolore pediatrico con realtà virtuale, TOMMI, potresti dirci qualcosa di più?
V.M.: TOMMI (Fig. 1) è stato concettualizzato pensando a come mantenere elevata l’adesione terapeutica del paziente senza necessariamente ricorrere all’uso dei farmaci. Spesso il modo in cui il paziente viene gestito dipende dai comportamenti che il paziente stesso assume nell’ambito clinico: può rispondere con ansia e quindi porre resistenza al trattamento o addirittura evitarlo. Inoltre, la percezione del dolore del paziente impatta molto il suo vissuto nell’ambiente ospedaliero.
Fig.1: TOMMI
Solitamente per dare sollievo al paziente si somministrano farmaci antidolorifici, antinfiammatori, sedativi o anche ansiolitici. Il trattamento farmacologico, soprattutto nel caso della sedazione, mostra tanti effetti collaterali, specialmente nei pazienti pediatrici (Mallory et al., 2011). Questi effetti rappresentano un problema per il paziente, sia a livello fisico che psicologico, e anche un maggiore costo per la struttura ospedaliera.
TOMMI nasce quindi con l’obiettivo di dare sollievo dal dolore e dallo stress al paziente pediatrico oncologico (dai 6 ai 14 anni), permettendogli tramite la realtà virtuale di evadere le mura dell’ospedale. TOMMI prevede una libreria di contenuti in realtà virtuale che immergono in uno scenario giocoso e su misura il paziente, adattati alla fascia di età, per indurlo al rilassamento e distrarlo dalla procedura medica riducendo così stati di ansia, stress e dolore.
In un recente studio scientifico che abbiamo pubblicato, TOMMI si è dimostrato di successo nel 90% dei casi (Gianuario et al., 2022), permettendo di sostituire la sedazione totale con un trattamento non farmacologico in realtà virtuale durante le routine di accesso vascolare, quale il posizionamento di Catetere Centrale ad Inserzione Periferica (PICC).
Sulla base dei risultati ottenuti dallo studio su un campione di pazienti pediatrici abbiamo ampliato il nostro campione anche ai pazienti adulti e geriatrici, con un altro progetto, MAYA. Si tratta di una libreria di contenuti in realtà virtuale utilizzata dagli operatori clinici per gestire i pazienti durante procedure dolorose come gli accessi vascolari.
I.: Nello sviluppo e implementazione di TOMMI sono stati coinvolti psicologi?
V.M.: Assolutamente sì, c’è un rapporto continuo con tutto il team sanitario, psicologi compresi, sia durante la fase di sviluppo che nell’applicazione. Nella progettazione si indaga il profilo del paziente e le sue vulnerabilità per produrre una soluzione su misura. Successivamente, nel momento dell’implementazione dello strumento, bisogna prima formare il personale e successivamente identificare i momenti adatti per inserire la soluzione all’interno della routine clinica.
Le persone reagiscono al dolore in maniera diversa, la maggior parte dei pazienti hanno strategie di coping che portano ad evadere dal dolore, altri invece vogliono assistere alla procedura e controllare loro stessi, quindi il visore non sarebbe implementabile. In questo caso sta all’operatore valutare l’applicabilità o meno dello strumento.
I.: TOMMI viene impiegato anche per il trattamento del dolore cronico?
No, nel caso del dolore cronico ci sono dei protocolli diversi, come ad esempio quelli Cognitivo Comportamentali. Il dolore cronico, più debilitante nel tempo, impatta sul paziente a livello psicologico ed il sistema sanitario e lavorativo a livello economico.
In America esistono realtà quali Applied VR, con soluzioni certificate dalla Food And Drug Administration (FDA) americana, l’ente preposto per la protezione e sicurezza della salute pubblica, che vengono prescritte dal medico a pazienti farmaco-resistenti per dolore lombare. Si tratta di un protocollo di 8 settimane in cui ogni giorno il paziente fa uso della realtà virtuale (Garcia et al., 2021). È la virtualizzazione di un percorso cognitivo comportamentale in cui il paziente prende consapevolezza del dolore, pratica mindfulness e acquisisce controllo sul dolore mitigando la percezione.
La realtà virtuale nella pratica clinica
I.: Come vedi il ruolo delle nuove tecnologie, in particolare la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale, nella pratica clinica quotidiana?
V.M.: Oggi viviamo in un momento di convergenza delle tecnologie, quindi ci sono tecnologie immersive e Extended Reality che si stanno unendo e convergendo con l’Intelligenza Artificiale (IA). Ad esempio, attualmente nella realtà virtuale si possono trovare altre tecnologie come assistenti IA, generative IA; potrebbe essere che quindi, in un futuro prossimo, io possa creare un contenuto semplicemente descrivendolo con la voce o scrivendo al computer.
Nella pratica clinica significa che con l’Extended Reality possiamo fornire contesti estesi: direttamente da casa mia potrò fare pratica clinica visualizzando contenuti con cui praticare, familiarizzare con le diverse procedure, ripeterle quante volte voglio senza limiti di spazio o tempo.
Posso creare contesti che sono su misura delle differenti categorie dei pazienti, ovunque essi si trovino per supportare la cura; una parte importante dell’esito della terapia dipende dallo stato psicologico della persona, aspetto che spesso viene poco curato. Con queste tecnologie è possibile anche supportare la componente sociale, psicologica e massimizzare la cura.
L’intelligenza artificiale può essere usata come elemento di analisi e predizione, personalizzare i contenuti e fornire ai pazienti cure su misura, sperimentare nuove soluzioni, e ridurre la tempistica che separa l’idea dalla sua realizzazione.
I.: Ci sono università, come ad esempio la Sigmund Freud University di Milano, che hanno avviato corsi di laurea specialistici in Psicologia Digitale, in cui vengono formati degli psicologi che si pongono come anello di congiunzione tra il mondo digitale e quello psicologico. Cosa pensi di questo ruolo?
V.M.: È un ruolo fondamentale, tutte le professionalità cliniche sanitarie oggi possono trarre vantaggio dalle nuove tecnologie. Se l’acquisizione delle competenze necessarie verso le nuove tecnologie non parte dalle università, l’applicazione di queste diventa molto più difficile e meno standardizzata.
Ripensare percorsi universitari finalizzati alla conoscenza e all’impiego delle nuove tecnologie è fondamentale. Ci saranno sempre più figure ibride, la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale diventeranno uno degli strumenti che lo psicologo utilizzerà nella sua pratica con consapevolezza. Non è la realtà virtuale che cura, ma è la realtà virtuale utilizzata correttamente che genera un output di valore.
I.: Si terrà a marzo 2024 la Seconda Edizione della Conferenza Europea sulla Psicologia Digitale, organizzata dalla Sigmund Freud University di Milano. La conferenza si concentrerà su temi come l’Intelligenza Artificiale, la Realtà Virtuale e l’E-Therapy. In che modo vedi questi argomenti contribuire al progresso nell’applicazione delle tecnologie nella salute mentale?
V.M.: Nonostante le nuove tecnologie, come la realtà virtuale, si siano affacciate sul panorama sanitario ormai da anni, gli utenti comuni spesso associano la realtà virtuale ad un puro strumento di intrattenimento. Eventi come questo sono fondamentali per diffondere la cultura scientifica e la conoscenza delle nuove tecnologie in ambito assistenziale.
Serve consapevolezza in un mondo in cui spesso abbiamo paura della tecnologia, dove si teme la dipendenza da queste nuove strumentazioni, non solo per i potenziali pazienti ma anche per i clinici, perché spesso non ne sono a conoscenza o conoscono davvero poco. È un processo di disseminazione fondamentale, senza la conoscenza non si ha un utilizzo nel campo; quindi, parlarne con un rigore scientifico è di grande aiuto.
I.: Dal tuo punto di vista, quali sono le opportunità più importanti e gli ostacoli maggiori nella futura implementazione delle soluzioni digitali in ambito sanitario?
Le opportunità più importanti sono personalizzazione, quindi la possibilità di personalizzare le cure secondo le necessità dei pazienti; delocalizzazione, la possibilità di raggiungere i pazienti ovunque siano; e smaterializzare processi che richiedono spesso la co-presenza di alcune figure come può essere il fisioterapista.
Le sfide sono profondamente legate ai precedenti punti. Quando si parla di cyber security i policymaker spesso non comprendono le potenzialità come le criticità di questi strumenti, che in realtà sono nuovi paradigmi di esperienza e di raccolta dati. Attualmente si possono raccogliere dati in modi nuovi come, ad esempio, con l’eye tracker, che può misurare una serie di dati inferiti come ad esempio la presenza di disordini mentali, dati predittivi (i digital biomarker) legati al futuro.
La sfida più importante rimane regolamentare le tecnologie in maniera sostenibile: non per limitare l’innovazione, ma per innovare in maniera responsabile.