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Il cane muore? L’inutile trovata dei trigger warning nell’epoca della fragilità

Il trigger warning è un messaggio volto ad avvisare che certi temi potrebbero riattivare traumi passati. Ma funziona davvero?

Di Valentina Davi

Pubblicato il 15 Nov. 2024

Trigger warning: di cosa si tratta?

Negli anni Ottanta i trigger warning non esistevano. Inserivi la VHS nel videoregistratore, premevi il tasto play e nessun messaggio ti avvisava che La storia Infinita conteneva una delle scene più drammatiche ed emotivamente devastanti che avresti mai visto. Nessun alert ti segnalava “ATTENZIONE: il cavallo muore” per proteggere la tua sensibilità. 

Come un pugno nello stomaco,“Non voglio perderti! Resisti, Arthax, ti prego!” riecheggia ancora nella nostra mente di Millennial mentre una lacrima scivola lungo la guancia. 

Oggi La storia infinita presenterebbe un trigger warning, cioè un avviso che segnala la presenza di contenuti che potrebbero turbare alcuni utenti sensibili a tali tematiche; campeggerebbero in bella vista le parole “morte di un animale” assieme a “bullismo” e “child neglect”.

A cosa servono i trigger warning?

Il trigger warning non è da confondere con l’avviso della presenza di scene violente, contenuti sessuali oppure uso di droghe o alcool. Si tratta infatti di un messaggio volto ad avvisare che certi temi potrebbero riattivare traumi passati o traumatizzare (tra le parole più abusate di questo Millennio) chi usufruisce del contenuto.

Ma quale contenuto necessita di un trigger warning?

Come si definisce cosa è traumatico e cosa no? Se ci atteniamo a una definizione restrittiva di trauma, cioè la risposta emotiva a un evento terribile che porta alla morte o che minaccia l’integrità fisica, annoveriamo tra gli eventi traumatici, per esempio, l’essere vittima di disastri naturali, attentati, violenze sessuali, rapine. 

Ma nell’epoca della vulnerabilità, in bilico tra drammatizzazione e banalizzazione della sofferenza, tutto può essere trauma. L’elenco dei temi sensibili, potenzialmente infinito, lo trovate sul sito www.doesthedogdie.com (Il cane muore?), dove per libri, film, serie tv sono indicati tutti i trigger warning possibili e (in)immaginabili. 

Così, se siete sensibili al tema dell’abbandono, potete scoprire in anteprima se un personaggio se ne va senza salutare e optare per un altro film, salvaguardando momentaneamente il vostro già precario equilibrio psicoemotivo.

I trigger warning funzionano?

I trigger warning aiutano chi ha subito un trauma a prepararsi emotivamente ad affrontare contenuti per lui sensibili o a evitarli? La risposta è no: i trigger warning sono inutili, se non addirittura, in alcuni casi, iatrogeni (oltre a essere degli odiosi spoiler, ma questa è un’altra storia).

Innanzitutto non distolgono l’attenzione dal contenuto sensibile: difficilmente chi sta guardando un film o leggendo un libro decide di abbandonarlo grazie all’alert (Gainsburg and Earl, 2018; Kimble, 2019). I terapeuti tirano un sospiro di sollievo. L’evitamento, a lungo termine, è uno dei meccanismi di mantenimento della sofferenza psicologica. Ci mancava solo Netflix a distruggere il lavoro svolto in ore e ore di sedute CBT.

Inoltre i trigger warning possono aumentare in alcuni soggetti l’ansia anticipatoria e lo stress, in particolare in coloro che, leggendo contenuti sensibili, ritengono che le parole possano essere emotivamente dannose (Bellet et Al., 2018). Fortunatamente per loro, oggi ci sono case editrici che assumono dei sensitivity readers per correggere il tiro prima di andare in stampa: ora chi è sensibile al tema del sovrappeso può leggere La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl senza imbattersi più nella parola “grasso”. Trauma evitato.

Infine i trigger warning possono rafforzare l’importanza dell’evento traumatico vissuto in passato e la percezione che sia un elemento centrale della propria identità, che sia ciò che definisce l’individuo stesso (e di cui, quindi, difficilmente potrà liberarsi): io sono il mio trauma. Questi alert possono quindi minare il senso di resilienza e aumentare la percezione di vulnerabilità (altrimenti perché fornire un avviso?), anche agli occhi degli altri. 

L’epoca della fragilità

L’idea che essere vittime di un evento traumatico renda fragili è errata. Infatti solo una piccola percentuale di chi ha subito un trauma sviluppa un Disturbo Post Traumatico da Stress, la maggior parte, invece, mostra una grande resilienza e riesce, dopo un iniziale periodo di assestamento, ad affrontare l’esperienza superandola (Bonanno, 2004; Bonanno & Mancini, 2008).

L’esposizione a contenuti che possono toccare corde emotive anche dolorose non dovrebbe quindi spaventare, perché è entrando in contatto con il dolore che lo si può superare, non certo evitandolo.

L’uso dei trigger warning pare invece rafforzare l’idea dell’intrinseca fragilità dell’essere umano che sembra caratterizzare l’attuale periodo storico, in cui attacchi terroristici, crisi finanziarie, pandemie hanno minato il nostro senso di sicurezza facendoci sentire più vulnerabili. Un atteggiamento iperprotettivo, un po’ paternalistico, inutile e in alcuni casi dannoso, che forse sarebbe meglio abbandonare. 

Dopotutto, le urla strazianti di Atreyu mentre cerca invano di salvare Artax dalle sabbie mobili le ricordiamo ancora tutti. Eppure siamo sopravvissuti, senza trigger warning a metterci in guardia e neppure una seduta di EMDR a supporto per rielaborare il trauma. 

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Valentina Davi
Valentina Davi

Coordinatrice di redazione di State of Mind

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