Il trauma e il Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD)
La parola trauma deriva dal greco e significa danneggiare, ledere, contiene inoltre un duplice riferimento a una ferita con lacerazione, ed agli effetti di uno shock violento sull’insieme dell’organismo. Originariamente di pertinenza delle discipline medico-chirurgiche, durante il XVIII sec. il termine è stato usato in psichiatria e psicologia clinica per indicare l’effetto soverchiante di uno stimolo sulle capacità dell’individuo di farvi fronte.
Esistono diverse forme di esperienze potenzialmente traumatiche a cui può andare incontro una persona nel corso della vita. Esistono i “piccoli traumi” o “t”, ovvero quelle esperienze soggettivamente disturbanti che sono caratterizzate da una percezione di pericolo non particolarmente intensa. Si possono includere in questa categoria eventi come un’umiliazione subita o delle interazioni brusche con delle persone significative durante l’infanzia. Accanto a questi traumi di piccola entità si collocano i traumi T, ovvero tutti quegli eventi che portano alla morte o che minacciano l’integrità fisica propria o delle persone care. A questa categoria appartengono eventi di grande portata, come ad esempio disastri naturali, abusi, incidenti etc.
Nel nuovo DSM-5 la diagnosi dei Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti è l’unica da tenere in considerazione fra i criteri diagnostici l’aspetto eziologico, il trauma appunto. Tra questi il Disturbo reattivo dell’attaccamento, il Disturbo da impegno sociale disinibito, il Disturbo da stress post-traumatico (PTSD), il Disturbo da stress acuto, i Disturbi dell’adattamento e altri due disturbi con altra o senza specificazione.
In particolare per lo sviluppo di un PTSD (DSM-5; APA, 2013) è necessario che:
- La persona sia stata esposta a un trauma, quale la morte reale o una minaccia di morte, grave lesione, oppure violenza sessuale (criterio a) facendo un’esperienza diretta o indiretta dell’evento traumatico oppure venendo a conoscenza di un evento traumatico violento o accidentale accaduto ad un membro della famiglia o ad un amico stretto. Traumatica è anche l’esposizione ripetuta o estrema a dettagli crudi dell’evento traumatico come ad esempio succede ai primi soccorritori che raccolgono resti umani o agli agenti di polizia ripetutamente esposti a dettagli di abusi su minori.
- Sintomi intrusivi correlati all’evento traumatico insorgano dopo l’evento traumatico,(criterio b):ricordi, sogni, flashback che possono portare alla completa perdita di consapevolezza dell’ambiente circostante. Può esserci intensa o prolungata sofferenza psicologica e reattività fisiologica in risposta a trigger che simboleggiano o assomigliano al trauma.
- Evitamento persistente degli stimoli associati all’evento traumatico che viene messo in atto dopo l’evento traumatico (criterio c). Interessa sia fattori interni come ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o strettamente associati all’evento traumatico, che fattori esterni quali persone, luoghi, conversazioni, attività, oggetti e situazioni che possono suscitare ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o strettamente associati all’evento traumatico.
- Alterazioni negative di pensieri ed emozioni associate all’evento traumatico si manifestano dopo l’evento traumatico (criterio d). La persona può non ricordare qualche aspetto importante dell’evento traumatico, sviluppare persistenti ed esagerate convinzioni o aspettative negative su se stessi, gli altri, o sul mondo. Possono manifestarsi pensieri distorti e persistenti relativi alla causa o alle conseguenze dell’evento traumatico che portano a dare la colpa a se stessi oppure agli altri. Si può inoltre sperimentare uno stato emotivo negativo e provare sentimenti persistenti di paura, orrore, rabbia, colpa o vergogna, una marcata riduzione di interesse o partecipazione ad attività significative, sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri o incapacità di provare emozioni positive come felicità, soddisfazione o sentimenti d’amore.
- Marcate alterazioni dell’arousal e della reattività associati all’evento traumatico si manifestano dopo l’evento traumatico (criterio e) come comportamento irritabile ed esplosioni di rabbia (con minima o nessuna provocazione) tipicamente espressi nella forma di aggressione verbale o fisica nei confronti di persone o oggetti, comportamento spericolato autodistruttivo, ipervigilanza, esagerate risposte di allarme, problemi di concentrazione, difficoltà relative al sonno come difficoltà nell’addormentarsi o nel rimanere addormentati oppure sonno non ristoratore.
- La durata delle alterazioni descritte è superiore ad 1 mese (criterio f).
- Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti (criterio G).
- Il disturbo non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza come ad esempio farmaci o alcol o a un’altra condizione medica (criterio H).
PTSD e trauma complesso
La diagnosi di Trauma Complesso non è attualmente riconosciuta dal DSM 5, ma è al centro di un dibattito scientifico e culturale che rende la sua definizione ancora oggi controversa. La letteratura scientifica da anni si sta occupando di approfondire gli effetti a lungo termine dell’abuso, del maltrattamento e della trascuratezza nell’infanzia, sulla salute mentale e sull’organizzazione di personalità dell’adulto (Adverse Childhood Experiences – ACE Studies; Judith Herman, 1992; Felitti e Al., 1998; Briere e Spinazzola, 2005; van der Kolk, 2005; Cloitre e Al., 2009; Lanius, 2012). Il tentativo è anche di differenziarlo, attraverso i sintomi, dal Disturbo da Stress Post-Traumatico, che è legato all’esposizione a un singolo evento di minaccia alla vita.
La traumatizzazione cronica invece ha i sintomi più pervasivi e invalidanti, legati all’essere stati esposti a molti eventi traumatici nell’infanzia o nell’arco della vita adulta; in questo secondo caso si parla in clinica di “trauma cumulativo” (Briere e Spinazzola, 2005; Cloitre e Al., 2009).
Questo tipo di esperienze traumatiche, che possono dare origine al Disturbo da Trauma Cumulativo, riguarda prevalentemente traumi interpersonali come l’abuso fisico e/o sessuale, l’abuso emotivo e il neglect, la violenza assistita e la separazione precoce, l’abbandono o il deterioramento della relazione primaria (a causa di malattie, droghe o detenzione) del caregiver.
Sono causa di traumatizzazione cronica anche esperienze di tortura, guerra, prigionia o migrazione forzata e in generale tutte le condizioni in cui lo stato di minaccia alla vita per se stessi o per i propri familiari resta attivo per un tempo prolungato, impedendo all’individuo ogni forma di protezione o difesa. Gli esiti psicopatologici di questo tipo di esperienze avverse, sono più complessi e pervasivi ed includono solo in parte i sintomi del Disturbo da Stress Post Traumatico, ad oggi unica diagnosi riconosciuta ufficialmente.
Trauma e dissociazione
A seguito di un evento stressante, oltre a sviluppare un Disturbo da Stress Post Traumatico, si possono manifestare anche SINTOMI DISSOCIATIVI di DEPERSONALIZZAZIONE (sentirsi distaccati dai propri processi mentali come se si fosse un osservatore esterno al proprio corpo) e DEREALIZZAZIONE (persistenti o ricorrenti esperienze di irrealtà dell’ambiente circostante).
La dissociazione non solo non sarebbe una protezione dal dolore, ma un’esperienza al limite dell’annichilimento, dalla quale la mente deve difendersi per non sprofondare nell’abisso. Come un osso che si rompe in mille pezzi in seguito ad un trauma fisico non è il risultato di un meccanismo di difesa del nostro corpo, allo stesso modo la disgregazione delle funzioni integratrici della coscienza conseguente a un trauma psicologico non sembra essere una difesa della nostra mente, ma un effetto collaterale devastante, con gravi ripercussioni sulla capacità di regolazione emotiva, sulle capacità metacognitive e sull’identità.
Nelle persone con un PTSD (disturbo da stress post traumatico) o con altri disturbi legati ad esperienze traumatiche, è possibile osservare una mancata integrazione tra i sistemi d’azione orientati all’adattamento alla vita quotidiana e quelli preposti alla difesa dai pericoli. La divisione tra questi due sistemi d’azione è la forma più semplice di dissociazione strutturale della personalità. Tale divisione basilare comporta l’alternanza tra due parti della personalità: la parte apparentemente normale della personalità (ANP) e la parte emozionale (EP).
I sopravvissuti a eventi traumatici solitamente mostrano una ANP attiva nel portare avanti i compiti della vita quotidiana come l’attaccamento, l’accudimento, la sessualità, ed impegnata, allo stesso tempo, a evitare i ricordi traumatici. Quando negli stessi individui prevale la EP, essi agiscono in modo da rispondere alle minacce ed ai pericoli, reali o temuti, usando quelle stesse modalità che erano state utilizzate durante l’evento traumatico.
In altre parole, non vi è un’integrazione dei sistemi d’azione diretti alla gestione della vita quotidiana con quelli volti alla regolazione delle difese.
Il trattamento del PTSD
La terapia cognitivo-comportamentale
Nel trattamento del DPTS, la terapia cognitivo-comportamentale si focalizza sulle distorsioni cognitive (con lo scopo di correggerle), sui processi di appraisal, sulle intrusive memorie traumatiche (con lo scopo di estinguerle) e quindi sulla desensibilizzazione del paziente agli stimoli associati al trauma attraverso l’esposizione ripetuta (Connor e Butterfield 2003). E’ dunque un approccio che comprende la combinazione di più componenti.
Lo Stress Inoculation Training (SIT), ideato da Donald Meichenbaum è un tipo di psicoterapia cognitivo-comportamentale che si pone proprio l’obiettivo di favorire l’apprendimento di strategie di gestione dell’ansia e dello stress, e che consta di tre fasi: concettualizzazione, acquisizione e prova delle abilità di fronteggiamento, applicazione e richiamo delle abilità.
L’esposizione prolungata
Attualmente, tra le terapie Evidence Based per il Disturbo da Stress Postraumatico, il protocollo di Esposizione Prolungata (Prologed Exposure Therapy – PE), messo a punto da Edna Foa e dal suo gruppo alcuni anni fa (Foa et al, 2007), si colloca tra le procedure manualizzate insieme all’Emdr e alla Terapia Cognitiva Processuale (PCT) maggiormente presente in studi di efficacia e soggetta a sperimentazione (NovoNavarro et al, 2016).
La teoria alla base della concettualizzazione del Trattamento di Esposizione Prolungata era applicata già negli anni 80 ai disturbi d’ ansia con il nome di Teoria dell’elaborazione emotiva (Foa et al, 1986) e solo successivamente è stata applicata al disturbo da stress post traumatico (Foa et al, 1989).
Il protocollo di Esposizione Prolungata per il PTSD prevede dalle 10 alle 14 sedute di 90 minuti ciascuna e si presenta come trattamento per il disturbo da stress post traumatico e non per la terapia del trauma in generale.
In tal senso il Trattamento di Esposizione Prolungata interviene sulle componenti disturbo da stress post traumatico sia sull’aspetto sintomatologico (es. flashback, incubi, iperarousal, perdita della dimensione presente) che sulle frequenti cognizioni irrealistiche (es. il mondo è cattivo, io sono incapace di affrontare lo stress legato all’evento traumatico e io sono colpevole) e sulla componente emozionale (legata a vissuti di paura, colpa, vergogna, rabbia ecc) utilizzando due componenti della processione dei ricordi dolorosi, quali l’ Activation e la Correttive Information.
La terapia metacognitiva
Il modello metacognitivo (Wells, 2009) ha allargato la propria riflessione teorica, empirica e applicativa anche al disturbo da stress post traumatico. In particolare, l’approccio metacognitivo propone che i sintomi traumatici siano funzionali nel periodo immediatamente successivo all’evento stressante-traumatico, in quanto sarebbero parte di un processo naturale di adattamento (in inglese, Reflexive Adaptation Process -RAP) che influenza la cognizione e l’attenzione allo scopo di identificare e utilizzare nuove strategie di coping.
Normalmente tale percorso evolve senza ostacoli e la persona esce dal circolo ansioso dal momento in cui i processi cognitivo-attentivi cessano di focalizzarsi su stimoli minacciosi. Vi sono dei casi in cui però l’evoluzione adattiva di questo percorso viene bloccata quando la persona continua a rimuginare su stimoli potenzialmente minacciosi o connessi all’episodio traumatico.
Il rimuginio appartiene alla sindrome cognitiva-attenzionale (CAS). Nel caso del disturbo da stress post traumatico, tale stile cognitivo consiste in una perseverazione ripetitiva del pensiero, dell’attenzione e dei ricordi allo scopo di trovare significati, monitorare e prevenire simili minacce future.
Secondo il modello metacognitivo, i sintomi del disturbo da stress post traumatico si manterrebbero perché la sindrome cognitivo-attenzionale non consente un’attività cognitiva flessibile e libera dall’incombenza del monitoraggio degli stimoli minacciosi. E sarebbero proprio le credenze metacognitive (come ad esempio, ‘Analizzare continuamente ciò che ho sbagliato nel passato mi aiuterà a prevenire cose negative in futuro‘) a spingere verso il rimuginio. Inoltre alcune credenze metacognitive negative relative all’incontrollabilità dei pensieri concorrono a un’aumentata percezione di minaccia sia nel presente che nel futuro.
La terapia metacognitiva, inoltre risulta essere anche maggiormente efficace (con maggiori dimensioni dell’effetto) rispetto alla terapia espositiva; tuttavia nel follow-up si riscontrano elevate percentuali di recupero e miglioramento della sintomatologia per entrambe le terapie analizzate. Dunque entrambi i protocolli, secondo la ricerca, si possono definire empiricamente efficaci per il trattamento del disturbo da stress post traumatico.
L’EMDR
EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è una tecnica psicoterapeutica ideata da Francine Shapiro nel 1989. Questa metodologia, utile per il trattamento di disturbi causati da eventi stressanti o traumatici come il disturbo da stress post-traumatico, sfrutta i movimenti oculari alternati, o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra, per ristabilire l’equilibrio eccitatorio/inibitorio.
La ricerca ha dimostrato che a seguito di un evento stressante c’è un’interruzione del normale modo di processare l’informazione da parte del cervello. La patologia in questi casi emerge a causa dell’immagazzinamento disfunzionale delle informazioni correlate all’evento traumatico, con il conseguente disturbo dell’equilibrio eccitatorio/inibitorio necessario per l’elaborazione dell’informazione.
I movimenti oculari saccadici e ritmici tipici della terapia EMDR, concomitanti con l’individuazione dell’immagine traumatica, delle convinzioni negative ad essa legate e del disagio emotivo, facilitano la rielaborazione dell’informazione, fino alla risoluzione dei condizionamenti emotivi. In questo modo l’esperienza è usata in modo costruttivo dalla persona ed è integrata in uno schema cognitivo ed emotivo non negativo.
Le tecniche EMDR, come la terapia cognitivo-comportamentale focalizzata sul trauma, seguono le teorie del processamento dell’informazione e si rivolgono alle memorie disturbanti individuali ed ai significati personali dell’evento traumatico e delle sue conseguenze, attivando la rete dei ricordi di paura attraverso la presentazione di informazioni che attivano elementi delle strutture della paura ed introducono informazioni correttive incompatibili con questi elementi.
L’esposizione immaginativa tipica della terapia cognitivo-comportamentale però guida l’individuo a rivivere ripetutamente l’esperienza traumatica il più vividamente possibile, senza prendere in causa altre memorie o associazioni; questo approccio è basato sulla teoria secondo cui l’ansia è causata dalla paura condizionata ed è rinforzata dall’evitamento.
Al contrario la terapia EMDR procede tramite catene di associazioni, collegate con stati che condividono gli elementi sensoriali, cognitivi o emotivi del trauma. Il metodo adottato non è di tipo direttivo; l’individuo è incoraggiato a ‘lasciare accadere qualsiasi cosa avvenga limitandosi a notarla‘ mentre le memorie liberamente associate entrano nella mente tramite l’esposizione immaginativa, in forma di brevi flash.
In accordo con le teorie del condizionamento classico, promuovere l’attenzione a informazioni correlate alla paura facilita l’attivazione, l’abituazione e la modificazione della struttura di paura.
Durante la terapia EMDR, i terapeuti spesso accedono solo a brevi dettagli della memoria traumatica, ed incoraggiano la distorsione o il distanziamento dell’immagine che, in accordo con le teorie tradizionali, dovrebbe esitare in un evitamento cognitivo. La terapia EMDR incoraggia tuttavia gli effetti distanzianti che sono considerati efficaci nel processamento della memoria piuttosto che nell’evitamento cognitivo.
L’EMDR comprende il complesso delle risposte emotive che seguono un evento stressante analizzando stati affettivi, sensazioni fisiche, pensieri, emozioni e credenze contemporaneamente.
Il cambiamento cognitivo che la terapia EMDR evoca mostra che il soggetto può avere accesso a informazioni correttive e collegarle alla memoria traumatica e ad altre reti di memorie associate.
L’integrazione del materiale positivo e negativo che avviene spontaneamente durante il processo di desensibilizzazione dell’EMDR somiglia all’assimilazione in strutture cognitive (in linea con la teoria del processamento adattivo dell’informazione), così come accade per le visioni del mondo, i valori, le credenze e l’autostima.
Trattamento del Trauma complesso
Per quanto riguarda il trauma complesso, la Society for Traumatic Stress Studies Consensus Guidelines (2012), indica negli approcci combinati outcome migliori e individua tre fasi comuni ai diversi modelli di intervento: stabilizzazione, rielaborazione del trauma, consolidamento dei risultati e integrazione. Anche la Sensorimotor Therapy si propone come uno degli approcci più promettenti e capaci di integrare gli approcci cognitivi up-down con tecniche e modelli bottom-up in particolar modo per la psicoterapia del trauma, procurato da eventi ambientali oppure connesso all’attaccamento.