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Trauma e dissociazione: Riflessioni Teoriche e Cliniche verso il DSM-5

Correlazione tra traumi subiti in età evolutiva e l'insorgere di fenomeni di dissociazione. Lo stato della ricerca e il futuro DSM-5

Di Cristiana Chiej

Pubblicato il 29 Feb. 2012

Aggiornato il 15 Mag. 2019 11:36

 

Trauma e dissociazione: riflessioni teoriche e cliniche verso il DSM-V - Immagine: © Redshinestudio - Fotolia.comLa convinzione che l’aver subito abitualmente, da parte delle figure di riferimento, maltrattamenti, abusi o grave trascuratezza durante l’infanzia rappresenti un importante fattore di vulnerabilità per un’ampia gamma di disturbi psichici è ormai in crescente diffusione fra i clinici. Negli ultimi due decenni numerose sono state le ricerche intorno al concetto di trauma ed alle sue ricadute psicopatologiche, e il dibattito che ne è derivato è sempre più intenso e foriero di nuove ed importanti scoperte, utili non solo alla ricerca di base ed alla pratica clinica, ma con rilevanti ricadute a livello sociale.

Ciò che ancora manca è un riconoscimento nosografico ufficiale che permetta di identificare una sindrome specifica che affondi le sue radici in uno sviluppo traumatico e che possa essere diagnosticata nell’adulto in comorbilità con altri disturbi di Asse I o II.

Le diagnosi di Disturbo da Stress Post-Traumatico (Post-Traumatic Stress Disorder – PTSD) e Disturbo Acuto da Stress (DAS), uniche a tenere in considerazione fra i criteri diagnostici l’aspetto eziologico, il trauma appunto (APA, 2000), non sono sufficienti a dare conto di una serie abbastanza specifica di sintomi che ritroviamo con una certa frequenza in pazienti affetti da disturbi differenti ma accomunati dall’aver vissuto storie di sviluppo costellate da traumi relazionali.

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Diversi clinici e ricercatori esperti di patologie correlate ai traumi hanno proposto varie diagnosi, molto simili fra loro, che permetterebbero di identificare anche negli adulti gli esiti psicopatologici di traumi relazionali ripetuti e cumulativi subiti nell’infanzia: Disturbo Traumatico dello Sviluppo (Van der Kolk, 2005) e PTSD complesso (Herman, 1992), per citarne alcuni.

Sembra, infatti, esserci un buon accordo sul fatto che la vulnerabilità conseguente a simili itinerari di sviluppo riguardi principalmente funzioni integratrici di memoria e coscienza ed esiti pertanto in sintomi dissociativi, come mettono in evidenza anche Liotti e Farina nel loro ultimo libro “Sviluppi traumatici”, dedicato proprio a questo argomento (Liotti e Farina, 2011).

Il DSM-IV, tuttavia, non ha accolto queste proposte. Pare che si possa sperare nell’introduzione della diagnosi di “Developmental Traumatic Disorder” nel tanto atteso DSM-5 che renda finalmente conto di una realtà tanto vasta quanto scarsamente riconosciuta a livello diagnostico e di conseguenza anche terapeutico.

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Vorrei qui soffermarmi su alcuni aspetti che riguardano la dissociazione ed il suo legame con esperienze traumatiche ripetute nel corso dello sviluppo.

L’essere esposti ad un’esperienza traumatica, ovvero che comporti un pericolo di vita (da definizione del DSM), attiva in noi il sistema di difesa, un sistema molto arcaico incaricato di proteggerci dalle minacce ambientali che agisce con estrema rapidità ed al di fuori della consapevolezza. Quando scorgiamo un pericolo si attivano in noi in modo assolutamente automatico le 4 risposte fondamentali del sistema di difesa: freezing (congelamento), fight (attacco), flight (fuga), faint (svenimento/distacco).

Il freezing è un’immobilità tonica che permette di non farsi vedere dal “predatore” mentre si valuta quale strategia (attacco o fuga) sia la più adatta per la situazione specifica. Quando nessuna di queste strategie sembra avere qualche possibilità di riuscita l’unica ed estrema risposta possibile è il faint, la brusca ed estrema riduzione del tono muscolare accompagnata da una disconnessione fra i centri superiori e quelli inferiori. E’ una simulazione di morte, ovviamente automatica e non consapevole, perché in genere i predatori preferiscono prede vive. In questa situazione, per mezzo di attivazione del sistema dorso-vagale, vi è un distacco dall’esperienza e sono possibili sintomi dissociativi.

Se, come negli sviluppi traumatici, le condizioni di attivazione del sistema di difesa perdurano a lungo, questa attivazione si trasforma da risposta evolutivamente adattativa in disadattativa, perché impedisce un normale esercizio della metacognizione ed in generale delle funzioni superiori della coscienza, non permettendo l’integrazione di quella memoria traumatica che rimane, tuttavia, iscritta nel corpo (Tagliavini, 2011). Da questo processo deriva la frammentazione, la “molteplicità non integrata degli stati dell’Io” (Liotti e Farina, 2011, pg 37) .

Il termine francese “desaggregation”, disgregazione, utilizzato originariamente da Pierre Janet (Janet, 1898) (uno dei primi e più importanti autori ad occuparsi delle conseguenze psicopatologiche di esperienze traumatiche), ben evidenzia il processo di perdita di coerenza ed integrazione dovuta alla progressiva dissoluzione delle funzioni di coscienza: immaginate ad esempio un edificio, poi immaginate che si disgreghi, piano piano, immaginate che venga giù un pezzettino di intonaco, poi un pezzo di muro, poi un intero mattone, poi tutto il muro, poi la finestra attaccata al muro. Lo stesso avviene nella mente.

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Le esperienze traumatiche agiscono sulle funzioni integratrici superiori disgregandole, come l’edificio che abbiamo immaginato. In questo senso la disgregazione è un processo di cui fenomeni e sintomi dissociativi (distacco/alienazione e compartimentazione) sono il risultato. Per fenomeni si intendono quelle esperienze brevi e poco significative di alterazione della coscienza cui tutti noi andiamo incontro, per esempio nei momenti di transizione tra il sonno e la veglia, o come il dejà vù. Come sintomo, ossia come evento clinicamente significativo, la dissociazione e’ caratterizzata da due aspetti fondamentali: distacco / alienazione e compartimentazione.

I sintomi dissociativi di distacco (o meglio ancora alienazione) sono rappresentati da stati di coscienza di qualità abnorme: trance, stati ipnoidi, stati oniroidi, stati crepuscolari, stati di assorbimento, ottundimento della coscienza, senso di irrealtà. Tali stati esprimono l’allontanamento dall’usuale forma della coscienza e rimandano all’alterazione dell’esperienza di sé (depersonalizzazione) e del proprio mondo circostante (derealizzazione).

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Compartimentazione, invece, significa che la mente sembra funzionare a compartimenti stagni. Sintomi eclatanti di compartimentazione sono l’amnesia dissociativa, la fuga dissociativa fino al disturbo dissociativo dell’identità. Più frequentemente nella pratica clinica si riscontrano stati dell’Io poco o per nulla integrati caratterizzati da atteggiamenti e rappresentazioni di sé divergenti che mai hanno accesso simultaneamente alla coscienza. Non sono infrequenti in questi casi anche sintomi dissociativi somatoformi, come sintomi di conversione, sindromi dolorose psicogene e somatizzazioni.

Questo insieme di sintomi si ritrova con elevata frequenza in persone che hanno subito, nel corso dello sviluppo, ripetute esperienze traumatiche all’interno delle loro relazioni significative.

Un punto importante su cui si è discusso molto negli ultimi anni è se la dissociazione sia o meno una risposta adattativa al trauma, come estrema protezione dall’esperienza dolorosa (Steinberg e Schnall, 2001). Sebbene l’ipotesi più diffusa sia quella che concepisce i sintomi dissociativi come difesa, alcuni autori, fra cui Liotti, sostengono, in maniera piuttosto convincente, che la dissociazione sia “una disgregazione primaria del tessuto della coscienza e dell’intersoggettività, mentre la protezione dal dolore è un aspetto secondario e collaterale che fra l’altro spesso fallisce” (Liotti e Farina, 2011, pg. 85).

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Di più ancora: la dissociazione non solo non sarebbe una protezione dal dolore, ma un’esperienza al limite dell’annichilimento, dalla quale la mente deve difendersi per non sprofondare nell’abisso. Come un osso che si rompe in mille pezzi in seguito ad un trauma fisico non è il risultato di un meccanismo di difesa del nostro corpo, allo stesso modo la disgregazione delle funzioni integratrici della coscienza conseguente ad un trauma psicologico non sembra essere una difesa della nostra mente, ma un effetto collaterale devastante, con gravi ripercussioni sulla capacità di regolazione emotiva, sulle capacità metacognitive e sull’identità.

Certamente l’argomento è troppo vasto per essere esaurito in questa sede. Ciò che mi sembra importante mettere in evidenza è la necessità di dare maggiore spazio a riflessioni su questi temi che sempre di più sembrano riguardare non solo la ricerca ma anche e soprattutto la realtà clinica. Sempre più pazienti che varcano le soglie dei nostri studi (per non parlare degli ambulatori del servizio pubblico) provengono da storie traumatiche e sempre di più avvertiamo l’esigenza di modelli teorici e strumenti di intervento che tengano conto della complessità e della specificità della loro esperienza.  Anche l’esponenziale aumento di seminari, corsi ed interventi relativi al trauma ed alle sue connessioni con i disturbi dissociativi sembra una testimonianza importante del diffondersi dell’interesse e di nuove scoperte su questi temi.

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • American Psychiatric Association (2000) Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder. Fourth Edition. Text Revision. Washington D.C. Tr.it. Andreoli, V., Cassano, G.B., Rossi, R. (a cura di). DSM-IV-TR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson, Milano 2002.
  • Herman, J.L. (1992). Complex PTDS: a syndrome in survivors of prolonged and repeated trauma. Journal of Traumatic Stress, 5 (3), 377-391.
  • Janet, P. (1898) Névroses et Idées Fixes. Alcan, Paris, 1898. Reprint: Société Pierre Janet, 1990.
  • Liotti, G., Farina, B. (2011). Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Raffaello Cortina, Milano.
  • Steinberg, M., Schnall, M. (2001). La dissociazione. I cinque sintomi fondamentali. Tr.it. Raffaello Cortina, Milano 2006.
  • Tagliavini, G. (2011). Modulazione dell’arousal, memoria procedurale ed elaborazione del trauma: il contributo clinico del modello polivagale e della psicoterapia sensomotoria. Cognitivismo Clinico, 8 (1), 60-72.
  • Van der Kolk, B.A. (2005). Il Disturbo Traumatico dello Sviluppo: verso una diagnosi razionale per i bambini cronicamente traumatizzati. Tr. it. in Caretti V., Craparo G. (a cura di) Trauma e Psicopatologia. Astrolabio: Roma 2009.
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