I ricordi traumatici nel PTSD
Il disturbo da stress post-traumatico (PTSD – Post Traumatic Stress Disorder) continua a essere una delle condizioni psicologiche più complesse e debilitanti, con milioni di persone in tutto il mondo che ne soffrono a seguito di eventi traumatici come aggressioni sessuali, combattimenti militari, guerre, incidenti stradali e catastrofi naturali.
Incubi notturni, flashback, attivazioni neurofisiologiche improvvise, ricordi vividi e terrificanti possono essere attivati da vari stimoli, come suoni, odori o situazioni che ricordano l’evento traumatico originale; anche stimoli minimi possono attivare una risposta di allarme intensa, contribuendo alla sensazione di pericolo costante e di ansia.
Questi ricordi possono essere così intensi da far sentire di essere di nuovo nel momento dell’evento traumatico: anche se sono trascorsi anni dall’evento, infatti, i ricordi traumatici possono essere vissuti come se fossero appena accaduti, lasciando i sopravvissuti a un trauma costantemente intrappolati nel passato.
Nelle persone affette da PTSD, infatti, i ricordi degli eventi traumatici sono spesso caratterizzati da una vivida intensità e da una sensazione di essere rivissuti, piuttosto che semplicemente ricordati. Questo fenomeno può influenzare profondamente la vita quotidiana e il benessere emotivo.
Comprendere come funzionano i ricordi nel PTSD è fondamentale per lo sviluppo di trattamenti efficaci e per aiutare i pazienti a gestire i sintomi della condizione. Sebbene siano stati compiuti progressi nel campo della terapia e della ricerca, molte domande rimangono ancora senza risposta.
Come funzionano i ricordi traumatici
Recentemente, uno studio pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience (e riportato in un articolo di Ellen Barry sul New York Times) ha fornito nuove e significative informazioni sul funzionamento dei ricordi traumatici e le loro implicazioni per il trattamento del PTSD.
Il team di ricercatori, composto da esperti dell’Università di Yale e della Scuola di Medicina Icahn presso il Mount Sinai, ha condotto uno studio innovativo utilizzando scansioni cerebrali su individui affetti da PTSD. Durante lo studio, i partecipanti hanno ascoltato registrazioni delle proprie memorie: alcuni dei ricordi registrati erano neutri, alcuni erano semplicemente “tristi” e alcuni erano traumatici.
Ciò che è emerso dalle scansioni cerebrali è stato sorprendente: i ricordi tristi hanno attivato l’ippocampo, una regione del cervello associata alla memorizzazione e alla contestualizzazione delle esperienze, mentre i ricordi traumatici hanno attivato corteccia cingolata posteriore (CCP), che di solito è coinvolta nel pensiero internamente diretto, come l’introspezione o la fantasia.
Questa distinzione nel coinvolgimento cerebrale tra ricordi tristi e traumatici è stata una rivelazione per gli esperti nel campo del PTSD. Finora, gran parte della ricerca si era concentrata sull’amigdala e sull’ippocampo come principali siti neurali coinvolti nel PTSD. Tuttavia, lo studio ha evidenziato il ruolo critico della corteccia cingolata posteriore nei ricordi traumatici, aprendo la strada a nuove prospettive sulla comprensione e il trattamento della condizione.
Quest’area non è conosciuta come una regione della memoria, ma come una regione coinvolta nel processare l’esperienza interna. Il coinvolgimento della corteccia cingolata posteriore, dunque, suggerisce che la natura di questi ricordi va oltre una semplice memorizzazione del passato; piuttosto, i ricordi traumatici sono esperienze intense che possono essere rivissute e ri-sperimentate nel presente: “Il cervello non sembra essere in uno stato di memoria; sembra essere in uno stato di esperienza presente” afferma la dottoressa Daniela Schiller, neuroscienziata alla Scuola di Medicina Icahn presso il Mount Sinai e una fra gli autori dello studio. È come se frammenti di eventi precedenti prendessero il sopravvento e sottomettessero il momento presente.
Chi lavora con i disturbi post-traumatici sa che l’esperienza dei sopravvissuti è proprio quella di rivivere i ricordi traumatici come se stessero ancora accadendo e dunque obiettivo e sfida del lavoro terapeutico è “ricollocare il passato nel passato”, come viene definito nell’EMDR (Eye Movement Desensitisation and Reprocessing).
Comprendere che le memorie traumatiche vengono processate a livello neurale come esperienza presente invece che come semplici ricordi, offre nuove vie per il trattamento del PTSD, suggerendo che le terapie dovrebbero mirare a contestualizzare e reinterpretare i ricordi traumatici, facendo riemergere dettagli di contesto intorno alla scena disturbante, anziché semplicemente esporre i pazienti ad essi.
Rielaborare i ricordi traumatici per trattare il PTSD
Negli ultimi anni, nel trattamento del PTSD si sono sempre più affermati approcci terapeutici come la terapia di esposizione prolungata e l’EMDR appunto, che implicano il riesame e la rielaborazione dei ricordi traumatici al fine di attenuarne l’impatto devastante. Secondo Ilan Harpaz-Rotem, professore di psichiatria e psicologia all’Università di Yale e autore di questo studio, i risultati ottenuti suggeriscono che questa forma di riesame dei ricordi sia cruciale nel percorso terapeutico.
Con questo tipo di lavoro si aiutano infatti i pazienti a costruire un ricordo che possa essere organizzato e consolidato nell’ippocampo: l’obiettivo di tali trattamenti è trasformare un ricordo traumatico in uno più simile ai ricordi tristi ma ordinari della vita quotidiana. Il ricordo diventa davvero solo un ricordo, non qualcosa che sta accadendo ora.
Anche terapie come la mindfulness, che hanno dimostrato di riuscire ad attivare le parti del cervello coinvolte nella contestualizzazione delle esperienze, potrebbero essere particolarmente utili nel trattamento del PTSD, come proposto dalla dottoressa Ruth Lanius, direttrice della ricerca sul PTSD presso l’Università di Western Ontario e autorità internazionale in questo campo.
L’identificazione dei markers biologici per il PTSD sembra una via promettente e potrebbe migliorare la diagnosi e il trattamento della condizione, contribuendo anche a risolvere le dispute all’interno del campo su cosa costituisca un trauma. Certamente, sottolineano prudentemente altri esperti, questi risultati andranno sottoposti a verifica e valutati alla luce di altri studi. Queste scoperte sono preziose e lo studio rappresenta un importante passo avanti nella comprensione del PTSD e nel suo trattamento, ma è necessaria ulteriore ricerca per confermare e ampliare le nostre conoscenze sull’argomento, tenendo anche conto del fatto che, come sappiamo, i nostri trattamenti, per quanto validi e scientificamente fondati, non funzionano allo stesso modo su tutti i pazienti.