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Le memorie traumatiche e il fenomeno dell’oblio

Le memorie traumatiche consistono in immagini e sensazioni legate ad eventi traumatici vissuti che riemergono sottoforma di incubi o flashback.

Di Daniela Carnevale

Pubblicato il 19 Mag. 2017

Aggiornato il 26 Feb. 2018 12:19

Le memorie traumatiche si distinguono dalle memorie normali perché sono composte da immagini, sensazioni, comportamenti, sono immodificabili nel tempo e sono automaticamente portate alla luce con modalità particolari, come ad esempio tramite incubi e flashback.

 

Come funziona la memoria e l’oblio delle informazioni immagazzinate

Quando si pensa alla memoria, viene in mente qualcosa che ha che fare con dati immagazzinati in seguito ad esperienza ed apprendimento e dunque possano semplificare la nostra vita quotidiana: il ricordo di numeri di telefono, di date ed eventi particolari, sono solo un esempio.

Oltre alla memoria in senso quantitativo (immagazzino di informazioni), si pensa anche alla capacità di sfruttare le conoscenze strategiche che abbiamo, per risolvere i problemi che ci capita di incontrare quotidianamente. Nell’esperienza quotidiana di chiunque, non si può fare a meno di constatare come alle volte, la memoria non sia efficace. L’insuccesso mnestico, può essere temporaneo o definitivo: nel secondo caso è anche possibile dimenticare completamente, oppure ricordare in maniera confusa e del tutto insoddisfacente persino concetti che erano stati studiati a fondo con grande dispendio di tempo e di energie.

La prima ricerca sull’oblio, è stata condotta dallo studioso tedesco H. Ebbinghaus (1885-1923) che, usando se stesso come soggetto dell’esperimento, apprese un numero sterminato di liste di sillabe senza significato, per verificare quante ne avrebbe dimenticate col passare del tempo.
Per spiegare tale fenomeno, ha proposto la “teoria dell’interferenza”, secondo la quale non sarebbe il tempo ad essere il fattore principale responsabile dell’oblio, bensì l’interferenza che si crea quando ricordi diversi sono associati ad uno stesso elemento. Quando l’apprendimento pregresso (passato) interferisce con il nuovo apprendimento, si parla di “interferenza proattiva”; quando invece è l’apprendimento successivo ad alterare l’apprendimento pregresso, si parla di “interferenza retroattiva”.

Altra ipotesi sviluppata da Ebbinghaus è quella relativa al “mancato immagazzinamento”, per cui alcune informazioni vengono dimenticate in ragione del fatto che non sono mai passate nella memoria a lungo termine. Per spiegare tale fenomeno l’autore ha fatto ricorso al concetto di “consolidamento”, secondo il quale esisterebbero processi biologici che renderebbero stabile una traccia di memoria. Nel momento in cui questi processi vengono in qualche modo contrastati l’informazione presente nella memoria di lavoro non passerebbe nella memoria a lungo termine e verrebbe persa.

Secondo E. Tulving (1974), in aggiunta esisterebbero due tipi di oblio: “l’oblio traccia-dipendente”, nel quale l’informazione non sarebbe più presente nella memoria e “l’oblio suggerimento-dipendente”, nel quale l’informazione troverebbe ancora nella memoria, ma non sarebbe accessibile.

In un’ottica psicoanalitica, d’altro canto S. Freud ha enfatizzato l’importanza dei fattori emotivi e difensivi nell’oblio. Egli sostenne che ricordi angoscianti, avvertiti come minacciosi o causanti ansia, spesso non riescono ad accedere alla sfera della consapevolezza, per ragioni difensive: Freud denominò tale fenomeno “rimozione”.

Appare quindi evidente che il ricordo percorre strade molto soggettive e variegate: a volte affiora nella mente qualcosa di vago, altre volte di molto preciso; altre volte ancora dalla memoria qualcosa che è stato rimosso al fine di difendere la struttura psichica di chi è in possesso dell’esperienza penosa, apparentemente dimenticata: le memorie traumatiche.

Che cosa sono le memorie traumatiche?

Le memorie traumatiche si distinguono dalle memorie normali perché sono composte da immagini, sensazioni, comportamenti, sono immodificabili nel tempo e sono automaticamente portate alla luce con modalità particolari, come ad esempio tramite incubi e flashback. Inoltre, mentre le memorie di eventi ordinari perdono chiarezza con il tempo, alcuni aspetti degli eventi traumatici sembrano fissarsi nella mente rimanendo inalterati nel tempo.
Esse sono rintracciabili in un’estesa serie di fenomeni che solo in parte possono essere ricondotti all’ambito della psicopatologia.

Le memorie traumatiche variano così da forme di “non conoscenza”, in cui l’esperienza del trauma è disconnessa e inaccessibile al ricordo ma nondimeno permea le strategie di difesa e adattamento, a stati di dissociazione in cui il trauma viene rivissuto piuttosto che ricordato, a frammenti di ricordo decontestualizzati e apparentemente privi di senso, alla messa in atto di ripetizioni nelle relazioni oggettuali e nei temi di vita, per arrivare alla possibilità di racconto, testimonianza e metaforizzazione.

Si osserva, che alcune forme di memorie traumatiche non sono connotate da un ricordare consapevole, ma implicano “derivati” più o meno organizzati che sono messi in atto.

Laddove il ricordo può essere evocato consapevolmente e l’evento può quindi essere narrato, assistiamo a livelli diversi di padronanza del ricordo stesso, in rapporto al grado di presenza dell’Io osservante e di integrità delle sue funzioni sintetiche ovvero alla capacità di storicizzazione dell’evento.
Nella sua forma più drammatica, il ricordo traumatico fa mostra di sé nei sintomi di reviviscenza.

Riproducono infatti gli eventi a cui si riferiscono con estrema vivacità e chiarezza, tanto da renderle drammaticamente reali e presenti.
Nella forma più drammatica ed estrema si tratta di vere e proprie visioni quasi allucinatorie della scena traumatica, che il soggetto rivive con intensa e penosa partecipazione emotiva; talvolta di pensieri ossessivi relativi al trauma, che emergono in modo acuto ed intenso occupando interamente il campo della coscienza del soggetto, il quale non riesce in alcun modo a sottrarvisi; assai spesso, infine, di sogni o incubi ripetitivi che riproducono variamente l’atmosfera traumatica.

L’evento traumatico e l’impatto emotivo che ha avuto nella psiche del soggetto, attivano una serie di meccanismi difensivi, oltre alla dissociazione, la rimozione e il diniego, finalizzati a ridurre la consapevolezza di un significato emotivo impossibile da sostenere.
Stanley Cohen scriveva: “La sofferenza rimossa non è veramente dimenticata rimane là da qualche parte, provocando distorsioni, stati patologici interiori e un comportamento simbolico generalmente deteriorato”.

Il “là” a cui si riferisce Cohen è naturalmente l’inconscio, nel quale i contenuti emotivi dell’evento traumatico, diversamente da quanto avviene per il suo ricordo cosciente, sembrano mantenere la sua forza originaria, e da cui emergono attraverso manifestazioni somatiche, causate da un ricordo, depositato nella memoria implicita, di un’esperienza traumatica che basta uno stimolo semplice, per attivare emozioni o sensazioni legate a quell’esperienza traumatica. Non è necessario che questi stimoli siano terrificanti, poiché qualunque sentimento o sensazione legata a un’esperienza traumatica, può fare da innesco nel richiamare la sensazione associata all’esperienza. Le amnesie traumatiche, che comportano l’assenza del ricordo o un ricordo differito dell’evento traumatico o di alcune sue parti, sono stati notati in seguito a incidenti o disastri naturali, a traumi da guerra, ad abusi fisici e sessuali. Quindi l’oblio, viene provocato da un evento traumatico, che ha la funzione di difendere la memoria, tramite amnesia transitoria o retrograda, caratterizzata da emozioni intense.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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