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La vita è altrove: una exit strategy tramite la passion economy e la YOLO economy

Con la Passion Economy, la dicotomia “segui i soldi/segui le passioni” si scardinano e le due scelte non appaiono più irrelate e incompatibili

Di Mariateresa Fiocca

Pubblicato il 07 Feb. 2023

La strategia della Passion Economy parte da un’autoanalisi all’interno della propria sfera interiore, volta a scoprire le passioni da cui muovere per intraprendere un’attività lavorativa. Conoscere se stessi è un elemento fondante di una strategia potenziale.

 

Introduzione

 L’Era digitale sottesa da Gafam (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft) fornisce un surplus concettuale ed empirico all’Economia della passione –niente a che fare con l’Economia della felicità, naturalmente!–, che vede tra i principali ideatori Adam Davidson (2020). La digitalizzazione del mondo sociale, che porta con sé mutazioni e viralizzazioni anche nella sfera delle preferenze individuali, rafforza peraltro la visione imperniata sullo YOLO (“You Live Only Once”, teorizzata dall’editorialista di tecnologia Kevin Roose) e una congiunzione fondazionale tra Economia della passione ed Economia YOLO (cfr. The New York Times, 2021, Welcome to the Yolo Economy).

Entrambe sono connotate dai prismatici riflessi della forte contaminazione disciplinare.

Le due teorie trovano robusta legittimazione nel progetto sul Benessere equo e sostenibile (Bes), nato nel 2010 con l’obiettivo di valutare il progresso della collettività non solo sotto il profilo economico, ma anche sociale e ambientale. A tal fine, i tradizionali indicatori economici –primo dei quali il Prodotto Interno Lordo– sono stati integrati da misure relative alla qualità della vita e dell’ambiente (cfr. Rapporto Istat sul Bes). Anche casi di studio corroborano l’evidenza delle due teorie: ad esempio, la situazione del Regno Unito dopo la Brexit e quella dell’Italia con le opportunità offerte dal PNRR (per un approfondimento, si rinvia a Money.it, 2021, Economia YOLO e impatto sul mondo del lavoro). In più, le tante circostanze che affollano i nostri tempi hanno preparato il terreno al consolidarsi di entrambe le branche dell’Economia. Sembrerebbe un’aporia logica che tali circostanze negative che abitano attualmente il nostro vissuto, con le molte incertezze e paure che si trascinano dietro, anziché a un ripiegamento su se stessi portino a sfidarci, persino a costo di abbandonare i nostri abituali ancoraggi e routine, per avventurarci altrove e sperimentare altro. Tuttavia, sotto il profilo psicologico, viene notato come la mente produca una molteplicità di idee per allenare la propria creatività e trovare nuove soluzioni da mettere in campo in situazioni avverse (Albano, 2022). E, come la pandemia ci ha insegnato e Roose ha teorizzato, poiché si vive una volta sola, tanto vale buttarsi nell’avventura fin da subito, senza perdere altri pezzi di vita, accettandone il rischio. A tutto ciò si aggiunge il dilagante malessere del burnout, collegato a un’opprimente sensazione di grave e prolungato stress sul lavoro. Il meccanismo di difesa stilizzato si fonda su una presa di distanza e straniamento verso l’attuale attività lavorativa, con la mancanza di interesse per quanto prima motivava e coinvolgeva. Si diventa insensibili al contesto lavorativo e si cercano vie di fuga per sopravvivere (Campi, 2022).

Alla luce di tali argomenti, non possiamo rubricare in modo riduttivo le due teorie economiche come un’ennesima trovata nerd o un divertissement mondan-culturale. Oltre all’aspettativa YOLO di nuovi stili e migliore qualità di vita, prospettive fondative che mettono a fattor comune le due teorie, sono una nuova percezione del lavoro all’interno del dominio del vivere e del Sè. O, in altri termini, sottostante a entrambe le teorie c’è l’idea dell’interiorità intesa come risorsa, anche di natura economico-produttiva.

Su tale solco, appare rilevante aggiungere che entrambe le teorie richiedono una importante premessa di carattere filosofico: il desiderio di “Ritornare in sé” (Merlini, 2022).

E questo in controtendenza ad alcuni scenari fattuali:

  • la nostra spazio-temporalità schizotipica, che mostra la nostra incapacità di resistere alla tentazione dalla fuga da sé (Merlini, 2022) e che, quando esasperata, può collassare nella sindrome FOMO (Fear of Missing Out).
  • alcuni fenomeni sociali esprimibili con metafore esegetiche quali: a) la “sindrome della papera” (ispirazione scenografica che anima il desiderio narcisistico dell’individuo di proporre una lusinghiera immagine di sé al mondo, ma contemporaneamente non consentendo al mondo stesso uno sguardo panottico su di lui/lei); b) il correlato bias “del pavone” (vale a dire la sconfitta di tale allegoria). Si allude all’occultamento, generalmente via social, dell’enorme sforzo psicologico e il dispendio di energie richiesti dallo sciorinare solo la crème de la crème della propria vita. Alcuni, soprattutto fra i Millenials e la Generazione Z, ne soccombono.
  • certi orientamenti nel campo dell’intelligenza artificiale “forte” e “generale”, c.d. IAG (Intelligenza Artificiale Generale). In particolare, lo scienziato dei computer e transumanista, Ray Kurzweil, predice persino “la mente fuori dal proprio corpo” (La mente fuori dal corpo). Di simili posizioni un altro transumanista, il neuroscienziato Henrik Ehrsson (Lasceremo il nostro corpo) e il futurologo Anders Sandberg (Come saranno gli esseri umani tra un milione di anni). Inoltre, appare doveroso citare Caronia –considerato il più autorevole teorico italiano dell’universo cyber– con il suo volume (2020) “Dal cyborg al postumano. Biopolitica del corpo artificiale”.

Pur consapevoli dei forti sospetti –dalle gravide conseguenze distopiche (cyberpunk)– sollevati sull’infosfera digitale, il presente lavoro rimane circoscritto all’ambito dell’ottimismo tecnologico (postcyberpunk).

Infine, esso adotta un approccio microeconomico, basato sull’agente economico (consumatore e imprenditore) e sul mercato di un bene/servizio (nello specifico, l’output “passion-based”).

Economia della passione ed Economia YOLO, ovvero tecniche di “ritorno a sé”

Il dipanarsi dell’Era digitale attraverso strumentazioni sempre più sofisticate ha prodotto una rivoluzione culturale, un mutamento nei modelli economici e nei principi ispiratori del diritto, nonché nella struttura etico-valoriale delle società.

Nel presente studio, il mercato del lavoro viene interpretato come il fil rouge che attraversa in qualche modo tutti questi ambiti e le cui recenti evoluzioni –in primis, gli sconvolgimenti originati dal lavoro asincrono e da remoto– sono i fattori che stigmatizzano le due teorie economiche in esame. Innovazioni, quelle sul mercato del lavoro, che hanno innalzato le aspettative di una migliore allocazione tra tempo dedicato al lavoro e tempo libero, di reinventarsi, di concretizzare le proprie passioni, creatività ed esperienze in beni e servizi da proporre sul mercato; di non identificare più il lavoro con la propria vita ma –in esatta controtendenza– trasportare la propria esperienza di vita nel lavoro.

Rifacendoci a esempi recenti, il bot ChatGPT (Generative Pretrained Transformer) si rivela un ottimo assistente (anche a blogger e giornalisti) per i lavori creativi: le sue conoscenze matematiche lo mettono in grado di comporre musica, brani e poesie ispirandosi a quanto assimilato dal web. Inoltre, si cita il gruppo pop sud-coreano, Eternity, costituito da soggetti digitali la cui tecnologia consente loro di muovere corpo e viso in modo affatto verosimigliante a quello umano. Grazie a questi strumenti digitali sempre più diffusi, si amplia la cassetta degli attrezzi da cui la creatività può attingere, ottenendo anche riconoscimenti economici sul mercato. E c’è di più: il lato dell’offerta in tale mercato si accresce poiché accessibile a nuovi attori che intendono tutelare la propria vita privata ovvero soffrono di disabilità o problemi di altra natura che minano l’opportunità di esporsi in pubblico.

La passione, la creatività, i beni esperienziali nell’Era digitale si arricchiscono così di nuovi rivoli che affluiscono nel mercato.

Widget Economy vs. Passion Economy

Il concetto di “Widget Economy” è stato introdotto da Davidson (2020) per contrapporre gli schemi che hanno prevalso fino al XX secolo quali indicatori di performance del lavoratore rispetto alle metriche più recenti. Sottesa alla Widget Economy vi è la scelta dicotomica con cui l’individuo si confronta. La prima alternativa di tale dicotomia consiste nel perseguire gli obiettivi economici, la stabilità, la routinizzazione della propria esistenza piegandola all’imperativo di identificare la propria vita con l’attività lavorativa e adattando entrambe (vita e lavoro) a metriche esterne che rappresentano il corollario di tale identificazione: la produttività, il successo sul lavoro, la conseguente ascesa sociale e tutti gli altri parametri correlati, funzionali allo sviluppo socio-economico di una collettività. L’alternativa a tale scelta rinvia a una vita in cui si prioritizzano le proprie passioni, l’espressione personale, le preferenze genuine a scapito dell’attività lavorativa e di tutto ciò che ne segue.

Con la Passion Economy, la dicotomia e la polarizzazione “segui i soldi/segui le passioni” –fondanti nella Widget Economy– si scardinano e le due scelte (esistenziali) non appaiono più irrelate e incompatibili. Lo iato che ha dato discontinuità alle due prospettive è venuto a determinarsi per due fenomeni: i progressi tecnologici e la globalizzazione, entrambi con il loro impatto sul mercato del lavoro (sostituzione uomo-macchina, delocalizzazione delle attività nei paesi a più bassi salari).

La nozione stessa di “strategia” cambia e si complica con la Passion Economy: per il lavoratore che diventa imprenditore di se stesso sul mercato non è più sufficiente una strategia ottimizzante (data la disponibilità di risorse) volta alla massimizzazione dei profitti. La strategia è più articolata e segue un percorso più lungo perché parte da un’autoanalisi all’interno della propria sfera interiore, volta a scoprire le passioni da cui muovere per intraprendere un’attività lavorativa. Conoscere se stessi è un elemento fondante di una strategia potenziale.

La passione è l’input intangibile che costituisce il valore aggiunto del bene/servizio oggetto della propria creazione da proporre al mercato. Il bene/servizio, di conseguenza, appartiene alla categoria dei “beni esperienziali” che raccontano del proprio ideatore e della sua storia.

 Ma, mantenendo i piedi per terra, la passione deve essere unita all’abilità e alla competenza affinchè acquisisca un valore di mercato; inoltre, deve essere canalizzata sul mercato secondo regole ben precise. In primo luogo, il nuovo stereotipo di lavoratore dell’Economia della passione non deve aspirare a vendere grandi volumi della propria creazione. Diversamente, le grandi imprese diventerebbero forti competitor grazie alle economie di scala di cui si avvalgono, che butterebbero fuori mercato il nuovo agente economico “imprenditore-creatore”. Abbandonare il mercato significa incorrere in “sunk cost”, cioè costi non recuperabili in quanto l’attività – proprio per le sue peculiarità soggettive– non è verosimilmente spendibile in un altro mercato di beni/servizi. Per evitare tale rischio, il lavoratore della Passion Economy deve porsi all’interno di una nicchia di mercato: cioè, creare un bene/servizio di nicchia, anziché produrre su vasta scala. La passione, unita a capacità e competenza, costituisce una barriera all’entrata nella sua nicchia di mercato da parte della potenziale concorrenza.

Ancorché con le sue peculiarità, questa nuova teoria economica mutua ulteriori importanti concetti microfondati.

Guardando all’interazione tra lato dell’offerta e lato della domanda, in primis l’offerta potenziale delle proprie creazioni di nicchia deve individuare con sufficiente precisione il segmento della domanda a cui rivolgersi, cioè la classe dei potenziali consumatori.

In questo, oggi –nell’Era digitale– i social assolvono una funzione dirimente.

Individuato il contesto in cui vendere l’output, a cascata si possono individuare i potenziali competitor. Infatti, sebbene il proprio prodotto sia unico, nondimeno il consumatore si avvarrà di termini di paragone, punti di riferimento, esperienze personali o narrate, ecc. Dispone degli strumenti per un accesso facile e veloce alle informazioni necessarie per il suo decision-making. Concentrarsi sui feedback raccolti da tale platea è un fattore cruciale per eventuali aggiustamenti della strategia imprenditoriale e per la fidelizzazione dei clienti.

Altra variabile fondante all’interno di questa interazione è naturalmente il prezzo. E quanto più tale interazione è stretta (“passion-based relationship”) – esplicativa anche delle qualità e caratteristiche non osservabili del prodotto, e quindi del suo valore intrinseco– tanto più preciso sarà il livello del prezzo da fissare per l’output “passion-based”. Deve trattarsi, quindi, di una interazione col cliente molto personalizzata, time-consuming e duratura nel tempo. Costruirsi una reputazione è un percorso sempre molto complesso e demanding. Allora, ecco che la natura del bene stesso diventa più articolato: l’output “passion-based” è un “bene esperienziale e reputazionale”. Proprio queste caratteristiche connotano anche l’elasticità della domanda rispetto al prezzo, vale a dire la reazione dei consumatori rispetto a un aumento di prezzo. È plausibile che si tratti di una elasticità molto bassa, che sottende una domanda scarsamente reattiva alle variazioni dei prezzi.

Questo spiega anche un’altra variabile della strategia: a una platea vasta e indifferenziata è da preferire quella più ristretta degli amatori appassionati. Insomma, pochi ma buoni… purché i criteri economici vengano rispettati, … altrimenti bye bye sognatore!

Conclusioni

Generalmente, la nostra esistenza viene da noi stessi trasformata in un’architettura di evitamento e nascondimento. Ma, a volte, sono alcuni cambiamenti profondi dell’ambiente circostante –come quelli attualmente esperiti– a richiamarci a un ritorno a sé, all’urgenza di anteporre la nostra sfera interiore, trascurata, denegata e tanto gelosamente occultata in primis a noi stessi.

Le stesse circostanze, pervase di incertezza e paura, si prestano a una loro lettura “amichevole” col tenderci empaticamente una mano dotata di escamotage che agevolano il nostro “ritorno a casa” e una seguente esternalizzazione del sè rielaborato.

In questo articolo, tale esternalizzazione e tali escamotage vengono allocati sul mercato del lavoro. Certo, tale scelta rischia di apparire riduttiva rispetto alle nostre rinnovate esigenze esistenziali, ma lo diventa molto meno riflettendo su quanto della nostra esistenza occupi lo spazio lavorativo –“spazio” inteso in senso multidimensionale (affanni, competizione, costi-opportunità, allocazione del nostro tempo, i nostri obiettivi e scala di valori, climax culturale e metriche esterne di valutazione del prossimo, mismatch tra domanda e offerta di lavoro, livelli retributivi, ecc.).

Sempre in chiave di escamotage, la crisi sanitaria ha contribuito al proliferare di piattaforme digitali e software avanzati, cui gli agenti economici possono attingere per percepire un reddito secondo modalità che mettono in risalto, anziché mercificare, la loro individualità. Ed ecco che riemerge l’idea di un ritorno a sé e una successiva esternalizzazione rielaborata del sè.

Ma, si sa, ogni escamotage ha anche dei contraltari. E proprio quando questa nuova fluidità del mercato va a coniugarsi con il mondo virtuale, ecco che sorgono problematiche di non poco momento. Ne citiamo alcune. Malgrado i forti progressi nella diffusione e nella democratizzazione della digitalizzazione in tempo di pandemia e con il lavoro da remoto, nondimeno permangono gap creati dal digital divide in ragione dell’età, del genere, dell’ambiente socio-economico, dell’area geografica (anche a livello globale). La possibilità di cambiare le scelte lavorative assecondando la propria sfera interiore, il sistema di preferenze soggettive e le volizioni nei nuovi contesti tecnologici, può costituire un bene di lusso, in quanto non accessibile a tutti. Corollario è che tali opportunità rischiano di assumere natura regressiva, sotto il profilo redistributivo, cioè a scapito delle classi socio-economiche più basse. E, allora, le trasformazioni in atto rischiano di collassare in nicchie elitarie? A contrastare questa pericolosa deriva concorre oggi la nozione di “open source” secondo un approccio di natura filosofica: l’open source rappresenta una nuova concezione della vita che contrasta qualsiasi appannaggio esclusivo grazie alla condivisione della conoscenza.

Ulteriori difficoltà sorgono a livello manageriale, in quanto i progressi nella digitalizzazione delle attività all’interno di un organismo esigono nuove procedure, revisione/creazione di ruoli, funzioni, competenze e nuove mentalità che inevitabilmente rallentano gli stessi processi di innovazione (Manzocchi e Romano, 2022).

Ci sono poi le questioni legate al piano etico e a quello giuridico in un campo che, com’è noto, soffre ancora di lacune nella regolamentazione a tutela della sfera dei diritti fondamentali dell’individuo (in primis, dignità e privacy), contro i pregiudizi del software (tipicamente di genere e razziale) e contro il cybercrime –ancorché siano stati compiuti significativi progressi anche a livello UE, soprattutto sul piano della soft law (Severino, 2022). Reinventarsi nel lavoro e diventare imprenditori di se stessi sono aspettative lusinghiere, determinano esternalità positive e, quindi, costituiscono un miglioramento del bene collettivo a condizione però che non prevarichino e minino gli spazi di prossimità.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Albano, I. (2022), “Paper tiger paranoia: cosa è e come affrontarla”, My Personal Trainer, 7 dicembre 2022.
  • Campi, E. (2022), “Misurare, gestire e prevenire il burnout con il benessere in ambito aziendale”, Il Sole 24Ore, 15 febbraio 2022.
  • Caronia, A. (2020), Dal cyborg al postumano. Biopolitica del corpo artificiale, Meltemi Editore, Sesto San Giovanni (MI).
  • Davidson, A. (2020), The Passion Economy, John Murray, Londra.
  • Focus (2013), La mente fuori dal corpo
  • Focus (2022), Come saranno gli esseri umani tra un milione di anni
  • FuturoProssimo (2019), Lasceremo il nostro corpo
  • Istat, Il Rapporto Istat sul Bes
  • Manzocchi, S. - Romano, L. (2022), “Io, robot? L’intelligenza artificiale ai tempi della quarta rivoluzione industriale”, in Severino, P. (2022), (a cura di), Intelligenza artificiale. Politica, economia, diritto, tecnologia, Luiss University Press, Roma.
  • Merlini, F. (2022), Ritornare in sé. L’interiorità smarrita e l’infinita distrazione, Nino Aragno Editore, Torino.
  • Money.it (2021), Economia YOLO e impatto sul mondo del lavoro Severino, P. (2022), “Le implicazioni dell’intelligenza artificiale nel campo del diritto con particolare riferimento al diritto penale”, in Severino, P. (2022), (a cura di), Intelligenza artificiale. Politica, economia, diritto, tecnologia, Luiss University Press, Roma.
  • The New York Times (2021), Welcome to the Yolo Economy
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