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Alcool

La dipendenza da alcool è caratterizzata da un comportamento di ricerca compulsiva di bevande alcoliche e da assuefazione e tolleranza.

Aggiornato il 19 set. 2023

Definizione di alcolismo

L’alcolismo è una malattia cronica caratterizzata da alterazioni comportamentali, fisiche e psichiche causate dal consumo compulsivo di quantità elevate di alcool.

La dipendenza alcolica, o alcolismo, è caratterizzata da un comportamento di ricerca compulsiva di bevande alcoliche e da assuefazione e tolleranza (per raggiungere un determinato effetto desiderato dall’individuo è costretto a bere quantità sempre maggiori di bevande alcoliche). Come per qualunque dipendenza da sostanze, anche nell’alcolismo la brusca interruzione del consumo di alcool causa la sindrome da astinenza, caratterizzata da tachicardia, tremori, nausea e vomito, agitazione, allucinazioni, convulsioni. Gli effetti dell’alcolismo interferiscono pesantemente con la salute della persona e con la sua vita lavorativa, relazionale e sociale.

L’alcolismo è definito dalla contemporanea presenza di:

  1. perdita di controllo del consumo di alcolici: evidenziabile dal “fenomeno del primo bicchiere”, dai tentativi inefficaci di controllo, dalla continuazione del comportamento compulsivo nonostante le gravi conseguenze legate a tale consumo.
  2. modificazione del modello di consumo con comparsa di desiderio compulsivo di assumere alcolici anche in assenza di intossicazione in atto (craving).
  3. dipendenza: incapacità di rinunciare all’assunzione di alcool e conseguente sforzo per procurarselo, dovuto all’irresistibile desiderio legato al piacere dell’assunzione ( dipendenza psichica ), con tendenza ad aumentare la dose per mantenere il medesimo effetto ( tolleranza ) e al timore dell’insorgenza della sintomatologia organica di privazione o astinenza (dipendenza fisica).
  4. cambiamento dello stile di vita caratterizzato dalla tendenza all’isolamento, dal deterioramento fino alla perdita delle abituali relazioni sociali.
  5. problemi familiari, o comunque della rete sociale personale, che possono giungere alla disgregazione del tessuto familiare e alla comparsa di franche manifestazioni di sofferenza psichica, emozionale e relazionale nel partner e negli altri conviventi.

Alcolismo e categorie diagnostiche

Il termine alcolismo è stato coniato nel 1849 da Magnus Huss, un medico svedese che per primo definì la dipendenza alcolica come una malattia. Nel 1979, un comitato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha proposto l’uso di “sindrome da dipendenza da alcool” come categoria diagnostica in sostituzione del termine “alcolismo“. E nel DSM III infatti compare come “abuso di alcool” e “dipendenza da alcool“.
Attualmente il DSM 5 raggruppa 11 classi di disturbi correlati a sostanze: alcool, caffeina, cannabis, allucinogeni, inalanti, oppiacei, sedativi/ipnotici/ansiolitici, stimolanti, tabacco, altre sostanze, non correlati a sostanze (gambling).

Per quanto riguarda i disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction un cambiamento fondamentale rispetto al DSM IV è che nel DSM-5 sono state fuse le categorie di abuso e dipendenza da sostanze del vecchio DSM-IV in un unico disturbo da uso di sostanze, misurato su un continuum da lieve a grave, i cui criteri per la diagnosi constano di un unico elenco di 11 sintomi. Nel DSM-5 per un disturbo da uso di sostanze è richiesta la presenza, per un periodo di 12 mesi, di almeno due sintomi.

Alla lista dei sintomi è stato aggiunto il craving (forte desiderio di utilizzare la droga), mentre è stato eliminato il criterio riguardante i problemi legali ricorrenti, a causa della difficile applicazione a livello internazionale.
Esistono dei questionari utili all’autovalutazione e alla diagnosi: test AUDIT, ASSIST e CAGE.

Cause e Fattori di rischio

Sono diverse le condizioni che rappresentano un fattore di rischio per l’alcolismo:

  • il genere: gli uomini sono colpiti il doppio delle donne
  • l’età: chi comincia a bere in giovanissima età (adolescenza) è più a rischio di malattie alcolcorrelate o di alcolismo
  • la storia familiare di alcolismo: chi ha uno o entrambi i genitori alcolisti è più a rischio di alcolismo; anche avere il partner o uno stretto amico con problemi di alcool, aumenta il rischio di alcolismo
  • la presenza di altre malattie psichiatriche: la depressione in particolare è molto comune nelle persone con problemi di alcool
  • uno stile di vita molto stressante o che esponga a un elevato numero di eventi sociali
  • la bassa autostima
  • ambiente traumatico nell’infanzia (violenza domestica e/o abusi sessuali). I risultati di uno studio canadese evidenziano come un soggetto su cinque dipendente da droghe o un soggetto su sei alcolista abbia subìto violenze sessuali nell’infanzia. Tali numeri sono sconcertanti se paragonati a quelli della popolazione generale, che invece si attestano ad un soggetto su 19. Sorprendentemente la relazione ritrovata nello studio rimaneva significativa anche quando i ricercatori controllavano l’effetto delle malattie mentali (ad es., depressione), della povertà, del sostegno sociale e dei più comuni fattori associati all’abuso di sostanze. Quindi la probabilità di sviluppare una dipendenza dall’alcool in età adulta tra coloro che avevano assistito ad episodi di violenza domestica portati avanti dai genitori era superiore del 50% rispetto ai soggetti senza questo tipo di esperienza alle spalle; tale percentuale era simile in grandezza a quella relativa ai soggetti abusati sessualmente durante la loro infanzia. L’abuso di alcool o di altre sostanze rappresenterebbe una strategia di coping rispetto alle conseguenze di tali esperienze traumatiche.
  • Difficoltà di regolazione emotiva: l’abuso di alcool avrebbe l’obiettivo di alterare uno stato emotivo negativo attraverso una strategia di evitamento di esperienze emotive indesiderate. L’alcool infatti può aumentare la percezione di emozioni positive, così come alleviare quella di stati negativi.
    Una ricerca mette in luce come i bevitori solitari probabilmente utilizzano l’alcool come forma di automedicazione e di gestione di stati emotivi negativi. Uno studio longitudinale ha seguito un ampio campione di bevitori adolescenti fino al raggiungimento dell’età adulta (709 adolescenti tra i 12/18 anni, seguiti fino ai 25). Circa il 60 per cento dei soggetti osservati non ha mai bevuto da solo, ma sempre in contesti sociali; tuttavia ben 4 adolescenti su 10 ha bevuto da solo, almeno in alcune occasioni. Inoltre la percentuale di bevitori solitari era più alta tra quegli adolescenti che mostravano sintomi di abuso di alcool, infatti i bevitori solitari bevono più spesso e di più degli altri adolescenti, oltre ad avere cominciato prima. L’elemento più interessante ha a che fare con i contesti nei quali gli adolescenti bevono, emerge infatti che gli adolescenti che tendono a bere da soli lo fanno quando sono in situazioni spiacevoli, suggerendo che il consumo massiccio di alcool abbia una funzione di automedicamento, cioè sia una sorta di coping nella difficile gestione di sentimenti negativi. Gli adolescenti che bevono da soli hanno anche molte più probabilità di sviluppare problemi alcool-correlati tra cui la dipendenza dall’alcool, già a 25 anni.

Fattori di mantenimento dell’alcolismo

L’assunzione costante di alcool provoca dipendenza che si manifesta, a livello comportamentale, con la ricerca della sostanza (craving) e con la sindrome d’astinenza nel caso si interrompa l’assunzione.

Il craving è il desiderio irresistibile di assumere alcool, può anche essere definito “urgenza di bere”, cioè la tensione a consumare la sostanza, il pensiero ossessivo ricorrente del bere, sino alla perdita del controllo dei propri impulsi nei confronti delle bevande alcoliche.

Il craving nell’alcolismo è stimolato da fattori previamente associati con l’alcool, elementi capaci di svolgere un ruolo “trigger” che innescano, con un meccanismo di condizionamento e per associazione di idee, il desiderio della gratificazione ottenuta con l’alcool.

Nell’alcolismo, come in tutte le dipendenze da sostanza, il ripetersi dello stimolo “artificiale” fa sì che quest’ultimo prenda progressivamente il posto di quelli naturali: da qui la perdita di interesse per le normali attività della vita, il pensiero concentrato sull’alcool. Gli effetti della sostanza prendono così il posto di funzioni mentali fondamentali e la gratificazione indotta dalla sostanza diviene parte del funzionamento mentale, modificandolo. (M. Cibin, M. Mazzi, L. Rampazzo, G. Serpelloni, 2001)

Mentre la semplice assunzione delle sostanze psicoattive che segue i ritmi e le modalità del comportamento addittivo è regolata da un processo automatico, il craving comporta l’attivazione di un meccanismo cognitivo che non corrisponde ad un processo automatico. L’urgenza di utilizzare la sostanza, è connessa piuttosto con un conflitto nell’ambito cognitivo tra la motivazione all’assunzione dell’alcool e la consapevolezza del rischio che ne deriva.

Petrakis, (1999) distingue due forme di craving dal punto di vista delle aspettative del paziente: da un lato la preoccupazione di assumere la sostanza per evitare l’astinenza che viene definita “craving negativo”, dall’altro la compulsione nei confronti della sostanza sostenuta dall’aspettativa di una incentivazione, di una gratificazione. In questo caso la ricerca di un “reward” produrrebbe un “craving positivo”. (G. Gerra, A. Zaimovic, 2002)

Studi recenti mostrano come in persone affette da disturbo di abuso di alcool l’essere portati a ruminare incrementi il desiderio irrefrenabile di bere (Caselli et al. 2013). La ruminazione parrebbe essere sintomo cruciale nei disturbi da utilizzo di alcool e nel processo di ricaduta e fungerebbe da ponte tra emozioni negative e consumo di bevande alcoliche. Si ipotizza che il soggetto ricorra all’utilizzo di alcool come strategia principale per sopprimere la ruminazione e gli effetti negativi ad essa correlati. Sulla base di tali ipotesi il focus del percorso terapeutico per l’abuso di sostanze alcoliche andrebbe posto sui processi ruminativi.
La ruminazione può aumentare direttamente il livello del craving, come tentativo di controllare la ruminazione stessa e le sue conseguenze negative.
Anche la depressione è clinicamente rilevante nell’influenzare negativamente il decorso, il trattamento e la prognosi del disturbo da abuso di alcool.

Danni dell’alcolismo

Coloro che bevono grandi quantità di alcool da lungo tempo corrono il rischio di sviluppare gravi e permanenti cambiamenti cerebrali. I danni possono essere il risultato degli effetti diretti dell’alcool sul cervello o del risultato indiretto di un cattivo stato di salute generale o da una grave patologia al fegato.

Una deficienza di tiamina (vit. B1) si verifica comunemente in soggetti affetti da alcolismo e deriva da una cattiva alimentazione generale. Fino all’80% degli alcolisti presenta una deficienza di tiamina e alcune di queste persone svilupperanno gravi disturbi mentali quali la sindrome di Wernicke-Korsakoff (WKS). Si tratta di una patologia costituita da due diverse sindromi, una grave condizione chiamata encefalopatia di Wernicke ed una condizione debilitante nota come psicosi di Korsakoff. I sintomi dell’encefalopatia di Wernicke comprendono: confusone, paralisi dei nervi oculari e difficoltà di coordinazione dei muscoli. I pazienti con encefalopatia di wernicke potrebbero avere difficoltà a trovare la via d’uscita all’interno di una stanza o essere addirittura incapaci di deambulare. Circa l’80-90% dei soggetti alcolisti con encefalopatia di Wernicke sviluppano anche psicosi di Korsakoffm, una sindrome cronica e debilitante caratterizzata da persistenti problemi di apprendimento e di memoria. I pazienti affetti da questa sindrome sono smemorati e ed hanno difficoltà a deambulare e a coordinare i movimenti. Oltre a non riuscire a ricordare vecchie informazioni, hanno difficoltà anche ad acquisirne di nuove.

L’assunzione di alcool in forti quantità e per lunghi periodi di tempo può danneggiare il fegato, l’organo principalmente responsabile della metabolizzazione dell’alcool. Molte persone tuttavia, potrebbero non essere al corrente della loro disfunzione al fegato, di avere ad es. la cirrosi derivante dall’abuso di alcool, e ciò potrebbe causare danni al cervello con un conseguente disturbo cerebrale potenzialmente mortale noto come encefalopatia epatica.
L’encefalopatia epatica può causare cambiamenti del sonno, dell’umore e della personalità, condizioni psichiatriche quali l’ansia e la depressione, gravi effetti a livello cognitivo quale ad es. una minore capacità attentiva; nei casi più gravi può portare a coma potenzialmente mortale.

Nuove e sofisticate tecniche di visualizzazione hanno consentito ai ricercatori di studiare specifiche aree cerebrali di pazienti con patologie al fegato derivanti da uso alcolico importante, fornendo loro una più chiara comprensione di come si sviluppa l’encefalopatia epatica. Questi studi hanno confermato che almeno due sostanze tossiche, l’ammoniaca e il manganese, giocherebbero un ruolo cruciale nello sviluppo di questa patologia. Le cellule del fegato danneggiate dall’alcool fanno sì che eccessive quantità di queste sostanze dannose entrino nell’organismo, danneggiando così le cellule cerebrali.

L’assunzione di alcool in forti quantità e per lunghi periodi può anche provocare il rimpicciolimento del cervello e una deficienza di fibre (materia bianca) che trasportano le informazioni tra le cellule nervose (materia grigia). La MRI e il DTI vengono utilizzate insieme per valutare il cervello dei pazienti nel momento in cui interrompono l’assunzione cronica di alcool e successivamente dopo lunghi periodi di sobrietà, per monitorare possibili ricadute.

La visualizzazione con la PET consente ai ricercatori di vedere i danni del cervello derivanti da una forte assunzione di alcol: nelle persone affette da alcolismo, si riscontrano deficit nei lobi frontali che sono responsabili delle numerose funzioni associate all’apprendimento e alla memoria, così come nel cervelletto, che controlla il movimento e la coordinazione.

Un gruppo di ricercatori della University of Eastern Finland, ha condotto una ricerca per indagare l’effetto dell’ abuso di alcool sugli adolescenti: gli adolescenti che abusano di alcool hanno, rispetto ai loro pari, una minore quantità di materia grigia, un’ importante struttura cerebrale che regolerebbe i processi mnemonici, decisionali e di autocontrollo.
In particolare, ad essere sottosviluppate erano, in media, la corteccia cingolata anteriore bilaterale, la corteccia orbitofrontale destra e prefrontale, il giro temporale superiore destro e la corteccia insulare destra.

La sezione frontale del cervello, che aiuta le persone a pianificare e prendere decisioni, continua il suo sviluppo, fino a circa i 20 anni di età. I teenagers si trovano quindi in una “finestra di vulnerabilità”, in cui sono più predisposti allo sviluppo di problemi legati all’ abuso di sostanze. In aggiunta, se i giovani sviluppano una tendenza a bere molto durante questo periodo sensibile, questo potrebbe causare dei danni alle strutture cerebrali comportando un inasprimento del comportamento di abuso e causando altri problemi di comportamento, come abbandono scolastico o la messa in atto di comportamenti sessuali rischiosi.

Il forte abuso di alcolici può causare significativi cambiamenti neurofisiologici e cognitivi che vanno da comuni disturbi del sonno fino ad effetti neurotossici cerebrali diretti o indiretti più gravi.

L’abuso corrente di alcolici nei soggetti di età più avanzata è associato ad un impoverimento consistente del funzionamento cognitivo globale, dell’apprendimento, della memoria e delle funzioni motorie. Inoltre una storia duratura di dipendenza da alcolici è associata ad uno scarso funzionamento negli stessi domini neurocognitivi sopracitati, così come nel dominio di attenzione/esecuzione, a prescindere dall’età. In sintesi, seppur l’abuso corrente di alcolici risulti associato a prestazioni insufficienti in un gran numero di domini neurocognitivi, sembra che una storia di dipendenza alcolica, anche in assenza di uso corrente di alcolici, determini conseguenze negative più durature.

Alcolismo e ricadute

Una delle poche aree di consenso nel trattamento dell’ alcolismo riguarda l’idea che l’ alcolismo sia una condizione cronica con alto rischio di ricaduta.
Gli studi hanno riportato un tasso del 80% o più di ricadute dopo 6 mesi dal trattamento, con esiti dei singoli pazienti che si sono rivelati altamente instabili nel corso del tempo.

Le ricerche suggeriscono che i pazienti con alcolismo hanno difficoltà nell’intraprendere un cambiamento per conto proprio e che il problema centrale, come in altri problemi di dipendenza, è mantenere il cambiamento nel tempo. (H.M Annis, 1986. pp. 407–408)

Nel percorso che porta l’alcolista inattivo alla ricaduta, egli compie una serie di “atti apparentemente insignificanti” che progressivamente lo avvicinano all’alcool cosi che la ricaduta inizia prima del primo uso di alcool e continua dopo l’uso iniziale.

I fattori determinanti di ricaduta sono:

  • Situazioni ad “Alto rischio”, ovvero tutte quelle situazioni che sono state identificate dai pazienti come fattore principale di ricaduta e che in ordine di importanza possono essere categorizzate come: stati emotivi negativi (rabbia, ansia, depressione, frustrazione, noia) situazioni interpersonali (in special modo di conflitto) pressione sociale (ad esempio essere con altre persone che stanno bevendo) o perfino stati emotivi positivi (desiderio di mettere alla prova la propria forza di volontà).
  • La capacità di coping personale, nella misura in cui un paziente è esposto ad una situazione ad “alto rischio” come quelle categorizzate sopra, l’esito o meno verso una ricaduta dipende dalla risposta del paziente alla situazione, che a sua volta è determinata dalla sua capacità di coping, ovvero la capacità di far fronte con strategie comportamentali o cognitive alla situazione di esposizione.
  • Le aspettative sugli effetti positivi dell’alcool nel far fronte a situazioni di malessere intra o interpersonale; maggiore è questa aspettativa, maggiore è il rischio di ricaduta.
  • L’effetto “violazione dell’astinenza” ovvero l’attribuzione di significato che il paziente da alla prima violazione dell’astinenza. Un’ attribuzione legata a vissuti di fallimento personale e inadeguatezza anziché ad una non ancora completa abilità nell’affrontare situazioni ad “alto rischio”, porta più facilmente ad una seconda violazione e all’abbandono del trattamento. (M. E. Larimer, R.S. Palmer, G. Alan Marlatt, 1999)
  • Variabili esistenziali in termini di livelli di stress (lavoro, famiglia, ecc.)
  • I fattori cognitivi che possono ripristinare le condizioni che determinano la ricaduta, come la razionalizzazione, la negazione e il desiderio di gratificazione immediata o craving.

Inoltre è stato trovato che il craving nelle prime due settimane di astinenza correla positivamente con ricaduta tra 3 e 12 settimane e che la voglia di alcol indotta da umore negativo è un predittore di recidiva. (O. Vuković, T. Cvetic, M. Zebić, N. Marić, A. Damjanović, M. Jašović-Gašić , 2008)

Il fallimento del processo di fronteggiamento delle “Situazioni ad Alto Rischio”, fa si che il paziente con alcolismo inattivo assuma la prima dose di alcool innescando l’“effetto di violazione dell’astinenza” (“effetto primo bicchiere”), cui seguono sentimenti di fallimento e di incontrollabilità della situazione, e, quasi inesorabilmente la ricaduta completa. Può apparire stupefacente che le condizioni emotive e i conflitti interpersonali siano situazioni a rischio più frequenti che le occasioni o le pressioni sociali.

Sitografia

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