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Craving – Pensiero Desiderante

Craving è desiderio impulsivo per una sostanza, cibo o altro oggetto-comportamento gratificante. Il desiderio impulsivo sostiene il comportamento addittivo

Il craving è il desiderio impulsivo per una sostanza psicoattiva, per un cibo o per qualunque altro oggetto-comportamento gratificante. Questo desiderio impulsivo sostiene il comportamento “addittivo” e la compulsione, finalizzati a fruire dell’oggetto di desiderio. Il craving sarebbe prontamente stimolato da fattori previamente associati con la sostanza, elementi capaci di svolgere un ruolo “trigger”, cioè “grilletto”, che innescano con un meccanismo di condizionamento, e di associazione di idee, il desiderio della gratificazione ottenuta chimicamente.

Craving e sostanza cos'è il craving e i possibili approcci terapeutici

Il termine droga ha tre significati: identifica le spezie, individua alcuni farmaci e indica la sostanza stupefacente. Il primo significato è collegato alla consuetudine della cucina asiatica di condire con droghe (spezie) le pietanze. Questa usanza fu introdotta anche in Europa intorno al XVI secolo con la colonizzazione olandese dell’Asia. Non a caso etimologicamente il termine “droga” discende dall’olandese droog, che significa “arido, secco”, poiché la droga è originariamente una pianta secca, riservata agli usi della cucina e della farmacia.

Anche alla farmacia, dunque, è collegato l’uso delle droghe. Tirtamo di Ereso, meglio noto come Teofrasto (371 a.C.–287 a.C.), nel libro IX del suo Historia Plantarum (un trattato sulla botanica) classifica, per la prima volta, droghe e medicinali con il loro annesso valore terapeutico. In riferimento all’oppio scrisse: «Ne serve una dracma per essere euforici, il doppio per avere allucinazioni, tre volte per il delirio conclamato e una dose quadrupla per morire». Il valore medicinale delle droghe è riconosciuto anche dai medici arabi dell’antichità. In Europa bisogna aspettare gli inizi del XIX secolo per l’introduzione in ambito medico di sostanze ricavate dal papavero, l’oppio e l’hashish, usate come potentissimi calmanti.

In seguito all’uso non terapeutico e alla scoperta degli effetti negativi associati all’uso di questi composti, la droga diventa sinonimo di sostanza stupefacente. L’uso di droghe come stupefacente è antico, e ha toccato un po’ tutte le civiltà. Fin dai tempi più remoti, infatti, l’uomo ha sempre ricercato sostanze in grado di agire favorevolmente su psiche e corpo. Ciò finalizzato alla guarigione di malattie, al miglioramento delle prestazioni fisiche e intellettuali, all’induzione della felicità e all’annullamento di ogni sgradevole sensazione psico-fisica, procurandosi il sonno, evadendo dalla realtà, ottenendo piacere o facilitando il contatto con la divinità.

Definizione di craving

Il craving è il desiderio impulsivo per una sostanza psicoattiva, per un cibo o per qualunque altro oggetto-comportamento gratificante. Questo desiderio impulsivo sostiene il comportamento “addittivo” e la compulsione, finalizzati a fruire dell’oggetto di desiderio.

Per craving, o appetizione patologica, si intende anche il desiderio irrefrenabile di assumere una sostanza, desiderio che, se non soddisfatto, provoca sofferenza fisica e psichica, accompagnata da astenia, anoressia, ansia e insonnia, irritabilità, aggressività, depressione o iperattività (Cibin, 1993).

Il craving sarebbe prontamente stimolato da fattori previamente associati con la sostanza, elementi capaci di svolgere un ruolo “trigger”, cioè “grilletto”, che innescano con un meccanismo di condizionamento, e di associazione di idee, il desiderio della gratificazione ottenuta chimicamente (Meyer, 2000).

L’urgenza di utilizzare la sostanza è connessa con un conflitto nell’ambito cognitivo tra la motivazione all’assunzione e la consapevolezza del rischio che ne deriva. In quest’ottica il craving diviene funzione di diversi fattori che interagiscono in un mutevole equilibrio con il mondo intrapsichico e con le interferenze ambientali. Tra questi fattori, primo tra tutti, è il desiderio della sostanza sostenuto dall’esposizione a stimoli condizionanti (cue), dallo stress e da condizioni a rischio del tono dell’umore (trigger mood) (Szegedi 2000); ad interferire con questo fattore di base viene la capacità di adattamento legata ai tratti temperamentali, alle caratteristiche psicologiche e ai disturbi psichiatrici, nonché la consapevolezza del rischio connessa invece con la storia individuale, i fattori culturali, ambientali e relazionali.

Il craving, dunque rappresenta il desiderio per gli effetti della sostanza di cui il soggetto ha già fatto esperienza e che sono risultati gratificanti: elementi portanti a supporto del craving sarebbero l’impiego eccessivo della sostanza, in particolare durante l’astinenza dopo un periodo di dipendenza; il cambiamento della soglia della gratificazione a livello del Sistema Nervoso Centrale, con stati affettivi negativi, e i “rinforzi” indotti a partire da meccanismi condizionati.

Forme del craving

Sono state definite due forme di craving distinte dal punto di vista delle aspettative del paziente: da un lato la preoccupazione di assumere la sostanza per evitare l’astinenza, che viene definita “craving negativo”; dall’altro la compulsione nei confronti della sostanza sostenuta dall’aspettativa di una incentivazione, di una gratificazione. In questo caso la ricerca di un “reward” produrrebbe un “craving positivo” (Petrakis, 1999).

Elementi che sostengono il comportamento di dipendenza dalla sostanza

Per ciò che concerne gli elementi biologici che possono sostenere la percezione del craving occorre distinguere le condizioni evocate dai disturbi astinenziali da quelle invece prodotte dall’esposizione a elementi trigger (Wiesbeck 2000).

Le prime, quelle correlate con l’astinenza, corrispondono a un ridotto tono dopaminergico a livello del sistema della gratificazione, fatto estensibile a tutte le sostanze d’abuso; un deficit serotoninergico è stato, invece, rilevato in relazione all’interruzione dell’assunzione di cocaina, insieme con il “derangement” di tutte le altre monoamine cerebrali.

Al contrario il craving connesso con l’esposizione ai “cue” presenta una natura neurobiologica diversa, dove la secrezione di dopamina sarebbe associata proprio alla aspettativa della gratificazione.

Le funzioni del craving

Se si considerano le interazioni tra aspetti biologici e elementi comportamentali, il craving può essere visto dal punto di vista della sostanza psicoattiva, e cioè dal livello di capacità addittiva della sostanza: in questo caso il craving sarà sostenuto da alterazioni biologiche indotte relativamente agli effetti gratificanti della droga, o all’astinenza dalla stessa.

In un secondo caso, il craving sarà maggiormente fondato sulla necessità di auto medicare quella che Blum chiama Reward Deficiency Syndrome: questa forma di craving è maggiormente legata all’individuo, e non alla sostanza gratificante in sé: l’urgenza di usare l’alcool o la droga è connessa, in questo caso, ad alterazioni biologiche preesistenti la storia di droga, determinate geneticamente e da precocissime interferenze ambientali.

Una terza, e più complicata situazione, vede il craving sostenuto dal desiderio di curare, o anestetizzare sul nascere, o distrarre l’attenzione, rispetto a problematiche di carattere psicopatologico che in qualche modo hanno costituito gli elementi causali dello sviluppo del disturbo da uso di sostanze.
Questa ultima forma di craving, più difficile da distinguere da un aspecifico distress che si verifica al momento della disassuefazione, può essere biologicamente supportata dalle diverse alterazioni che la psichiatria biologica ha sinora evidenziato in associazione con i disturbi psichiatrici (Monti 2000).

La neurobiologia del craving

Un numero sempre maggiore di studi hanno evidenziato l’associazione tra l’impulsività e il craving per alcool, cocaina, meta-anfetamina e tabacco (Potvin et al., 2015).

Vi è oggi un sostanziale accordo sul fatto che il craving è una sorta di “via finale” risultante dalla combinazione di diversi fattori quali la situazione emotiva, la reattività agli stimoli, la capacità di controllo e l’autoefficacia, la situazione fisica, le cognizioni sulla propria condizione. Questa varietà di fattori trova il suo corrispettivo neurobiologico nella “cascata” neurotrasmettitoriale che modula l’increzione di dopamina nel sistema a ricompensa mesolimbico e in particolare nel nucleo accumbens e in cui sono coinvolti serotonina, endorfine, Gaba, glutammato (Blum et al., 2000; Gass e Olive, 2008; Ferdico, 2011).

In uno studio di Milella et al. è stato riscontrato come il rilascio di Dopamina non sia circoscritto alle regioni dello striato, ma anche a quelle corticali, con meccanismi di regolazione indipendenti. Il sistema a ricompensa in condizioni fisiologiche è deputato a “produrre” il piacere legato a stimoli quali il cibo, il sonno, l’attività sessuale: se un deficit o uno squilibrio interrompe o distorce tale sistema, il risultato finale è la percezione di ansia o angoscia e un intenso desiderio di assumere una sostanza in grado di alleviare tali sensazioni. Infine in uno studio di Hassani-Abhairan et al. sono stati proposti differenti correlati neurali alla risposta soggettiva di craving; queste funzioni cognitive potrebbero rappresentare i risultati motivazionali e affettivi in un’unica voce “sentimento desiderio soggettivo” o in self-report con più elementi scindibili, come intenzione, necessità, immaginazione, o sentimento negativo.

Il trattamento cognitivo comportamentale del craving

Diversi approcci cognitivo-comportamentali propongono trattamenti e protocolli specifici indirizzati soprattutto al trattamento del craving. In una recente review (Da Silva Roggi PM, 2015) vengono esaminati i trattamenti CBT più recenti e validati.

Comunemente nei trattamenti CBT su craving e dipendenze vengono integrati diversi strumenti e tecniche. I più frequenti sono la psicoeducazione, la gestione dello stress e la gestione del livello dell’umore, l’intervista motivazionale, le tecniche espositive con prevenzione della risposta, le tecniche di rilassamento e la prevenzione delle ricadute.

Tra i protocolli, uno dei più citati in letteratura è il protocollo sviluppato dal progetto MATCH (Kadden, 1992). Il protocollo MATCH include elementi della Cognitive-Behavioral Skills Therapy, della Motivation Enhancement Therapy e della Twelve-Step Facilitation Therapy.

Un altro protocollo molto utilizzato è quello della CET (Cue-Exposure Therapy). La CET consiste in esposizioni ripetute e controllate a stimoli drug-related, con lo scopo di ridurre la reattività a stimoli successivi attraverso l’estinzione per abituazione. Come per altre tecniche espositive, anche il trattamento attraverso la CET inizia con l’esposizione a stimoli a bassa reattività, per poi procedere con stimoli sempre più attivanti nelle fasi più avanzate del trattamento. In alcune situazioni è stato anche proposto attraverso esposizioni computerizzate in realtà virtuale (Lee et al., 2007)

Gli interventi basati sulla Mindfulness favoriscono invece lo sviluppo delle abilità di osservare il nascere e il successivo spegnersi del craving e dei comportamenti da esso originati, offrendo così l’opportunità di affrontare questi contenuti di pensiero con azioni più adattive.

Seguendo la tradizione lanciata dal protocollo MBSR, è stato sviluppato infatti un protocollo di 8 settimane specificatamente indirizzato al trattamento delle dipendenze: il programma di Mindfulness-Based Relapse Prevention (MBRP) integra le pratiche di consapevolezza meditativa con tecniche cognitivo-comportamentali standard per la prevenzione delle ricadute. In queste pratiche sono incluse pratiche focalizzate all’osservazione e alla risposta consapevole al craving (Bowen et al, 2009).

Infine si possono trovare in letteratura studi di efficacia di trattamenti sull’abuso di sostanze basati sull’Attentional Bias Modification, sul Contingency management e sul Trauma-Focused Imaginal Exposure.

L’attentional Bias Modification (ABM) consiste in un training specifico per sganciare il focus attentivo dagli stimoli drug-related. Per quanto il trattamento abbia efficacia nel ridurre la risposta a nuovi stimoli relati all’utilizzo di sostanze, non esistono attualmente effetti significativi legati all’efficacia sul craving da alcool, mentre si ritrovano risultati contrastanti nel trattamento del craving da nicotina (Da Silva Roggi PM, 2015).

Il training basato sulla gestione delle contingenze (CM) consiste nel fornire rinforzi tangibili al raggiungimento di obiettivi significativi nell’astinenza da sostanze o in altri comportamenti desiderati e individuati come target dell’intervento. Risulta essere di semplice gestione e quindi un trattamento utilizzato nei pazienti dove l’abuso di sostanze risulta essere in comorbidità con altri gravi disturbi. Uno studio (Tidey et al, 2011) mostra l’utilizzo del trattamento in pazienti con Schizofrenia e indica l’ottenimento di una riduzione del craving, anche se a livelli non significativi.

In ultimo si può citare uno studio con pazienti dipendenti da alcool e con Disturbo da Stress Post Traumatico, dove il trattamento di esposizione immaginativa focalizzata sul trauma ha prodotto una riduzione significativa del craving generato da stimoli alcool-related e trauma-related (Coffrey et al, 2006).

FONTE: Craving e sostanza: cos’è il craving e i possibili approcci terapeutici

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