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Il pensiero desiderante durante l’isolamento

Attraverso il pensiero desiderante ogni favola si realizza, ma che succede se costruiamo nella nostra mente un cambiamento che è operativamente impossibile?

Di Virginia Valentino

Pubblicato il 28 Apr. 2020

Di per sé, il pensiero desiderante può avere delle ricadute positive perché sostiene la motivazione alla realizzazione di uno scopo raggiungibile e, lì dove esso non lo sia immediatamente, aiuta a tollerare attesa e frustrazione e, addirittura, a pianificare strategie (Castelfranchi, 2007). L’attività desiderante diventa disfunzionale, invece, nel momento in cui ci rinchiude in costruzioni di immagini o di azioni irrealizzabili e quando diventa pervasiva, rigida.

 

“Respira. E affronta questo giorno come se fosse il primo”.

“Fosse facile…” risponderebbe ogni essere umano nel momento storico che proviamo ad affrontare.

Esiste un sistema motivazionale che ci spinge a muoverci, a sperimentare, a lasciarci trasportare dalla curiosità. Si chiama “esplorazione” e “autonomia” (Liotti & Monticelli, 2008). Eppure ci è stata detta una cosa chiara e ben precisa: dobbiamo stare a casa. E una volta esplorati i meandri delle nostre già ben note dimore, ahimè, ci resta ben poco da fare. E qui, chi prima e chi dopo, sfoggia sul tavolo gli assi nella manica. Strategie, modi per gestire i tempi vuoti e piatti. Tentativi di fronteggiare le emozioni che derivano dal senso di costrizione che sono varie e personali: ansia, paura, tristezza, rabbia. Il ventaglio è vasto. Alcune di esse rappresentano risposte automatiche e procedurali, incarnate nel nostro corpo (Dimaggio et al., 2019). Appena lo scorso weekend, ho notato di aver investito almeno 3 ore della mia giornata in una attività falsamente efficace per allontanare l’ansia ma che, in fin dei conti, non mi ha portato assolutamente a niente. Alla fine, mi sono ritrovata ugualmente con un po’ di tachicardia e con i più disparati scenari futuri catastrofici. Eppure, vi giuro, all’inizio sembrava davvero funzionare: un’attività che non richiedeva nient’altro che restare seduti sul divano, o sul letto, o in piedi davanti al camino. Fantasticavo.

Il pensiero desiderante (PD) è una strategia di coping cognitiva perseverativa con cui spesso gestiamo l’attivazione dello schema maladattivo interpersonale e le conseguenti emozioni negative (Dimaggio et al., 2019). Il contenuto dei pensieri desideranti può essere uno stato o un’azione vera e propria (Salkovskis & Reynolds, 1994). Tale processo funziona perché simula, nel cervello, l’attivazione neurale dei circuiti deputati a provare piacere nello stesso modo in cui accade quando siamo davvero impegnati in attività soddisfacenti. In tal senso, la dopamina riveste un ruolo cruciale.

Di per sé, il PD può avere delle ricadute positive perché sostiene la motivazione alla realizzazione di uno scopo raggiungibile e, lì dove esso non lo sia immediatamente, aiuta a tollerare attesa e frustrazione e, addirittura, a pianificare strategie (Castelfranchi, 2007). L’attività desiderante diventa disfunzionale, invece, nel momento in cui ci rinchiude in costruzioni di immagini o di azioni irrealizzabili e quando diventa pervasiva, rigida. In questo caso il PD non spinge più all’azione ma si sostituisce totalmente ad essa, generando un circolo vizioso in cui si sopprimono, allontanano e inibiscono le emozioni. A livello emotivo, infatti, il PD ci fa subito sentire bene, appagati, felici. È l’antidolorifico di ogni male. Dopo pochi istanti però ritorna tutto. L’emozione spesso resta identica, l’intensità cambia. E non sempre in meglio.

Quindi il PD diviene una strategia disfunzionale che prova a gestire il gap tra lo stato attuale e quello desiderato ed è sostenuto dalle metacredenze positive (Wells, 2000) in merito alla funzione e alle conseguenze di esso. In breve, crediamo che funzioni! Invece, le emozioni belle si spengono alla chiusura del sipario della nostra mente; frustrazione, rabbia, senso di costrizione restano e se il focus attentivo resta su di esse, diventa davvero difficile sganciarsene.

Attraverso il pensiero desiderante ogni favola si realizza. Il debole si riscatta. Gli eventi si sovvertono come Biancaneve che sposa il principe azzurro e Jane che resta con Tarzan. Ma che succede se il principe non esiste o, guarda un po’, ci dimentichiamo che è indisponibile? Che succede se costruiamo nella nostra mente un cambiamento che è operativamente impossibile? Succede che pianifichiamo qualcosa di irrealizzabile e dopo, quando e se ce ne rendiamo conto, stiamo peggio.

In questo periodo di isolamento, in cui l’esplorazione è fisiologicamente bloccata, è molto semplice scivolare incautamente nel PD. Sicuramente ce ne è di tempo per sentirci felici e drogati di fantasie nei momenti vuoti, noiosi o dolorosi. Io per ora ho già immaginato di trascorrere Pasqua a Lisbona. Di concludere quello specifico progetto di lavoro. Ho ultimato gli arredamenti della mia casa e sono andata in concessionaria per l’acquisto della macchina dei miei sogni. Ah, ho anche cantato a squarciagola al concerto per cui ho acquistato un biglietto 6 mesi fa. Eppure…viaggiare è impossibile. Il mio studio è fisicamente chiuso e non posso vedere i miei colleghi. Concerti ne sono stati annullati a iosa.

Esistono due strumenti che fanno parte della cassetta degli attrezzi di una sopravvivenza efficace: accettazione e consapevolezza, provando a non considerare questi processi come rassegnazione passiva ai compromessi. La mindfulness ce lo insegna, con i suoi pilastri che ricordano l’importanza della pazienza, della sospensione del giudizio, della non azione, della possibilità di stare nel qui e ora, accettando il momento presente così com’è. Essa ci guida nella sospensione del rimuginio o della ruminazione mentale aprendoci all’esperienza del momento presente così come è, senza giudicarla perché è l’unica disponibile. Inoltre, in questo modo, non andiamo ad alimentare le emozioni negative che ci capita di provare. In questo modo, invece di impelagarci nel contenuto dei pensieri, modifichiamo il rapporto con essi (Kabat-Zinn, 2003).

Per chi è alle prime armi potrebbe andare bene una via di mezzo. Posso sognare di fare un viaggio romantico alle Maldive, ma magari non con L. che è felicemente sposato. Posso sognare di costruire una villa a tre piani con piscina, ma devo sentirmi pronta a chiedere quell’aumento che credo mi spetti. Posso voler pubblicare quel saggio, ma intanto so che devo studiare. Questo processo trasforma un pensiero desiderante in un piano di azione realizzabile. Oppure, permette di cercare soluzioni alternative ma adattive. Dall’altro lato, vi è la piena accettazione dello stato delle cose.

Ed è proprio in questo periodo che ne ho compreso l’utilità. È pur vero che l’elenco delle cose che non posso più fare mi provoca emozioni spiacevoli. Ma posso ricordarmi che è soltanto una fase momentanea. E che posso reinventare il tempo e i miei obiettivi in altri modi. E’ un po’ quello che succede quando desidero uno Spritz dopo lavoro al bar di fiducia, ma invece che dannarmi per il fatto che non posso andarci, chiamo degli amici per un aperitivo online. E se momentaneamente manca la tonica, beh posso brindare con un Martini. E se manca quello, ci sarà una birra o un bicchiere di vino. Alle brutte, ho scoperto che va bene anche un classico bicchiere d’acqua. Ghiaccio e limone possono fare la differenza.

In alterativa, portiamo l’attenzione al respiro, che rappresenta in ogni modo, l’essere nel momento presente. Osserviamolo con curiosità e senza giudicarlo. Provando a sospendere il pilota automatico che ci porta ad agire in maniera inconsapevole impedendoci di scegliere, laddove possibile, la cosa più funzionale per alleviare le nostre emozioni spiacevoli (e cambiare necessariamente lo stato delle cose).

Ora, come rispondereste a chi vi dice: “Respira. E affronta questo giorno come se fosse il primo”?

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Castelfranchi, C. (2007). Teoria degli scopi. Comunicazione personale.
  • Dimaggio G., Ottavi, P., Popolo R., Salvatore G. (2019). Corpo, immaginazione e cambiamento. Terapia metacognitiva interpersonale. Milano: Raffaello Cortina.
  • Liotti, G., Monticelli, F. (2008). I sistemi motivazionali nel dialogo clinico. Il manuale AIMIT. Raffaello Cortina Editore.
  • Salkovskis, P.M.; & Reynolds, M. (1994). Thought suppression and smoking cessation. Behaviour Research and Therapy, 32, 193-201.
  • Wells, A. (2000). Emotional Disorder and Metacognition: Innovative Cognitive Therapy. London: John Wiley & Sons Ltd (Trad. It. Disturbi emozionali e metacognizione. Trento: Erickson, 2002).
  • Kabat‐Zinn, J. (2003). Mindfulness: The heart of rehabilitation. In E. Leskowitz(Ed.), Complementary and alternative medicine in rehabilitation (pp. xi– xv). Saint Louis : Churchill Livingstone.
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