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L’utilizzo della Stimolazione Transcranica a Correnti Dirette (tDCS) nei disturbi da uso di sostanze

La Stimolazione Transcranica a Correnti Dirette (tDCS) è una tecnica ricca di potenziale, soprattutto nel campo dei disturbi da uso di sostanze e addiction.

Di Maria Carlucci

Pubblicato il 10 Gen. 2020

Lo studio del cervello ha affascinato gli scienziati di ogni epoca e gli effetti della corrente su di esso sono stati oggetto di un immenso interesse scientifico e non. Negli ultimi anni, la tDCS è stata sempre più utilizzata nella ricerca clinica psichiatrica ed in quella neuroscientifica di base con risultati positivi per alcuni disturbi mentali.

Maria Carlucci – OPEN SCHOOL, Studi Cognitivi di San Benedetto del Tronto

 

La Stimolazione Transcranica con Correnti Dirette (Transcranical Direct Current Stimulation o tDCS) è una metodica di stimolazione cerebrale non invasiva, capace di indurre cambiamenti funzionali nella corteccia cerebrale. La tDCS consiste essenzialmente nell’applicazione sullo scalpo di elettrodi eroganti una corrente continua di bassa intensità in grado di attraversare lo scalpo e influenzare le funzioni neuronali, trovando applicazione in numerosi ambiti clinici, diagnostici e di ricerca.

Se lo studio del cervello ha sempre suscitato grande fascino negli scienziati fin dall’antichità, gli effetti della corrente su di esso sono stati oggetto di un immenso interesse, scientifico e non, dal momento della sua scoperta in diverse parti del mondo. Gli effetti di un’incontrollata stimolazione del cervello, infatti, sono stati riportati fin dal passato.

Scribonius Largus (il fisico dell’imperatore romano Claudio), descrisse come, piazzando una torpedine viva sul capo per inviare una forte corrente elettrica, si potesse alleviare l’emicrania. Galeno di Pergamo, uno dei più grandi medici dell’antichità, e Plinio il vecchio descrissero risultati simili. Nel XI secolo, Ibn-Sidah, un fisico musulmano, suggerì di utilizzare un pesce gatto elettrico per il trattamento dell’epilessia. I metodi di stimolazione transcranica hanno dunque una lunga tradizione. Già intorno al 1800, quando Volta inventò la sua pila elettrica, i ricercatori cominciarono a studiare le applicazioni della corrente diretta in una varietà di disordini neurologici. Studiosi come Walsh (1773), Galvani (1791, 1797) e Volta stesso (1792) stabilirono che la stimolazione elettrica di varia durata potesse suscitare diversi effetti fisiologici. In casi riportati negli scritti dell’epoca, ma non ben documentati senza gli standard moderni, si affermò che i pazienti affetti da ictus cronico potessero trarre beneficio dall’applicazione diretta di corrente (Stagg & Nitsche, 2004). Il primo resoconto sistematico delle applicazioni cliniche della corrente galvanica è datato in questo periodo, quando Giovanni Aldini, il nipote di Galvani, e alcuni altri ricercatori utilizzarono la stimolazione transcranica come tecnica per curare la depressione. In breve tempo, nel XIX secolo, seguirono numerosi studi. Molti altri ricercatori utilizzarono nello stesso periodo la corrente galvanica per il trattamento di disordini mentali, ottenendo risultati non sempre soddisfacenti (Parent 2004).

Guardando alla storia più recente, l’utilizzo della terapia elettroconvulsiva e degli psicofarmaci e la mancanza di segnali neurofisiologici attendibili oscurarono l’utilizzo della corrente diretta sul sistema nervoso centrale come strumento terapeutico e di ricerca, specialmente nel campo della psichiatria. Tuttavia, la corrente galvanica continuò ad essere utilizzata senza interruzioni nel trattamento di disordini muscolo scheletrici e dolori periferici.

Questi primi sforzi in campo neurofisiologico, dunque, furono probabilmente abbandonati a causa della mancanza di metodi di valutazione affidabili. Quando nel 1998 fu possibile misurare gli effetti dell’applicazione di corrente diretta sulla corteccia motoria, a livello non invasivo, per mezzo della stimolazione magnetica transcranica, la tDCS diventò affidabile in termini di parametri quali l’intensità di stimolazione, la durata e la convalida degli effetti plastici che ne conseguono (Priori et al. 1998).

Gli studi di Priori (1998) seguiti da quelli di Nitsche e Paulus (2001), dimostrarono come una debole corrente diretta potesse effettivamente essere inviata a livello transcranico andando ad indurre cambiamenti bidirezionali nella corticale dipendenti dalla polarizzazione. In modo specifico, si notò che la corrente diretta anodica incrementava l’eccitabilità corticale, mentre quella catodica la decrementava. Si prospettò quindi il possibile utilizzo di questa tecnica al fine di analizzare la plasticità e l’eccitabilità cerebrale e come valida cura nel campo dei disordini neuropsichiatrici (Priori et al. 1998; Nitsche & Paulus 2001).

Negli ultimi anni, la tDCS è stata sempre più utilizzata nella ricerca clinica psichiatrica ed in quella neuroscientifica di base con risultati particolarmente positivi nella depressione maggiore. Oltre alla depressione, l’efficacia clinica della tDCS in psichiatria è stata valutata nell’ambito del disturbo bipolare, della schizofrenia, dei disturbi d’ansia e dei disturbi da uso di sostanze e addiction.

In questo ultimo ambito, recentemente, è stato osservato che l’applicazione della tDCS sulla corteccia dorsolaterale prefrontale (DLPFC) si è rivelata un utile strumento nella riduzione del craving sia nei disturbi da uso di sostanze che nelle dipendenze comportamentali, aprendo così, nuovi scenari di ricerca.

L’uso della tDCS nei Disturbi da Uso di Sostanze

Una recente revisione della letteratura ha individuato solamente 18 studi clinici randomizzati (RCT) che indagavano l’utilizzo della tDCS in soggetti con disturbo da uso di sostanza (le sostanze valutate erano alcol, caffeina, cannabis, cocaina, eroina, metamfetamine e nicotina); lo studio prendeva in considerazione 473 pazienti totali. Tra le 18 ricerche selezionate, 16 di esse hanno valutato l’utilizzo della tDCS sulla DLPFC ed 8 hanno evidenziato una riduzione del craving, mentre 2 coinvolgevano l’area fronto-parietale-temporale (FPT) e di esse 1 riportava una riduzione del craving.

In definitiva gli autori evidenziavano che i risultati positivi sul craving erano sostanzialmente equivalenti sia con tDCS anodica sulla DLPFC destra che con tDCS anodica sulla DLPFC sinistra. Dall’altro lato le limitazioni degli studi analizzati erano i campioni numericamente limitati (tra 12 e 49 soggetti), la mancanza di dati sull’efficacia a lungo termine e l’utilizzo di diversi protocolli e procedure di stimolazione (Lupi et al. 2017).

In questo scenario, nuove forme di trattamento che possano agire in maniera sinergica e complementare ai farmaci e alle altre terapie ufficialmente indicate sia nei SUDs che nei vari disturbi psichiatrici sono auspicabili e necessarie. Le tecniche di neuromodulazione si prestano particolarmente ad agire in sinergia con le altre terapie e stanno conducendo a una progressiva integrazione del paradigma recettoriale, proprio dell’approccio farmacologico, con quello “circuitale”, in cui le funzioni mentali sono correlate a specifici circuiti neurali, che a loro volta possono essere selettivamente modulati per scopi terapeutici o di ricerca. Tale integrazione trova il suo razionale nella fisiologia di base del sistema nervoso, secondo cui l’informazione viaggia tra i neuroni con una duplice codifica, elettrica e chimica. L’intervento combinato sulla componente elettrica dell’informazione (attraverso le tecniche di neuromodulazione) e su quella chimica (attraverso i farmaci) può consentire di ottenere effetti biologici sinergici e risultati terapeutici altrimenti irraggiungibili. Parimenti, le possibilità di integrazione della neuromodulazione con altre metodologie di approccio, quali la psicoterapia o la riabilitazione cognitiva, aprono scenari estremamente affascinanti che, partendo dal campo del trattamento psichiatrico, si inoltrano nell’indagine sul rapporto mente-cervello e sui meccanismi di plasticità e metaplasticità neurale che governano il rapporto individuo-ambiente, anche indipendentemente dai processi patologici e terapeutici.

D’altro canto, la tDCS presenta alcuni limiti, sia dal punto di vista prettamente strumentale, sia dal punto di vista dell’utilizzo. Per quanto riguarda l’ambito strumentale, un potenziale problema deriva dal fatto che gli strumenti della tDCS non sono standardizzati a livello mondiale. Questi strumenti infatti possono essere facilmente costruiti utilizzando l’attrezzatura e la tecnologia standardizzata nei laboratori di ingegneria anche al college o nelle università. Di conseguenza si possono trovare almeno una dozzina di strumentazioni tDCS differenti in tutti i laboratori di modulazione a livello mondiale, rendendone difficoltosa l’universalizzazione. Gli strumenti della tDCS, inoltre, non sono cambiati drasticamente dai tempi in cui la batteria fu scoperta per la prima volta. Pertanto la tecnologia convenzionale presenta determinati limiti. Questi includono la focalizzazione dell’area stimolata, la profondità di penetrazione ed il controllo della localizzazione del bersaglio.

In conclusione, possiamo dire che la tDCS si presenta comunque come una tecnica non invasiva, ben tollerata dai pazienti, i cui effetti collaterali sono ridotti al minimo. Questo la rende oggetto di un enorme interesse da parte di studiosi di diversi ambiti, tra cui quello clinico, in cui la ricerca delle cause che stanno alla base delle malattie e delle cure più appropriate per il loro trattamento non possono prescindere da una completa sicurezza per la salute del paziente. Tuttavia, anche se il numero di applicazioni cliniche della tecnica è cresciuto a livello esponenziale negli ultimi anni, allo stesso tempo la sua comparsa in ambito clinico ha suscitato la nascita di nuove questioni da dover risolvere. Molte sono le domande a cui dare ancora risposta, risposte che non sono ancora tutt’ora abbastanza precise, e molti sono ancora i quesiti da risolvere nella comprensione dell’esatto funzionamento della tDCS in determinati ambiti per poterne garantire l’utilizzo sicuro in campo clinico.

Sebbene la strada da percorrere per comprendere a fondo gli effetti ed i meccanismi d’azione di questa metodica sia ancora lunga, essa rappresenta tuttavia una tecnica ricca di potenziale, soprattutto nel campo delle addiction. Solo il proseguimento delle sperimentazioni permetterà di verificare la reale portata dei suoi effetti e determinare in futuro la possibilità di utilizzo in ambito clinico.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Stagg C.J., Nitsche M.A. (2011). Physiological basis of transcranial direct current stimulation. Neuroscientist; 17(1):37-53.
  • Parent A., Aldini G. (2004). From animal electricity to human brain stimulation. Can J Neurol Sci;31(4):576-84.
  • Priori A., Berardelli A., Rona S., Accornero N., Manfredi M. (1998). Polarization of the human motor cortex through the scalp. Neuroreport; 9: 2257–60.
  • Nitsche M.A., Paulus W. (2001). Sustained excitability elevations induced by transcranial DC motor cortex stimulation in humans. Neurology; 57: 1899–1901.
  • Lupi M., Martinotti G., Santacroce R., Cinosi E., Carlucci M., Marini S., Acciavatti T., Di Giannantonio M. (2017). Transcranial Direct Current Stimulation in Substance Use Disorders: A Systematic Review of Scientific Literature. J ECT.
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