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Shopping Compulsivo

Lo shopping compulsivo è caratterizzato da un’incontrollata tendenza all’acquisto che può produrre notevole disagio emotivo e conseguenze sociali dannose

Shopping compulsivo
Vignette a cura di Lorenzo Recanatini – Alpes Editore

Lo shopping compulsivo (compulsive buying) è caratterizzato da un’eccessiva e incontrollata tendenza all’acquisto e alla spesa di denaro che può produrre notevole disagio emotivo e dannose conseguenze sociali e finanziarie.

I pazienti con un disturbo da shopping compulsivo tendono a usare l’acquisto come strategia di regolazione di un’escalation di emozioni negative ch può anche dipendere da problemi non connessi all’azione dell’acquisto. Secondariamente queste persone sono più sensibili, già a un livello neurochimico, al piacere derivato da una ricompensa o da una gratificazione. Infine mostrano una scarsa capacità di uscire dall’urgenza del presente, non solo nel momento dell’acquisto, e ad assumere un atteggiamento distaccato e decentrato rispetto a emozioni e pensieri che sorgono nel presente.

Stephen Kellett e Jessica V. Bolton (2009) hanno tentato di fornire un possibile modello cognitivo-comportamentale del disturbo dello shopping compulsivo al fine di stimolare una valutazione e un trattamento più adeguato dei pazienti che presentato le particolarità dello shopping compulsivo.

Gli autori hanno individuato in letteratura le principali caratteristiche, definendo quindi lo shopping compulsivo come essenzialmente caratterizzato da singoli comportamenti disadattivi ed estremi. L’atto dell’acquisto nello shopping compulsivo è sperimentato come un impulso incontrollabile e irresistibile, che comporta attività singole eccessive, costose e dispendiose in termini di tempo. Tipicamente è un comportamento messo in atto in risposta ad emozioni negative, dando origine così a difficoltà finanziarie, personali e/o sociali.

In letteratura emerge che lo shopping compulsivo, a differenza di altri disturbi del controllo degli impulsi, come il gioco d’azzardo patologico o la tricotillomania (DSM-IV), sembra essere tollerato dalla società invece di essere seriamente considerato come possibile genesi di un disagio familiare, sociale ed individuale, significativo e potenzialmente cronico. Inoltre risulta che lo shopping compulsivo può essere facilmente mascherato come shopping, attività socialmente accettabile; inoltre non esistono segni fisici indicativi di un problema e comportamenti da shopping compulsivo isolati non risultano agli occhi degli altri immediatamente bizzarri o comunque evidenti.

Il modello presentato da Kellett e Bolton prevede quattro fasi distinte:

1. Fattori antecedenti: precoci esperienze di vita e ambiente familiare (abuso e/o maltrattamento, criticismo e/o perfezionismo genitoriale) che costituiscono fattori di vulnerabilità. Ad esempio genitori in difficoltà (ad esempio depressi o alcolizzati, solo per citare due casi) che ignorano i propri figli o che utilizzano soldi e regali come rinforzo positivo per elicitare comportamenti desiderati nei propri figli costituiscono le condizioni favorevole per porre le basi per un forte attaccamento al patrimonio, che in seguito potrebbe funzionare da strumento per creare e mantenere un senso di autodefinizione;

2. Trigger interni ed esterni: stati emotivi interni (depressione, ansia, senso di sé sgradevole) e stimoli esterni (pubblicità, interazioni con i negozi, utilizzo di carte di credito) che possono indurre a fare acquisti di impulso

3. Atto dell’acquisto: nel momento dell’acquisto i compratori compulsivi sperimentano un restringimento dei processi attentivi che sembra essere indicativo di uno stato mentale “assorbito” (stato alterato e dissociato della mente durante il quale l’elaborazione efficace delle informazioni è generalmente alterata) compromettendo qualsiasi processo cognitivo esecutivo/riflessivo, che facilita gli sforzi di autoregolazione efficace (ad esempio: “io sono consapevole di me stesso e delle mie vere motivazioni per l’acquisto di questo prodotto mentre sto considerando di comprarlo”). Durante uno stato dissociato/assorbito aumenta la responsività emotiva e si riduce il processo di elaborazione dell’informazione, favorendo così gli effetti positivi per il proprio umore dovuti all’acquisto. Si origina, quindi, un circuito di feedback positivo: “acquistare mi fa stare bene”. In questa fase si sperimentano stati emotivi come: sollievo, gratificazione, miglioramento dell’umore e dell’autostima, che risultano però temporanei.

Generalmente l’acquisto in questa fase viene fatto in solitudine poiché la presenza degli altri provoca irritazione e noia. Probabilmente perché, presupponendo che i compratori compulsivi ricerchino effettivamente uno stato di assorbimento, l’interazione con gli altri impedisce il raggiungimento di tale stato;

4. Post-acquisto: consapevolezza di un’incapacità di autoregolazione che determina emozioni come senso di colpa, vergogna, rimorso e disperazione, seguite da comportamenti specifici come nascondere l’acquisto o ignorarlo.

Il modello descrive lo shopping compulsivo come un circolo vizioso, in cui la fase finale, dove si sperimentano gli aspetti negativi dell’acquisto ed emerge lo schema disfunzionale che ha dato origine all’acquisto stesso “Sono sgradevole ed indesiderato”, pone le basi per i trigger emotivi e psicologici per l’inizio di un nuovo circolo, mantenendo così il disturbo. Lo shopping compulsivo può quindi auto-rinforzarsi nel corso del tempo.

La principale implicazione per il trattamento di questo disturbo è rappresentato dal fatto che lo shopping compulsivo potrebbe essere ri-concettualizzato come un fallimento cronico e ripetitivo nell’auto-regolazione, e quindi gli interventi psicologici possono regolare questo aspetto nel tentativo di favorire il cambiamento.

Per quanto riguarda la terapia, il confortante risultato è che la terapia di gruppo cognitivo comportamentale applicata a pazienti con shopping compulsivo ha mostrato risultati preliminari incoraggianti (Mitchell et al., 2006). Questo significa che le conoscenze generali sul modello teorico e clinico cognitivo e comportamentale possono già dare un significativo contributo al trattamento di questo disturbo. Questo risultato però non può essere sufficiente, occorre infatti valutare quali sono fattori di rischio e di mantenimento specifici del disturbo.

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