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Neuroscienze, neuromarkenting e studi sul decision-making – Intervista al Prof. Davide Rigoni

Il 9 aprile 2020 il IProf. Davide Rigoni ha condiviso con noi il suo punto di vista sul neuromarketing e sulle sue applicazioni attuali e future

Di Federico Frosoni

Pubblicato il 11 Giu. 2020

Qualsiasi elemento dell’ambiente potenzialmente può influenzare le nostre scelte. Il neuromarketing si dimostra efficace perché permette di intercettare alcuni processi decisionali e di orientare i consumatori.

 

Davide Rigoni, Ph.D., è fondatore di ICENSE, società di neuroscienze applicate al business ed è docente di Neuromarketing e Management Psychology alla Hult International Business School London, UK e Marketing e Strategic Marketing alla Vrij Universiteit Brussel in Belgio. Ha precedentemente lavorato come ricercatore in Francia, all’Università di Aix-Marseille, e in Belgio, all’Università di Gent. I risultati delle sue ricerche nel campo delle basi neurali del decision-making sono stati presentati ad importanti conferenze internazionali e i suoi lavori sono stati pubblicati in prestigiose riviste scientifiche. E’ responsabile delle attività didattiche e dei laboratori del primo master in neuromarketing in Italia che si svolge a Milano.

Federico Frosoni – intervistatore (I): Prof. Rigoni può dirci che cosa è il neuromarketing e quali sono i campi di applicazione di questa disciplina?

Prof. Davide Rigoni (R): Premetto che “neuro marketing”, a mio avviso, è un termine che viene usato spesso in maniera un po’ superficiale, nel senso che identifica una tipologia di marketing che tiene in considerazione come funziona il cervello del consumatore, ma che non necessariamente va a misurare direttamente l’attività cerebrale. In realtà sarebbe utile fare una distinzione tra i due aspetti fondamentali del neuromarketing: uno legato ai metodi, cioè alle metodologie che possono essere utilizzate per strutturare delle strategie di marketing più efficaci e l’altro è l’aspetto diciamo più legato alle conoscenze, cioè sulla base di quello che negli ultimi decenni ha permesso alle neuroscienze di scoprire aspetti più approfonditi del cervello umano e come si possono utilizzare queste conoscenze nell’ambito del marketing.

(I): Quindi il neuro marketing sarebbe una sorta di fusione tra le ultime scoperte delle neuroscienze e gli applicativi del marketing classico o di una forma di marketing specifico tipo quello che utilizza la profilazione del consumatore attraverso la raccolta dei dati?

(R): Questa è una buona domanda, in realtà esistono diverse visioni ed io espongo la mia. Credo che sia possibile che le conoscenze del neuromarketing si possano applicare agli stessi ambiti del marketing in generale e specie a quello che ha che fare con le strategie di pricing, advertising il posizionamento di un prodotto ecc. Diciamo nel settore del marketing c’è spazio per l’applicazione delle neuroscienze non ovunque, ma in buona parte delle sue varianti.

(I): Prof.Rigoni tra le sue ricerche scientifiche grande spazio è stato riservato al decision-making, può dirci che cosa è e che cosa significa dal punto di vista del cervello?

(R): Diciamo che nel marketing per decision-making ci si riferisce a quell’insieme di processi psicologici coinvolti nella decisione di un consumatore relativamente all’acquisto di un prodotto o di un servizio. Questi processi psicologici possono ovviamente subire diversi tipi di interferenza e condizionamento. Per semplificare possiamo dire che noi subiamo continuamente influenze interne al nostro cervello legate a ricordi, ai nostri valori, legati alle nostre emozioni cosiddette intrinseche e relative alle nostre intenzioni e da una parte ci sono delle influenze che vengono dell’ambiente esterno. Questi due fattori sono distinti solo in maniera teorica molto spesso interagiscono e quindi a me piace pensare al processo decisionale come ad un processo che è una specie di filtro in cui vengono soppesate le varie opzioni, in maniera molto veloce e spesso inconscia, e sulla base di queste computazioni si arriva ad un’azione che di fatto è la nostra scelta. L’aspetto del decision- making è interessante perché quello che il marketing cerca di fare in generale è di inserirsi all’interno di quei fattori che influenzano il processo decisionale e portare a casa il proprio interesse, cioè se voglio venderti un prodotto è chiaro che devo trovare il modo migliore per influenzare il decision-making a mio favore.

(I): Quindi il neuro marketing può realmente condizionare attraverso il fattore decision making la scelta dei consumatori?

(R): Certo. Diciamo che qualsiasi elemento dell’ambiente potenzialmente può influenzare le nostre scelte e il neuromarketing è efficace perché permette di intercettare alcuni processi decisionali e di orientare i consumatori.

(I): Prof.Rigoni dal punto di vista pratico l’impatto reale del neuromarketing fuori dai laboratori di ricerca universitari qual è? Come funziona il suo lavoro, avvengono delle consulenze aziendali e di che tipo?

(R): Direi che molto spesso nel nostro lavoro ci contattano delle aziende, che possono essere istituti bancari, società che operano nel settore alimentare o qualsiasi tipo di società che vende un servizio o un prodotto. Spesso ci viene chiesto di valutare l’efficacia degli spot commerciali. Il problema del cliente è quello di capire quale sia il messaggio giusto da veicolare, qual è lo spot commerciale che garantisce un impatto emotivo maggiore, ecco in questo senso il neuromarketing è l’ideale perché misura la reazione emotiva inconscia del consumatore. Grazie all’esperienza maturata negli anni possiamo anche fare una consulenza senza dover fare la ricerca di testare i soggetti e riusciamo a dare delle indicazioni delle linee guida ai clienti avendo un costo per loro inferiore.

(I): Come si può spendere una professionalità nel campo del neuro marketing  e quale preparazione è necessaria?

(R): Può essere spendibile dal singolo professionista che fa una ricerca applicata per i clienti privati (e questo è l’aspetto legato alla parte commerciale) e poi c’è la ricerca vera nei laboratori, che richiede una formazione più specifica e capacità di analisi statistica dei dati e competenze molto tecniche come la misurazione del segnale neurofisiologico, quindi bisogna sapere che cosa si sta facendo ed è preferibile avere alle spalle un dottorato di ricerca in ambiti psicologici e neuroscinetifici. Un altro sviluppo professionale è quello legato alla consulenza commerciale: è necessario comprendere i dati che emergono da una ricerca di neuroscienze e saperli interpretare. Ci siamo resi conto che gli iscritti al master di neuromarketing  sono di fatto soggetti con delle conoscenze trasversali, ci sono molte persone che si occupano di digital marketing e con il Master riescono ad acquisire o arricchire strumenti concettuali che gli permettono di essere applicati poi nel proprio ambito lavorativo. Quindi non è che formiamo consulenti in neuro marketing, ma piuttosto sono gli strumenti concettuali che possono essere applicati in molti settori del marketing.

 (I): Abbiamo detto che il neuro marketing può inserirsi nel processo di decision-making di un soggetto e quindi questo dal punto di vista etico che cosa significa?

(R): Confesso che quando ho lasciato l’università e la ricerca puramente accademica per iniziare a lavorare per una start up qui in Belgio ho dovuto affrontare alcuni dubbi personali legati all’etica professionale. Tuttavia, lavorando ho capito che in realtà non c’è niente di immorale nel neuromarketing. Direi che dipende sempre da come uno professionista lavora e credo che ci sia un po’ troppa enfasi in senso negativo sul neuromarketing, oltre che a mancanza di conoscenza specifica, perché il neuromarketing ha lo stesso obiettivo del marketing ed è semplicemente un po’ più efficace grazie a strumenti più precisi. Alla fine come per ogni altro settore sta tutto all’etica personale.

(I): Quindi dal punto di vista pratico il neuromarketing come opera nell’orientare gli acquisti?

(R): In questa epoca, forse più delle altre, gli esseri umani sono dei consumatori e molto spesso i consumatori  non sono consapevoli di quali sono i fattori che influenzano le proprie scelte d’acquisto e il  neuro marketing va a identificare il target e i motivi del comportamento non razionale per produrre strategie di marketing per le aziende.

(I): Lei crede che il neuromarketing avrà uno sviluppo formativo importante negli anni a venire magari anche dal punto di vista accademico? Saranno istituiti dei corsi di laurea specifici?

(R): Direi di sì ma secondo me c’è un rischio, che poi rappresenta uno dei motivi per cui di fatto questa disciplina non è mai decollata, non solo in Italia ma anche qui in Belgio, o comunque nel nord Europa. Qui il neuromarketing è molto più attivo rispetto all’Italia, però non ha avuto quell’impennata che 10 anni fa era stata prevista ed uno dei motivi è legato a questa cattiva reputazione che gira tra i non addetti, ma soprattutto all’inquinamento dei così detti operatori di marketing che hanno utilizzato senza le giuste competenze il termine neuromarketing .Il neuromarketing ha avuto fondamentalmente due nascite, uno a  livello accademico, dove è nato e si è sviluppato nei laboratori di neuroscienze e psicologia, e un altro a livello di business privato commerciale; quest’ultimo è più figlio del marketing che ha preso degli elementi della letteratura delle neuroscienze e li ha aggiunti al marketing.

(I): Come viene svolto il lavoro di ricerca e consulenza di società come la sua quando viene conferito un incarico da parte di terzi?

(R): Chi ha visitato siti di società che operano con il neuro marketing o ha visionato riviste o documentari, pone molto spesso l’accento su strumenti di misura dell’attività elettrica del cervello, segnale elettroencefalografico o addirittura parla di risonanza magnetica funzionale quindi strumenti che vengono utilizzati nelle neuroscienze in ambito accademico. Questi strumenti sono molto accurati e permettono una misurazione diretta dell’attività cerebrale. Tuttavia, nel 99% dei progetti tali strumenti non vengono utilizzati, da una parte per i costi elevati, dall’altra perché esistono degli strumenti ugualmente efficaci ad un costo relativamente più basso. Molto spesso i clienti sono insoddisfatti del marketing tradizionale e dei loro strumenti, tipo i questionari, e vogliono scoprire  quali emozioni prova il potenziale consumatore di fronte ad uno stimolo, e questo è un lavoro che può essere fatto senza ricorrere a strumenti di indagine neurotecnologica. Gli strumenti che sono maggiormente utilizzati sono l’eye-Tracker, dove si misura indirettamente un’attività del cervello perché misura i movimenti oculari, la conduttanza cutanea, che misura i livelli di sudorazione della pelle che sono legati al sistema nervoso autonomo, e metodi di psicologia sperimentale basata sui tempi di reazione del cervello. Quindi tutto questo non prevede di fatto l’indagine diretta del cervello. Non posso parlare per tutte le società che operano in questo settore, ma la maggior parte degli studi di consulenza usano questa metodologia, anche per questione di contenimento dei costi. In questo senso secondo me ci può essere un futuro anche a livello di formazione accademica.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Rigoni, D.,PolezziD., RumiatiRino, Guarino, R., Sartori, G.(2010).  When people matter more than money: An ERPs study. Brain Research Bullettin, 81, 445-452.
  • Rigoni, D., Brass, M,. (21013). From intentions to neurons: Social and neural consequences of disbelieving in free will. Topoi Springer Netherlands, 33, 5-12.
  • Agosta, S., Castiello, U., Rigoni, D., Lionetti, S., Sartori, G.(2011). The detection and the neural correlates of behavioral (prior) intentions. Journal of Cognitive Neuroscience , 23,3888-3902.
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