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Essere un buon gruppo? Dipende dal fattore C!

Gli autori hanno trovato che i gruppi che tendenzialmente avevano risultati migliori in un compito, avevano risultati migliori anche negli altri, sottendendo una sorta di fattore generale che hanno chiamato “fattore c” e che era in grado di spiegare la prestazione del gruppo comprendendo una grande varietà di caratteristiche.

Siamo tutti parte di qualche forma di gruppo, che sia un team di lavoro, una squadra sportiva o un insieme di persone che condivide il nostro stesso hobby. Facciamo quindi tutti esperienza delle differenze che ci sono nei gruppi, soprattutto quando questi hanno uno scopo che ha a che fare con la produttività. Cosa fa di un gruppo un “buon” gruppo, in termini di esito e di ottimizzazione delle risorse? Domanda di vecchia data per il mondo della psicologia, che ha studiato di volta in volta l’importanza della composizione omogenea piuttosto che eterogenea, di un sistema decisionale condiviso o direttivo, la presenza di un leader carismatico, autorevole, autoritario, e così via.

Recentemente, un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha indagato meglio quali sono le caratteristiche relativamente stabili di un gruppo che contribuiscono a renderlo “smart”: intelligente. In due studi del 2010 pubblicati su Science gli autori hanno raccolto dati da 699 soggetti, raggruppati in piccoli gruppi composti da 2/5 membri, a cui veniva chiesto di risolvere diversi tipi di problemi della quotidianità, che andavano dall’analisi logica al brainstorming alla coordinazione, al ragionamento morale, alla pianificazione.

Gli autori hanno trovato che i gruppi che tendenzialmente avevano risultati migliori in un compito, avevano risultati migliori anche negli altri, sottendendo una sorta di fattore generale che hanno chiamato “fattore c” e che era in grado di spiegare la prestazione del gruppo comprendendo una grande varietà di caratteristiche.

La cosa interessante è che questo fattore non aveva nulla a che fare con l’intelligenza dei singoli, con la loro motivazione al compito o con la loro estroversione. Era invece correlato con tre caratteristiche:

  • la sensibilità sociale dei membri del gruppo, valutata con un test che misura la capacità di dedurre stati emotivi complessi a partire dagli occhi delle persone;
  • la distribuzione equa della responsabilità quando si trattava di prendere una decisione, preferendo una discussione di gruppo piuttosto che la delega a un unico leader;
  • la percentuale di donne tra i membri del gruppo: gruppi caratterizzati da più donne avevano una prestazione migliore rispetto ai gruppi caratterizzati da più uomini. In particolare, non era la composizione eterogenea a impattare sulla prestazione (il fatto di avere un egual numero di uomini e donne), ma proprio il numero di donne presenti nel gruppo.

Recentemente, alcuni degli autori hanno voluto replicare gli studi, per valutare quanto i risultati di queste prime due ricerche rimanessero immutati anche in situazioni in cui ai gruppi non veniva richiesto di collaborare faccia a faccia, ma online. Viste le crescenti opportunità (e necessità) che il web sta fornendo, è importante capire quanto la collaborazione a distanza segua regole simili a quello che succede quando siamo tutti nella stessa stanza gruppi vicini. Per fare questo, gli autori hanno chiesto a 34 gruppi di completare un compito di intelligenza collettiva uno davanti all’altro, e a altri 34 di farlo online, senza alcuna possibilità di interagire faccia a faccia. Di nuovo, replicando i primi risultati, è emerso un trend nella produttività dei gruppi, in cui alcuni “funzionavano” meglio in tutte le prove in modo omogeneo.

In più, anche il fattore c è stato confermato: sia nelle interazioni faccia a faccia che in quelle online, i gruppi che funzionavano meglio erano quelli in cui i membri comunicavano molto tra loro, partecipavano in modo equo e avevano buone abilità di lettura delle emozioni altrui.

In particolare, questo terzo studio ha dimostrato come la capacità di leggere in modo corretto le emozioni altrui sia un fattore fondamentale non solo in presenza dell’altro, ma anche quando le interazioni avvengono in remoto: quello che conta sembra non essere tanto la capacità di leggere le emozioni dell’altro per utilizzarle nella singola interazione, quanto possedere una buona Teoria della Mente, una capacità più globale di comprendere e considerare quello che gli altri sentono, pensano e credono, che è mediamente più sviluppata nelle donne.

 

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Il fondamentalista riluttante (2007): la nostalgia e l’identità – Psicologia & Letteratura

Nella nostalgia è la continuità temporale di sé che viene interrotta bruscamente, poiché i ricordi, vuoi perché evocano dolore, o gioia, o sicurezza perduti, non sono più al servizio di un senso soggettivo di armonica coesione ma funzionano come spartiacque, come ingiunzione costrittiva di scelta tra come si era e come si è.

E’ un piccolo e intenso libro, circa 130 pagine, scritto nella forma del monologo teatrale, da cui è stato anche tratto un film nel 2012.

Il protagonista, un giovane pakistano, racconta la sua storia di vita ad un americano incontrato per caso in un caffè di Lahore.
Ammesso a vivere negli Stati Uniti grazie ai suoi brillanti risultati scolastici, prima frequenta una prestigiosa università americana e poi, in rapida successione, viene assunto da una società di consulenza finanziaria newyorkese dove inizia una carriera lavorativa destinata al successo.

In lui si realizza la più pura espressione del sogno americano, delle “possibilità per tutti” che sposta il baricentro dell’identità da ciò che si è o che si è stato a ciò che si vuole diventare, un’identità in sintonia con un paese con una storia breve.
Accanto a questo, l’amore doloroso per una giovane e fragile donna, traumatizzata dalla perdita di un precedente grande amore, che vive ossessionata dai ricordi.

La vita di Changez, questo il suo nome, procede così fino all’11 settembre, giorno che sconvolgerà la sicura e quasi prevedibile vita di quest’uomo, perfettamente inserito nella multiformità statunitense, attivando in lui un forte richiamo nostalgico verso il proprio paese.

E’ un piccolo libro che parla di un sentimento importante e talvolta trascurato nei ragionamenti psicologici, la nostalgia, le volte in cui diventa talmente penosa e pervasiva da rendere impossibile vivere nel presente poiché esso diventa un’interruzione inaccettabile della propria storia personale, un tradimento del senso di appartenenza e una minaccia al mantenimento, nel tempo, della propria identità.

Anche il cosiddetto lavoro del lutto a volte è ostacolato dall’impressione che riprendere a star bene significherebbe sminuire il passato legame.
La nostalgia, desiderio intenso e struggente di una persona o situazione lontana o perduta, è sentimento molto legato alla memoria di sé nella sua funzione integrativa: per saper chi sono e poter prevedere come sarò devo poter tornare a come ero e riconoscere tracce di quel passato nel presente.

Nella nostalgia è la continuità temporale di sé che viene interrotta bruscamente, poiché i ricordi, vuoi perché evocano dolore, o gioia, o sicurezza perduti, non sono più al servizio di un senso soggettivo di armonica coesione ma funzionano come spartiacque, come ingiunzione costrittiva di scelta tra come si era e come si è.

E può capitare, come racconta il libro, che la scelta cada su come si era, ci si consegna al passato e il presente diventa inutile, talvolta delirante, comunque da rinnegare.
Nei ricordi si rimane vivi, sono solamente queste vivide immagini evocative cristallizzate nella memoria a suscitare forti sentimenti.
Così accade a Changez che, causa l’11 settembre, prova uno struggente desiderio del proprio paese e della sua identità di cittadino mediorientale.

PSICOLOGIA CROSSCULTURALE
Così accade a Erica, la donna amata, che “stava scomparendo in una possente nostalgia da cui poteva solo scegliere se fare o meno ritorno” (pg.83).
Così accade all’America stessa che, traumatizzata dall’atto terroristico, si chiude in un nostalgico e intransigente nazionalismo, sostituendo la libertà e l’accoglienza in diffidenza e sospettosità verso gli stranieri.

La nostalgia è la malattia dei migranti, non solo di prima generazione e, considerata la crescente importanza del fenomeno nel nostro paese, dovrà essere oggetto di riflessione sia in termini di prevenzione che di cura.

PSICOPATOLOGIA DELLE MIGRAZIONI

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Hamid, M. (2008). Il fondamentalista riluttante. Einaudi Editore: Torino.  ACQUISTA ONLINE

Cosa c’è che non va? Chiediamolo ai più piccoli!

Pensiamo a una situazione sociale complessa e abbastanza tesa: ci sono due amici, uno dei due picchia volontariamente un passante, il secondo amico, che assiste alla scena, come dovrebbe comportarsi? Due ricercatori, attraverso uno spettacolo di burattini, mettono in atto questa e altre situazioni sociali per un pubblico di bambini di appena tredici mesi…come reagiranno i piccoli soggetti della ricerca? I risultati sembrano molto interessanti.

 

Two puppets (A and B) appeared on stage and clapped their hands, or hopped around together, allowing the infants to familiarize themselves with the characters and learn that A and B were friendly with each other. 

Then, the infants were presented with a particular social scenario. In one, the infants saw a third puppet, C, approach and get deliberately knocked down by B, as A looked on from the side. In another scenario, B knocked down C, but A wasn’t present. And in a third scenario, C was accidentally knocked down as A looked on. 

 

Babies Know What’€™s UpConsigliato dalla Redazione

Infants as young as 13 months can follow complex social interactions. (…)

Tratto da: Science of Us

 

LINK ALLA RICERCA

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Neuroimaging & Depressione: immagini cerebrali per predire il trattamento dei sintomi depressivi

FLASH NEWS

La connettività tra precuneus e giro temporale mediale e tra la corteccia cingolata anteriore e il giro ippocampale era in grado di predire la magnitudo dei sintomi depressivi prima del trattamento del subcampione clinico.

E’ bene essere sempre un pò scettici quando leggiamo di studi neuroscientifici che propongono previsioni neuroriduzionistiche di fenomeni psicologici. Con questo non si voglia pensare all’inutilità o all’inesattezza di tali studi, tant’è che una recente ricerca di neuroimaging ha analizzato la capacità predittiva della connessione di alcune aree cerebrali riguardo il miglioramento di sintomi depressivi.

ARTICOLI NEUROSCIENZE

Ma vediamo i dettagli. I ricercatori della School of Medicine dell’University of North Carolina hanno reclutato 23 pazienti con con una diagnosi di depressione maggiore e non ancora sottoposti ad alcun trattamento e 20 soggetti di controllo. Prima di essere poi coinvolto in una psicoterapia, ogni soggetto è stato sottoposto a imaging cerebrale, con l’obiettivo di verificare la connessione e l’attivazione coordinata delle aree del cosiddetto “default mode network” in uno stato in cui la mente non è impegnata in nessun compito specifico (in gergo tecnico, resting state).

In seguito  i pazienti sono stati coinvolti in 12 sedute di psicoterapia comportamentale (protocollo Behavioral Activation Treatment for Depression). E’ interessante notare che la connettività tra precuneus e giro temporale mediale e tra la corteccia cingolata anteriore e il giro ippocampale era in grado di predire la magnitudo dei sintomi depressivi prima del trattamento del subcampione clinico.

E invece riguardo la possibilità predittiva in termini di remissione sintomatologica, dai dati è emerso che vi era uno specifico sottogruppo di pazienti con una migliore risposta alla psicoterapia: coloro che – nella fase di pre test – presentavano una maggiore connettività tra l’insula (area cerebrale coinvolta nei processi di appraisal) e il giro temporale medio. Inoltre, vi erano connessioni più intense tra il solco intraparietale, coinvolto nella regolazione dell’attenzione, e la corteccia orbito-frontale.

ARTICOLI PSICOTERAPIA

L’insieme di queste aree è plausibilmente impiegato nella regolazione emotiva, dal momento che sono in gioco l’attenzione e i processi cognitivi coinvolti nell’esperienza delle nostre emozioni, tema centrale di ogni psicoterapia.

 

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BIBLIOGRAFIA:

I Frenemies: gli amici-nemici che fanno male alla nostra salute

Chi sono i frenemies? Con questo termine, dato dall’unione dei termini “friend” (amico) e “enemy” (nemico), si indica quella categoria di amici-nemici con cui si instaurano rapporti ambivalenti e inaffidabili, e per questo motivo fonte di stress emotivo dovuto al contrasto tra diversi sentimenti come ansia e tensione. Questo network può provocare nervosismo e danni alla salute e al benessere psicologico. Come risolvere questo dilemma? Aprendosi al confronto e al dialogo

 

You are always dealing with a set of competing interests. The problem is how to neutralise those stresses to allow the group to remain coherent through time. So you need to be prepared to butter up your allies, which will also include your frenemies. You are tolerating them in order to manage them better.

Anti-social network: Health risks of love-hate friendsConsigliato dalla Redazione

Around half of our acquaintances may be “€œfrenemies€” – and they could have a surprising impact on your psychology and physical well-being, says David Robson. (…)

Tratto da: BBC Future

 

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Insieme anche per la ricerca: dieci studi di psicologia, tra i più affascinanti pubblicati, condotti da marito e moglie

L’articolo che vi consigliamo espone una lista di dieci studi di carattere psicologico, tra i più interessanti studi pubblicati, pensati e portati avanti da coppie di marito e moglie appartenenti allo stesso team di ricerca. Tra moglie e marito, dunque, non metterci il dito…ma una ipotesi da verificare sì! 

 

 

The detective work of science can be ridiculously addictive. Connecting with a non-scientist who doesn’t understand this thrill can be tricky, let alone the practical problem of finding time for a loving commitment when you’re married to your work. No wonder that some of psychology’s most successful research teams are made of husband and wife pairings. Here we celebrate these partnerships, providing a digest of 10 great studies by psychology’s power couples.

Le dieci ricerche in psicologia, tra le più affascinanti pubblicate, condotte da marito e moglie Consigliato dalla Redazione

Marito e moglie nello stesso team di ricerca e gli studi diventano tra i più interessanti mai pubblicati. (…)

 

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Prevenzione dei suicidi su Facebook, un nuovo servizio

Facebook ha da poco avviato una nuova iniziativa per la prevenzione dei suicidi, per adesso attiva solamente negli Stati Uniti e poi più avanti, nel caso si dimostrasse efficace, da estendere gradualmente agli altri paesi. 

Il funzionamento  è semplice: se un utente vede nel suo feed di notizie un aggiornamento di stato particolarmente preoccupante, potrà segnalarlo a Facebook in modo che il servizio di prevenzione possa valutarlo e decidere se contattare l’autore del post.

In caso di intervento, l’autore del post vedrebbe comparire un messaggio di questo tipo:

[blockquote style=”1″]Ciao, un tuo amico pensa che tu stia attraversando un momento difficile e ci ha chiesto di dare un’occhiata al tuo recente aggiornamento di stato[/blockquote]

Nel caso l’utente scelga di proseguire nell’interazione si propongono 2 azioni:

[blockquote style=”1″]Cosa vuoi fare? Sei importante per noi, per questo vogliamo offrirti aiuto se ne hai bisogno. Non sei solo – Contattiamo molte persone ogni mese per questo motivo. Cosa vuoi fare? [/blockquote]

Prevenzione suicidio facebook

 

Il comunicato stampa di Facebook riguardo al progetto di prevenzione dei suicidi:

[blockquote style=”1″]Keeping you safe is our most important responsibility on Facebook. Today, at our fifth Compassion Research Day, we announced updated tools that provide more resources, advice and support to people who may be struggling with suicidal thoughts and their concerned friends and family members. We worked with mental health organizations Forefront, Now Matters Now, the National Suicide Prevention Lifeline, Save.org and others on these updates, in addition to consulting with people who had lived experience with self-injury or suicide. One of the first things these organizations discussed with us was how much connecting with people who care can help those in distress. If someone on Facebook sees a direct threat of suicide, we ask that they contact their local emergency services immediately. We also ask them to report any troubling content to us. We have teams working around the world, 24/7, who review any report that comes in. They prioritize the most serious reports, like self-injury, and send help and resources to those in distress. For those who may need help we have significantly expanded the support and resources that are available to them the next time they log on to Facebook after we review a report of something they’ve posted. Besides encouraging them to connect with a mental health expert at the National Suicide Prevention Lifeline, we now also give them the option of reaching out to a friend, and provide tips and advice on how they can work through these feelings. All of these resources were created in conjunction with our clinical and academic partners. We’re also providing new resources and support to the person who flagged the troubling post, including options for them to call or message their distressed friend letting them know they care, or reaching out to another friend or a trained professional at a suicide hotline for support. These updates will roll out to everyone who uses Facebook in the U.S. over the next couple of months. We’re also working to improve our tools for those outside the U.S.[/blockquote]

(Facebook Safety Blog post, 25 Febbraio 2015)

 

VIDEO:

ARTICOLI SUL TEMA DEL SUICIDIO
L’eclissi della speranza. Riflessioni sul suicidio e sul lutto di chi rimane (2024) di Ghinassi e Milanese – Recensione
Il libro L'eclissi della speranza (2024) affronta il tema del suicidio e fornisce strumenti utili per affrontare il dolore in seguito alla perdita di una persona cara
La necessità di linee guida specifiche dedicate ai survivors
Attualmente mancano linee guida per il trattamento delle manifestazioni cliniche dei survivors, questo lascia un vuoto nei protocolli di supporto psicologico
Il suicidio in carcere
La scarsa attenzione alla salute mentale sembra comportare in ambito penitenziario un ampio numero di casi di suicidio in carcere
Suicidio la three step theory
Suicidio, dall’ideazione all’azione: una disamina della Three-step-theory
La Three Step Theory offre alcuni punti fermi per distinguere tra soggetti con ideazione suicidaria e chi arriva a compiere il suicidio.
La prevenzione del suicidio: lo studio dei metaboliti cellulari apre nuove prospettive
Secondo un recente studio alcune sostanze presenti nel sangue possono essere considerate come marcatori del rischio di suicidio
Togliersi la vita: il passaggio dall’ideazione all’azione
Poiché non tutte le persone che pensano al suicidio si tolgono la vita, quali fattori determinano il passaggio dall’ideazione all’azione?
Il suicidio: una lettura storica
Attorno al fenomeno del suicidio vi sono molte credenze, come sono cambiate nella storia e nelle diverse culture?
Correlazione tra la tolleranza al dolore e i tentativi di suicidio
Le persone con una tolleranza al dolore elevata sono maggiormente a rischio di suicidio? E come varia la tolleranza al dolore tra le persone?
Adolescenti e crisi della salute mentale: cosa è cambiato
La crisi della salute mentale tra gli adolescenti statunitensi
Il declino della salute mentale tra gli adolescenti si è intensificato con la pandemia, al punto che negli Stati Uniti si parla di emergenza nazionale
Suicidio e prevenzione: l'uso di tecnologie d' informazione e comunicazione
Prevenzione della suicidalità tramite l’uso di tecnologie d’ informazione e comunicazione
Nell'ultimo periodo è progredito rapidamente l'uso di strumenti tecnologici adibiti alla comunicazione e lo scambio di dati nella prevenzione del suicidio
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Una buca da cui cerchiamo di uscire scavando: la triade cognitiva di Beck

Considerando che l’esistenza, prima o poi, ci espone a delle avversità, diventa centrale un quesito: cosa rende stabile e cronica una visione del mondo che si attiva innanzi alle difficoltà?

Il mondo è un’ entità a noi avversa. Magari è un’affermazione pessimista ed esagerata. Tuttavia difficilmente si può negare che l’esistenza presenti avversità e dolore nel corso di una vita. Esistono molteplici occasioni in cui tali avversità possono farci pensare di essere incapaci, che il destino è ingiusto e che il futuro è oscuro. Questo sistema di convinzioni su noi stessi e sul mondo rappresenta la famosa triade cognitiva di Beck (1976).

Più la nostra tendenza a leggere le avversità in questa prospettiva è stabile e rigida, più siamo vulnerabili a fare esperienza di episodi depressivi. Ma considerando che l’esistenza, prima o poi, ci espone ad avversità diventa centrale un quesito: cosa rende stabile e cronica questa visione del mondo che si attiva innanzi alle difficoltà?

VEDI ARTICOLI SU: DEPRESSIONE

La teoria metacognitiva propone che una visione negativa di sé, del mondo e del futuro non sia appresa come una rappresentazione monolitica nella memoria. D’altronde, persone che vivono episodi di depressione hanno conosciuto e conosceranno dopo momenti di serenità in cui la visione di sé e del mondo è più luminosa.

La teoria metacognitiva ritiene che la responsabilità vada cercata nel modo in cui le persone si approcciano ai problemi, cercando una soluzione attraverso una forma di eccessiva analisi astratta che viene chiamata ruminazione.

Ruminare significa continuare a chiedersi il perché delle cose negative che capitano lungo l’esistenza. Questa attività mentale è sostenuta dalla convinzione che scoprendo il perché delle cose, saremmo più capaci di gestirle, trovare sollievo ed evitarle in futuro. Spesso non si tiene presente il costo di questa strategia analitica: l’umore resta triste, la nostra mente è continuamente carica di contenuti tristi, siamo affatticati dal dispendio energetico che richiede, non abbiamo risorse per lasciarci distrarre da stimoli positivi, spesso non arriviamo a una comprensione definitiva (perché forse una definitiva non sempre esiste).

Insomma, se siamo fermi ad analizzare i perché l’unico dato certo è che siamo fermi. Bloccati a un crocevia doloroso della nostra esistenza rivolti indietro alla strada che abbiamo percorso. Oppure, per citare una famosa metafora, fermi in una buca da cui cerchiamo di uscire scavando. La buca diventa più profonda e più larga e con essa si rafforza l’idea di essere impotenti innanzi a un mondo avverso. Diventa stabile la famosa triade cognitiva.

Esistono diverse prove empiriche di questo meccanismo. In una recente ricerca che ha confrontato l’attitudine pessimista (la triade cognitiva) e le convinzioni circa la necessità di analizzare le cause degli eventi e delle sensazioni negative ha mostrato come quest’ultime rappresentano il più forte predittore della sintomatologia depressiva (Ylmaz, Gencoz & Wells, 2014).

In sintesi, credere che analizzare le cause delle avversità sia utile per gestirle favorisce una tendenza analitica che a sua volta (qualora eccessiva e incontrollata) può alimentare sia le convinzioni negative su di sé, sul mondo e sul futuro che la depressione.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Ruminazione e perfezionismo nell’alchimia della depressione

 

BIBLIOGRAFIA:

Schiavo d’amore di Somerset Maugham (1915) – Psicologia & Letteratura

Giuseppe Centra

Le sue relazioni tumultuose, l’instabilità delle sue emozioni con tanto di ricorso alla scissione, le sue reazioni di rabbia, terrore e manipolazione all’abbandono e al rifiuto, la sua impulsività e i suoi acting out, la sua promiscuità e non ultimo, la sua auto ed etero-distruttività, non dimentichiamoci l’esperienza della prostituzione, sembrano orientare la donna all’interno di una dimensione borderline di personalità.

Nel romanzo “Schiavo d’amore” (1915) di Somerset Maugham va subito evidenziata la peculiarità, tutta italiana, di storpiare i titoli originali di un’opera. Infatti, il titolo italiano non coglie il richiamo a Spinoza e in particolare alla quarta parte della sua grande opera Etica intitolata appunto “Sulla schiavitù umana” (De servitute humana, o Of human bondage in ingl.) dedicata alla trattazione delle emozioni umane.

Il romanzo di formazione racconta della vita di un uomo con un difetto fisico (un piede equino) dall’infanzia, orfano, fino al raggiungimento dell’abilitazione medica che pone fine a una serie di avvenimenti altalenanti, spostamenti internazionali, incontri drammatici che segnano nell’animo il protagonista. Il libro, ovviamente, non è solo una cronaca della vita del protagonista ma scava in profondità nella mente e nel cuore dei personaggi alla ricerca del senso dell’esistenza il quale, a fine libro, sembra essere trovato al prezzo di una traccia, di una cicatrice che rimarrà indelebile per sempre nell’animo del protagonista.

Il personaggio di cui voglio parlare, però, è una giovane cameriera di nome Mildred, la quale entra in scena solamente a pagina 277 ma sarà destinata a segnare per sempre la vita di Philip, il protagonista: “…aveva i lineamenti regolari e minuti, gli occhi azzurri e la fronte larga e bassa … una gran massa di capelli con frangetta che le ricadeva sulla fronte … le labbra sottili erano pallide e la pelle delicata, di un tenue color verdolino, senza una punta di rossa nemmeno sulle guance…”.

Ciò che appare subito interessante sono le reazioni ambivalenti di Philip; infatti, la donna si mostra fredda e disinteressata al suo tentativo di attaccar bottone, suscitando in lui repulsione e disgusto (forse per lo smacco preso); eppure a partire dalla stessa notte non smette più di pensarla, autocommiserandosi per l’assurdità della situazione. Alla fine, di punto in bianco le chiede di uscire una volta insieme e lei accetta. La serata si rivela abbastanza mediocre e Philip la lascia con il terrore di averla annoiata. Tuttavia, a modo suo, lei gradisce le gentilezze di Philip, il quale si scopre innamorato. Mildred non dà mai l’impressione di accettare la sua corte ma non disprezza tutti i favori, anche economici, che lui le elargisce. Allo stesso tempo ciò fa nascere in Philip un sentimento di disprezzo che si accompagna, però, con un folle desiderio di lei.

Ecco a un certo punto la qualità del loro rapporto (p. 313): “…Non si lasciava (Philip) turbare dalla sua disattenzione, né irritare dalla sua indifferenza … Con uno sforzo diventò affabile e divertente, senza mai andare in collera, senza mai chiedere niente, senza lamenti, senza rimbrotti. Quando lei lo piantava in asso per un altro impegno, l’indomani si presentava con viso sorridente; se lei si scusava, diceva non importa. Non le lasciava mai capire che lo addolorava. Si rendeva conto che la sua sofferenza appassionata l’aveva infastidita, e badava a nascondere qualunque sentimento che potesse riuscire minimamente molesto. Era eroico…”.

Ma proprio quando si sta sciogliendo, Mildred gli rivela di aver accettato la proposta di matrimonio di un giovane che le bazzicava intorno sin da prima che incontrasse Philip. E quella che poteva essere una liberazione, per Philip si rivela una notizia angosciosa considerando la sua passione per lei (p. 333): “…Sotto l’influsso della passione si era sentito animato da un singolare vigore, e la sua mente aveva lavorato con forza inusitata. Era più vivo, c’era nel semplice esistere un’eccitazione, un ardore dell’anima, al cui confronto la vita appariva un po’ grigia. L’infelicità sofferta aveva pur avuto un compenso in quella sensazione di vitalità impetuosa e soverchiante.”. Era ancora innamorato!

Ma un pomeriggio, tornato a casa dall’ospedale trova Mildred che lo aspetta; scoppiando a piangere rivela di essere stata piantata e non avendo altre persone a cui rivolgersi pensò proprio a Philip per chiedere aiuto. Nel giro di pochi giorni la vita di Philip torna a girare intorno a lei, smette di sentirsi con amici e con la donna con cui aveva cominciato una frequentazione e non si spaventa nemmeno davanti alla rivelazione di Mildred di essere rimasta incinta. Pur facendolo con gioia, Philip stava sperperando gran parte della sua rendita per mantenerla. 

In preda all’entusiasmo, Philip decide di far conoscere Mildred a un suo caro amico, Griffiths, collega del corso di medicina Purtroppo Griffiths, donnaiolo di fama, pur promettendo di non fare del male a Philip si invaghisce, ricambiato, di Mildred. Quest’ultima rivela a Philip di aver deciso di andare a vivere con Griffiths in un’altra città. Philip va su tutte le furie e minaccia di non passarle più un soldo (p. 378): “Hai dimenticato che quando eri nei guai ho fatto di tutto, per te? Ho sborsato i soldi per mantenerti fino alla nascita della bambina, ho pagato il dottore e tutto quanto, pago il mantenimento di tua figlia, i tuoi vestiti, pago ogni filo che hai addosso.”. A questo punto è Mildred a rivolgersi a lui con disprezzo (p. 378): “Non mi sei mai piaciuto, fin dal principio, ma tu ti sei attaccato per forza. Ho sempre odiato i tuoi baci. Adesso non mi lascerei toccare da te neanche se morissi di fame.”

Da questo estratto è evidente come Mildred di fronte all’ostacolo che si interpone al suo sogno ha uno sbalzo repentino: da persona grata e riconoscente nei confronti di Philip, a una svalutazione primitiva che le fa provare rabbia e disprezzo nei suoi confronti. Si può riconoscere, evidentemente, il meccanismo difensivo della scissione, processo per cui una persona considera se stesso o gli altri come tutti buoni o tutti cattivi, mostrando difficoltà a integrare gli aspetti sia positivi sia negativi in uno stesso individuo (Lingiardi e Madeddu, 2002). Tale difficoltà limita la qualità dei rapporti interpersonali dal momento che semplici gesti possono essere enfatizzati e così, alla mattina una persona può essere un salvatore e, alla sera, lo stesso diviene causa di tutti i mali.
E infatti, Mildred, dopo aver mandato a monte la relazione con l’uomo che voleva sposarla, si getta a capofitto anche nella relazione con Griffiths, il quale però vuole solo un’avventura e la abbandonerà per tornare alla sua vita di scapolo.

La drammaticità della personalità della donna emerge con tutta la sua forza proprio dopo la conclusione di questa avventura, infatti, diversi mesi dopo, mentre Philip passeggia per Piccadilly Circus, la riconosce mentre passeggia facendo la spola da un punto a un altro della piazza. Philip capisce immediatamente, anche dagli abiti indossati, che Mildred si è data alla prostituzione. L’uomo a questo punto, tra l’attrazione e il disgusto che gli suscita la vista di quella donna, si offre comunque di darle una mano e la porta a casa con sé; le offre la possibilità di lavorare per lui come colf e in cambio le offre una stanza al patto che tra di loro non si crei l’intimità di un tempo.

La personalità del protagonista può meglio essere compresa analizzando la sua storia. La difficoltà a lasciarsi dietro una donna causa di atroci sofferenze non può essere giustificata solo con l’amore, ma è un invito a interrogarci anche sul suo funzionamento mentale: Philip non ha mai conosciuto suo padre e ha perso sua madre a 9 anni, viene cresciuto da una coppia di zii che non ha avuto figli propri. Lo zio in particolare, curato di un piccolo villaggio, ha una morale rigida che contribuisce alla formazione di un massiccio Super Io in Philip, il quale si proibisce bisogni e desideri al fine di percorrere la strada per lui già tracciata. Il modello genitoriale imposto dagli zii, basato su una ridotta espressività ed elevato controllo nel quale tutto è affrontato razionalmente mentre è represso ogni tentativo di vivere le proprie emozioni e i propri sentimenti potrebbero aver fatto maturare, in Philp, dei tratti dipendenti. Il protagonista, nella sua infanzia, non ha soddisfatto quel naturale bisogno di sana dipendenza affettiva da un caregiver e quando si scopre innamorato è incapace di gestire le giuste distanze nel rapporto. A conferma di ciò, vi sarebbero le reazioni di sottomissione e adesività che caratterizzano le personalità dipendenti (Gabbard, 2007) e di cui Philip fa ampiamente esperienza durante tutto il romanzo.
Tutta la difficoltà di una personalità dipendente a staccarsi dall’oggetto spicca quando Philip decide di aiutare Mildred togliendola dalla strada. Riflette che ormai qualcosa si è rotto, che tutte le lacrime versate, le sofferenze patite e le umiliazioni subite lo hanno logorato dentro e non riesce più a guardare Mildred con gli occhi di prima. Eppure decide di accoglierla in casa! E il tornare a vivere con lei non può non farci pensare a qualcosa di perverso nel suo funzionamento mentale.

L’acme del romanzo si raggiunge una notte quando Mildred decide di aspettare sveglia Philip, il quale aveva dedicato una serata ai vecchi amici. Al suo rientro, Mildred si mostra amorevole e premurosa, d’altronde le due esperienze di abbandono vissute l’avevano spinta a riflettere che accasarsi con Philip, sempre pronto a tutto per lei, era l’unica soluzione per garantire un futuro a lei e a sua figlia. Decide di giocarsi la sua carta migliore o forse la sua grande debolezza: la libido, la sua voluttuosità che drammaticamente l’aveva spinta a inseguire e a bruciare le sue precedenti relazioni.

Prova a sedurlo, ad accarezzarlo e baciarlo ma i sentimenti di Philip nei suoi confronti sono oramai consumati e vuoti e così la scansa, scatenando l’accanita reazione della donna (p. 490): “…Di te non mi è mai importato niente, nemmeno per un momento, ti prendevo in giro, sempre, mi annoiavi … e ti odiavo, non ti avrei mai permesso di toccarmi se non era per i soldi, e mi veniva la nausea quando dovevo lasciare che mi baciassi. Ridevamo di te, io e Griffiths, ridevamo di com’eri babbeo. Babbeo! Babbeo! … Storpio!”. L’indomani, come di consueto, Philip va in ospedale ma al suo ritorno trova la casa devastata, ogni cosa è distrutta e nulla è risparmiato, in compenso Mildred scompare.

Un’ultima riflessione va fatta sul personaggio di Mildred. Le sue relazioni tumultuose, l’instabilità delle sue emozioni con tanto di ricorso alla scissione, le sue reazioni di rabbia, terrore e manipolazione all’abbandono e al rifiuto, la sua impulsività e i suoi acting out, la sua promiscuità e non ultimo, la sua auto ed etero-distruttività, non dimentichiamoci l’esperienza della prostituzione, sembrano orientare la donna all’interno di una dimensione borderline di personalità.

Il disturbo borderline di personalità, infatti, si caratterizza per una marcata volubilità nel campo delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e degli affetti, oltre a intensi vissuti abbandonici e spiccata impulsività (Lingiardi e Gazzillo, 2014). Come dice Kernberg (1984), sono persone che soffrono e che fanno soffrire: ne sa qualcosa il protagonista di Schiavo d’amore!

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Maugham S. W., (1915). Schiavo d’amore. Adelphi: Milano 2013. 
  • Gabbard G. O., (2005). Psichiatria psicodinamica. Raffaello Cortina: Milano 2007. 
  • Kernberg O. F., (1984). Disturbi gravi della personalità. Bollati Boringhieri: Torino 1987. 
  • Lingiardi, V. et Gazzillo, F., (2014). La personalità e i suoi disturbi. Raffaello Cortina: Milano. 
  • Lingiardi V. et Madeddu F., (2002). I meccanismi di difesa. Raffaello Cortina: Milano.
  • Spinoza B., (1677). Etica. Armando Editore: Roma 2008.

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Il nostro umore influenza il modo in cui elaboriamo le informazioni

FLASH NEWS

Anche le emozioni influenzano il nostro modo di pensare, e non solo il contrario. Secondo un nuovo studio siamo più propensi a elaborare le informazioni in modo analitico se siamo di cattivo umore.

A livello clinico è noto che un processamento analitico può essere un fattore di mantenimento dei sintomi depressivi. E in particolare secondo un nuovo studio l’umore di un individuo può influenzare il modo in cui percepisce ed elabora le informazioni provenienti dai media, in altre parole la pubblicità.

Quindi un tono dell’umore negativo favorirebbe un processamento analitico, mentre un tono dell’umore positivo porterebbe con più facilità a un processamento olistico.

Cosa si intende per olistico e analitico? Se parliamo di stili di processamento, gli analitici si focalizzano per gran parte su singoli e specifici elementi considerandoli isolati rispetto al loro contesto; viceversa, gli olistici  generalmente  elaborano complessivamente l’insieme degli stimoli proposti nel loro contesto come un tutt’uno.

I risultati dei due studi pubblicati su Journal of Advertising dimostrano che i soggetti che processano le informazioni a livello analitico hanno punteggi minori nel riconoscimento degli stimoli (impegnati in un setting multitasking) rispetto agli individui con stile olistico. Inoltre, vi sarebbero anche effetti a livello mnestico con una maggiore prestazione in termini di recupero mnestico di stimoli pubblicitari da parte degli individui con propensione all’elaborazione olistica.

 

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Servizio di Psicologia del Territorio: proposta di Legge Popolare

Regione Veneto – Comunicato stampa N° 370 del 25/02/2015

 

PROPOSTA DI LEGGE POPOLARE PER ISTITUIRE SERVIZIO DI PSICOLOGIA DEL TERRITORIO. BENDINELLI: “INIZIATIVA CHE SOSTENIAMO CON CONVINZIONE PER I BENEFICI CHE ASSICURA AI CITTADINI”

[blockquote style=”1″]E’ una proposta che proviene da chi conosce più da vicino le problematiche e i malesseri delle nostre comunità e che meglio di chiunque altro è in grado di interpretare i bisogni dei nostri cittadini. Per questo è una iniziativa che ha il nostro convinto sostegno e che io mi faccio carico di seguire personalmente nel suo iter di approvazione[/blockquote]

Con queste parole l’assessore regionale alle politiche sociali, Davide Bendinelli, ha salutato oggi a palazzo Balbi, sede della Giunta veneta, i promotori della proposta di legge di iniziativa popolare che prevede l’istituzione del servizio di psicologia del territorio nel Veneto.

 

Sono tre i consigli comunali che hanno approvato, con proprie deliberazioni, la proposta elaborata dall’Ordine regionale degli psicologi: in primis quello di Zevio, in provincia di Verona, il cui sindaco, Diego Ruzza, è anche componente dell’Ordine, e successivamente quelli di Casier, in provincia di Treviso e San Martino di Lupari in provincia di Padova.

 

“Confidiamo che in tempi ragionevoli, nella prossima legislatura, questa legge venga approvata – ha detto il sindaco Ruzza – e che possa essere presto operativo nei territori un servizio in grado di dare risposte in tempi rapidi ai sempre più evidenti e diffusi problemi di natura psicofisica delle persone. Colmeremmo così un vuoto che viene percepito innanzi tutto dalla stessa cittadinanza e daremmo risposta a un fenomeno amplificatosi notevolmente in questi ultimi anni per effetto della crisi economica, che è causa di gravi disagi sociali che spesso, come purtroppo testimoniano le cronache, sfocia in veri e propri drammi”.

 

Ruzza ha specificato che lo “Psicologo del Territorio” non si occuperà solo di interventi sul disagio, ma sarà soprattutto un supporto in tema di prevenzione e di sviluppo del benessere: “Ci piace pensare – ha detto – che questa figura sia una vera e propria sentinella della salute psicofisica nel territorio”.

Nella proposta di legge vengono individuate più di dieci attività che lo psicologo potrebbe svolgere: dagli interventi sulle fragilità sociali al sostegno familiare, dal supporto alle associazioni sportive all’orientamento per gli adolescenti.

 

Il primo cittadino di San Martino di Lupari, Gerry Boratto, sottolineando a sua volta l’utilità di un servizio di psicologia nei territori, ha evidenziato come i sindaci oggi ricevano tantissime persone che hanno bisogno di parlare e che vivono in una sorta di isolamento non tanto fisico quanto di relazioni. “Emergono in modo sempre più preoccupante – ha spiegato – malesseri subdoli, talvolta persino sconosciuti alle stesse persone che ne sono vittima; ma anche fenomeni sempre più difficili da arginare, come la ludopatia”.

 

Infine, il presidente dell’Ordine degli psicologi del Veneto, Alessandro De Carlo, ha affermato che questa proposta “amplia il concetto di sanità nel Veneto” e ha evidenziato l’importanza di sostenere l’istituzione di questa figura attraverso un percorso condiviso con tutti i soggetti professionali e istituzionali a cui è affidata la cura della salute dei cittadini: “la Regione – ha concluso – si doterà così di uno strumento all’avanguardia per aiutare la cittadinanza a investire nella prevenzione, con importanti benefici, come dimostrato da studi ed esperienze, anche da un punto di vista del risparmio economico”.

 

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L’ipocondria, l’ansia per la propria salute

Sigmund Freud University - Milano - LOGO INTRODUZIONE ALLA PSICOTERAPIA (05)

 

 

In psicologia clinica, l’ipocondria è caratterizzata dall’ interpretazione erronea di segni e sintomi fisici come segnale di una grave patologia, senza che un’accurata valutazione medica abbia identificato motivi sufficienti per giustificare questi timori.

Chi soffre di ipocondria non ha convinzioni così esagerate da sfociare nel vero e proprio delirio, riconosce spesso che i propri timori sono esagerati e che potrebbe non avere alcuna malattia.

La prima caratteristica psicologica dell’ipocondriaco è la caccia alla malattia.

L’attenzione dell’ipocondriaco è completamente focalizzata a scannerizzare le proprie sensazioni corporee o segni fisici e a produrre dubbi sulla loro origine con il risultato di trovarne. La preoccupazione riguardo la propria salute è costante, tendenzialmente catastrofica e difficile da regolare. La persona fatica a pensare ad altro o a non dare importanza ai propri dubbi di malattia.

La seconda caratteristica psicologica è la ricerca di rassicurazioni.

La persona può consumare tempo in esami medici, verifiche e richieste di opinioni ad altre persone, ricerche su internet dei significati dei sintomi. Questa ricerca di rassicurazioni produce solo un sollievo limitato nel tempo, fino al prossimo dubbio, ancora più grave che può emergere naturalmente nella mente della persona.

LEGGI LA RUBRICA: INTRODUZIONE ALLA PSICOTERAPIA

 

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Morire di paura è possibile? a quanto pare si! – Video-

Quando qualcosa ci spaventa il nostro corpo rilascia una scarica di adrenalina che porta a un’accelerazione del battito cardiaco. Quando però un cuore è troppo debole cosa succede? Si può davvero morire di paura? AsapSCIENCE prova a dare una risposta, spiegandoci cos’è la paura attraverso un nuovo divertente video pubblicato on line: 

 

 

But when the scare is especially strong, or the heart especially weak, the person’s heart can become overwhelmed and unable to keep up with the adrenaline-triggered increase in heart rate, which could cause the heart to stop entirely. It’s very rare, however, that this happens in people with healthy hearts, so no need to be scared if you’re in good health.

Morire di paura è possibile? La risposta in un videoConsigliato dalla Redazione

La paura è un’emozione che si accompagna a reazioni corporee molto estreme, può portare anche alla morte? (…)

Tratto da: Science of Us

 

Per continuare la lettura sarete reindirizzati all’articolo originale … Continua  >>

 


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Disturbo ossessivo-compulsivo: le strategie mentali inconsapevoli

L’attuazione di certi processi mentali (monitoraggio dei pensieri, rimuginio, ruminazione) possono consumare le risorse mentali e ostacolare l’efficienza delle funzioni attentive, piuttosto che attribuire queste ultime a un deficit strutturale.

Uno degli aspetti che caratterizza il Disturbo Ossessivo-Compulsivo è la tendenza a porre eccessiva attenzione ai propri pensieri intrusivi (ossessioni). Le ossessioni sono pensieri, impulsi o immagini mentali che vengono percepite come sgradevoli o intrusive dalla persona. Questa difficoltà è spesso stata attribuita a un deficit strutturale dell’attenzione e della memoria. Le persone con Disturbo Ossessivo-Compulsivo sarebbero meno capaci di usare la propria attenzione per selezionare stimoli diversi dalle proprie ossessioni ma anche da stimoli ambientali che le richiamano.

Un recente studio (Koch & Exner, 2014) ha mostrato una possibile spiegazione alternativa. La difficoltà di attenzione selettiva potrebbe non essere imputabile a un deficit ma a strategie mentali che i pazienti con Disturbo Ossessivo-Compulsivo adottano senza rendersene pienamente conto.

Questo avviene perché si tratta di abitudini automatizzate. In particolare la tendenza a prestare molta attenzione ai propri pensieri (cognitive self-consciousness, CSC), il rimuginio e la ruminazione risultano aspetti mentali con un impatto significativo sull’attenzione selettiva e capaci di spiegare la differenza nell’attenzione selettiva tra pazienti con Disturbo Ossessivo-Compulsivo, pazienti depressi e adulti sani.

In sintesi, questi risultati supportano l’assunzione che l’attuazione di certi processi mentali (monitoraggio dei pensieri, rimuginio, ruminazione) possono consumare le risorse mentali e ostacolare l’efficienza delle funzioni attentive, piuttosto che attribuire queste ultime a un deficit strutturale.

 

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BIBLIOGRAFIA:

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Sara Palmieri, Open School Studi Cognitivi

 

Tra i soggetti obesi sono state riscontrate frequenti comorbidità psichiatriche con disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbi del comportamento alimentare, disturbi di personalità ed uso di sostanze.

Sovrappeso e obesità sono definiti come un accumulo anomalo o eccessivo di grasso che rappresentano un rischio per la salute. L’Indice di massa corporea (BMI) è un indice di peso-per-altezza comunemente utilizzato per classificare il sovrappeso e l’obesità. Esso è definito come peso di una persona in chilogrammi diviso il quadrato della sua altezza in metri (kg/m2). Un BMI maggiore o uguale a 25 indica sovrappeso, mentre un BMI maggiore o uguale a 30 indica obesità.

Secondo la World Health Organization (WHO) la prevalenza dell’obesità a livello mondiale è quasi raddoppiata tra il 1980 e il 2014. Nel 2014, circa il 13% della popolazione mondiale adulta (11% uomini, 15% di donne) è risultata obesa e il 39% (38% uomini, 40% donne) in sovrappeso. Nell’Unione Europea il sovrappeso colpirebbe il 30-70% degli adulti mentre l’obesità colpirebbe il 10-30% degli adulti.

In Italia, secondo il rapporto Osservasalute 2013, il 35,6% della popolazione adulta è in sovrappeso mentre il 10,4% è obesa.

La prevalenza del sovrappeso e dell’obesità cambia a seconda delle regioni di residenza (le regioni meridionali presentano la prevalenza più alta di persone obese e in sovrappeso), dell’età (la percentuale di popolazione in eccesso ponderale cresce all’aumentare dell’età per diminuire leggermente dopo i 75 anni) e del genere (l’eccesso ponderale è più diffuso tra gli uomini).
L’obesità risulta associata a un maggior rischio di morbidità e mortalità, peggiore Qualità di Vita (QdV), elevato rischio di malattie cardiovascolari, diabete, alcuni tipi di cancro (ad esempio colon, seno, endometrio), disturbi muscolo scheletrici, come anche a conseguenze sul piano sociale (pregiudizio, discriminazione, problemi occupazionali e relazioni insoddisfacenti) e psicologico (bassa autostima, preoccupazioni eccessive per le forme corporee) (van Hout & van Heck, 2009).

Appare evidente come l’obesità rappresenti un quadro clinico di elevata complessità con significativo impatto a livello individuale e sociale.

Tra i soggetti obesi, soprattutto con obesità grave, sono state riscontrate frequenti comorbidità psichiatriche con disturbi dell’umore (ad esempio disturbo depressivo maggiore e distimia), disturbi d’ansia (ad esempio fobia sociale e disturbo d’ansia generalizzato), disturbi del comportamento alimentare (in particolare binge eating disorder e più in generale comportamento alimentare con diete e controllo rigido alternato a disinibizione e binge eating, iperalimentazione non compulsiva come frequenti spuntini con cibi e bevande caloriche), disturbi di personalità (istrionico, borderline e schizotipico) ed uso di sostanze (Malik, Mitchell, Engel, Crosby, & Wonderlich, 2014; Sarwer, Wadden, & Fabricatore, 2005; van Hout & van Heck, 2009).

In merito ai trattamenti volti alla riduzione di peso nei casi di obesità grave (BMI ≥ 40), dalla letteratura emerge come vi sia uno scarso effetto a lungo termine dei trattamenti non chirurgici quali diete, modificazioni comportamentali, esercizio fisico e farmacoterapia (Sarwer et al., 2005; van Hout & van Heck, 2009). Sebbene tali trattamenti producano una riduzione iniziale di peso, la quale può influire positivamente sulla salute e lo stato psicosociale dei soggetti con obesità moderata, potrebbero avere risultati meno consistenti nei soggetti con obesità grave.

In questi ultimi il trattamento più diffuso è la chirurgia bariatrica, ossia interventi chirurgici volti alla riduzione ponderale. Fanno parte di tali interventi: interventi di riduzione gastrica (hanno lo scopo di ridurre il volume gastrico e di provocare una sazietà precoce), interventi di malassorbimento (hanno lo scopo di provocare un malassorbimento intestinale riducendo la superficie di assorbimento dell’intestino tenue) ed interventi di lipectomia (interventi demolitivi diretti del tessuto adiposo solitamente riservati a pazienti che hanno subito interventi di restrizione o malassorbimento).

Diversi studi si sono occupati degli effetti post-operatori degli interventi bariatrici. Sebbene la chirurgia bariatrica non intervenga sulle cause dell’obesità grave, produce una significativa diminuzione del peso in eccesso (40-60%), un miglioramento della comorbidità psichiatrica (effetto positivo sull’ andamento e l’esito di alcune condizioni quali disturbo bipolare, schizofrenia, sintomi depressivi), del comportamento alimentare (maggiore senso di controllo del cibo, riduzione delle abbuffate ed emotional eating), del funzionamento sociale (miglioramenti nella soddisfazione coniugale, relazioni sociali, funzionamento sessuale, ambito lavorativo, incremento del supporto sociale), della percezione dell’immagine corporea e della qualità di vita (Sarwer et al., 2005; van Hout, Boekestein, Fortuin, Pelle, & van Heck, 2006; van Hout & van Heck, 2009).

Tuttavia tali miglioramenti, in particolare del comportamento alimentare e il calo ponderale, sembrano concentrarsi nei primi due anni post-operatori per poi diminuire con il passare del tempo. Inoltre, non tutti coloro che si sottopongono ad un intervento di chirurgia bariatrica sperimentano gli stessi cambiamenti e nella stessa entità; per di più alcuni soggetti riportano nel breve termine una sensazione di perdita di controllo sul cibo, frequenti spuntini con cibi calorici, ritorno ai pattern alimentari pre-operatori, emotional eating e aumento dei sintomi psichiatrici (Sarwer et al., 2005; van Hout & van Heck, 2009).

Report dal convegno: La grave obesità:dal corpo alla mente
Report dal convegno: La grave obesità:dal corpo alla mente

 

Alla luce di ciò diversi autori si sono interrogati su quali possano essere i fattori alla base dei diversi outcomes, ma ad oggi la letteratura a riguardo è contrastante.
In merito alla sensazione di perdita di controllo sul cibo uno studio di White e colleghi (2010), su un gruppo di soggetti obesi sottoposti ad intervento bariatrico, ha mostrato come la perdita di controllo sul cibo pre-operatoria non era legata alla diminuzione di peso post-operatoria e al funzionamento psicosociale. Al contrario, la perdita di controllo sul cibo dopo l’intervento era negativamente correlata con la perdita di peso a dodici e ventiquattro mesi dall’ intervento.

Inoltre, il gruppo di pazienti con elevata perdita di controllo sul cibo post-operatoria riportava elevati livelli di sintomi depressivi e disturbi alimentari, e bassi livelli di QdV.
Alcuni studi mostrano come la presenza di una psicopatologia pre-operatoria (disturbi alimentari, di personalità e depressione) sia associata ad una scarsa perdita di peso dopo l’intervento. Altri studi però non rilevano tale dato (Malik et al., 2014).

Kalarchian e colleghi (2008), in uno studio volto a documentare la relazione tra disturbi psichiatrici pre-operatori (diagnosticati attraverso la SCID) ed effetti del bypass gastrico, hanno trovato che la presenza lifetime di un disturbo di Asse I (in particolare disturbi dell’umore e d’ansia) era associata con una scarsa riduzione del BMI a sei mesi dall’intervento. Mentre, la relazione tra una diagnosi attuale di un disturbo di Asse I o II e il cambiamento del BMI a sei mesi dall’intervento di bypass gastrico non era statisticamente significativa.

Un altro fattore coinvolto sarebbe la capacità dei soggetti di modificare il loro comportamento alimentare e lo stile di vita a seguito dell’operazione chirurgica. Una review di van Hout e van Heck (2009) mostra che coloro che non riescono a attuare un regime alimentare rigoroso, praticare esercizio fisico e incrementare le abilità di coping per diminuire gli episodi di emotional eating possono andare incontro ad una precoce interruzione della perdita di peso, a riacquistare peso, a disturbi alimentari, a sintomi psicopatologici e deterioramento della QdV.

Pertanto, la compliance e il successo dell’intervento bariatrico possono essere in parte influenzati da fattori psicologici, sociali, comportamentali e di personalità. Per questo motivo, sarebbe importante identificare quali specifici fattori sono rilevanti per ogni paziente al fine di un suo miglioramento dopo l’intervento.

Ciò implica che l’operazione chirurgica è solo uno degli elementi coinvolti nel trattamento dell’obesità e, al fine di aumentare la compliance ed ottenere un successo post-operatorio, potrebbe essere utile un’adeguata valutazione psicologica e psicopatologica mirata a sviluppare interventi personalizzati.

Infine, sebbene la chirurgia bariatrica non sia controindicata in caso di un disturbo psichiatrico, un adeguato trattamento pre-operatorio e un sostegno psicologico post-operatorio dovrebbero essere forniti al fine di aumentare il successo a lungo termine di queste operazioni e ridurre il rischio di complicanze.

 

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Esperienze sinestetiche in cucina: arriva la Kitchen Theory

FLASH NEWS

Con l’aiuto di buste chiuse da aprire soltanto all’arrivo del piatto, le diverse portate consentono ai commensali di rendersi conto di credenze stereotipate e ancestralmente radicate nelle nostre menti riguardo i cibi nei loro sapori, consistenze e rumori mentre li assaporiamo.

Sono sicura che gli psicologi che vivono il cibo e la cucina come momenti di curiosa esperienza sensoriale avranno pensato spesso al fenomeno della sinestesia. Da quest’anno e fino al mese di giugno 2015 un gruppo di creativi culinari, un team composto da neuroscienziati cognitivi e chef, che ha deciso di chiamarsi Kitchen Theory organizza una serie di esperienze sinestetiche con alla base il cibo! Una sequenza di ben sette portate studiate a tavolino per amplificare i sensi!

La sinestesia è una sorta di fenomeno  di migrazione sensoriale e percettiva tale per cui un suono si trasforma in un colore (dall’udito alla vista) o le parole vengono percepite come sapori. Lo chef Josef Youssef insieme ad alcuni psicologi del Cross Modal Department Oxford University tenta di ricreare esperienze sinestesiche attraverso il cibo in un’ottica di alta cucina sperimentale.

Con l’aiuto di buste chiuse da aprire soltanto all’arrivo del piatto, le diverse portate consentono ai commensali di rendersi conto di credenze stereotipate e ancestralmente radicate nelle nostre menti riguardo i cibi nei loro sapori, consistenze e rumori mentre li assoporiamo.

Cubi sensoriali a tavola e suoni diversificati accompagnano l’esperienza della cena con la finalità di illustrare la relazione tra la percezione dei colori e il gusto, piuttosto che l’effetto del linguaggio e dei suoni sulla percezione visiva del cibo, e ovviamente la relazione tra le sensazioni tattili, gusto e consistenze degli alimenti.

Simpatici anche i nomi delle portate, tra cui per esempio “Believe Nothing of What you Hear”, che mettono in guardia dai nostri preconcetti da degustazione.  

Se vi trovate dalle parti di Londra, potete prenotare questa curiosa cena dal giovedi al sabato presso il Food Incubator, Maida Hill Place.

 

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Consapevolezza corporea: Neglect, Anosognosia e Somatoparafrenia

La mancanza di consapevolezza del proprio deficit, o il disinteresse verso le sue conseguenze, rappresentano un grave ostacolo alla riabilitazione e influenzano sicuramente la qualità della vita sia del paziente che dei suoi familiari.

Giuro su Dio, su quello che vuole, che io non… Uno dovrebbe saper riconoscere il proprio corpo, cos’è e cosa non è suo. Ma questa gamba, questa cosa,” ebbe un altro brivido di ripugnanza “non mi convince, non la sento vera… E poi non mi sembra una parte di me.

Un giovane Oliver Sacks, chiamato urgentemente per un consulto, arriva in una camera di ospedale e trova questo signore, terrorizzato e disgustato, che gli rivolge queste parole. Il paziente afferma di aver trovato nel suo letto una gamba recisa; dopo essersi dato come unica spiegazione plausibile quella di uno stupido scherzo fatto da qualcuno appartenente allo staff dell’ospedale, scocciato, decide di buttarla giù dal letto. Ma insieme alla gamba cade dal letto anche lui. La gamba, infatti, era la sua.

Nel breve resoconto riportato dallo stesso Oliver Sacks nel libro “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” non è riportata la causa del ricovero o gli sviluppi della situazione clinica. Ma è davvero possibile non riconoscere una parte del proprio corpo? Possiamo essere addirittura disgustati dalla nostra gamba o dal nostro braccio?

Il senso di noi stessi, il modo in cui il corpo vede se stesso, è mediato dalla propriocezione. Insieme al sistema visivo e al sistema vestibolare, essa collabora a restituirci il senso del corpo. Da un punto di vista neuroanatomico tale fenomeno integra componenti che vanno dal sistema nervoso periferico alla corteccia cerebrale passando per strutture sottocorticali. La parte sinistra della corteccia somatosensoriale sembra avere un ruolo maggiore per quanto riguarda l’orientamento del corpo, mente quelle destra è più legata a tutti quei fenomeni relativi alla consapevolezza corporea. L’emisfero destro, infatti, sembra avere un ruolo pregnante nell’integrazione somatosensoriale per quanto riguarda gli stimoli dell’emisoma controlaterale ma anche per quelli dell’emisoma ipsilaterale.

La Negligenza Spaziale Unilaterale (NSU) rappresenta una condizione nella quale, in seguito a una lesione cerebrale, il paziente perde la capacità di esplorare l’emicampo visivo controlaterale alla lesione (il neglect è più frequente e più grave con lesioni nell’emisfero destro, di conseguenza l’emicampo “negato” è quello sinistro). Il paziente con neglect personale perde la consapevolezza dell’emisoma controlesionale. I pazienti possono presentare un neglect grave, medio o lieve con maggiore o minore consapevolezza. Nei casi gravi è presente una forte componente di anosognosia (mancanza o scarsa consapevolezza di un deficit motorio o cognitivo, senza che sia necessariamente correlato a un deficit intellettivo) e molto spesso anosodiaforia (ovvero assenza di preoccupazione per la malattia). Naturalmente non si parla di fenomeni “tutto-o-niente” ma il grado di consapevolezza può variare lungo un continuum.

Il termine misoplegia è stato coniato da Critchley e si riferisce alla condizione di odio o disgusto che il paziente prova verso l’arto plegico. Manifestazioni minori di questa condizione possono essere le aggressioni verbali rivolte all’arto, ma comunemente la misoplegia comprende atti fisici rivolti contro l’arto plegico.

La somatoparafrenia, invece, è una forma di asomatognosia che si manifesta come un delirio selettivo verso l’arto plegico o paretico. Nonostante la connotazione delirante non si associa ad altri sintomi o disturbi psichiatrici. E’ un sintomo produttivo spesso associato a neglect extra-personale che fortunatamente risulta essere acuto e fluttuante. Il vissuto esperito dal paziente può essere definito “non-belonging feeling” in quanto egli non riconosce come proprio l’arto plegico che viene solitamente attribuito a un parente, a un familiare, al medico. Tale sintomo compare solo se il paziente viene interrogato quindi il suo tasso di prevalenza può non essere veritiero. Inoltre il paziente persiste nelle sue credenze trovando giustificazioni che vadano a confermare la convinzione di non appartenenza dell’arto che gli viene mostrato o fatto toccare.

La somatoparafrenia si manifesta spesso in associazione con l’eminegligenza spaziale unilaterale, l’emiplegia e l’anosognosia; non è ancora ben chiaro se somatoparafrenia e anosognosia siano dissociabili o meno. In un recente studio Invernizzi et al. (2013) hanno riscontrato, su un campione di 75 pazienti, 5 casi di somatoparafrenia senza anosognosia per l’emiplegia. Da un punto di vista neuroanatomico le aree coinvolte non erano assolutamente sovrapponibili a quelle dei pazienti che presentavano anosognosia per l’emiplegia. Infatti mentre nella somatoparafrenia sembrano essere maggiormente danneggiate aree sottocorticali, i fasci di sostanza bianca e la corteccia orbito-frontale (Feinberg et al., 2010), nell’anosognosia per l’emiplegia sembrano coinvolte aree frontali e pre-frontali. La frequente co-presenza dei due sintomi può essere ricondotta al grado maggiore o minore di sovrapposizione delle aree coinvolte; sicuramente sono più rari i casi in cui vengono per così dire “risparmiati” i lobi frontali.

Un ulteriore studio condotto da Gandola e collaboratori (2012) mostra come, oltre ad essere coinvolte le aree corticali solitamente associate alla NSU (quindi la corteccia fronto-temporo-parietale destra), i pazienti somatoparafrenici mostravano lesioni aggiuntive alla sostanza bianca e ad alcune aree sottocorticali (talamo, gangli della base e amigdala) e ad altre aree corticali come il giro frontale inferiore, il giro post-centrale e l’ippocampo. Il coinvolgimento delle strutture corticali profonde e sottocorticali potrebbe essere correlato al ridotto senso di familiarità che questi pazienti esperiscono verso il proprio arto plegico.

Esperimento della mano di gomma 2 - Immagine di proprietà di: John Russell / Vanderbilt University
Esperimento della mano di gomma. Rubber Hand Illusion

Tuttavia non sembrano ancora chiari i meccanismi funzionali alla base della somatoparafrenia e quali siano i punti in comune e non con l’anosognosia. Inoltre non sono stati ancora approfonditi i motivi per cui la somatoparafrenia è un sintomo così fluttuante: probabilmente entrano in gioco meccanismi di plasticità corticale. Manipolazioni sperimentali, anche di tipo verbale, potrebbero portare ad una maggiore comprensione della condizione e del vissuto del paziente.

La mancanza di consapevolezza del proprio deficit, o il disinteresse verso le sue conseguenze, rappresentano un grave ostacolo alla riabilitazione e influenzano sicuramente la qualità della vita sia del paziente che dei suoi familiari. Proprio per questo motivo è importante conoscere e riconoscere queste situazioni, quindi sviluppare strumenti adeguati per la loro rilevazione; in questo modo sarà possibile intervenire e ricercare le strategie più adeguate al fine di migliorare la condizione del paziente e di chi gli sta vicino.

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