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Il suicidio in carcere

La scarsa attenzione alla salute mentale sembra comportare in ambito penitenziario un ampio numero di casi di suicidio in carcere

Di Elisa Scaringi

Pubblicato il 27 Giu. 2024

Il suicidio in carcere: morire in carcere, morire di carcere

Morire in carcere spesso corrisponde a morire di carcere. In molti decidono di togliersi la vita appena entrati in cella, altri quando sono in procinto di uscirne. La prospettiva di un’esistenza diversa, rinchiusa per anni in spazi angusti e spesso non manutenuti, oppure influenzata dal giudizio degli altri verso l’errore commesso nel momento del confronto col mondo esterno, può spingere al suicidio. Per soffocamento o impiccagione, questo gesto estremo alza l’asticella dell’allarme intorno al sistema carcerario, incapace di farsi garante della tutela, della cura, del recupero, dell’assistenza, della vita di chi vi viene destinato. Come i molti giovani che scelgono la morte a un’esistenza rinchiusa e pregiudicata. 

P. G., per esempio, un ragazzo di etnia rom, sordo e fragile per via di alcune diagnosi complesse, il più giovane a perdere la vita nel 2024, nel giorno del suo ventunesimo compleanno. O un venticinquenne di origine marocchina, morto qualche giorno dopo le festività natalizie di due anni fa, impiccato alle sbarre della finestra della cella. “Entrato alle 21 e deceduto alle 5 del mattino seguente, non c’è stato il tempo di immatricolarlo. Di lui conosciamo il reato – resistenza e oltraggio a un pubblico ufficiale – ma non il volto”.  

Suicidio in carcere: i dati italiani

Siamo nel 2022, l’anno con il maggior numero di suicidi in carcere: secondo il rapporto del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale del 2022, 84 persone si sono tolte la vita, su un totale di 171 morti fra i detenuti. I dati dei primi undici mesi di due anni fa ci dicono che si sono suicidati più uomini (74) che donne (5), più giovani (70 con un’età compresa fra i 18 e i 54 anni) che anziani (9 tra i 55 e gli over 70), più italiani (46) che stranieri (33, di cui 18 senza fissa dimora). In media, c’è stato un suicidio ogni quattro giorni e mezzo, con un’incidenza del 15,2 ogni 10mila detenuti, un dato allarmante se si confronta con i suicidi fuori dalle mura carcerarie: 0,71 ogni 10mila abitanti.

Stando ai dati disponibili soltanto fino al 68° caso di suicidio, 11 di queste persone erano affette da disturbi psichici, e soltanto 3 si sono tolte la vita in sezioni carcerarie destinate alla cura di tali patologie (“Servizio di assistenza intensificato”, “Infermeria”, “Articolazione per la tutela della salute mentale in carcere”). Tutti uomini; tutti giovani, tranne un ultrasettantenne, con un’età compresa fra i 21 e i 53 anni; 7 italiani e 4 stranieri. Tra le diagnosi compaiono depressione maggiore, disturbo borderline di personalità, disturbo antisociale di personalità, schizofrenia, disturbo schizotipico, disturbo delirante, disturbo di personalità paranoide, disturbi psichici e comportamentali correlati all’uso di sostanze.

Di questi 11 detenuti, uno era in attesa di essere ricollocato in una REMS (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza), uno era già stato ricoverato in un SPDC (Servizio psichiatrico di diagnosi e cura), un altro ancora venne spostato nella varie sezioni del carcere dedicate a coloro che hanno problemi psichici, fino al tragico evento suicidario: due mesi nella sezione di Media Sicurezza, poi 23 giorni nella Sezione di Osservazione psichiatrica, poi di nuovo nella sezione di Media Sicurezza per tre anni, per poi finire i suoi giorni nella Sezione di Osservazione psichiatrica.

Gestione dei disturbi mentali nella detenzione e rischio di suicidio

Oggi, infatti, l’ordinamento giudiziario prevede la possibilità che i detenuti affetti da patologie psichiatriche vengano assegnati alla cosiddette “Articolazioni per la salute mentale”, sezioni speciali volte a garantire servizi di assistenza medica rafforzata, laddove l’approccio terapeutico si riduce spesso al semplice contenimento e alla somministrazione della terapia farmacologica. Come accade, per esempio, nel reparto “Sestante” presso la casa circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino. Punto di riferimento regionale e nazionale per la cura delle malattie mentali più gravi manifestate dai detenuti, è suddiviso in due sezioni: un reparto osservazione, in cui vengono ristretti i soggetti in acuzie, sottoposti a videosorveglianza in maniera continuativa, e un reparto trattamento, per soggetti che vengono valutati idonei a intraprendere un percorso terapeutico.

Il rapporto 2018 del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute e private della libertà personale ha segnalato come la sezione VII, dedicata all’osservazione, “nonostante nasca come luogo in cui debbano essere ristretti soggetti nella fase più acuta della malattia, dunque soggetti che avrebbero maggiore bisogno di cure, viene segnalata la totale mancanza di qualsiasi progetto terapeutico e l’esclusione di attività che consentano qualsiasi forma di socialità”.

L’isolamento in celle singole rappresenta una misura in netto contrasto con la cura del disagio. La stanza 150, la cosiddetta cella liscia, priva di tutto tranne che di un servizio igienico alla turca, dovrebbe essere un luogo di permanenza ridotto a qualche ora, che invece diventa luogo di detenzione per periodi superiori ai venti giorni. Le modalità con cui non viene posta cura e attenzione alla salute mentale in carcere fa emergere tutte le lacune a cui l’istituzione penitenziaria si trova a far fronte, attenta più alle necessità di ordine e sicurezza che non ai bisogni delle persone, mediante l’utilizzo di metodi punitivi come le celle lisce appunto, anche per i detenuti psichiatrici.

“Dall’analisi svolta emerge dunque che il carcere per la sua stessa natura, nonostante i tentativi affannosi del legislatore, non possa e non debba essere considerato come un luogo adatto alla cura dei malati psichiatrici”.

Al 18 aprile 2024, secondo il Dossier Morire di carcere elaborato dall’associazione Ristretti Orizzonti, sono già 57 le morti in carcere, di cui 32 per suicidio, fra i quali un uomo in attesa di essere trasferito in una REMS e un giovane, impiccatosi nel CPR di Ponte Galeria. Anche quest’anno sono stati moltissimi i giovani carcerati ad aver deciso di togliersi la vita, che vanno ad aggiungersi ai 1.754 detenuti morti suicidi in 32 anni.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Associazione Ristretti Orizzonti, Dossier Morire di Carcere.  (Ultima consultazione 28 aprile 2024) 
  • Centonze, B., Salute mentale in carcere, o “della solitudine” (Ultima consultazione 20 aprile 2024) 
  • Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Per un’analisi dei suicidi negli Istituti penitenziari, Studio a cura dell’Unità Privazione della libertà in ambito penale: Emanuele Cappelli, Davide Lucia, Tiziana Fortuna, Giovanni Suriano. Con la collaborazione di Nadia Cersosimo, Roma, 5 dicembre 2022. Disponibile qui.
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