Schizofrenia: definizione e inquadramento diagnostico
Il termine schizofrenia (dal tedesco schizophrenie, comp. di schizo- dal greco σχιζο ‘separare/scindere’ e –phrenie dal greco ϕρενία che significa ‘mente’) indica un disturbo psichico che comporta disfunzioni cognitive, comportamentali ed emotive. Ne è colpito circa l’1,1% della popolazione sopra i 18 anni e sembra trarre origine sia da fattori genetici che ambientali.
Differentemente da quanto il termine farebbe pensare (letteralmente “mente divisa”), la schizofrenia non implica alcuna “doppia personalità” (come nel disturbo dissociativo dell’identità) ma è caratterizzata, secondo i criteri del DSM-5, da almeno due sei seguenti sintomi, ciascuno presente per una parte di tempo significativa durante un periodo di un mese: deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato (es: frequente deragliamento o incoerenza), comportamento grossolanamente organizzato o catatonico e sintomi negativi (ad es: diminuzione dell’espressione delle emozioni e abulia).
Diagnosi di schizofrenia
Inoltre, il manuale stabilisce che, per fare diagnosi di schizofrenia, almeno uno di questi due sintomi debba essere un delirio, un’allucinazione o l’eloquio disorganizzato e che il livello di funzionamento in una o più delle aree principali (es: lavoro, relazioni interpersonali e la cura di sé) debba risultare marcatamente al di sotto del livello raggiunto prima dell’esordio. In aggiunta, i segni del disturbo devono persistere per almeno 6 mesi (anche se questo lasso di tempo può comprendere periodi di sintomi prodromici o residui), di cui 1 mese di sintomi sopracitati (American Psychiatric Association, 2013).
Schizofrenia: storia del termine
Sebbene descrizioni di sindromi simili alla schizofrenia compaiano già prima del XIX secolo, i primi casi riportati dalla letteratura medica risalgono al 1809, all’interno delle pubblicazioni di Philippe Pinel. Il termine schizofrenia è stato coniato da Eugen Bleuler nel 1908, il quale inizialmente descrisse i suoi sintomi come le “quattro A”: appiattimento dell’Affetto, Autismo, Associazione ridotta di idee e Ambivalenza.
Emil Kraepelin, aveva classificato la schizofrenia come “demenza precoce”, in quanto si manifestava anche nei più giovani a differenza delle già note demenze, e aveva osservato nei suoi pazienti la perdita dell’unità del pensiero, del sentire e dell’agire, l’appassimento dei sentimenti più elevati, molteplici e peculiari disturbi della volontà, deliri di perdita della libertà psichica e di influenzamento e, infine, disintegrazione della personalità, mentre le conoscenze acquisite e le capacità semplici restano relativamente integre.
Bleuler, invece, non concepiva questa sindrome come una demenza, poiché i suoi pazienti che ne erano affetti, se adeguatamente trattati, tendevano a migliorare e non a peggiorare nel tempo, quindi coniò un termine a sé stante, “schizofrenia” appunto. Gli studi di Bleuler, inoltre, proponevano per primi la possibilità reale di guarire da questo disturbo.
Dal 1970 i criteri diagnostici per la schizofrenia sono stati oggetto di una serie di controversie che alla fine hanno portato a criteri operativi ancora utilizzati oggi.
Sintomi della schizofrenia: positivi e negativi
La schizofrenia si compone di due tipi di sintomi, quelli positivi e quelli negativi. I sintomi positivi primi includono deliri (ad es: di grandezza, di persecuzione, etc.), allucinazioni (tattili, uditive, visive, olfattive e gustative), pensiero disorganizzato (ad es: incoerenza, incapacità di concentrarsi, pensieri illogici, etc.) e agitazione.
I sintomi negativi, invece, sono così definiti in quanto si tratta di capacità che la maggior parte delle persone possiedono, ma che i pazienti schizofrenici sembrano aver perso; esempi di tali sintomi possono essere: affettività coartata, povertà di pensiero, isolamento sociale, appiattimento emotivo, anedonia e apatia.
Inoltre, per quanto riguarda i sintomi prodromici come isolamento dalla vita sociale, incapacità di svolgere il proprio lavoro, comportamenti ed idee stravaganti, trascuratezza nell’igiene personale ed appiattimento dei rapporti affettivi, essi solitamente precedono il primo episodio di psicosi.
Diversi tipi di schizofrenia
La schizofrenia tradizionalmente si distingue in:
- Schizofrenia di tipo Catatonico: predomina il mutismo e l’assunzione di posture anormali. E’ caratterizzata da un grave distacco dalla realtà e spesso si manifesta con lunghi stati di immobilità e brevi crisi di intensa agitazione. Il paziente schizofrenico catatonico è ossessionato dal timore di poter agire in modo sbagliato o di confrontarsi con stimoli e situazioni potenzialmente dannose, per questo preferisce immobilizzarsi facendo a meno persino di lavarsi, vestirsi e di mangiare.
- Schizofrenia di tipo Paranoide: predomina il delirio di persecuzione (convinzione dell’individuo di essere oggetto di una cospirazione, di essere ingannato, spiato, seguito, avvelenato oppure drogato, dolosamente calunniato, molestato, oppure ostacolato nel perseguimento di obiettivi a lungo termine). In questo caso il soggetto si ritrae da un mondo da lui ritenuto ostile. Pensa di essere vittima delle azioni malevole delle altre persone, quindi appare sospettoso, ostile e rimugina sui contenuti dei suoi deliri, che rappresentano di fatto l’unica giustificazione alle proprie sofferenze. Questa declinazione della schizofrenia può portare il paziente a mettere in atto comportamenti aggressivi e violenze verso gli altri, interpretabili dall’esterno come una difesa preventiva alle potenziali minacce altrui.
- Schizofrenia di tipo Disorganizzato (o tipo Ebefrenico): predomina il discorso disorganizzato, i comportamenti incoerenti (es: sorrisi nelle circostanze sbagliate), i disordini di tipo affettivo, la dissociazione del pensiero e il disinteresse per gli altri e il mondo circostante.
Questa distinzione è stata inserita poi nell’ICD-10, insieme alla schizofrenia indifferenziata, residua, semplice e non specificata.
Trattamento farmacologico della schizofrenia
Il trattamento d’elezione per la schizofrenia comprende spesso farmaci antipsicotici (o neurolettici) come la clorpromazina, l’aloperidolo, la perfenazina e la flufenazina, che, agendo prevalentemente sulle vie dopaminergiche, sortiscono sul paziente un effetto antidelirante ed antiallucinatorio.
Il loro impiego andrebbe valutato con attenzione, in quanto a lungo termine può inficiare l’azione della dopamina producendo due sindromi chiamate sindrome neurolettica (riduzione dei movimenti spontanei, con riflessi spinali che rimangono intatti) e sindrome extrapiramidale (simile per certi versi alla malattia di Parkinson, quindi connotata da rigidità dei muscoli e dei movimenti, mancanza di espressività del volto, irrequietezza motoria, lentezza o blocco dei movimenti e rallentamento dell’ideazione e dei riflessi).
Nonostante ciò, l’efficacia dei neurolettici è comprovata, come riporta una recente meta-analisi di 65 trial, eseguiti tra il 1959 e il 2011, che hanno coinvolto quasi 6.500 pazienti schizofrenici. Tale analisi evidenzia come i farmaci antipsicotici possano ridurre del 60% il rischio di recidiva nei pazienti schizofrenici. Inoltre, i pazienti che assumono antipsicotici hanno anche una probabilità notevolmente inferiore di dover essere ricoverati in ospedale, si comportano in modo meno aggressivo e godono di una migliore qualità di vita rispetto ai pazienti che non prendono questa tipologia di farmaci.
Terapia cognitivo-comportamentale della schizofrenia
I primi tentativi di impiego della psicoterapia cognitivo-comportamentale sulla schizofrenia risalgono al 1952, ad opera di Beck. L’idea di base era utilizzare strategie comportamentali allo scopo di produrre cambiamenti in primis nella sfera affettiva e poi in quella cognitiva. Si procedeva, perciò, cercando di migliorare le strategie di coping e sostenendo l’acquisizione di abilità sociali nel paziente. Un grande passo avanti rispetto a tali trattamenti fu il superamento della concezione secondo la quale i pensieri irrazionali non causerebbero direttamente i comportamenti maladattivi e le emozioni negative.
Secondo una visione successiva esisterebbe, invece, una complessa rete di fattori reciprocamente interagenti, come pensieri, comportamenti, sentimenti e sensazioni fisiche, in grado di spiegare i sintomi della schizofrenia. A seguito dell’applicazione di tali principi, i terapeuti hanno iniziato a lavorare con i pazienti schizofrenici non solo sul contenuto dei loro pensieri negativi, ma anche sulla modificazione di fattori connessi alle relazioni interpersonali, all’attaccamento, alle problematiche interpersonali, alle perdite e ai traumi, all’autostima e all’autocontrollo. Ciò è particolarmente vero per gli approcci di terza generazione, come la terapia metacognitiva (MCT), il compassionate mind training (CMT), il metodo dei livelli (MOL) e le applicazioni cliniche mindfulness-based.
L’efficacia clinica della terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento della schizofrenia è stata comprovata a più riprese. Nel corso di diversi randomized-controlled trial, infatti, la terapia ha mostrato un’efficacia moderata nel trattamento dei sintomi positivi e negativi, anche nei pazienti che rifiutavano il trattamento farmacologico. E’ stato notato, inoltre, come i pazienti trattati in fase acuta rispondessero meglio rispetto a quelli trattati in fase cronica.
Schizofrenia: conclusioni
La schizofrenia costituisce un disturbo complesso ed è probabilmente il risultato dell’interazione di fattori ambientali e genetici. L’ampio ventaglio di sintomi e i diversi profili che questo disturbo può assumere nei vari pazienti rendono talvolta complessa una diagnosi precoce, aspetto su cui risulta indispensabile lavorare: un intervento tempestivo potrebbe infatti risultare centrale per una prognosi favorevole. Ulteriori studi risultano inoltre necessari per comprendere il funzionamento cerebrale che il disturbo comporta: a tal proposito una promettente linea di ricerca si sta muovendo nella direzione dell’utilizzo di cellule staminali per costruire un modello esplicativo in vitro della schizofrenia.
- American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Washington, DC: Author.