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Psicosi ed esordio psicotico: importanza di una diagnosi tempestiva

Con un intervento precoce il paziente con psicosi può preservare le proprie capacità, venire a patti con la malattia, e prevenire così la demoralizzazione.

Di Guest, Elisabetta Strina

Pubblicato il 20 Gen. 2016

Aggiornato il 30 Set. 2019 15:52

Mediante l’intervento precoce si può sostenere il paziente con psicosi nel preservare un senso di sé e delle proprie capacità, aiutarlo a venire a patti con la malattia, prevenendo la demoralizzazione e la perdita di autostima.

 Anna Coen e Elisabetta Strina – Open School Psicoterapia Cognitiva e Ricerca

Psicosi e importanza dell’intervento precoce

La psicosi può essere intesa come un cambiamento radicale che ha effetti sconvolgenti sul sé causando il deragliamento, l’interruzione o la paralisi della traiettoria di sviluppo della persona. L’esordio psicotico, che spesso avviene in età adolescenziale, può comportare la riduzione dei movimenti verso l’autonomia dalla famiglia e inibire la formazione dell’identità e la padronanza di sé.

Se questa instabilità e questo ridotto funzionamento sociale vengono prolungati per lungo tempo, la psicosi e le sue conseguenze possono essere ancora più traumatiche. L’esperienza clinica ha ampiamente dimostrato che parte dei ragazzi che giunge allo scompenso acuto presentava già sintomi e segni che sono stati sottovalutati dal contesto di vita e dagli operatori sanitari con cui sono venuti a contatto; se fossero stati intercettati per tempo avrebbero potuto evitare di arrivare alla situazione esplosiva.

Dagli anni ’90 si è assistito a un maggiore ottimismo riguardo a migliori esiti nel trattamento della schizofrenia e delle psicosi ad essa correlate. Le ragioni si possono riconoscere in due fattori: nello sviluppo di farmaci antipsicotici di nuova generazione che hanno dimostrato una maggiore efficacia e minori effetti collaterali; nella consapevolezza che un intervento nelle fasi precoci della malattia potesse garantire una migliore qualità di vita al paziente ed ai suoi familiari e una prognosi maggiormente favorevole.

Infatti, mediante l’intervento precoce si può sostenere il paziente nel preservare un senso di sé e delle proprie capacità, aiutarlo a venire a patti con la malattia, prevenendo la demoralizzazione e la perdita di autostima, sostenerlo in modo che eserciti una forma di controllo sul proprio ambiente e sul proprio futuro, in vista di una possibile guarigione.

Per realizzare questo approccio preventivo è importante identificare gli aspetti che caratterizzano l’esordio dei disturbi prima che si stabilizzino. Raramente i sintomi psicotici compaiono dal nulla senza precedenti cambiamenti nello stato mentale.

 

Psicosi: prodromo ed esordio

Considerando gli stadi che conducono all’esordio della psicosi conclamata il prodromo si riferisce al periodo di tempo caratterizzato da aspetti dello stato mentale (segnali di disagio) che rappresentano un cambiamento da un funzionamento premorboso fino all’esordio del quadro psicotico completo. E’ un concetto retrospettivo, diagnosticabile solo dopo il riconoscimento del primo episodio psicotico, che comporta una serie di difficoltà con conseguenze sull’esattezza delle descrizioni. Lo sforzo di trovare un senso ad avvenimenti precedenti può dar vita a correlazioni illusorie, pregiudizi a posteriori che si autoconfermano, influenze sullo stato mentale del momento, fenomeni di chiusura ermetica per il desiderio di non ricordare quel periodo della propria vita.

Per applicare più proficuamente il concetto di prodromo in visione prospettica è corretto parlare di “stati mentali a rischio” (McGorry, Singh 1995), per cui la sindrome prodromica conferisce un rischio di psicosi, ma la malattia non è inevitabile.

 

Sintomi e prodromi dell’esordio psicotico

Circa i due terzi dei soggetti che sviluppano una patologia psichiatrica presentano il prodromo nei due/tre anni prima dell’esordio. I primi ad evidenziarsi sono i sintomi affettivi come umore depresso, insicurezza ed ansia, cambiamenti nel tono dell’umore, sensazioni di tensione, sospettosità, rabbia, irritabilità; successivamente, i sintomi negativi quali la perdita di energia e motivazione, rallentamento motorio, difficoltà a pensare e concentrarsi, idee bizzarre, vaghezza, modificazioni nella percezione di sé e degli altri, ritiro sociale. Seguono poi le alterazioni del comportamento, disturbi fisiologici (disturbi del sonno, cambiamenti dell’appetito, disturbi somatici) ed infine, dapprima in forma più attenuata poi più consistente, i sintomi positivi quali deliri ed allucinazioni.

E’ stata riscontrata una frequente comorbidità dell’abuso di sostanze nei giovani, in particolare di sesso maschile, con recente esordio schizofrenico; si è ipotizzato che la tendenza ad usare droghe sia un tentativo di mitigare i sintomi psicotici negativi, la depressione o il disagio derivante dalle conseguenze del disturbo. Nonostante il sollievo soggettivo che può portare, l’abuso di sostanze ha spesso effetti deleteri sulla psicosi: peggiora la sintomatologia, aumenta le ricadute ed i conseguenti ricoveri ripetuti e incrementa la violenza e i suicidi (Smith e Hucker,1994).

 

Indicatori prodromici della psicosi

In letteratura troviamo ricerche che segnalano l’esistenza di indicatori prodromici dell’esordio psicotico:

  • Disturbi del pensiero, stress, blocchi, disturbi nella comprensione del linguaggio, instabili idee di riferimento, derealizzazioni, disturbi della percezione uditiva/visiva, incapacità di discriminare tra i pensieri, percezione, fantasia e ricordi (Klosterköttereta et al., 2001);
  • Attenuati sintomi di psicosi connessi a rischio genetico, lunga durata di sintomi prodromici, scarso funzionamento sociale, difficoltà attentive (Yung et al., 2004);
  • Pensiero insolito, basso funzionamento, rischio genetico associato a declino funzionale (Thompson et al., 2011);
  • Rischio genetico per la schizofrenia con recente deterioramento del funzionamento, pensiero insolito, livelli elevati di sospettosità e paranoia, compromissione sociale e una storia di abuso di sostanze (Cannon et al.,2008)
  • Sintomi psicotici attenuati (sospettosità), sintomi negativi (anedonia / asocialità), deficit cognitivo (Riecher-Rössler et al, 2009)
  • Sintomi positivi, pensiero bizzarro, disturbi del sonno, disturbo schizotipico, livello di funzionamento nel corso dell’ultimo anno, anni di scolarizzazione (Ruhrmann et al. 2010).

Le tecniche di neuroimaging possono avere valore predittivo aggiuntivo per rilevare gli individui a rischio psicosi, in quanto individuano aree cerebrali e disfunzioni nei sistemi neurotrasmittoriali che appaiono coinvolti nella patogenesi della psicosi.

Ci rendiamo, però, conto della difficoltà a effettuare questo tipo di indagini nei soggetti potenzialmente a rischio. Appare auspicabile effettuare una corretta raccolta anamnestica volta a individuare i fattori di rischio che possono avere un ruolo nello sviluppo della psicosi.

La psicosi tra genetica e fattori ambientali

Bisogna ragionare secondo un modello bio-psico-sociale che necessariamente deve includere le interazioni tra genetica e fattori ambientali.

Si presume che la componente genetica agisca sui tratti psicologici (neuro-cognitivi e di personalità) associati alla psicosi condizionandone andamenti e risultati (Olgiati et al., 2008).

La grande maggioranza delle ricerche concorda nell’indicare un’elevata familiarità della malattia. Il rischio medio della popolazione è dell’1%, ma per i consanguinei aumenta in modo proporzionale al grado di parentela. Si riscontra l’esistenza di alcuni cromosomi probabilmente coinvolti nell’insorgenza della schizofrenia: 1, 2, 3, 5, 6, 8, 10, 11, 13, 14, 20, 22 (Botstein et al. (2003), Levison et al. (2003), Lewis et al. (2003), Segurado et al. (2003), Wong et al.(2003)).

L’importanza delle interazioni genotipo/ambiente è stata evidenziata, ad esempio, da ricerche che dimostrano come i figli adottivi i cui genitori biologici erano schizofrenici avevano un rischio di ammalarsi maggiore se le famiglie adottive erano disturbate.

Le caratteristiche ambientali determinano poi la probabilità che essa si manifesti: lo stress ambientale indurrebbe la comparsa della sintomatologia solo negli individui predisposti. L’attività dei singoli geni viene modulata sia dall’ambiente esterno sia dallo sfondo genico, in cui confluiscono anche svariati deficit enzimatici primari. E’ possibile che i casi più lievi abbiano un numero minore di geni nel sistema poligenico, per cui è meno probabile che incontrino stress ambientali sufficienti a causare la malattia rispetto a coloro che sono colpiti da una forma grave.

Altri fattori di rischio frequentemente associati alla psicosi sono risultati: l’età, il genere, la sofferenza prenatale e perinatale, le influenze ambientali stagionali, le anomalie e i ritardi nello sviluppo motorio e neurologico, le alterazioni del pensiero formale, l’instabilità dell’ambiente affettivo dell’infanzia, trauma cranici, l’abuso di sostanze, stressor ambientali. Caratteristiche comuni di una personalità preschizofrenica sono risultate i deficit nella memoria a breve termine, i deficit nell’attenzione, le difficoltà di concentrazione la scarsa competenza sociale e l’ipersensibilità agli stimoli.

Tra i fattori psicosociali a cui è stato attribuito maggiore rilievo sono riportate alcune modalità di interazione familiare che avrebbero un ruolo significativo nella slatentizzazione della malattia, quali una comunicazione distorta, uno stile di rapporti affettivi improntato alla negatività, al criticismo e all’intrusività.

Un dato interessante è l’aumento dell’incidenza dei disturbi psicotici fra le popolazioni migranti (Harrison et al., 1997; Cantor-Graae and Selten 2005; Morgan et al., 2010; Tarricone et al.2012). La spiegazione che probabilmente sottende questo fenomeno è dovuta all’esperienza traumatica, che potrebbe essere connessa alla migrazione, in individui con un’elevata sensibilità personale allo stress e una vulnerabilità biologica alla psicosi.

 

Psicosi ed esordio psicotico: l’importanza di un’anamnesi completa

Alla luce di questi dati risulta fondamentale una corretta e completa raccolta dell’anamnesi e, oltre al colloquio clinico, l’assessment potrebbe anche includere la somministrazione di alcuni test psicopatologici (es. CAARMS-Comprehensive Assessmentof of At Risk Mental States, per l’identificazione dello stato di rischio- e la SOFAS-Social and Occupational Functioning Assessment Scale,per valutare un eventuale decremento del funzionamento globale).

Oltre all’individuazione dei fattori potenzialmente predittivi o, comunque, allarmanti della possibilità di un esordio psicotico, un intervento tempestivo potrebbe essere ostacolato dalla difficoltà nell’incontrare la domanda di aiuto psicologico da parte dell’adolescente. I ragazzi, infatti, avvertono frequentemente un vissuto di invulnerabilità ed onnipotenza che li rendono poco motivati ad accettare l’aiuto offerto dagli adulti. L’orientamento ad evitare relazioni di dipendenza, il desiderio di autonomia, l’apertura a nuovi oggetti di interesse e passione, li portano spesso a diffidare da relazioni troppo chiuse e caratterizzate da una dipendenza che può apparire regressiva. A ciò si somma la difficoltà ad elaborare simbolicamente queste esperienze, anche a seguito dei cambiamenti neurologici in corso, che li portano più ad agire i conflitti che a pensarli.

Il comportamento deviante degli adolescenti è generalmente tollerato dal contesto sociale e i giovani maschi, in particolare, corrono facilmente il rischio che non venga riconosciuta la loro malattia.

I fattori che possono ritardare il ricorso ai servizi psichiatrici sono anche imputabili alle reazioni della famiglia ai cambiamenti, al tentativo di negazione e al vissuto stigmatizzante che il riconoscimento della patologia esercita. Vi sono poi resistenze specifiche della famiglia del paziente con psicosi dovute sia alle caratteristiche dei sintomi progressivi a cui l’ambiente si adatta gradualmente, sia soprattutto al fatto che la famiglia è parte in causa della genesi del disturbo.

Intervengono inoltre gli elementi clinici propri della psicosi che spesso ostacolano la richiesta di aiuto in quanto la sintomatologia psicotica inibisce la capacità di insight ed aumenta la sospettosità, le idee persecutorie ed il ritiro sociale.

 

Psicosi: sensibilizzare per favorire interventi tempestivi

La premessa per facilitare l’accesso ai servizi è una campagna di informazione e sensibilizzazione per accrescere le conoscenze sulla malattia ed evitare che ignoranza e paura impediscano una presa in carico tempestiva e corretta. Tale opera informativo-educativa va rivolta agli operatori sanitari dell’assistenza di base ed alle figure professionali che possono avere contatto con i giovani sul territorio come educatori o psicologi presso le scuole.

La scuola è uno dei fondamentali ambienti della vita giovanile, dove i ragazzi passano gran parte del loro tempo e quindi gli insegnanti e gli altri operatori scolastici sono osservatori privilegiati dei cambiamenti comportamentali che possono evolvere in esordio di psicosi, come difficoltà di apprendimento o disturbi nella socializzazione.

Un ruolo importante può essere ricoperto dai medici di famiglia che sono spesso i primi ad essere consultati e che devono essere in grado di incrementare le proprie abilità di screening per riconoscere i sintomi psichiatrici nascosti dalle lamentele relative a disturbi organici, superare la riluttanza a fare diagnosi di disturbo mentale spesso dovuta a pregiudizi pessimistici, e di decodificare la domanda di intervento per attivare un invio ai servizi specialistici competenti. Un invio ritardato o del tutto delegante e confusivo innesca un meccanismo di difficile presa in carico con il rischio di un fallimento nella costruzione di una significativa alleanza terapeutica fra curanti, famiglia e paziente.

La prima motivazione per sostenere la necessità di una individuazione precoce nella psicosi dell’adolescente è la possibilità di migliorare la qualità di vita di persone che sono destinate allo sviluppo di disturbi potenzialmente invalidanti.

La maggior parte dei danni più difficili da riparare a seguito dei ritardi nella presa in carico riguardano lo sviluppo personale del paziente con psicosi, il suo stile di vita ed i rapporti con l’ambiente sociale.

Se le persone vengono prese in carico quando la malattia è già manifesta e consolidata, i suoi effetti sulla struttura di personalità hanno già intaccato lo sviluppo, la rete sociale ed affettiva. Un atteggiamento più attivo ed un’offerta tempestiva e mirata di trattamenti consentono di ritardare o moderare le conseguenze della malattia con un miglioramento della qualità di vita, con benefici a livello di una riduzione della morbilità, mantenimento di abilità psicosociali, della conservazione dei supporti familiari e sociali, una minore necessità di ospedalizzazione ed un processo di guarigione più rapido ed una migliore prognosi.

Un’altra motivazione prende in considerazione i costi sociali. Le spese aggiuntive per il trattamento pre-esordio psicotico vengono compensate dai successivi risparmi associati alla prevenzione della malattia. Questi vantaggi sono dovuti, ad esempio, a una minore necessità di ricovero e una riduzione dei costi di trattamento.

Psicosi e Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Si è riscontrato che pazienti ad alto rischio di sviluppare psicosi trattati con CBT acquisiscono strategie di coping volte a ridurre il loro disagio diminuendo la probabilità di sviluppare psicosi. (P. Hutton e P. J. Taylor, 2013).

Infatti, la CBT lavora sulla normalizzazione del sintomo, la riduzione dell’angoscia ad esso associate e il miglioramento dell’insight. Attraverso la terapia cognitivo comportamentale si conduce il paziente verso l’analisi cognitiva dei sintomi, la loro sdrammatizzazione e decatastrofizzazione. La psicoeducazione aiuta i pazienti a comprendere la reale natura dei sintomi positivi (deliri e allucinazioni).

Inoltre l’isolamento sociale comune in questi pazienti viene contrastato attraverso il reinserimento del soggetto nel mondo esterno e indicazioni fornite ai familiari per la gestione quotidiana e la riduzione dello stigma (Hagen et al., 2012).

Purtroppo, nonostante il largo consenso di clinici e ricercatori circa il vantaggio di un intervento precoce nei casi di psicosi, la società nel senso più ampio deve ancora comprenderne il valore.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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