expand_lessAPRI WIDGET

Prigionieri, agenti di custodia e bullismo

Gli autori hanno esplorato gli atteggiamenti nei confronti del bullismo tra detenuti all'interno delle carceri studiandone aspetti fisici e sociali

Di Catia Lo Russo

Pubblicato il 16 Set. 2020

Uno studio di pochi anni fa (Ireland et al.,2016) si è proposto di esplorare la natura degli atteggiamenti e delle componenti dell’ambiente sociale e fisico che sono associati ad atteggiamenti che favorirebbero il bullismo nelle carceri.

 

Infatti, ricerche passate hanno riportato stime di bullismo in tale contesto fino all’81% (Dyson, 2005). Considerando le dimensioni della popolazione carceraria nel Regno Unito, ciò produrrebbe una stima minima di circa 9.000 prigionieri vittime di bullismo in un dato mese, se interpellati direttamente sulle loro esperienze, e un massimo di 69.000 prigionieri che riferiscono almeno un comportamento che potrebbe essere considerato bullismo in un singolo mese (sulla base dei dati della popolazione carceraria del Regno Unito per il 15 maggio 2015).

Il MMBSS (Multifactor Model of Bullying in Secure Settings) è un modello multifattoriale sul bullismo che ha cercato di integrare la letteratura sul bullismo in carcere con la più ampia letteratura sull’aggressione e i fattori noti che la promuovono. Il risultato è stato un modello che ha tenuto conto delle caratteristiche individuali e di fattori relativi al più ampio ambiente sociale e fisico che promuovono il bullismo in carcere. Nello specifico, secondo questo modello, il bullismo in carcere può essere perpetrato a causa di (1) un ambiente caratterizzato dalla ristretta disponibilità di beni materiali, bassa densità spaziale, strutture gerarchiche poco definite, alta tensione sociale (ambiente sociale) e scarsa presenza di relazioni di attaccamento, in combinazione con caratteristiche ed esperienze individuali altamente disadattive, come ad esempio elevata impulsività e una prolungata esperienza di reclusione; in secondo luogo, può essere perpetrato a causa (2) del verificarsi del fenomeno di ‘desensibilizzazione dell’aggressore’: i fattori contestuali associati all’aggressione, ovvero il rischio percepito di aggressione nell’ambiente; la frequenza delle aggressioni nell’ambiente carcerario; le strategie limitate per affrontare l’aggressione, in combinazione con una maggiore minaccia percepita di aggressione, incoraggiano l’aggressore a biasimare le vittime e ad assumere atteggiamenti accusatori nei loro confronti, oltre che di minimizzazione delle conseguenze del bullismo per le vittime (Ireland et al. 2012).

In aggiunta a ciò, il modello evidenzia il contributo importante apportato dagli atteggiamenti, degli individui presenti nell’ambiente di interesse, alla perpetrazione del bullismo in carcere, in quanto costituiscono una rilevante componente dell’ambiente sociale di riferimento: atteggiamenti di giustificazione del bullismo, visione negativa nei confronti delle vittime, visioni negative nei confronti dei bulli, il rispetto degli aggressori e delle conseguenze delle loro azioni, forza e astuzia percepita dei bulli, la visione delle vittime come persone in cerca di attenzione e che meritano di essere sottoposte a bullismo (Ireland, 1999).

Il campione si compone di 423 prigionieri, maschi e adulti, e 195 agenti di custodia (76% uomini), provenienti da due istituti di media sicurezza (Prigioni A e B) e uno di alta sicurezza (Prigione C) del Canada. L’età media dei detenuti è di 34 anni, la durata media totale della pena è di 110 mesi, mentre la durata media della detenzione fino al momento dello studio è di 64 mesi. Il 50.6% dei prigionieri è in carcere per un reato violento, il 16.1% per un reato legato alla droga, il 4.9% per un reato acquisitivo, il 2.8% per un reato sessuale e il 5.7% per altro. L’età media degli agenti è di 37 anni, la durata media del servizio come agente penitenziario è di 107 mesi, di cui in media 97 mesi all’interno del carcere di interesse.

Per mezzo di una scala a 39 item, la Prison Bullying Scale (PBS) (Ireland et al., 2009), gli autori hanno esplorato gli atteggiamenti nei confronti del bullismo da prigioniero a prigioniero (es. ‘non dovrebbe prendersela con qualcuno più debole di lui-lei’ e ‘di solito sono le vittime a causare il bullismo’). Il punteggio è compreso tra 1 (fortemente in disaccordo) e 7 (fortemente d’accordo). La Prison Environmental Scale (PES) invece, composta da 40 item (Allison e Ireland, 2010), mira ad indagare la percezione della prigione attuale da parte del campione attraverso affermazioni che riflettono fattori ambientali fisici e sociali che si pensa promuovano il bullismo nelle carceri. I fattori fisici riguardano i beni materiali, i cambiamenti nella popolazione carceraria, la frequenza della supervisione del personale e la mancanza di stimoli; i fattori sociali riguardano la struttura organizzativa, gli atteggiamenti nei confronti del bullismo da parte del campione e le strutture di potere e di dominio. Ogni elemento è valutato su una scala da 1 (fortemente in disaccordo) a 5 (fortemente d’accordo).

In media i detenuti hanno rivelato atteggiamenti più positivi e solidali rispetto alle guardie per quanto riguarda il sostegno alle vittime, probabilmente a causa del maggior rischio percepito di essere vittimizzati, mentre gli agenti di custodia sono più propensi a considerare i bulli come abili e scaltri e ad adottare un maggiore distacco emotivo rispetto a tali eventi di bullismo. Inoltre, è emersa un’associazione positiva tra gli atteggiamenti generali a sostegno del bullismo e gli aspetti dell’ambiente carcerario che si ritiene aumentino il rischio di bullismo in carcere.

Tra i detenuti, ad esempio, gli atteggiamenti a favore del bullismo sono stati predetti dalla loro percezione che l’ambiente promuoveva la gerarchia e dava importanza ai beni materiali, con l’assenza di sanzioni necessarie per i comportamenti negativi e aggressivi nei confronti degli altri carcerati.

Le guardie carcerarie hanno riportato punteggi più alti nel PES rispetto ai detenuti, indicando una maggiore propensione a identificare aspetti dell’ambiente carcerario che incoraggiavano il bullismo. In aggiunta, è emerso che le guardie riferiscono una percezione più alta della gerarchia e della disponibilità di beni materiali rispetto ai detenuti, mentre questi ultimi riferiscono una percezione maggiore di assenza di attività rispetto agli agenti.

Quanto emerso corrisponde alle aspettative dei modelli interattivi (ad esempio MMBSS, Ireland, 2012; IMP, Ireland, 2002), ma pone l’accento sul ruolo dell’ambiente sociale; suggerisce che la focalizzazione sulle relazioni della comunità (cioè le gerarchie sociali e le relazioni tra pari) possa avere un certo valore per gli interventi sul bullismo in tutto il carcere. L’attuale studio sottolinea l’importanza di sviluppare un ambiente sociale sano, in quanto un ambiente sociale disfunzionale in cui gli individui non hanno buone relazioni, si sentono insicuri e caratterizzato da gerarchie dominanti nel gruppo dei carcerati è apparso particolarmente predittivo di atteggiamenti a sostegno del bullismo in carcere. Pertanto, si potrebbe sostenere che ci si dovrebbe impegnare molto di più nello sviluppo di comunità sane piuttosto che nell’approccio individuale alla lotta contro il bullismo, ad esempio attraverso programmi per gli autori di atti di bullismo e programmi di sostegno alle vittime.

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Allison, M.D., & Ireland, J.L. (2010), “Staff and prisoner perceptions of physical and social environmental factors thought to be supportive of bullying: the role of bullying and fear of bullying”, International Journal of Law and Psychiatry, Vol. 33 No. 1, pp. 43-51.
  • Dyson, G. (2005), “Approaches to examining bullying among young offenders within an institutional environment: triangulation of questionnaires and focus groups”, in Ireland, J.L. (Ed.), Bullying Among Prisoners: Innovations in Theory and Research, Willan Publishing, Cullompton, pp. 84-108.
  • Ireland, J.L. (1999), “Provictim attitudes and empathy in relation to bullying behaviour among prisoners”, Legal and Criminological Psychology, Vol. 4 No. 1, pp. 51-66.
  • Ireland, J.L. (2002), Bullying Among Prisoners: Evidence, Research and Intervention Strategies, Brunner-Routledge, Hove.
  • Ireland, J.L. (2012), “Understanding bullying among younger prisoners: recent research and introducing the multifactor model of bullying in secure settings”, International Journal of Adolescent Medicine and Health, Vol. 24 No. 1, pp. 63-8. Available here.
  • Ireland, J.L., Power, C.P., Bramhall, S., & Flowers, C. (2009), “Developing an attitude towards bullying scale for prisoners: structural analyses across adult men, young adults and women prisoners”, Criminal Behaviour and Mental Health, Vol. 19 No. 1, pp. 28-42.
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Suicidio dei giovani nelle carceri: quale legame con la psicopatia
Psicopatia e suicidio nelle carceri giovanili

La frequenza di casi di suicidio tra i giovani nelle carceri ha portato ad indagare il fenomeno per meglio comprenderlo e intervenire adeguatamente

ARTICOLI CORRELATI
Psicologo in ambito delle forze dell’ordine

Il ruolo dello psicologo all'interno delle Forze dell'Ordine favorisce la salute mentale degli operatori e l'efficacia del servizio pubblico

T.S.O. – Trattamento Sanitario Obbligatorio

Il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) è un atto medico e giuridico complesso che si rende necessario in determinate situazioni cliniche

WordPress Ads
cancel