Il presente studio si propone di indagare il rapporto tra religiosità (intrinseca ed estrinseca) e disimpegno morale nelle persone detenute e condannate. Mira inoltre a verificare se il tipo di attaccamento interpersonale è collegato al tipo di attaccamento a Dio e, infine, intende indagare se esiste una connessione tra la religiosità e l’attaccamento adulto.
In letteratura, molti studi hanno analizzato le credenze e gli atteggiamenti religiosi in gruppi di persone che vivono in contesti estesi o in istituzioni totalitarie (ad esempio, le carceri). In questi studi, la religione era a volte considerata dai detenuti come un utile strumento di adattamento, una forma di socializzazione e supporto (Eshuys & Smallbone, 2006).
La letteratura psicologica distingue tra l’attaccamento a Dio e religiosità (Pace, Zappulla, & Di Maggio, 2016). Il primo costrutto è legato al legame figurativo con il divino, a cui è richiesto sostegno e supporto (Kirkpatrick & Shaver, 1992); la religiosità è un costrutto che promuove l’azione sociale (Allport & Ross, 1967). Gli stili di attaccamento a Dio, vengono concettualizzati sulla base del modello proposto da Bowlby (1969, 1973): Dio può agire come base sicura, come figura in grado di fornire sostegno, rassicurazione, bisogno di protezione e fonte di aiuto in situazioni stressanti, può rappresentare un luogo sicuro per depositare speranze, paure, desideri e problemi con la sensazione di essere accolti, ascoltati e consolati (Kirkpatrick & Shaver, 1992; Pace, Cacioppo, & Schimmenti, 2011). Lo studio condotto da Kirkpatrick e Shaver (1992) ha mostrato come il rapporto di una persona con Dio possa assumere la forma di un rapporto di attaccamento simile a quello che si riscontra tra il bambino e la figura di accudimento primaria (sicuro, evitante o ambivalente). Per quanto riguarda la religiosità, Allport (1961), spiegando quei meccanismi che a volte sono giustificati dalla religione (ad esempio, il pregiudizio, la bontà, la tolleranza, ecc.), ha sottolineato l’esistenza di due dimensioni della religiosità: intrinseca e estrinseca. Una persona che ha una forte religiosità estrinseca si rivolge a Dio senza allontanarsi da se stesso, permette alle persone di usare la religione per i propri scopi e bisogni, migliorando la fiducia in se stessi. Tuttavia, le credenze religiose sono abbracciate selettivamente in maniera da essere coerenti con i propri bisogni personali. La religiosità intrinseca aiuta a soddisfare i bisogni di sicurezza, affermazione sociale e autostima (Passanisi, Craparo, & Pace, 2017). Questo tipo di religiosità, vissuta in profondità, considera la fede come un valore in sé, trascende gli interessi personali e implica impegno e sacrificio. La religiosità intrinseca motiva la persona a perseguire una vita religiosa coinvolta e impegnata, essa porta le persone a trovare nella fede una delle principali ragioni di vita (Fizzotti, 2008). Un importante studio condotto da Koenig (1995), condotto su gruppi di detenuti, ha inquadrato la religione intrinseca come un fattore rilevante per l’adattamento e di promozione dell’azione sociale. Al contrario, il disimpegno morale può essere collegato all’uso strumentale della religione. Il disimpegno morale, infatti, rappresenta un meccanismo di auto-regolazione volto ad allontanare il senso di colpa in seguito ad un’azione che viola i valori interni ed etici (Bandura, 1999). In particolare, per i trasgressori, è possibile che alcuni costrutti sociali (ad esempio, le credenze) possano essere considerati fattori di rischio per il disimpegno morale perché possono influenzare il pensiero secondo cui l’azione deviante può essere giustificata. Pertanto, in linea con Kirkpatrick (1997), che ha suggerito che la costruzione della religiosità dovrebbe includere anche credenze, valori ed esperienze spirituali, e in linea con la letteratura che ha considerato la religione come un agente di controllo sociale (Durkheim, 1951), il presente studio: (1) si propone di indagare il rapporto tra religiosità (intrinseca ed estrinseca) e disimpegno morale nelle persone detenute e condannate; (2) mira a verificare se il tipo di attaccamento interpersonale è collegato al tipo di attaccamento a Dio; infine, (3) mira a verificare se esiste una connessione tra la religiosità e l’attaccamento adulto.
I partecipanti allo studio sono stati 30 giovani adulti volontari reclutati negli istituti penitenziari italiani. La Moral Disengagement Scale (MDS; Caprara, Barbaranelli, Vicino, & Bandura, 1996), composta da 32 item divisi in 8 sottoscale, ha permesso di valutare gli 8 meccanismi di disimpegno morale individuati da Bandura (1986): giustificazione morale, etichettamento eufemistico, confronto vantaggioso, spostamento di responsabilità, diffusione di responsabilità, ignorare o distorcere le conseguenze, la disumanizzazione e l’attribuzione di colpe. La Attachment to God Inventory (AGI; Beck & McDonald, 2004), composta da 28 items ha permesso di valutare due dimensioni dell’attaccamento a Dio: l’ansia per l’abbandono (es. ‘Mi preoccupo molto del mio rapporto con Dio’) e evitamento dell’intimità (es. ‘Non sento un profondo bisogno di essere vicino a Dio’). La Revised Intrinsic/Extrinsic Religious Orientation Scale (ROS I-E/R; Gorsuch & McPherson, 1989), ha valutato la religiosità estrinseca (es. ‘Prego principalmente per l’aiuto e la protezione’) e quella intrinseca (es. ‘E’ importante per me trascorrere del tempo in meditazione e preghiera’) per mezzo di 14 items. Infine, l’Attachment Style Questionnaire (ASQ; Fossati et al., 2003), costituito da 40 items, ha permesso di valutare 5 dimensioni dell’attaccamento adulto, attraverso 5 scale: Fiducia/Fedeltà, Disagio per l’intimità, Necessità di approvazione, Preoccupazione della relazione, Secondarietà della relazione.
Dai risultati è emerso che bassi livelli di religiosità intrinseca spiegano alti livelli di disimpegno morale. In altre parole, le persone che hanno una fede autentica e profonda non sono abituate a usare meccanismi che le aiutano a liberarsi dalle regole sociali. Probabilmente, gli autori di crimini, che hanno avuto la possibilità di riflettere sulle loro azioni durante la prigionia, aiutati anche dalla loro religiosità, hanno capito che non era più necessario utilizzare meccanismi che giustificassero le loro azioni devianti. Inoltre, dai risultati è emerso che la scala ‘Preoccupazione della relazione’, che indica una tendenza all’attaccamento interpersonale ansioso e ambivalente, predice un attaccamento evitante a Dio. E’ possibile che questo stile di attaccamento possa portare una persona a sviluppare un timore di abbandono, così come sentimenti di sfiducia. Tuttavia, questi sentimenti possono portare una persona a sviluppare modelli operativi interni basati sull’evitamento e sulla diffidenza nei confronti di altre possibili figure di attaccamento. La Scala ‘Secondarietà per la relazione’, che indica una tendenza all’attaccamento disorganizzato, predice negativamente la religiosità intrinseca e positivamente la religiosità estrinseca. Queste persone hanno un’adeguata fiducia in se stessi, ma sono inclini a svalutare le relazioni, ad evitare l’intimità e sono disinteressate alle opinioni altrui; preferiscono sentirsi meno coinvolti perché non vogliono rimanere troppo invischiati nelle relazioni interpersonali. Infatti, le relazioni intime sono spesso carenti di vicinanza e di comunicazione. Pertanto, è possibile che una persona che già non è incline al coinvolgimento affettivo interpersonale non senta il bisogno di manifestare una forte religiosità e quindi un profondo legame con la fede (religiosità intrinseca). Tuttavia, l’autore del reato, per mantenere un’immagine positiva di se stesso, per cercare di mantenere un legame, e per sentirsi protetto e/o aiutato, può ricorrere alla religiosità estrinseca, che è ciò che la persona spesso ‘sfrutta’ per soddisfare la sua esigenza (Allport & Ross, 1967).
Il presente studio suggerisce che la religiosità, l’attaccamento a Dio e l’attaccamento interpersonale sono costrutti legati l’uno all’altro. Inoltre, questo studio sottolinea che è importante prestare attenzione all’autore del reato, che a volte viene dimenticato nelle carceri, per capire come il suo funzionamento mentale cambia nel corso della sua detenzione, così come i fattori protettivi a cui si aggrappa durante l’adattamento.