Lo scopo dello studio di Clark (2018) era quello di analizzare la relazione tra una malattia mentale prediagnosticata e l’assegnazione dell’isolamento all’interno del carcere in seguito a una cattiva condotta.
La popolazione carceraria degli Stati Uniti, dal 2015 in poi, ammonta a quasi 7 milioni di uomini e donne (Kaeble & glaze, 2016). Tra questi, i detenuti a cui è stata precedentemente diagnosticata una malattia mentale, costituiscono circa il 44%. Tali malattie, nella maggior parte dei casi, sono ansia, depressione o gravi disturbi psicotici (Bronson & Berzofsky, 2017). Si può dire che le carceri, dal 2004 in poi, ospitino un numero di persone con problemi psicologici che è quasi dieci volte superiore a quello degli ospedali psichiatrici. È risaputo, inoltre, che i soggetti che manifestano sintomi della malattia mentale possono essere autori di comportamenti violenti; in aggiunta, talvolta rischiano di essere loro stessi vittime in carcere o di recidivare una volta rilasciati: spesso, il loro disturbo li porta a violare le regole istituzionali.
Le persone con malattia mentale in carcere
Molti studi presenti in letteratura (Steiner et a., 2014; Houser & Belenko, 2015), hanno esplorato la relazione tra problemi di salute mentale e cattiva condotta istituzionale, trovando una relazione significativa tra le due variabili: i detenuti gravemente malati di mente hanno tassi più elevati di comportamenti scorretti sia violenti che non violenti (Felson et al., 2012; Matejkowski, 2017). Inoltre, altrettanti studi hanno dimostrato che la segregazione o l’isolamento forzato provocano effetti psicologici che vanno ad aggravare la sintomatologia preesistente (ad esempio insonnia, allucinazioni e paranoia) e che un livello di sicurezza massimo è il maggiore predittore di cattiva condotta all’interno del carcere (Steiner et al., 2014). Oltre a ciò, Steiner e Wooldredge (2013) hanno dimostrato che livelli più elevati di cattiva condotta sono stati osservati in strutture di maggiore sicurezza. Oggi esistono due differenti tipologie di segregazioni, utilizzate nelle carceri penitenziarie per diversi motivi; le celle di isolamento possono essere usate su una base di emergenza a breve termine o come assegnazione residenziale a lungo termine. In primo luogo, la segregazione disciplinare, un tipo di alloggio restrittivo riservato ai detenuti riconosciuti colpevoli di violazione delle norme istituzionali, protegge il personale e gli altri detenuti da comportamenti dannosi come l’aggressione. In altri casi, invece, il trasferimento del detenuto in un ambiente speciale aiuta a prevenire l’escalation delle situazioni, mantenendo così l’ordine nella popolazione carceraria generale. La seconda tipologia di segregazione è quella amministrativa, protegge il detenuto dall’essere vittima e può anche aiutare a proteggere un detenuto che ha intenzione di autolesionarsi.
Sebbene la segregazione sia un metodo di disciplina comune nelle prigioni statunitensi (Steinbuch, 2014), molteplici studi indicano possibili effetti psicologici dannosi dell’isolamento sui detenuti, sia su quelli con che su quelli senza condizioni mentali preesistenti. In uno studio del 2003, ad esempio, Carothers ha sostenuto che i detenuti che avevano comportamenti suicidari percepivano la segregazione come una punizione, e, per evitare questa esperienza, tenevano per sé i loro pensieri, compresa l’ideazione suicidaria, che aumentava le loro possibilità di suicidio in quanto temevano di cercare aiuto. Talvolta bilanciare il trattamento e il controllo dei detenuti con problemi psicologici può essere quindi difficile per gli amministratori delle carceri, che hanno la responsabilità di trattare anziché punire gli individui per il comportamento che, spesso, è il risultato della loro malattia mentale (Bersot & Arrigo, 2010). Tuttavia, con scarse risorse per il trattamento e la priorità della sicurezza e dell’ordine, può essere complicato conciliare i bisogni a lungo termine dei malati mentali con i bisogni a breve termine del controllo istituzionale (Fellner, 2006) e il trattamento e la riabilitazione dei detenuti sono messi in secondo piano.
La misura di isolamento in carcere nei casi di malattia mentale
Dal momento che i detenuti affetti da malattie mentali costituiscono oggi una parte sostanziale della popolazione carceraria e pongono sfide amministrative e terapeutiche agli amministratori delle carceri e ai professionisti della salute mentale, nel 2018, uno studio di Clark ha esplorato la relazione tra la malattia mentale e l’azione disciplinare, in particolare l’isolamento. Nello specifico, lo scopo era quello di analizzare la relazione tra una malattia mentale prediagnosticata e l’assegnazione della segregazione disciplinare in seguito a una cattiva condotta; inoltre l’autore voleva valutare se le persone con una malattia mentale prediagnosticata avessero più probabilità di ricevere la segregazione disciplinare rispetto ad altri tipi di punizioni. Per rispondere a tali quesiti sono stati utilizzati i dati del SISFCF, un sondaggio rappresentativo a livello nazionale che include un campione probabilistico di detenuti all’interno di istituti federali e statali (Bureau of Justice Statistics, 2004).
L’obiettivo di Clark era quindi quello di confrontare, tra coloro che avevano commesso almeno una cattiva condotta durante la loro incarcerazione, i soggetti con una malattia mentale preesistente (N = 1.904) con quelli che non avevano malattie psichiche (N = 3.919). I risultati mostrano che i detenuti con una malattia mentale sono stati coinvolti in un maggior numero di abusi violenti rispetto ai soggetti senza una malattia mentale preesistente. Inoltre, tali detenuti, non solo avevano una probabilità maggiore di essere messi in segregazione, sembra che proprio la loro malattia mentale sia stata la causa della cattiva condotta per cui sono stati messi in isolamento. Nel complesso, i risultati dimostrano quindi che la malattia mentale è un predittore unico di assegnazione alla segregazione disciplinare.
Questo si aggiunge agli studi che hanno dimostrato che coloro che hanno problemi di salute mentale possono essere più suscettibili agli effetti negativi dell’isolamento, creando così un ciclo in cui i detenuti vengono messi in segregazione a causa della loro malattia mentale, che viene peggiorata dall’isolamento, portando ad un ulteriore peggioramento della sintomatologia e del comportamento problematico (Fellner, 2006; Metzner & Fellner, 2010). In conclusione, anche se l’isolamento può essere considerato una scelta più economica o pratica per contenere questi detenuti, quando si considerano gli effetti sulla salute mentale, questa soluzione è controproducente; sarebbe dunque necessario sostituirla con una maggiore cura della salute mentale da parte dei professionisti, senz’altro più efficace nel trattare il loro comportamento (Clark, 2018).