Quali variabili influiscono sulla comprensione, negli imputati minorenni, delle decisioni dell’autorità giudiziaria?
In tanti anni di lavoro presso il Tribunale per i Minorenni, mi sono convinta che le variabili sono tante e in stretta interrelazione tra di loro: il contesto giudiziario, l’adolescente e il suo sviluppo cognitivo ed emotivo, la capacità di noi adulti di “far comprendere” cosa accade.
Il processo penale minorile
Il processo penale minorile (DPR 448\88) è stato creato ad hoc per intervenire allorquando un minore, tra i quattordici e i diciotto anni, commette un illecito penale. Le decisioni devono tutte contemplare, ove possibile, una veloce fuoriuscita del minore dal circuito penale.
In questo senso due istituti giuridici, rispettano appieno questo principio: “l’irrilevanza del fatto” art. 27 del DPR 448\88 e il “perdono giudiziale”, art. 169 del Codice Penale.
Il primo, l’art. 27, è una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto: “Durante le indagini preliminari, se risulta la tenuità del fatto e l’occasionalità del comportamento, il pubblico ministero chiede al giudice sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne”. Questa decisione può essere presa anche nelle fasi successive del processo, nell’udienza preliminare e in dibattimento.
Il secondo è il Perdono Giudiziale per i minori degli anni diciotto: “Se, per il reato commesso dal minore degli anni diciotto la legge stabilisce una pena restrittiva della libertà personale non superiore nel massimo a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo a euro 5 anche se congiunta a detta pena, il giudice può astenersi dal pronunciare il rinvio al giudizio, quando, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art.133, presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.[…].Il perdono giudiziale non può essere concesso più di una volta”.
In questa sede non mi dilungherò ulteriormente nella disquisizione puramente giuridica, è solo importante ricordare come anche la giurisprudenza si è fatta carico non solo di assolvere al suo compito sanzionatorio di fronte alla commissione di un reato da parte di imputati minorenni, con un riconoscimento della responsabilità, ma ha tenuto conto, nei principi che hanno ispirato il processo, del soggetto e della necessità di assolvere anche ad un compito educativo, riabilitativo e di veloce fuoriuscita dal circuito penale.
Processo penale minorile, adolescenti e sviluppo cognitivo
Altra variabile è rappresentata dall’adolescente e dal suo sviluppo cognitivo. La differenza più rilevante tra il funzionamento mentale del bambino e quello dell’adolescente sta nella capacità di riflettere sul proprio pensiero. È una conquista sconvolgente: coinvolge le capacità metacognitive del soggetto, cioè quelle abilità che consentono di riflettere sulla propria conoscenza e sulle proprie strategie per operare conoscenza, ricordo e apprendimento.
Sono in esso coinvolti due livelli: quello dichiarativo e quello procedurale. Un importante contributo viene dato da quelle variabili come il livello socio-culturale, di scolarizzazione, le opportunità che l’adolescente può avere di socializzazione e di confrontarsi con il gruppo dei pari, che influenzano lo sviluppo cognitivo e le capacità mentali.
Tutte queste abilità sono soprattutto legate allo sviluppo dell’area prefrontale, individuata come zona di principali stazioni dei circuiti neurali implicati nei processi decisionali. Molti studi effettuati con neuroimaging strutturale, hanno posto in evidenza come queste aree subiscano, nel corso della fase evolutiva dell’adolescenza, profondi cambiamenti sia in termini di connessioni possibili sia in termini di mielinizzazione.
Accade però a volte che quando vengono fatte domande legate al contesto giuridico in cui ci ritroviamo, nello specifico sulla storia penale del ragazzo (sentenze pronunciate in precedenza, eventuali pendenze, e via dicendo), le risposte fanno intendere una mancanza di comprensione delle pronunce dell’autorità giudiziaria, come se poco o nulla fosse rimasto in memoria.
Processo penale minorile e comprensione della sentenza
Ma cosa accade quando un Tribunale pronuncia una sentenza, o di irrilevanza del fatto o di perdono giudiziale per una condotta dell’adolescente che ha richiesto la presenza di fronte al giudice? Quali meccanismi complessi intervengono affinché l’adolescente restituisca quelle risposte? Coinvolgono fattori cognitivi, emotivi?
Di seguito proverò a fare delle riflessioni, forse assurde, ma che sono il frutto della curiosità che nutro per comprendere sempre un po’ di più la fase “dell’età dell’oro”, così definita da Fabbrini e Melucci nel loro libro, l’adolescenza.
La sensazione di non aver inciso nella memoria del ragazzo è anche data dal fatto che lo ritroviamo di fronte a noi in occasione di un nuovo reato commesso dopo la precedente sentenza, oltre che dalle risposte di cui parlavamo prima.
Se consideriamo le parole scelte dal giurista come “irrilevanza” o “perdono”, e le analizziamo dal punto di vista del loro significato nella lingua italiana, potremmo trovarci di fronte, per un soggetto adolescente in crescita e a volte cresciuto in ambienti poco stimolati, in una sorta di “paradosso”, inteso, come riportato da Zingarelli nel vocabolario della lingua italiana, come una “asserzione incredibile, in netto contrasto con la comune opinione”.
Nel dizionario, irrilevanza significa “essere irrilevante”, e il secondo, perdono, “remissione di una colpa e del relativo castigo”.
Già come si può vedere dal loro significato, e in un adolescente in progressiva evoluzione, i termini possono indurre in uno stato di disorientamento e non comprensione profonda di quanto accade, come se ci fosse una dissonanza tra la decisione e il comportamento passato: ho commesso un illecito “è irrilevante?” “mi perdonano?”, “è comunque finita bene, senza alcuna conseguenza?” “non vado in carcere?”.
Ma come accennavamo all’inizio, entrambe le risoluzioni riconoscono una colpevolezza dell’imputato, anche se l’art. 27 non risulta sul certificato penale, mentre l’art. 169 rimane fino al 21 esimo anno di età e ci si deve attivare per la sua eventuale cancellazione.
Mi sembrava interessante a tal proposito la teoria di Leon Festinger, della dissonanza cognitiva. Il giovane potrebbe trovarsi di fronte ad una complessa elaborazione cognitiva in cui credenze, ed io aggiungerei evidenze (il Tribunale si pronuncia con una sentenza di colpevolezza, dunque con un riconoscimento di responsabilità circa il fatto-reato), esplicitate in contemporanea e in contrasto “funzionale” tra loro potrebbero indurlo in confusione.
Vogliamo poi aggiungere il meccanismo di selezione delle informazioni che i soggetti umani operano. Secondo Atkinson e Shiffrin, il meccanismo di selezione, conterebbe di tre sistemi in connessione tra loro ma preposti ognuno a specifiche funzioni e con caratteristiche strutturali anch’esse particolari. I tre sistemi sono la memoria sensoriale, la memoria a breve termine (MBT) e quella a lungo termine (MLT).
Anche in questo caso non voglio dilungarmi sui tre processi, c’è molta letteratura in merito. Quello che ci interessa è il terzo sistema: la memoria a lungo termine, capace di mantenere per un tempo lungo, indeterminato, il materiale proveniente dalla memoria a breve termine. Tra gli infiniti utilizzi che l’uomo fa delle informazioni presenti in questo serbatoio, è bene anche ricordare che questa memoria è capace di attivare meccanismi come l’oblio o il falso ricordo.
Potremmo ipotizzare che per provare a risolvere il conflitto tra le proprie azioni, la risposta dell’autorità giudiziaria e il significato della terminologia usata, il soggetto potrebbe ricorrere a tecniche che neutralizzano quanto contenuto nella pronuncia. Il risultato di questa “operazione” tende ad affievolire, a volte anche ad escludere, il senso di responsabilità individuale attraverso una ridefinizione del senso del proprio agire: è irrilevante, sono stato perdonato…non fa nulla.
È qui che giungiamo all’ultima variabile importante a mio avviso, affinché l’adolescente operi una esperienza educativa: il ruolo ricoperto da noi adulti.
Il ruolo degli adulti nel processo penale minorile
Gli adulti coinvolti nel processo penale, sono tanti, figure diverse, con ruoli e competenze diverse: i magistrati, togati ed onorari, i servizi sociali della giustizia minorile, la difesa, i genitori.
È nostro preciso compito, così dice il DPR 448\88, spiegare e fornire al minore imputato tutte le informazioni e gli elementi per capire dove si trova, perché e cosa accadrà nelle varie fasi del processo.
Il Processo Penale rappresenta un esempio di innovazione, pensata dai nostri legislatori a cui ha fatto riferimento l’Unione Europea per le Garanzie Procedurali per i Minori Penalmente imputati. Coniuga l’obiettivo di dare una risposta al reato con quella di fare attenzione e di proteggere la fase evolutiva del minore.
Altro aspetto interessante del DPR è lo sviluppo di una attitudine “responsabilizzante” per l’imputato. E‘ attraverso questa che si attivano durante tutto il permanere nel circuito penale, competenze autoregolative che si basano su principi condivisi socialmente e che hanno una funzione strutturante per il futuro dello stesso. Assumono dunque anche un aspetto preventivo, dando le coordinate attorno alle quali egli può costruirsi un diverso percorso evolutivo.
Spiegare al minore la decisione presa dall’autorità giudiziaria in merito al suo comportamento “illecito”, sottolineando il riconoscimento di responsabilità e la sanzione che ne consegue, può aiutare l’adolescente nel faticoso processo, prima di tutto di comprensione e forse poi di immagazzinamento nella memoria, come elemento significativo nella costruzione delle direttive verso la strutturazione di un percorso evolutivo diverso, lontano da comportamenti illeciti, quei comportamenti che hanno contemplato una pronuncia di colpevolezza.
“La memoria, che ci permette di avere ricordi dei fatti del nostro passato, è da considerarsi tra le manifestazione più elevate del nostro cervello umano e tra le più importanti della nostra vita; facoltà straordinaria, tra le più fantastiche che abbiamo, strettamente legata alla coscienza” (G. Maira, p. 145). Sarebbe interessante poter condurre degli studi sulla possibile recidiva in quei giovani che hanno avuto la possibilità di cogliere appieno il significato di istituti come l’art 27 e l’art 169 codice penale.
La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza sostiene che questo periodo comprende un “processo di responsabilizzazione che porta all’età adulta, che dovrebbe essere l’età delle responsabilità” (art. 29 lettera d, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza).
Attraversare l’età delle responsabilità significa anche comprendere appieno la relazione tra un comportamento agito, il reato, e la risposta degli adulti, la sentenza del Tribunale. Solo così noi adulti abbiamo assolto al compito di sanzionare, ma anche di far sì che l’esperienza penale rappresenti anche un’esperienza educativa e si trasformi in un utile strumento per la costruzione di un futuro diverso.