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L’ansia in un’equazione

Salkovskis propone uno strumento per aiutare le persone a sentirsi meno sopraffatte dall’ansia, si tratta dell’equazione dell’ansia

Di Anna Boccaccio

Pubblicato il 05 Apr. 2024

L’equazione dell’ansia di Salkovskis

Affrontare l’ansia può essere una sfida. Non solo ci si ritrova a lottare per determinare la fonte dell’ansia, ma occorre anche fronteggiare un’ampia e spiacevole varietà di pensieri, emozioni e sensazioni fisiche che ne derivano.

La terapia cognitivo comportamentale (CBT) propone uno strumento per aiutare le persone a sentirsi meno sopraffatte dall’ansia, comprenderla meglio e scomporla in parti concettuali più piccole. Si tratta dell’equazione dell’ansia.

L’idea centrale nella CBT classica è che le seguenti aree sono reciprocamente collegate:

  • situazioni
  • pensieri
  • emozioni
  • sensazioni fisiche 
  • azioni

Le nostre emozioni sono influenzate dalle nostre cognizioni (pensieri, ricordi, immagini mentali, credenze ecc), pertanto non sarà una situazione in quanto tale a determinare la nostra reazione ansiosa, quanto piuttosto la valutazione da noi effettuata su quell’evento. In altri termini, l’interpretazione personale degli avvenimenti innesca reazioni emotive, fisiologiche e comportamentali, e quando l’interpretazione implica minaccia o pericolo, essa eliciterà ansia e paura

Nell’ambito della sua attività di ricerca nel campo dei disturbi d’ansia, lo psicologo Paul Salkovskis (1996) ha elaborato un’equazione che fornisce il punto di partenza per rivalutare sia la nostra percezione di uno stimolo come minaccioso, sia le convinzioni che abbiamo sulla nostra capacità di far fronte a quello stimolo, riducendo, di conseguenza, il livello di ansia che proviamo.

L’equazione dell’ansia proposta da Salkovskis è la seguente:

Quanti hanno avuto difficoltà con la matematica a scuola potrebbero essere intimiditi dal pensiero di usare un’equazione. Fortunatamente, la formulazione di Salkovskis è più semplice di quanto si pensi. 

L’equazione scompone l’ansia relativa a un evento specifico in quattro parti: la percezione di gravità (se dovesse accadere), la probabilità percepita che l’evento temuto accada, la capacità che ci attribuiamo di far fronte a quell’evento e se pensiamo che altre persone o altri fattori potrebbero intervenire in nostro soccorso.

Più alto è il valore che assegniamo ai primi due elementi dell’equazione e più basso quello che conferiamo agli ultimi due, maggiore sarà l’ansia che proviamo.

Il numeratore dell’equazione dell’ansia: gravità e probabilità

La parte superiore dell’equazione si riferisce al grado di ansia esperita: è la nostra stima di quanto sia probabile un evento e di quanto grave e catastrofico potrebbe essere se si verificasse (“quale sarebbe la cosa peggiore per te se ciò accadesse?”).

Ad esempio, uno studente con ansia sociale teme di fallire nel suo primo esame orale, in quanto stima come inevitabile (e quindi altamente probabile) la possibilità di provare imbarazzo e non riuscire ad esprimersi. Inoltre, attribuisce a questa eventualità un significato personale negativo e disturbante: non essere in grado di parlare all’esame mi espone al ridicolo di fronte agli altri studenti e segna un marchio su di me agli occhi dei docenti, che mi considereranno un incapace e non mi promuoveranno in nessun altro esame. 

Se pensiamo che il risultato temuto possa essere, oltre che altamente probabile, anche deleterio nei nostri confronti rispetto alla nostra immagine sociale o al nostro futuro, il livello di ansia potrà essere elevato. Lo studente potrebbe decidere di non sostenere l’esame e di svolgere solo prove scritte, rimandando ed evitando il più possibile quelle orali.

Un’attribuzione di gravità di questo tipo e una conseguente sopravvalutazione del rischio come sopra descritto, rappresentano un esempio di bias cognitivo, un processo cognitivo automatico di distorsione nella percezione della realtà, che può creare una prospettiva catastrofica e angosciante di quello che viviamo, influenzando le nostre decisioni e il nostro comportamento.

Ecco un ulteriore caso di sopravvalutazione di gravità e probabilità di un evento temuto. Una ragazza ha un’intensa paura dell’altezza e soffre di acrofobia ormai da diversi anni. Nella sua quotidianità, evita in ogni modo possibile balconi, scale mobili, grattacieli e altre altezze. I suoi amici vogliono fare un viaggio che preveda un’escursione in salita, ma la ragazza è convinta che cadrà o non riuscirà ad arrivare fino in fondo per il disagio che proverà. La sua stima della probabilità che questo scenario si verifichi è aggravata dalla sua preoccupazione che possa rovinare il viaggio ai suoi amici, aumentando ulteriormente i suoi livelli di ansia. 

Supponiamo che la ragazza sia in grado di fare un passo indietro e valutare quanto sia accurata la sua stima del pericolo o considerare quanto comprensivi potrebbero essere i suoi amici in una situazione del genere. In tal caso, potrebbe non essere così angosciata dalla situazione. In altri termini, l’ansia esperita sarà minore se reputiamo un rischio poco probabile e poco “drammatico” nelle sue conseguenze.

Il denominatore dell’equazione dell’ansia: coping e salvataggio

Il coping si riferisce agli sforzi cognitivi e comportamentali compiuti per padroneggiare, tollerare o ridurre difficoltà, conflitti e problemi incontrati nella nostra vita.

Al denominatore dell’equazione, Salkovskis aveva indicato la capacità percepita dagli individui di affrontare le avversità come elemento in grado di incidere sul livello di ansia provata.

Nell’esempio dello studente universitario, l’evitamento degli esami orali potrebbe ulteriormente inficiare la scarsa capacità di coping che il ragazzo si riconosce, aumentandone l’ansia da prestazione accademica. L’evitamento, infatti, non avvicinandoci a quello che ci spaventa, non fornisce l’opportunità di apprendere nuove modalità per tollerare l’ansia e di comprendere che la situazione non è, in realtà, così pericolosa come crediamo: evitare quello che temiamo non ci permette di scoprire se e quanto siamo in grado di affrontarlo (Greenberger, Padesky, 2017).

Lo studente potrebbe scegliere di prepararsi emotivamente per l’esame orale, esercitandosi a presentare i contenuti a voce alta prima da solo, poi alla presenza di una cerchia di amici, osservando che con la preparazione e l’esercizio ripetuto la sua ansia diminuisce. In tal caso, il ruolo degli altri diviene una fondamentale risorsa di salvataggio: posso immaginare che gli altri mi deridano alla proposta di aiutarmi nello studio, sentendomi paralizzato dall’ansia e senza speranze, o al contrario posso aspettarmi comprensione e incoraggiamento. 

Una percezione di questo tipo farebbe la differenza rispetto alla capacità che ci attribuiamo di affrontare le nostre paure.

A cosa serve quindi l’equazione dell’ansia?

Sviluppare e comprendere la nostra equazione dell’ansia può aiutarci a rivalutarla, scomponendola e fronteggiandola una parte alla volta, magari ponendoci alcuni interrogativi: 

Cosa significherebbe questo evento per me? 

Cosa direi di qualcuno a cui tengo, se questo accadesse anche a lui/lei? 

Quanto è realisticamente probabile che si verifichino tutte le congiunture che immagino? 

E se accadesse il peggio, come potrei superarlo?

Su chi posso contare per ricevere aiuto?

Non serve essere bravi in matematica, inquadrare l’ansia in un’equazione è un modo per iniziare a guardare ai nostri limiti da una prospettiva differente e critica.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Greenberger, D., Padesky, C.A. (2017). Penso, dunque mi sento meglio. Esercizi cognitivi per problemi di ansia, depressione, colpa, vergogna e rabbia. Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A., Trento.
  • Salkovskis, P. (1996). The cognitive approach to anxiety: threat beliefs, safety-seeking behaviour, and the special case of health anxiety and obsessions In Frontiers of Cognitive Therapy (ed. P. Salkovskis), pp. 48–50. London, UK: Guildford Press.
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