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Un apologo scientifico sull’integrazione in psicoterapia

L’integrazione in psicoterapia sarebbe qualcosa di più dell’ecclettismo, ma questo di più non si sa mai bene cosa sia. L’integrazione sembra l’araba fenice: che ci sia, ognuno lo dice, dove sia, nessuno lo sa.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 11 Mar. 2015

Aggiornato il 12 Mar. 2018 20:08

La psicoterapia è una scienza promettente e in crescita. Però ha dei punti deboli, dei nodi da sciogliere. Uno di questi è la moltiplicazione dei paradigmi. La situazione attuale della psicoterapia scientifica vede un gran numero di paradigmi in lizza e una certa difficoltà nello stabilire un linguaggio comune.

L’aspirazione di molti è che la mano ordinatrice di un Newton un giorno sorga, intervenga e ponga fine al disordine. Forse è un’aspirazione ingenua. L’unificazione newtoniana della fisica è a sua volta finita ed è stata sostituita, per quel che posso capire, da un paradigma –quello quantistico- meno cristallino e più sfilacciato.

Però è anche vero che la psicoterapia scientifica parla davvero troppi linguaggi. In attesa che appaia il nostro Newton, spesso s’invoca l’integrazione, che è cosa misteriosa e difficile da definire. L’integrazione è sempre qualcosa che rischia di essere meno di quel che promette. Essa proclama di non limitarsi a mettere insieme il meglio, ma di integrarlo, appunto, in una nuova sintesi che non è mera somma delle parti. Insomma, l’integrazione sarebbe qualcosa di più dell’ecclettismo. Sta bene. Però questo di più non si sa mai bene cosa sia. L’integrazione sembra l’araba fenice: che ci sia, ognuno lo dice, dove sia, nessuno lo sa.

Attenzione. I problemi con l’integrazione non finiscono qui. C’è di peggio. Non è fatto detto che un modello integrato che si riveli davvero clinicamente vantaggioso sia poi davvero scientificamente “vero” (e scusate le virgolette, ormai il relativismo mi fa vergognare di usare questo aggettivo: vero). A tal proposito racconterò un evento della storia della scienza che può essere anche una sorta di apologo scientifico sui limiti dell’integrazione. Un apologo sulla sorte di un esempio storico di modello integrato che sulla carta era pieno di vantaggi, ma che poi al fondo era irrimediabilmente non “vero”.

Tycho Brahe (1546-1601) fu un grande astronomo, uno scienziato della grandezza di Copernico, Keplero e Galilei. Era un danese meticoloso e preciso, e partecipò -insieme a Copernico, Keplero e Galilei- alla costruzione del nuovo modello cosmologico eliocentrico che sostituì quello di Tolomeo. In realtà è un po’ ingenuo pensare che le svolte scientifiche avvengano grazie a un unico genio. Poi si semplifica parlando di Newton perché, insomma, non si può fare una lista infinita di nomi ogni volta. E poi perché il racconto del genio solitario funziona.

Però Tycho non è ricordato con gli altri tre geni. Perché? Forse perché tre erano già tanti, e se poi diventano quattro dove va a finire il genio solitario? C’è però anche un’altra ragione che sembra spiegare l’esclusione di Tycho dal supergruppo dei tre. E la ragione è che, nel dibattito tra tolemaici e copernicani Tycho, invece di schierarsi con chiarezza, se ne uscì fuori con un “modello integrato”. E così si giocò la gloria scientifica. Copernico, Keplero e Galilei li conoscono tutti. Tycho Brahe chi diamine sarebbe?

E com’era questo modello integrato di Tycho? Ora ve lo racconto, però siate cauti nel giudicare crudelmente Tycho che -vi avverto- sta per fare la figura dell’imbecille, scusate il termine. Vedrete che poi le cose non sono semplici come sembrano.

Come sappiamo i modelli dell’universo in gara erano il tolemaico, la terra al centro, e il copernicano, il sole al centro. In questa lotta Tycho Brahe propone il suo modello “integrato”, in cui la terra rimane al centro, il sole gira intorno alla terra e i pianeti, infine, girano intorno al sole. Che ve ne pare? Suona come una cazzata? Scusate il termine, ma ci sta bene.

L’idea di Tycho si presta bene, troppo bene, a diventare un apologo contro l’ossessione per l’integrazione. Diciamolo: c’è qualcosa di comico, forse addirittura di grottesco in questo cosmo immaginato da Tycho in cui il sole gira intorno alla terra e i pianeti intorno al sole. Sembra l’idea di un folle o, peggio, di uno stupido che voleva a forza metter pace tra copernicani e tolemaici e fare tutti contenti. Forse Tycho ha davvero rischiato di passare alla storia non come un astronomo ma come un proverbio, accanto a “salvare capra e cavoli” e “volere la botte piena e la moglie ubriaca” e così via. Poteva diventare famoso nei secoli con un detto tipo “voler fare il Tycho Brahe”. Per questo il modello di Tycho mi era sembrato ottimo per sbeffeggiare i modelli integrati e penso che l’idea funzioni ancora: e quindi ribadisco che la scienza non si propone di integrare un bel niente, ma di far vincere il modello vero. Con tanti saluti al relativismo e allo scetticismo.

Detto questo, non è finita qui. La storia ha anche un altro significato, in cui Tycho Brahe ci fa una figura migliore. Tycho non era uno scienziato fallito dalle idee bislacche e affetto da una strana ossessione irenica (che significa “irenica”? oggi si preferirebbe dire “buonista”; ma “irenica” –ammettetelo- è tutta un’altra cosa) di riconciliare copernicani e tolemaici. In realtà era un grande scienziato che dava risposte scientifiche a problemi reali. Il suo modello, va detto, era una risposta a un buco scientifico a quell’epoca ancora aperto nel modello copernicano.

E già, le cose non sono state così lineari come crediamo. Crediamo di conoscere la storia: la scienza che s’impone contro l’oscurantismo. Bastava mettere l’occhio nel telescopio e si vedeva che il sole era fermo e tutto girava intorno. Copernico, Keplero e Galilei diedero un’occhiatina e videro la verità, mentre le forze oscure impedivano tutto questo.

Non è così semplice. Fosse così, Copernico, Keplero e Galilei sarebbero poco più di un trio di oculisti che inventano un rivoluzionario paio di occhiali in un garage della California, mentre le multinazionali dell’ottica cercano di bloccarli. In realtà se uno guarda dentro un telescopio non vede mica il Sole fermo e i pianeti che vorticosamente girano intorno, come nel disegnino del nostro libro di scuola. Vede l’immenso spazio vuoto e dei corpi sospesi che si muovono un po’ tutti abbastanza impercettibilmente e in maniera abbastanza caotica e misteriosa. E il sole a sua volta non sta mica fermo al centro dell’universo, ricordiamolo: il sole al centro del cosmo nella visione eliocentrica di Copernico e anche un po’ di Galileo è a sua volta una semplificazione. L’universo non ha un centro.

Non basta dare un’occhiatina. È vero che Galilei ci andò vicino a fare singole osservazioni importanti che fossero a favore del moto dei pianeti intorno al sole: alcune quasi decisive. Come le fasi di Venere e Mercurio. Quasi decisive, ma non conclusive. Inoltre osservazioni del Galilei erano abbastanza inconcludenti (le macchie solari) e alcune proprio irrilevanti (le maree!).

Il nocciolo scientifico non era l’osservazione unica che spiega tutto e che i cattivi tolemaici favevano finta di non vedere. Si tratta di fare delle osservazioni, centinaia e migliaia di osservazioni, in base alle quali si costruiscono modelli matematici che permettono di descrivere e prevedere i movimenti dei corpi celesti. E gli astronomi tolemaici non erano degli sciagurati ignoranti, ma avevano il loro modello che prevedeva i movimenti celesti avendo come punto di riferimento la terra.

A farla breve, Copernico e gli altri produssero un modello matematico in cui era chiaro che, utilizzando il sole e non la terra come punto di riferimento fisso, tutto diventava più semplice e pratico. Se piazzi la terra al centro, perno immobile del modello cosmologico, le traiettorie dei pianeti sono contorte, dei ghirigori spiraliformi e oscillanti (cosiddetti “epicicli”), ed è difficile trovare delle equazioni che permettano di calcolare le posizioni su orbite così barocche; se invece ci metti il sole, le traiettorie dei pianeti sono semplici, delle ellissi, e sono descrivibili con equazioni molto più immediate (merito di Keplero, il più scienziato di tutti). Con un semplice calcolo sai dove sta un pianeta alla talora del tal giorno.

E allora perché Tycho Brahe se ne esce col suo modello? Cosa gli salta in mente? Perché a loro volta le equazioni di Keplero che descrivono le orbite ellittiche non erano una prova conclusiva del sistema eliocentrico. Sono un ottimo argomento a favore, ma non sono conclusive. Potrebbe darsi che fossero “vere” le orbite tolemaiche e geocentriche, per quanto contorte. Questo lo diceva anche lo stesso Keplero, scienziato rigorosissimo. Da notare che Copernico aveva sbagliato anche lui immaginando che le orbite dei pianeti fossero circolari e non ellittiche. E già questo fa capire come tutto fosse più complicato di quel che sembra: Copernico ha l’idea giusta dell’eliocentrismo ma sbaglia le orbite; roba sufficiente a negargli la pubblicazione nel sistema moderno dei referee. All’epoca questo fu uno degli aspetti che impedirono un’affermazione immediata del sistema Copernicano, e ci volle Keplero per uscirne fuori.

Torniamo a Tycho. Tycho produsse il suo modello perché il nuovo modello eliocentrico poneva problemi scientifici a sua volta, problemi cui non si riusciva a dare risposta. C’era una questione in particolare, la questione della mancanza dell’effetto di parallasse (espressione incomprensibile, me ne rendo conto e mi scuso di questi paroloni; sappiate che anch’io li uso alla cieca e infatti non ho idea di cosa diamine sia il parallasse), questione che dava dei gran grattacapi ai copernicani. Qui andiamo sul tecnico spinto, e la mia culturaccia alla wikipedia ormai non basta più. In breve, i tolemaici obiettavano che se la terra fosse stata in movimento anche le stelle avrebbero dovuto cambiare posizione, cosa che non si osserva. Questa osservazione in termini tecnici si chiama mancanza dell’effetto di parallasse, e sarebbe stata risolta secoli dopo in base a nuovi modelli fisici (in particolare grazie a Newton) e a più potenti attrezzature di osservazione astronomica.

Ora il modello di Tycho, malgrado la sua stranezza, aveva gli stessi vantaggi di semplicità del modello copernicano/kepleriano. E già, perché i pianeti girando intorno al sole seguono le semplici orbite alla Keplero; quanto al sole che gira intorno alla terra, in questo caso cambia il punto di osservazione ma l’orbita rimane semplice. Con un vantaggio però rispetto a Copernico: il modello di Tycho, grazie a questo trucco della terra ancora immobile dava una spiegazione elegante della mancanza dell’effetto di parallasse.

Che ne dite? Ora Tycho ci fa meno la figura del demente? Insomma a favore di Copernico c’erano tante buone osservazioni ma mai conclusive. E poi c’erano delle prove contro, o comunque dei buchi, delle incongruenze. Che Tycho spiegava, mantenendo i vantaggi del sistema copernicano. Quale migliore esemplificazione di una buona integrazione? Il meglio di tutto.

Buona integrazione, insomma; però irrimediabilmente non vera. Le prove conclusive a favore del sistema eliocentrico (o meglio dello spazio infinito senza centri) sarebbero state fornite solo dal modello di Newton. Non occorre andare chissà dove, basta consultare wikipedia, per scoprire, pensa un po’, che la prova decisiva del movimento terrestre è del 1851 (quasi trecento anni dopo) grazie al fisico francese Jean Bernard Léon Foucault con il suo famoso pendolo: il pendolo di Foucalt.

In conclusione, la storia di Tycho Brahe ci dice due cose. Prima di tutto che l’integrazione può essere una formula facile e vuota, perfino quando offre vantaggi come faceva il modello di Brahe. Però ci dice anche che il bisogno di integrare ha un suo significato: esso è presente quando nessun modello, perfino quello che è in vantaggio e che si sente che è quello giusto non ha ancora prodotto la prova decisiva, quella che davvero chiude il dibattito. Per ora.

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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