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After Lucia, di Michael Franco (2012) – PFF – Psicologia Film Festival Torino

 

5° PSICOLOGIA FILM FESTIVAL – PFF

Presenta: 

After Lucia

di Michael Franco (2012)

Presentano Silvia Tedone, Genny Pascolini e Marco Chiapparino

PFF PROGRAMMA 2013-2014

 

Il Film

Sono trascorsi sei mesi da quando Lucia è morta in un incidente d’auto e il marito Roberto e la figlia Alejandra non sono ancora riusciti a superare il dolore. Per dare nuovo senso alle loro esistenze, decidono di trasferirsi in Messico e ricominciare da capo. Nella nuova scuola che frequenta, però, Alejandra non riesce a integrarsi con gli altri compagni e, ritenuta troppo bella e luminosa, diviene oggetto di feroce invidia e gelosie. Vivendo tutto in silenzio, senza confessare al padre il proprio disagio, Alejandra finisce col divenire una vittima, un capro espiatorio su cui chiunque finisce per sfogare le proprie frustrazioni.

After Lucia è un racconto teso, implacabile e sgradevole: la violenza si fa strada nelle vite di Roberto e Ale in una spirale devastante che finisce per coinvolgere tutti e che non lascia più scampo a nessuno. I compagni di classe diventano aguzzini, coperti dall’omertà del branco. Franco dipinge un quadro inquietante, in cui nessuno è più innocente e dove la violenza ha perso qualsiasi argine sociale e culturale, facendosi risposta necessaria e sproporzionata, di fronte alla debolezza incomprensibile delle autorità. Dietro le facce da bravi ragazzi si nasconde un disprezzo che prende di mira sempre l’estraneo, il più debole. Nessuno sembra accorgersi di nulla. Gli insegnanti latitano, ombre silenziose in un racconto che si impone per forza di messa in scena e rigore.

 

Il regista

Nato a Città del Messico nel 1979, Michel Franco ha iniziato a girare alcuni cortometraggi subito dopo i suoi studi. Nel 2001 dirige Cuando Mare Grande, per una campagna anti-corruzione. Nel 2003, con Entre Dos, ha vinto il Gran Premio del Festival di Huesca. Il lavoro ha inoltre  ricevuto il premio per il miglior cortometraggio al festival di Dresda. Durante lo stesso periodo, Michel Franco produce con la sua società Pop Films spot pubblicitari. Nel 2009 Daniel e ANA, il suo primo lungometraggio, è stato selezionato per la Quinzaine des Réalisateurs di Cannes. Il film, molto apprezzato dalla critica, ha inoltre partecipato ad una serie di festival internazionali ed è stato distribuito in molti paesi fuori dal Messico. After Lucia ha vinto nel 2012 il premo Un Certain Regard al Festival di Cannes.

 

Silvia Tedone, Genny Pascolini, Marco Chiapparino

Dottori in psicologia clinica, hanno svolto un anno di tirocinio presso il Centro Adolescenti del Dipartimento di NPI dell’A.S.L. TO1. Genny Pascolini e Marco Chiapparino hanno sviluppato inoltre una tesi di laurea su tale argomento.

 

Vi aspettiamo numerosi

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Programma 2013-2014 del PFF

ARTICOLI SU CINEMA & PSICOLOGIA

RUBRICA CINEMA & PSICOTERAPIA

 

Psychiatry, Subjectivity, Community. Franco Basaglia and Biopolitics – Recensione

 

 

 

Psychiatry, Subjectivity, Community.

Franco Basaglia and Biopolitics

(2013) di Alvise Sforza Tarabochia

 

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Psychiatry, Subjectivity, Community. Franco Basaglia and BiopoliticsAlvise Sforza Tarabochia nel suo “Psychiatry, Subjectivity, Community. Franco Basaglia and Biopolitics” offre un racconto appassionante e complesso, in cui accanto alla rIcchezza di dati storici c’è anche la complessità della riflessione filosofica, proprio in termini di biopolitica.

Biopolitica è una di quelle parole che sembrano pensate apposta per spaventare chi non è addentro ai gerghi tecnici e per allontanare il lettore. Cerchiamo di superare questo ostacolo. Di “biopolitica” se ne parla molto in filosofia da alcuni anni. Ma cos’ è la biopolitica? Diranno i nostri lettori desiderosi di chiarimenti. Affidiamoci umilmente a wikipedia e scopriamo che si tratta di un termine tecnico usato in filosofia e in politologia che indica lo studio dei modi usati dal potere politico per indirizzare gli aspetti della vita umana e sociale legati al corpo umano, alla sua utilitizzazione e al suo controllo. La politica usa i saperi della biologia, della genetica, della statistica, della psicologia, della criminologia e della sociologia per stabilire il confine della “normalità” e a fornire a se stessa gli strumenti per la gestione delle attività biologiche.

Per la biopolitica, i concetti di normalità e “follia” sono strumenti politici e non conoscitivi o scientifici, mediante i quali il potere usa la scienza medica per gestire i sistemi di previdenza e assicurativi, la promozione dell’igiene pubblica e perfino l’eugenetica (Foucault, 1978-2005).

Per chi si occupa di psicologia e di psichiatria il legame tra gli studi filosofici di biopolitica e gli avvenimenti che hanno portato alla chiusura dei manicomi è evidente. Anche a chi non condivide gli eccessi di un uso solo politico dei concetti di “normalità” e “follia” è chiaro che in passato la reclusione manicomiale era anche uno strumento per mantenere l’ordine e la stabilità sociale. Naturale quindi che la lotta di Basaglia per il superamento dei manicomi non potesse essere solo medica e scientifica, ma anche politica.

Di questa storia Alvise Sforza Tarabochia nel suo “Psychiatry, Subjectivity, Community. Franco Basaglia and Biopolitics” offre un racconto appassionante e complesso, in cui accanto alla rIcchezza di dati storici c’è anche la complessità della riflessione filosofica, proprio in termini di biopolitica.

Dopo la legge 180, il sistema manicomiale fu smantellato in Italia, per essere sostituito dai centri comunitari. Questo riemergere di una dimensione comunitaria è alla base di una psichiatria alternativa che Tarabochia chiama “Affirmative Biopolitical Psychiatry”, una psichiatria che tenti di coniugare libertà individuale e senso comunitario combattendo sia la prevaricazione del potere tradizionalista e conservatore sia l’atomizzazione dell’iper-individualismo moderno.

Il libro sostiene che Franco Basaglia aveva previsto questo cambiamento nel paradigma del potere, e che è possibile rintracciare la sua concezione embrionale nei suoi scritti.

Questo renderebbe Basaglia un precursore della cosidetta “Italian Theory”, una corrente di filosofia politica di crescente importanza nata nel nostro paese che afferma la possibilità di superare la dicotomia tra conservatorimo comuntario e indvidualismo moderno.

Per una rassegna esaustiva della Italian Theory raccomandiamo le antologie di Borradori (1988); Hardt e Virno (1996); Chiesa e Toscano (2009) e un recente libro di Esposito (2010, 2012).

 

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L’AUTORE DEL LIBRO E’ EDITOR DELL’ EUROPEAN JOURNAL OF PSYCHOANALYSIS:

The European Journal of Psychoanalysis – Presentation

CyberSexual Addiction: quando il Sesso online da Dipendenza – Psicologia & CyberSex

 

 

 

Sesso nel cyberspazio- quando diventa cybersexual addiction!. -Immagine: © Amy Walters - Fotolia.comCybersexual addiction:  Il soggetto si dedica in modo sempre più compulsivo all’uso di internet per trovare un partner o materiale erotico, fino a considerare l’eccitazione che ne deriva come forma primaria di gratificazione sessuale, e fino a ridurre l’investimento sul partner reale. Inoltre il disagio scaturito dalla dipendenza porta il soggetto a  nascondere le proprie relazioni virtuali agli altri, provando sentimenti di colpa o vergogna.

Nella definizione di cybersesso rientrano tutte le modalità di utilizzo di internet che possono determinare eccitazione e gratificazione sessuale. Si tratta di attività fra loro differenti, che comprendono la scrittura e la lettura di storie a contenuto erotico, la frequentazione di chat rooms a contenuto sessuale, la visione di filmati pornografici, l’ uso di web-cam per attività erotiche a distanza e la ricerca di incontri con persone che si prostituiscono. 

Riassumendo, c’è il sesso vissuto e poi mostrato su internet, c’è il sesso procurato tramite internet, ma c’è anche il sesso vissuto esclusivamente in maniera virtuale.

La cybersexual addiction è la dipendenza da queste attività sessuali virtuali e rientra nelle categorie della dipenza da internet.

Kimberly S. Young, docente di Psicologia presso l’Università di Pittsburgh e direttrice del Center for Online Addiction, ha tracciato un profilo del cybersexual addicted : “ Il soggetto si dedica in modo sempre più compulsivo all’uso di internet per trovare un partner o materiale erotico, fino a considerare l’eccitazione che ne deriva come forma primaria di gratificazione sessuale, e fino a ridurre l’investimento sul partner reale. Inoltre il disagio scaturito dalla dipendenza porta il soggetto a  nascondere le proprie relazioni virtuali agli altri, provando sentimenti di colpa o vergogna.

Secondo dati emersi di recente, questa dipendenza riguarda in Italia prevalentemente i maschi eterosessuali, dai 33 ai 55 anni, sposati nel 60% dei casi e separati nel 13%, capaci di passare da 11 a 35 ore settimanali davanti al computer, spesso in orario lavorativo. Per capire come si è arrivati alla diffusione di questo fenomeno bisogna ripercorrere, brevemente, come l’incremento esponenziale dell’uso di internet abbia modificato la pornografia e la prostituzione.  Il settore hard, da evento pubblico nei cinema a luci rosse, è diventato gradualmente un fenomeno privato con l’avvento del vhs, del dvd e infine di internet.

In Italia ci sono 35.000 siti pornografici per adulti; il 72% dei “porn users” è uomo ed il 28% donne.

Siti come youporn rappresentano l’evoluzione della filosofia dei pornoconsumatori, che  producono e condividono gratuitamente le proprie prestazioni sessuali. Quando l’interazione con altri utenti (attraverso webcam, telefono o chat) è soggetta a pagamento si entra nel campo della prostituzione online. Il fenomeno, pure così diffuso, rimane sconosciuto, sommerso e  impunito, nonostante la presenza di quattro sentenze della Corte di Cassazione in materia.

Le n. 25464 e n.25465 del 2004 stabiliscono, infatti, che anche vendere “sesso virtuale” è sfruttamento della prostituzione. La n. 36157 dello stesso anno precisa che per esserci prostituzione non occorre un contatto fisico tra chi richiede e chi offre una prestazione sessuale a pagamento.

Hanno fatto molto scalpore, negli ultimi anni, le inchieste giornalistiche sulle pornostudentesse, ossia sulle giovani donne che offrono sesso virtuale (e in alcuni casi reale) per “mantenersi agli studi”. Il giornalista Calderoni, che ha intervistato e conosciuto alcune di queste ragazze, definisce l’incontro erotico mediato dalla rete come un concentrato di emozioni, sessualità e relazione sociale gestito secondo i principi dello scambio economico e della velocizzazione dei tempi.

E’ il mercato, dunque, a creare il luogo dei bisogni e insieme della loro soddisfazione, in cambio di denaro, ma forse non solo. Bisognerebbe conoscere quali siano i costi delle conseguenze psicologiche nella vita di chi vende il proprio corpo, anche solo nella sua immagine, e di chi lo acquista.

L’anonimato del web consente di osare, mostrandosi come più prestanti e più sicuri di ciò che si è; l’uso seduttivo e narcisistico del corpo porta a una facile soddisfazione dell’autostima, all’esercizio di una libertà e di un controllo maggiore di quello che è possibile esercitare nella vita reale;  il piacere, vissuto in modo così dissociato e onnipotente, esime da qualsiasi conseguenza sul piano sociale e relazionale.

Appunto: e la relazione? La relazione virtuale non può avere le stesse caratteristiche di una relazione reale,  che prevede un incontro e un confronto con l’altro, con il suo corpo e la sua storia, nutrendosi di fantasie e desideri valorizzati dall’attesa. Il sesso on-line, invece, costringe direttamente a giochi stereotipati e a dettagli pornografici, il tutto proiettato su uno schermo in cui io guardo il mio stesso piacere senza mai incontrare quello altrui, pur avendone bisogno per eccitarmi.  Non è l’uso di internet, naturalmente, ad essere incolpato, quanto il suo abuso, che comporta numerosi rischi psicopatologici, tanto gravi quanto più precoce è l’età in cui compare  la condotta di dipendenza.

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SESSO – SESSUALITA’CYBERPSICOLOGIADIPENDENZE – INTERNET ADDICTION

 

 

La paura del giudizio degli altri: il circolo vizioso dell’ Ansia Sociale

 

 

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheUn nuovo studio pubblicato su Cognition and Emotion ha osservato, in un campione di soggetti sani, come la tendenza verso una maggiore consapevolezza introcettiva  – e cioè la capacità di identificare i segnali corporei interni- avrebbe effetti peggiorativi  proprio sul timore del giudizio degli altri.

E’ risaputo che i fobici sociali tendono a focalizzare l’attenzione in modo selettivo sui segnali propriocettivi relativi all’attivazione fisiologica dell’ansia – nel momento in cui si espongono alla situazione sociale temuta, innescando in questo modo a livello emotivo circoli viziosi disfunzionali.

Un nuovo studio pubblicato su Cognition and Emotion ha dimostrato in un campione di soggetti sani che la tendenza verso una maggiore consapevolezza introcettiva  – e cioè la capacità di identificare i segnali corporei interni- avrebbe effetti peggiorativi  proprio sul timore del giudizio degli altri.

In particolare lo studio ha esaminato la consapevolezza introcettiva non come un tratto stabile ma come una variabile di stato, cioè a dire potenzialmente variabile in funzione delle situazioni.

In particolare la consapevolezza introcettiva è stata misurata in termini di accuratezza di rilevazione propriocettiva del proprio battito cardiaco. I partecipanti sono stati suddivisi in due gruppi: nella condizione sperimentale i soggetti dovevano immaginarsi di tenere un discorso davanti ad una platea di persone.

Dai dati è emerso che i partecipanti che si immaginavano l’esperienza di public-speaking presentavano un aumento significativo della consapevolezza introcettiva rispetto alla condizione di controllo.

Non soltanto, l’incremento della consapevolezza introcettiva è positivamente correlato con il timore di giudizi negativi da parte della platea immaginaria.

Dunque la relazione tra preoccupazione per i giudizi negativi e l’aumento di consapevolezza propriocettiva dell’arousal emotivo non è un fenomeno esclusivamente psicopatologico, ma in un’ottica di continuum anche riscontrabile in chi fobico sociale non è, ma che presenta una adeguata ansia prestazionale in un contesto di public speaking.

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ANSIA SOCIALE – FOBIA SOCIALEANSIA AROUSAL

Il Giudizio degli altri - State of Mind 624

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

Utilizzo di Cannabis come fattore di rischio nei Disturbi Psicotici – SOPSI 2014


SOPSI 2014 

18° Congresso della Società Italiana di Psicopatologia

La Psicopatologia e le età della vita – Torino 12-15 Febbraio 2014

 

Uso attuale e/o life-time di Cannabis

come fattore di vulnerabilità ai disturbi psicotici

La Cascia C. 1,2, Seminerio F. 2, Sartorio C. 1, Mulè A. 2, Marinaro A. 2, La Barbera D. 1,2

1 Dipartimento di Biomedicina Sperimentale e Neuroscienze Cliniche, Sez. di Psichiatria, Università di Palermo
2 U.O. Psichiatria, A.o.u.p. Paolo Giaccone, Palermo 

 

 ARGOMENTI CORRELATI:

CANNABISPSICOSI

TUTTI I POSTER DEL CONGRESSO SOPSI 2014
I REPORTAGES DAL CONGRESSO SOPSI 2014

Adolescenti e Stress: il report 2013 della American Psychological Association

 

La Redazione di State of Mind consiglia la lettura di questo contenuto:

 

Il sondaggio annuale Stress in America™ svolto dalla American Psychological Association (APA) ha spostato quest’anno il focus dell’attenzione sullo stress negli adolescenti.

dai risultati della ricerca 2013, emerge chiaramente come il livello di stress percepito dagli adolescenti americani sia superiore a quello che è considerato da loro stessi come una “soglia salutare di stress”. Risposte e strategie di coping sembrano insufficienti e si delinea un quadro in cui i comportamenti disfunzionali di adattamento a situazioni di stress si instaurino già durante l’adolescenza e non solo nell’età adulta.

American Teens Stress Report 2013 - American Psychological Association

 

Despite our understanding that stress takes a toll on our physical and mental health, this year’s Stress in America™ survey reveals a portrait of American stress that is high and often managed in ineffective ways, ultimately affecting our health and well-being.

But the most concerning news is not what’s happening to adults.

Survey findings suggest that the patterns of unhealthy stress behaviors we see in adults may begin developing earlier in our lives. Many American teens report experiencing stress at unhealthy levels, appear uncertain in their stress management techniques and experience symptoms of stress in numbers that mirror adults’ experiences.1 These findings are especially sobering when paired with research that suggests physical activity, nutrition and lifestyle — all wellness factors the survey revealed to be affected by stress in teens and adults — not only contribute to adolescents’ health now, but also to habits that can be sustained into adulthood.2

 

Are Teens Adopting Adults’€™ Stress Habits?Consigliato dalla Redazione

American Teens Stress Report 2013 - American Psychological Association - Featured
The 2013 Stress in America ™ survey reveals that many American teens report experiencing stress at unhealthy levels, appear uncertain in their stress management techniques and experience symptoms of stress in numbers that mirror adults’ experiences. (…)

 

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Articoli di State of Mind su: Stress
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Cinque consigli per gestire lo stress
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Il crescente problema dello stress e del burnout richiede una maggiore attenzione e consapevolezza nella gestione a partire dalla prevenzione
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Stress accademico e atteggiamenti mindful – PARTECIPA ALLA RICERCA
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L'epigenetica sta mettendo in luce come le alterazioni biologiche e comportamentali post traumatiche possono essere trasmesse alla prole
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Psicopatici al potere: viaggio nel cuore oscuro dell’ambizione – Recensione

Anna Angelillo

 

 

Psicopatici al potere:

viaggio nel cuore oscuro dell’ambizione

(2014)

di Jon Ronson

Codice Editore

 

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Psicopatici al potere Psicopatici al potere” è un diario di viaggio nel mondo un po’ in ombra degli psicopatici: un report la cui lettura porta a muoversi con l’autore nei meandri più nascosti, sconosciuti e che forse mai si avrebbe creduto di sfiorare, mettendosi in cammino con l’autore.

Il giornalista inglese Jon Ronson – famoso per aver scritto il libro da cui poi è stato tratto il film “L’uomo che fissa le capre” del 2009 – comincia il suo percorso, mosso dalla voglia di far luce su un mistero: scoprire chi ha spedito uno strano libro a diversi accademici, sparsi per il mondo. La forma mentis di un giornalista, così come accade anche per il nostro reporter, è portata ad andare oltre la quasi banale risoluzione dell’enigma, interrogandosi sulle ragioni più profonde e a volte oscure dell’accaduto: Ronson dunque utilizzerà la soluzione come punto di partenza per far luce su ciò che ha mosso i fili del comportamento manifesto e per comprenderne “l’impatto sulle dinamiche della società”. È così che lo scrittore inglese intraprende questo cammino nella follia e si imbatte per la prima volta nella psicopatia (“Non avevo mai pensato molto agli psicopatici prima di allora, e mi chiesi se non fosse il caso di provare ad incontrarne uno.”, p. 19).

La psicopatia può essere definita come un costrutto, che comprende un insieme di tratti emotivi/interpersonali e comportamentali, che delineano individui che, dietro un’apparente maschera di sanità, nascondono deficit neurobiologici e psicologici, e dunque posseggono tratti di personalità che li allontanano dalla popolazione generale. È bene precisare che gli psicopatici si allontanano dalla gente “normale” non perché criminali tout court, ma perché mancano di alcune abilità – quali empatia, la capacità di provare rimorso, l’abilità di riconoscere le emozioni altrui – che li rendono, probabilmente e non sicuramente, più propensi a mettere in atto agiti violenti.

Le stesse caratteristiche, di contro, possono però rivelarsi adattive, se utilizzate in contesti diversi: ad esempio, in contesti aziendali, a molti manager farebbe comodo non sentire il rimorso nel licenziare i propri dipendenti né farsi fermare dalla loro sofferenza per un proprio tornaconto: essi hanno messo in atto una mera strategia aziendale, poco altruistica, ma non di certo condannabile moralmente e penalmente, al pari di un omicidio efferato. Si chiamano “corporate psychopath” (Babiak, Neumann & Hare, 2010), psicopatici aziendali, i cosiddetti psicopatici di successo, che non infrangono la legge, ma si servono delle tipiche caratteristiche dello psicopatico criminale medio (egocentrismo, insensibilità, tendenza a manipolare), associate però ad una intelligenza e a competenze sociali brillanti, oltre che a circostanze contestuali/familiari favorevoli, per ottenere quello che vogliono, rimanendo dietro una maschera di sanità immacolata. 

Dove finisce dunque il leader senza scrupoli e comincia lo psicopatico criminale? Dov’è dunque il confine tra normalità e patologia? Quanto le etichette diagnostiche possono confondere e impedire di prendere anche solo in considerazione il fatto che una semplice parola – nel nostro caso “psicopatia” – possa essere considerata spoglia di una qualunque connotazione arbitraria, rimanendo così un costrutto di personalità, con delle caratteristiche neutre?

Il viaggio di Ronson ci mostra, seppur in maniera divulgativa, se vogliamo poco scientifica, ma non per questo meno efficace e diretta (che per i non addetti ai lavori, forse, è la maniera più adeguata), come sia possibile ritrovare tratti psicopatici in persone di cui non avremmo mai sospettato, in quei concentrati di carisma, che affascinano e stupiscono per il modo discutibilmente pulito (ma solo perché non hanno infranto leggi o fatto del male tangibile – in senso fisico – a qualcun altro) con cui si son fatti strada. Ci permette, inoltre, di notare come sia molto più facile associare l’idea di psicopatia al comportamento criminale e quindi a qualcosa di pericoloso, per il semplice fatto che è un modo per allontanare da noi qualcosa che non conosciamo e che, per tale motivo, ci fa paura.

Giunto quasi alla fine del suo viaggio, Ronson dirà: “[…] Sono soltanto degli psicopatici, è la loro caratteristica fondamentale. È quello che sono.” (p. 257).

Lo scrittore dimostra, con il suo lavoro, come la conoscenza possa cambiare l’approccio verso un aspetto della personalità umana, fino a quel momento rimasta all’ombra: “La conoscenza è potere” (p.262), dirà Robert Hare al nostro autore durante il loro ultimo incontro.

È un libro piacevole e a tratti inquietante, perché tali sono le avventure raccontate dall’autore; è un contributo tagliente e volutamente provocatorio, a buon rendere, perché offre spunti di riflessione per esaminare la società in maniera critica sì, ma anche costruttiva.

 

 

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BIBLIOGRAFIA:

 

 

La scintilla di Caino: Storia della coscienza e dei suoi usi – Recensione

 

La Scintilla di Caino:  Storia della coscienza e dei suoi usi

di Carlo Augusto Viano (2013) – Bollati Boringhieri.

 

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La Scintilla di Caino:  Storia della coscienza e dei suoi usi Viano, C.A. (2013) Torino: Bollati Boringhieri. - Immagine: copertinaTra queste vicissitudini contradittorie la coscienza morale ha ora aiutato e ora danneggiato lo sviluppo dell’autonomia individuale. La coscienza poteva essere invocata per garantire la libertà di pensiero, ma anche l’obbedienza a valori comunitari.

Libro denso d’informazioni e di riflessioni, quello di Carlo Augusto Viano intitolato “La scintilla di Caino: Storia della coscienza e dei suoi usi“.

È una storia della coscienza, intesa come conoscenza di sé e come funzione morale interiore.

Il merito migliore del libro è la sua complessità, che aiuta a far comprendere come la nozione di coscienza non abbia una storia lineare, ma fitta di andirivieni.

La coscienza è ora concepita come una conoscenza vuota e poco significativa, una mera consapevolezza del proprio esistere, ora un organo privilegiato che fornisce una conoscenza assoluta, per esempio del bene e del male in Kant.

Quello che colpisce è come la modernità pragmatica si avvicini di nuovo alla supposta inconsapevolezza degli antichi. In mezzo c’è il lungo percorso morale delle religioni monoteistiche che invece hanno conferito somma importanza al giudizio interiore.

Da San Girolamo in poi si era pensato che esiste una scintilla superiore della ragione, che neppure in Caino poté estinguersi, che vuole sempre il bene e odia sempre il male. Anche in questo caso, però, Viano non concede nulla alle semplificazioni.

La coscienza morale è presente anche nel laico Kant, che l’aveva ereditata dalla filosofia scolastica medievale.

Tra queste vicissitudini contradittorie la coscienza morale ha ora aiutato e ora danneggiato lo sviluppo dell’autonomia individuale. La coscienza poteva essere invocata per garantire la libertà di pensiero, ma anche l’obbedienza a valori comunitari. Un pensatore come Montaigne poteva al tempo stesso mentre la propria vita interiore al centro della propria riflessione e al tempo stesso deplorare il caos morale generato dallo sviluppo di troppe coscienze individuali.

La riflessione di Viano non si limita alla storia, ma anche a problemi contemporanei. Il racconto comprende anche capitoli sull’obiezione di coscienza pacifista e sui medici che non rifiutano la pratica dell’aborto. Anche in questo caso la definizione di coscienza va incontro a varie vicissitudini.

Se c’è un appunto da fare al libro è l’eccesso di densità. È frutto sicuramente della scelta di voler comunicare al lettore l’evoluzione frammentaria del concetto di coscienza. Però a volte l’accumulo di informazioni, pur affascinante, rischia di sovrastare la lettura.

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PSICOLOGIA E FILOSOFIALETTERATURA

SOCIETA’ & ANTROPOLOGIA – ETICA & MORALE

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BIBLIOGRAFIA: 

Glass Ceiling Index: l’indice delle pari opportunità stilato dall’Economist

La Redazione di State of Mind consiglia la lettura di questo contenuto:

 


Che la parità di trattamento sul lavoro tra uomini e donne sia una realtà in alcune nazioni ed un’utopia in altre è risaputo. Ma quali sono gli stati in cui le donne hanno una migliore probabilità di ricevere un trattamento pari a quello della controparte maschile?

In occasione dell’8 marzo il giornale The Economist ha creato l’Indice delle pari opportunità (Glass-ceiling index) valutando le prestazioni di alcuni Paesi su specifici indicatori, combinando i dati relativi all’istruzione superiore, alla partecipazione alla forza lavoro, allo stipendio percepito, alle spese per la cura dei bambini, ai diritti di maternità, alle richieste di partecipazione a business-school, alla rappresentanza in posti di lavoro di alto livello.

L’articolo permette di giocare con i dati e osservare come la classifica dei Paesi si modifichi al variare del peso degli indicatori presi in considerazione. Se non stupisce che i primi posti siano occupati quasi sempre dagli stati scandinavi, guardate invece l’Italia dove si posiziona…


AS IT is International Women’s Day on March 8th, The Economist has created a “glass-ceiling index”, to show where women have the best chances of equal treatment at work. It combines data on higher education, labour-force participation, pay, child-care costs, maternity rights, business-school applications and representation in senior jobs. Each country’s score is a weighted average of its performance on nine indicators.

 

 

The glass-ceiling indexConsigliato dalla Redazione

Glass Ceiling Index - The Economist - Lavoro Gender Studies - Indice delle Pari Opportunità

AS IT is International Women’s Day on March 8th, The Economist has created a “glass-ceiling index”, to show where women have the best chances of equal… (…)

Tratto da: The Economist

 

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Parità di genere in ambito lavorativo: quali sono i fattori coinvolti
Stiamo realmente raggiungendo la parità di genere?
Secondo alcuni ricercatori lo studio della parità di genere nelle diverse professioni si basa sull'analisi di due fattori principali: pregiudizi e omofilia.
Identità di genere ed epigenetica cerebrale: il ruolo delle esperienze sociali
Identità di genere: il ruolo delle esperienze sociali nella modificazione epigenetica cerebrale
Nello sviluppo epigenetico di un individuo le disparità di trattamento, aspettative, influenze sociali influenzano la costruzione dell'identità di genere?
Autismo e differenze di genere: la ricerca conferma di due importanti teorie
Autismo e differenze di genere: i risultati di un recente studio confermano le tesi dell’Empathizing-Systemizing Theory e dell’ Extreme Male Brain Theory
Autismo e differenze di genere: i ricercatori di Cambrige hanno confermato le differenze nella capacità empatica e di sistematizzazione tra uomini e donne
Stalking: quando il carnefice è una donna
Quando lo stalking viene perpetrato da una donna
Circa l’80% dei casi conosciuti di stalking riporta un soggetto maschile come carnefice, ma dalle ricerche emerge che anche le donne possono mettere in atto una campagna di stalking verso una persona dello stesso sesso o del sesso opposto.
Gli effetti antidepressivi della ketamina se a somministrarla è un maschio!
Non dimentichiamoci dell’odore: questione di genere
Uno studio sui topi ha dimostrato che la ketamina ha proprietà antidepressive, ma solo se la somministrazione viene effettuata da un uomo.
Report dal Convegno Donna e Sport di Catania - 22 novembre 2017
Report dal Convegno Donna e Sport di Catania – 22 novembre 2017
Il 22 novembre a Catania si è tenuto il convegno Donna e sport che ha ripercorso l'emancipazione della donna nello sport e descritto i suoi effetti benefici
Machiavellismo: i conflitti parentali contribuirebbero al suo sviluppo
I conflitti parentali porterebbero ad una maggior prevalenza del machiavellismo nei maschi
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Maschi in difficoltà (2017): un libro di Zimbardo sui disagi dei maschi di oggi
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Maschi in difficoltà è un libro di Zimbardo che descrive i motivi per cui i maschi di oggi sono in difficoltà e come si potrebbe risolvere la situazione.
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Quoziente intellettivo e modificazione della corteccia cerebrale – Neuroscienze

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Secondo un nuovo studio pubblicato su Neuroimage il cambiamento dello spessore della corteccia del cervello sarebbe un fattore importante associato alla modificazione del quoziente intellettivo (QI) dei soggetti in età evolutiva.

Spesso piccole differenze nei punteggi di QI si osservano quando i soggetti vengono testati due volte in un periodo di tempo. Tuttavia, in alcuni casi si osservano cambiamenti drammatici nei punteggi QI “ha commentato Sherif Karama, uno degli autori dello studio e professore di psichiatria alla McGill University. “Questi cambiamenti drammatici sono generalmente attribuiti a errori di misurazione piuttosto che a segnali di reali cambiamenti nelle capacità cognitive“.

Nell’umano la corteccia cerebrale comincia a diradarsi già dopo l’età di cinque o sei anni come parte del normale processo di invecchiamento. Lo studio in questione ha coinvolto 188 bambini e adolescenti per un periodo di due anni. I soggetti sono stati sottoposti sia a risonanza magnetica strutturale che al test di intelligenza.

Dai risultati è emerso che nell’arco di un periodo di 2 anni:

– soggetti con un significativo aumento del QI non presentavano l’assottigliamento corticale naturalmente previsto;

– soggetti con punteggi QI rimasti stabili avevano un normale assottigliamento corticale atteso;

– soggetti con una significativa diminuzione del QI presentavo un’ importante e maggiorata diminuzione dello spessore corticale.

La ricerca dunque è rilevante non solo e non tanto perché dimostra che il QI di ciascun individuo non è necessariamente stabile, ma soprattutto che è correlato a specifiche variazioni anatomiche a carico dello spesso della corteccia cerebrale.  

 

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Intuitive Heuristics Linking Perfectionism, Control, and Beliefs Regarding Body Shape in Eating Disorders

 

Intuitive Heuristics Linking Perfectionism, Control, and Beliefs Regarding Body Shape in Eating DisordersCome funziona il pensiero intuitivo e non logico? Qualche anno fa Amos Tversky e Daniel Kahneman riuscirono a scoprirne alcune delle regole di funzionamento e con questa idea vinsero un Nobel in economia (Tversky e Kahneman, 1974, 1983).

Le euristiche sono strategie di pensiero semplificate, scorciatoie cognitive che permettono alle persone di giungere rapidamente a valutazioni e decisioni.

In questo articolo abbiamo tentato di applicare le euristiche ai meccanismi mentali delle pazienti affette da disturbi alimentari.

 

Perché, ci si chiede, un’anoressica associa magrezza estrema a successo, bellezza e controllo della propria vita? Forse perché fa un’associazione euristica alla Tversky e Kahneman. In questo lavoro abbiamo tentato di dimostrarlo.

 
 

Intuitive Heuristics Linking Perfectionism, Control, and Beliefs

Regarding Body Shape in Eating Disorders

Linda Confalonieri (1) – Sandra Sassaroli (2) – Sara Alighieri (2) – Sabrina Cattaneo (3)  – Marita Pozzato (4) – Marta Sacco (2) – Giovanni Maria Ruggiero (1)

(1) “Psicoterapia Cognitiva e Ricerca”, Post-graduate Cognitive Psychotherapy School, Foro Buonaparte 57, 20121 Milano, Italy e-mail: [email protected]
(2) “Studi Cognitivi”, Post-graduate Cognitive Psychotherapy School, Milano, Italy
(3) Centro Cognitivo Saronno, Saronno, Italy
(4) Unità Disturbi del Comportamento Alimentare e Riabilitazione Psiconutrizionale, Casa di Cura Villa Margherita, Arcugnano (Vicenza), Italy 

 

Abstract:

A number of correlational studies have established a clear association between perfectionism, control and beliefs regarding body shape in eating disorders (EDs).

The aim of this study is to test the effectiveness of the above-mentioned associations in exploring the presence of intuitive heuristics. Intuitive heuristics can be conceived as as mental shortcuts, cognitive processes that are highly susceptible to irrational biases. Forty one non clinical female controls and 27 in- patient females with an ED diagnosis participated in an experimental task that tested whether participants would show an intuitive rather than a logically based link between perfectionism in different domains (study, work, hygiene) and a thin body shape.

In the healthy female participants the occurrence of proposed link was noted in the hygiene domain only, while ED participants showed this intuitive association in all the domains explored: study, work, and hygiene. The study confirms in clinical ED sample a wider employment of heuristics associating perfectionism and thinness that is based on purely intuitive irrational reasoning.

Keywords: Body shape . Eating disorders . Heuristics . Perfectionism

 

 

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Il cervello di uomini e donne: quali le differenze? – Neuroscienze

 

 

Uomini e donne. - Immagine: © Sangoiri - Fotolia.comDopo anni e anni di ricerca volta ad individuare le differenze esistenti tra l’uomo e la donna ora ci sono le prove!

Ecco a voi la prima meta-analisi in cui si analizzano oltre 20 anni di ricerca in neuroscienze sulle differenze di sesso, in termini di struttura cerebrale ovviamente!

Un team dell’Università di Cambridge ha eseguito una revisione su tutti gli articoli pubblicati dal 1990 al 2013, per un totale di 126 articoli.
Analizzando questi articoli si è rilevato che i maschi, in media, hanno un cervello più grande rispetto alle donne ( da 8-13 %), hanno un maggiore spazio intracranico ( 12 % ; > 14.000 cervelli),  maggiore materia grigia (9 % ; 7.934 cervelli ), maggiore sostanza bianca (13 % , 7.515 cervello ), maggior liquor (11,5 % , 4.484 cervelli ), e un cervelletto più grande (9 % ; 1.842 cervello ). Insomma, hanno la testa strutturalmente più grande di noi donne. 

Guardando più da vicino, i ricercatori hanno trovato differenze di volume in diverse regioni, ispezioniamo quali. I maschi in media hanno maggiori volumi e densità della parte sinistra dell’amigdala, dell’ippocampo, della corteccia insulare, del putamen; densità più elevate del cervelletto e del claustrum di sinistra, volumi più grandi della circonvoluzione anteriore paraippocampale bilaterale, del giro cingolato posteriore, del precuneus, dei lobi temporali, e del cervelletto, della circonvoluzione del cingolo anteriore e dell’amigdala destra.
Al contrario, le femmine in media avevano una maggiore densità del lobo frontale sinistro, e maggiori volumi del lobo frontale destro, delle circonvoluzioni frontali inferiore e media, della pars triangularis, del planum temporale/parietale, del giro del cingolo anteriore, della corteccia insulare, del giro di Heschl del talamo bilaterale, del giro paraippocampale di sinistra e della corteccia occipitale laterale.
Quante aree, lobi, lobuli, giri, ma cosa significherà?

Afferma Baron – Cohen:

Anche se ci sono chiare differenze strutturali cerebrali tra i maschi e le femmine un importante ruolo è svolto dall’ ambiente e dalla società nella quale si vive“.

E siamo al punto di partenza, se ci sono queste differenze in che modo si traducono in termini di agiti?

Pare il tutto sia condito dalla presenza dei neurotrasmettitori che determinerebbero il carattere, il temperamento. Infatti, questi propagatori di informazione risultano avere una concentrazione specifica per ognuno di noi. Quindi dire ad una persona che è dopaminergica, significa attribuirgli un tratto caratteriale. E quindi? Quindi, in alcune situazioni in cui è necessario scegliere, ad esempio, c’è chi lo fa impulsivamente, chi evita, chi considera solo alcuni aspetti necessari, si tratta di risposte messe in atto in base al tipo di carattere che si ha.

Secondo un recente studio pare che i due sessi affrontino le situazioni in maniera globalmente diversa. Infatti, gli uomini tendono a organizzare il mondo in categorie distinte, mentre le donne affrontano le cose con maggiore flessibilità. Gli psicologi dell’Università di Warwick hanno sottoposto un gruppo di uomini e donne a un compito di decision making  e hanno concluso che gli uomini giudicano in maniera più generale e frettolosa mentre le donne sono state solo in parte più accurate.

La scoperta più intrigante, però, è stata quella che uomini e donne sono ugualmente fiduciosi nelle decisioni prese. Questo significa che la differenza di genere non è dovuta al fatto che gli uomini sono più decisi nelle cose rispetto alle donne, come si tende a credere, ma semplicemente che uomini e donne percepiscono il mondo in modo diverso. In sostanza, dipende dai significati che si attribuiscono alle cose. Una possibile spiegazione è che il mondo potrebbe essere considerato in maniera più lineare, atteggiamento tipicamente maschile, o pieno di sfumature, come per le donne. Ovvero gli uomini sono più pragmatici mentre le donne spesso si perdono in ripetitive elucubrazioni mentali.

Tradizionalmente, la cultura ha voluto che l’uomo fosse preciso e determinato nelle scelte visto che doveva occuparsi del sostentamento familiare. Al contrario, alle donne era richiesta una maggiore flessibilità visti i molti compiti da svolgere (moglie, mamma, casalinga, lavoratrice). Questo tipo di addestramento sociale non solo influenza il comportamento e la personalità, ma anche le percezioni o significati attribuiti agli eventi esperiti.

Per esempio, le donne percepiscono un rischio maggiore in molti scenari reali e ipotetici rispetto agli uomini, anche perché affrontare il rischio è una prerogativa centrale del ruolo di genere maschile e non femminile.

Secondo un altro studio gli uomini utilizzano maggiormente il pensiero astratto su molti argomenti e lavorano mentalmente su categorie e generalizzazioni, mentre le donne sono disposte ad affrontare le situazioni più nello specifico, in termini di situazioni concrete e di relazioni.
Ciò è evidente, ad esempio, nei giudizi morali. Gli uomini sono più legati a principi astratti di giustizia, dovere, correttezza, ecc. e li applicano a tutte le persone e in tutte le situazioni. I giudizi morali delle donne, invece, si basano su sensazioni soggettive, considerando spesso molte attenuanti, piuttosto che in base a principi astratti.

Quante differenze, ormai ciò che distingue l’uomo dalla donna fa parte di un dibattito che inizia dai tempi dei tempi e non si è mai sopito. Uomini e donne sono sottoposti a pressioni evolutive diverse e a separare i due sessi c’è un solco profondo, sosteneva Darwin. Negli ultimi anni ci si è dati da fare per sfumare le differenze e declassare al rango di boutade la tesi secondo cui le donne provengono da Venere e gli uomini da Marte. Dall’università del Wisconsin la ricercatrice Janet Shibley Hyde controbatte a suon di dati: “maschi e femmine sono uguali, fatta eccezione per piccole variabili psicologiche“. Le teoria dei due mondi separati è stata distrutta pezzi, siamo uguali, nessuna differenza!

A riportarci sul pianeta terra ci ha pensato, però, uno studio eseguito da italiani dell’università di Torino, pubblicato sulla rivista Public Library of Sciences in cui si dice che lo scarto fra i due sessi esiste, eccome. “L’idea che ci siano solo piccole differenze di personalità fra uomini e donne va ripensata perché è basata su metodi inadeguati“. La ricerca è stata condotta su un campione di 10 mila soggetti aventi 15 diversi tratti della personalità.

La discrepanza maggiore riguarda la sensibilità, tradizionale dominio femminile. Le donne registrano valori molto alti anche per quanto riguarda il calore e l’apprensione, mentre gli uomini si distinguono per equilibrio emotivo, coscienziosità e tendenza alla dominanza. Perfezionismo, vitalità e tendenza all’astrazione vedono invece la quasi totale parità fra i sessi.

I maschi  sono più stabili emotivamente, più dominanti, più legati alle regole e meno fiduciosi, mentre le femmine sono più calde emotivamente, meno sicure di sé e più sensibili. Niente di particolarmente nuovo!
Insomma, siamo uguali o diversi? Forse siamo diversi, fosse solo per il fatto che siamo femmine e loro maschi.

 

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Semeiotica del disturbo del Sogno – Piano del sogno Pt. 4

 

 

PIANO DEL SOGNO PT. 4

Semeiotica del disturbo del sogno

 

MONOGRAFIA PIANO DEL SOGNO

Piano del sogno 4. - Immagine: ©-Serg-Nvns-Fotolia.comResta infine da delineare quali sono gli stati mentali che orbitano intorno all’attaccamento rigido a un sogno. Questi possono essere considerati degli stati transitori che assumono coloriture differenti in relazione al periodo di vita o talvolta anche al momento della giornata.

Hanno una durata variabile e un grado di oscillazione verso poli estremi che supera la consueta soglia delle fluttuazioni quotidiane.

Ansia e stress: si tratta dell’emozione dominante nel momento in cui il sogno viene attivamente perseguito. Forse con maggior accuratezza si dovrebbe definire come uno stato di tensione generale che ciascuno sperimenta quando è in corso una lotta continua. In sintesi, la persona può incedere nella vita sotto la pressione dei propri sogni divenuti nel tempo veri e propri obblighi necessari per ciò che rappresentano in termini di valore personale.

Rabbia: una delle possibili reazioni alle frustrazioni che si incontrano nel percorso tra lo stato attuale e il proprio sogno. Si tratta della rabbia tesa e recriminatoria che proviamo a fronte di una percezione di ingiustizia subita. Il mondo non ci riconosce qualcosa che in qualche modo pretendiamo (il sogno) o come risarcimento per i passati dolori o come ricompensa per le enormi fatiche profuse.

Depressione colposa: una possibile diversa reazione alle frustrazioni poggiata su una tendenza all’autocritica e all’autosvalutazione per aver commesso errori e più in generale non aver fatto abbastanza. La propensione alla rabbia o alla depressione è determinata da stili di risposta cognitiva e comportamentale personale, spesso oscillano entrambe o l’una può essere attivata per ridimensionare l’altra. Questo tipo di depressione è tinta di colpa, la persona si attribuisce la responsabilità del danno che ha arrecato a sé stessa e al proprio sogno. In una certa misura, condivide con altre risposte alla frustrazione, il mancato riconoscimento dei vincoli oggettivi e insuperabili che il confronto con la realtà inevitabilmente ci pone. È una questione di capacità personali (una fallacia per cui se faccio bene allora riesco).

Depressione malinconica: forse non è il termine più adatto ma esiste anche un secondo tipo di depressione che emerge nel momento in cui ci accorgiamo che il sogno, quando viene parzialmente o totalmente realizzato, non ci offre la soddisfazione che ci aspettavamo. Si tratta di una sorta di perdita di senso da raggiungimento del proprio scopo. La realtà ci pone innanzi l’altra faccia della medaglia: era davvero così importante? Era davvero ciò che volevo? Come mai ho tutto e non sono felice? Certo, non è assolutamente detto che questo sia l’esito del successo, ma diviene più probabile per coloro i quali l’attaccamento al sogno è stato poco esplorato nelle sue implicazioni rispetto a gusti e piaceri personali.

Depressione angosciosa: difficile definire la condizione emotiva che sorge quando il sogno è irrimediabilmente e definitivamente perso. Presumibilmente, come innanzi a un lutto, si susseguono molteplici fasi, a volte semplici versioni intense di quelle precedentemente descritte. Di fatto più siamo stati attaccati e abbiamo dedicato risorse e investimenti a quell’ideale, più ci sentiamo vuoti (senza il mio sogno sono perso, niente ha più senso e io non sono nessuno). Certo questo stato può spingere a quelle ruminazioni dai mille ‘perché?’ e al ritiro dalla vita sociale. Quando ha esito fausto diviene lo stato di passaggio verso una maggior consapevolezza (o dolorosa saggezza) e guida verso l’esplorazione di nuove opportunità.

PIANO DEL SOGNO: PARTE 1 – PARTE 2 – PARTE 3

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Pratiche materne e selettività alimentare in bambini e ragazzi con Disturbi dello Spettro Autistico

Filomena Zampaglione

 

 

Pratiche materne e selettività alimentare in bambini e ragazzi

con Disturbi dello Spettro Autistico

 

                                                                                                            

PREMIO STATE OF MIND 2013

Abstract 

Premio State of Mind - Zampaglione. - Immagine: ©-Oksana-Kuzmina-Fotolia.comLa selettività nel consumo dei cibi insieme ad altre difficoltà legate all’alimentazione rappresenta un problema epidemico tra i bambini con disturbi dello spettro autistico.

Molti bambini autistici e con disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato (PDD-NOS) presentano anomali comportamenti alimentari come sensibilità sensoriale legata alla consistenza degli alimenti, preferenze per alcuni cibi e atti aggressivi associati al rifiuto di determinati alimenti.

Per questo articolo è stata utilizzata una batteria di test somministrata alle madri di bambini con disturbi dello spettro autistico atta a: a) verificare se vi sia una relazione tra i Disturbi dello Spettro Autistico e una maggiore incidenza di condizioni ponderali caratterizzate da iponutrizione, sovrappeso o obesità; b) valutare quali siano i comportamenti che le madri adoperano per favorire corrette abitudini alimentari nei figli e controllare problemi quali la selettività o il rifiuto dei cibi; c) valutare se questi comportamenti materni  siano in relazione con la gravità del disturbo autistico e/o con i comportamenti sintomatici che lo caratterizzano; d) evidenziare le caratteristiche tipiche dei problemi alimentari nell’autismo; e) valutare se la selettività alimentare, intesa come il consumo di una ristretta varietà di cibi in base a tipologia, consistenza e/o presentazione dei piatti, sia la problematica alimentare più di frequente riscontrata nei bambini con ASD.

Abstract

Food’s selectivity and other feeding problems are endemic in children with autism spectrum disorders (ASD).

Some children with autism and pervasive developmental disorder-not otherwise specified (PDD-NOS) have reported an atypical feeding behavior, such as sensitivity to food texture, selective preferences for particular foods and aggression associated with food refusal.

This article used a battery test on mothers of children with autism spectrum disorders to determine: a) children’s relationship with autism spectrum disorders to higher incidence of conditions characterized by undernutrition in weight, overweight and obesity;

b) assess what are the behaviors that mothers seek ways to encourage healthy eating habits in their children and monitor issues such as selectivity or rejection of foods;

c) assess whether these maternal behaviors are related to the severity of autistic disorder and / or with symptomatic behaviors that characterize it; d) the types of feeding problems that their children typically exhibit; e) determining whether the food selectivity, defined as the consumption of a restricted variety of foods according to type, texture and/or presentation of the dishes, both the problematic food most frequently seen in children with ASD.

Keywords: Feeding problems; food selectivity; Autism spectrum disordersparentingchildren.

 

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AUTORE: 

FILOMENA ZAMPAGLIONE (partecipante sezione A-junior), Laureata in Psicologia Clinica presso l’università degli Studi di Messina.

Questo articolo estratto dalla tesi sperimentale di laurea specialistica (LM-51) “Pratiche materne e selettività alimentare in bambini e ragazzi con Disturbi dello Spettro Autistico” in Psicologia Clinica/Psicologia dello Sviluppo discussa il 22 Luglio 2013, ha partecipato al Premio State of Mind 2013 per la Ricerca in Psicologia e Psicoterapia

 

 

La Psiche alla prova del Pensiero – Psicoterapia & Filosofia

Di Giancarlo Dimaggio. Pubblicato sul Corriere della Sera di martedì 11 marzo 2014. 

 

 

Giancarlo Dimaggio - Corriere della Sera 11-03-2014- La psiche alla prova del pensiero - Immagine:  © Corriere della Sera 2014 Il pensiero di Darwin, Popper e Foucault alla base del metodo scientifico che guida la Psicoterapia Cognitiva, la cui efficacia è empiricamente verificata.

Sono a cena con i miei amici psicoanalisti, Giulio e Tullio, amicizia di cui non rivelo le origini. Una pizzeria a Trastevere è il teatro della conversazione. Chi scrive è uno psicoterapeuta cognitivista. Parte dei nostri dialoghi è la ripetizione di un copione. Giulio è un’esegeta di Lacan, Tullio si posiziona nel mondo post-Freudiano (il protagonista di In Treatment è un esempio verosimile di quel tipo di psicoanalisi) in cui la psicoanalisi è costruzione intersoggettiva del significato, posizione con la quale concordo – per me ho scelto una psicoanalista di quell’orientamento.

Poco prima che ci servano la pizza la recita è già al secondo atto: disaccordo completo. Giulio sostiene un’ermeneutica radicale (si parte da Heidegger, si passa per Gadamer), per cui l’analisi è un incontro idiosincratico tra soggetti comprensibile solo all’interno dello scambio analitico. Ogni osservazione esterna è impossibile, depriverebbe il soggetto parlante della sua voce, in nome di un’oggettività che ne schiaccerebbe la libertà.

Dissento per due motivi. Il primo è la mia avversione per Lacan, per me nulla più di una sorta di paralinguaggio. Il secondo è nel nome di Darwin e Popper.

Umberto Galimberti e la Terapia Cognitiva
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Dopo Darwin, considero le teorie pulsionali di Freud una reliquia del passato, che sopravvive in cenacoli a dimostrare che nel mondo post-moderno nulla scompare davvero. Gli umani si sono evoluti guidati da motivazioni che permettevano sopravvivenza, adattamento all’ambiente e coesione del gruppo. L’istinto di morte, postulato da Freud, è inutile, è sufficiente l’entropia a fare quel lavoro. Una psicoterapia che si basi sull’idea che siamo guidati da tale istinto nasce fallace.

Popper è l’altra fonte del contendere. Si tratta della responsabilità dello psicoterapeuta verso la società.

C’è qualcosa di unico e irriproducibile nell’incontro tra paziente e psicoterapeuta? Sì. Questo esime il clinico dal dovere rendere conto della sua azione? Ritengo di no.

Memore delle critiche di Popper a Freud, mi colloco in una comunità di scienziati cognitivi che operazionalizza idee falsificabili e si affida alle prove per decidere cosa è buona pratica e cosa va lasciato in disuso nelle periferie della storia delle idee.

Gli psicoterapeuti cognitivisti sono educati a questo. Molti psicoanalisti oggi condividono tale assunto e, per esempio, la teoria Freudiana del transfert, in formulazioni più moderne e ostensibili, è stata investigata e corroborata da dati.

Ci servono la pizza, quella del Bonci, birra artigianale italiana influenza il tono della conversazione. Il cognitivismo trascura la costruzione del significato, sostiene Giulio, riduce l’uomo ai suoi sintomi e l’animo umano non è misurabile. So che in parte dice il vero. Parte della psicoterapia cognitiva resta miope al significato personale sottostante ai sintomi. Per gran parte invece vi è attenta.

Sulla misurabilità mi scaldo. Si tratta di essere quanto più popperiani possibile. L’ineffabile del discorso terapeutico resterà, ma tutto ciò che si può trasformare in variabile oggetto di verifica be’, io lo voglio misurare. E vedere se cambia in una psicoterapia di successo. E voglio che parametri esterni al mio giudizio clinico valutino se ho ben lavorato o commesso errori. Tullio fa da arbitro. Tutti noi abbiamo fallimenti e successi nella nostra pratica clinica. Vero. Ma, obietto, una disciplina che provasse di salvare 7 persone su 10, e fornisca dati a supporto, non sarebbe preferibile ad una che ne salvasse 5 su 10? Per questo vogliamo misurare il misurabile.

Concordiamo, non senza una nota di compiacimento, di sentirci personaggi di un dialogo Platonico. Foucault interviene nella conversazione e qui siamo più d’accordo. Nel frattempo abbiamo espresso diverse scelte nelle birre: io sono per le ambrate di stampo belga. Innanzitutto me ne piace il colore. Giulio e Tullio optano per delle chiare di frumento, Weizenbier. Non considerate le osservazioni sul cibo marginali. Lasciando Cartesio alle spalle, il corpo è considerato il nucleo della nascita delle idee, la conoscenza è conoscenza incorporata.

Dimaggio ansia sociale - Immagine: © intheskies - Fotolia.com - SQUARE
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Dicevo: Foucault. Da cognitivista sono abituato a fidarmi dei dati empirici che indicano cosa è efficace in psicoterapia e cosa no. Questo rende noi cognitivisti facilmente proni a presumere di avere un sapere superiore. Ma, chi controlla i controllori? La scelta delle variabili da misurare e dei protocolli da valutare empiricamente non è un fattore da trascurare. I cognitivisti sono influenti politicamente, ben piazzati nelle commissioni che erogano i finanziamenti. Quindi un gruppo di potere. Che tende a perpetuare se stesso e accrescersi, niente di strano. Gli psicoanalisti – enclave dominante per decenni – lo sanno, lo hanno notato e hanno osservato che l’efficacia maggiore delle terapie cognitive dipendeva  in parte da cosa si sceglieva di misurare. La comunità più ampia di psicoterapeuti e ricercatori ha considerato la critica ragionevole. Di conseguenza, gli studi più recenti sull’efficacia delle psicoterapie tendono a includere misure del funzionamento interpersonale (tema psicoanalitico) e non solo il cambiamento sintomatico.

I cognitivisti hanno imparato qualcosa. Gli psicoanalisti, almeno i più illuminati, si allenano a sottoporre la loro pratica a verifica. Il confronto si svolge sul campo. Cosa funziona meglio? Oggi è difficile dirlo. La psicoterapia cognitiva è sicuramente molto più studiata. Le basi della sua efficacia più solide e ampie. Ma in generale il cosiddetto “equivalence effect” sembra prevalere: le psicoterapie manualizzate e studiate empiricamente tendono a generare risultati di efficacia paragonabile. Forse le psicoterapie cognitive offrono risultati migliori degli altri approcci, ma di poco e non è per niente certo. Intanto gli psicoanalisti modificano i protocolli, imparano le regole del gioco.

Già, le regole del gioco. Perché alla fine di quello si tratta. Esiste una componente ineffabile, irripetibile, non misurabile nella seduta psicoterapeutica? Sì.

Esiste una componente misurabile? Sì. Qual è il gioco che preferiamo giocare? Io mi sento più a mio agio nella partita in cui si debba rendere conto ad un osservatore terzo che analizza i dati.

Ma a quel punto non è più importante. Tullio onora Gigi Proietti e racconta la storiella del cavaliere bianco e del cavaliere nero. Giulio replica con qualcosa di irriferibile.

La gentile ombra di Epicuro si è posata sul nostro tavolo.

 

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Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

La ri-valutazione (o re-appraisal) cognitiva  è certamente una delle principali strategie cognitive di regolazione emotiva in dotazione all’essere umano (Gross,1998; Gross & Thompson, 2007), che consiste nel cambiamento del modo con cui la persona pensa e valuta la situazione “emotivamente” critica al fine di modificarne l’impatto emotivo.

In un interessante articolo pubblicato recentemente su Cognition and Emotion ci si focalizza sulle differenze individuali nella capacità di generare spontaneamente molteplici valutazioni alternative delle situazioni critiche.

Prendendo spunto dai concetti nell’ambito della creatività e del pensiero divergente è stato sviluppato un test chiamato Reappraisal Inventiveness Test (RIT) per misurare la flessibilità individuale nell’elaborare differenti rivalutazioni cognitive, cioè diverse letture della situazione emotigena, in particolare relativa all’emozione di rabbia, in un periodo di tempo definito e limitato.

DEFINIZIONE DI REAPPRAISAL SU PSICOPEDIA

Le analisi riguardo le caratteristiche psicometriche del test ne confermano la validità di costrutto segnalando anche correlazioni positive tra la “reappraisal inventivness” con la tendenza ad aprirsi a nuove esperienze e il pensiero divergente.

Inoltre è interessante far notare che la performance al test RIT però non è correlata con i self-report in cui si chiedeva ai soggetti la frequenza d’uso dell’abilità del re-appraisal per la regolazione emotiva, indicando quindi una sostanziale differenza tra le misure self-report e test più orientati alla rilevazione di questa abilità in vivo.

Sicuramente un test di performance – non comunemente self-report- che deriva dall’area della psicologia generale ma meritevole di attenzione anche nella ricerca clinica.

 

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SCIENZE COGNITIVEREAPPRAISAL

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COGNITIVE REAPPRAISAL: L’EFFICACIA DIPENDE DAL CONTESTO

 

BIBLIOGRAFIA:

 

Discontrollo degli Impulsi ed espressione dell’Aggressività: confronto tra pazienti Borderline e Bipolari – SOPSI 2014


SOPSI 2014 

18° Congresso della Società Italiana di Psicopatologia

La Psicopatologia e le età della vita – Torino 12-15 Febbraio 2014

 

Il Discontrollo degli Impulsi e l’espressione dell’Aggressivita’:

confronto tra pazienti con Disturbo Borderline di Personalita’

e Disturbo Bipolare

Norma Verdolini1, Valentina Magliocchetti2, Patrizia Moretti3, Roberto Quartesan4

1 Scuola di Specializzazione in Psichiatria, Università degli Studi di Perugia, Dir. Prof. R. Quartesan
2 Università degli Studi di Perugia
3 Sezione di Psichiatria, Psicologia Clinica e Riabilitazione Psichiatrica, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Perugia, Dir. Prof. R. Quartesan
4 Direttore Sezione di Psichiatria, Psicologia Clinica e Riabilitazione Psichiatrica, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Perugia 

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