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Psicoterapia Sistemico-Relazionale

La psicoterapia sistemico relazionale o terapia familiare indaga le caratteristiche strutturali e le regole della famiglia nel suo complesso.

Aggiornato il 30 ago. 2023

Psicoterapia sistemico relazionale

La Teoria Sistemica fu formulata da Ludwig von Bertalanffy, un biologo austriaco che faceva parte della scuola di Palo Alto e in seguito del Circolo di Vienna; successivamente la teoria sistemica è stata applicata a diversi ambiti scientifici, come la cibernetica, la psicologia, la sociologia e la meccanica.

I precursori della psicoterapia sistemico relazionale

Il sistema (dal greco stare insieme), secondo la teoria sistemica:

  • è un’unità intera e unica;
  • è composto da parti in relazione tra loro e tendenti all’equilibrio;
  • nel sistema l’intero risulta diverso dalla semplice somma delle parti;
  • nel sistema qualsiasi cambiamento in una sua parte influenza l’intero sistema nel suo insieme;
  • ogni elemento di un sistema è in relazione con gli altri elementi, e ha una ragione d’essere per la specifica funzione che svolge;
  • comportamenti, ruoli e funzioni diverse concorrono a generare la Proprietà Emergente del sistema, che è una caratteristica superiore alla somma delle funzioni;
  • gli attributi fondamentali di un sistema sono: comunicazione ed elaborazione dell’informazione, adattamento al cambiamento (auto-regolazione), auto-organizzazione e automantenimento.

Norbert Wiener definisce “cibernetica” il processo di retroazione autocorrettiva (self corrective feedback) attraverso cui l’informazione riguardante i risultati delle attività del sistema è riportata nel sistema, andando così ad influenzare il futuro, e permettendo quindi al sistema di auto-regolarsi, adattarsi e modificarsi.

Negli anni ’50, il Gruppo di Palo Alto formato da Gregory Bateson (antropologo), John H.Weakland (ingegnere chimico), Jay Haley (psicologo sociale) e, dal 1956, anche da Don Jackson (psichiatra), applica la teoria sistemica allo studio della comunicazione di famiglie con membri schizofrenici. Il gruppo di Palo Alto guarda alla famiglia come a un sistema cibernetico, che si autoregola grazie a meccanismi di retroazione.

Gregory Bateson, applicando la teoria dei sistemi alla famiglia e alle strutture sociali, distingue tra retroazione negativa-conservativa (l’informazione riporta il sistema al suo stato iniziale) e positiva (l’informazione aumenta la deviazione del sistema dal suo stato iniziale). Secondo Bateson nei sistemi familiari c’è qualcosa che assomiglia ai plateaux omeostatici, cioè il sistema può andare incontro a una certa oscillazione, funzionale al funzionamento
della famiglia, senza che la struttura del sistema cambi.

Bateson parla di scismogenesi per descrivere cicli di rinforzo reciproco tra i membri di un sistema sociale/familiare, questi possono essere simmetrici o complementari: le escalation complementari non raggiungeranno mai il punto di rottura se c’è sufficiente dipendenza reciproca tra due individui, mentre le escalation simmetriche possono essere funzionali a un accomodamento sugli interessi di ambedue le parti. Inoltre un processo complementare può contrastarne un altro, come ad esempio lo sviluppo di una sintomatologia (depressione o malattie psicosomatiche) in uno dei coniugi può servire a fermare un’ escalation di potere che sia andata troppo oltre mettendo in pericolo l’integrità del sistema (i coniugi potrebbero separarsi ad esempio).

Allo stesso modo una dose di comportamento simmetrico in una relazione complementare può arrestare un’ escalation che va verso una differenziazione progressiva, minacciando la rottura della relazione. Don Jackson elabora il concetto di omeostasi familiare, osservando che nelle famiglie con un paziente psichiatrico quando questo migliorava le proprie condizioni di salute, altri componenti della famiglia cominciavano a manifestare sintomi (depressioni, attacchi psicosomatici), per cui postulò che tali comportamenti (e persino la stessa malattia) costituivano meccanismi omeostatici che si innescavano per restituire al sistema “disturbato” il suo, seppur precario, equilibrio.

I processi scismogenetici possono anche essere utili nel porre fine a una stabilità inappropriata, non salubre provocando una rottura dell’equilibrio e un cambiamento di secondo ordine, cioè un cambiamento strutturale del sistema che ne modifichi la forma (morfogenesi). In questo caso avverrà un’ amplificazione della devianza attraverso meccanismi di retroazione positiva.

Il Gruppo di Palo Alto studiando la comunicazione in famiglie con individui schizofrenici formulò il costrutto teorico di doppio legame per spiegare la modalità interattiva di queste famiglie. Tipica della modalità interattiva del doppio legame è la contraddittorietà tra il messaggio esplicito e messaggio implicito e l’impossibilità di metacomunicare su questa incongruenza; l’effetto per chi riceve il messaggio è che ogni risposta risulta essere quella sbagliata, così che c’ è sempre una penalità per il fatto di avere ragione. Ecco che la comunicazione dello schizofrenico caratterizzata dall’incapacità di distinguere tra linguaggio letterale e metaforico, sarebbe una forma di adattamento a questa comunicazione patologica.

Weakland nel 1960 esce dal formato diadico con un saggio sul doppio legame in interazione a 3, cominciando a parlare di triadi e di coalizioni. Osserva infatti che nelle famiglie con un membro schizofrenico non ci sono mai due persone in grado di accordarsi in una relazione stabile, c’è sempre un terzo che rende instabile la relazione a due, come in una danza infinita delle coalizioni mutevoli. Anche Wynnie definisce pseudomutualità e pseudoconflittualità l’incapacità di andare a fondo e mantenere la relazione su un piano di alleanza o di conflittualità.

J. Hayley, formula invece la teoria del controllo, secondo la quale la squalifica dei significati è un tratto comune nelle famiglie con schizofrenici. Secondo la teoria dei tipi logici di Russel ogni messaggio è qualificato da un altro messaggio su un livello di astrazione maggiore. Per Haley nella lotta per il controllo familiare al livello 1 tutti fanno un’ affermazione e al livello 2 tutti tentano di definire la relazione che fa da contesto a quell’ affermazione: quindi chi decide cosa è permesso e cosa è vietato? Nella lotta per il controllo i messaggi di tutti risultano squalificati su più livelli.

Nel complesso emerge l’importanza che le ipotesi sistemiche debbano essere perlomeno triadiche e mettere in luce come un figlio reagisce alla relazione tra le sue più importanti figure di attaccamento.

La psicoterapia sistemico relazionale: la terapia strategica di Haley

Haley, insieme a Milton Erikson, creano un modello di terapia basato sulla tecnica ipnotica, cioè su tecniche di manipolazione delle resistenze (ex. Dare l’illusione di un’ alternativa o un’ alternativa peggiore). Lo scopo dell’intervento terapeutico è individuare il ciclo/sequenza comportamentale autorinforzante e interromperlo. Secondo Haley il sintomo è rinforzato dal comportamento che cerca di reprimerlo, cioè dalla soluzione che la famiglia crede di avere trovato per farvi fronte e che ovviamente non funziona. L’interesse del clinico è sui comportamenti e lo scopo dell’intervento terapeutico è spingere i comportamenti che mantengono il sintomo oltre il limite, così da spezzare il cerchio di rinforzo.

A questo scopo vengono usate una serie di tecniche paradossali. L’uso di tecniche paradossali è ad esempio la prescrizione del comportamento sintomatico, che sfrutta la resistenza al cambiamento della famiglia con l’ingiunzione a non cambiare. La connotazione positiva dei comportamenti sintomatici serve invece a ristrutturare la percezione che il pz ha del contesto del suo comportamento: cambiando la realtà percepita dal pz cambieranno i suoi comportamenti.

La psicoterapia sistemico relazionale in italia: Mara Selvini Palazzoli e il gruppo di Milano

Nasce negli anni ’60 come ricerca di equilibrio tra la radicalizzazione dell’individualismo che va affermandosi negli anni ’60 e la crisi delle vecchie autoritarie forme familiari (con la dissoluzione dei legami di appartenenza, il tramonto dei clan familiari e la crisi del ruolo paterno tradizionale); si oppone all’ottica degli interessi del singolo e valorizza i sentimenti di appartenenza a relazioni affettive protettive; rende più democratica la famiglia difendendone le parti più deboli (malati, donne, bambini); sostiene una responsabilità paritaria e congiunta dei genitori e la capacità di negoziare tra loro e con i figli.

A Milano negli anni ’70 il gruppo composto da Mara Selvini-Palazzoli, Silvana Prata, Luigi Boscolo, Gianfranco Cecchin, lavora secondo un approccio strategico alla psicoterapia sistemico relazionale con pazienti anoressiche e psicotici. Mara Selvini già negli anni ’50 aveva cominciato a reinventare la psicoterapia sistemico relazionale con le sue pazienti anoressiche, arrivando negli anni ’60 a sperimentare la psicoterapia sistemico relazionale.

Negli anni ’70, con l’equipe di paradosso e controparadosso, comincia a sperimentare l’uso del paradosso e della connotazione positiva: secondo l’idea eriksoniana che spiegare non serve, si deve provocare un cambiamento con tattiche coperte e inavvertibili. Ecco che l’equipe, come già faceva Haley, prescrive il sintomo, o altri aspetti sgradevoli a questo collegati, connotando positivamente tutti i comportamenti dei membri della famiglia, ad esempio come sacrificio del singolo a vantaggio degli altri. Nel paradosso la malattia da cattiva diventa buona e la terapia, che può guarire la malattia, da buona diventa pericolosa, perchè può cambiare gli equilibri. Questo intervento mette in evidenza il significato relazionale del sintomo, introducendo una visione circolare e relazionale dei comportamenti di tutti i membri della famiglia. In quest’ottica nessuno è colpevole e tutti sono preda di un gioco relazionale più forte di loro. Attualmente la connotazione positiva è considerata troppo assolutoria nei confronti di alcuni comportamenti rispetto ai quali si preferisce responsabilizzare i membri della famiglia. La connotazione positiva rischia inoltre di negare lo stato di malattia e quindi la sofferenza individuale del paziente che va invece riconosciuta e accolta nel contesto terapeutico.

Il Gruppo di Milano comincia negli anni ’80 ad usare le prescrizioni, fino all’uso della prescrizione invariabile somministrata a tutte le famiglie con figli psicotici o anoressiche dal 79 all’86 . Con le prescrizioni si possono modificare le regole disfunzionali della famiglia sostituendole con altre regole più funzionali: compito del terapeuta è cogliere rapidamente quali sono le regole che generano e perpetuano la disfunzione ed escogitare un intervento prescrittivo che rompa la regola sul piano di azione. In particolare la prescrizione invariabile mirava a de-triangolare il figlio sintomatico prescrivendo ai genitori prima il riserbo sulle sedute di coppia alla famiglia allargata e ai figli e poi delle sparizioni da casa.

Le retroazioni dei vari membri della famiglia hanno permesso al gruppo di Milano di costruire un modello di funzionamento a sei stadi secondo il quale andrebbe progressivamente a strutturarsi e a cronicizzarsi il comportamento del figlio sintomatico. Oggi l’impostazione del nuovo gruppo di Milano (Matteo Selvini, Anna Maria Sorrentino, Stefano Cirillo) predilige l’accoglienza della sofferenza e della richiesta di aiuto da parte della famiglia ma anche del singolo che forse in passato ha rischiato un po’ di sparire nella lettura solo sistemica del disagio.

La psicoterapia sistemico relazionale in Italia: Roma, Andolfi e il trigenerazionale (Bowen; Minuchin; Framo; Nagy – USA east coast)

Il modello sistemico familiare trigenerazionale della psicoterapia sistemico relazionale si basa sul modello del ciclo vitale della famiglia che inquadra lo sviluppo dello spazio temporale attraverso fasi evolutive prevedibili:

  • separazione dalla Famiglia d’origine e costruzione della coppia;
  • nascita dei figli;
  • la crescita dei figli fino alla svincolo;
  • nido vuoto e ri-investimento nella vita di coppia;
  • invecchiamento e separazione della coppia genitoriale per la morte del coniuge.

Ogni fase richiede precisi compiti evolutivi e ha una certa stabilità strutturale, mentre nei periodi di transizione si verificano profonde trasformazioni psicologiche e strutturali. L’utilità del modello del ciclo di vita consiste non tanto nell’identificare la fase in cui si trova la famiglia nel qui ed ora, ma nel poter osservare come viene affrontato il cambiamento e la riorganizzazione da una fase ad un’altra. La riorganizzazione richiesta nel passaggio da una fase evolutiva ad un’altra infatti non è mai un salto nel vuoto, ma le generazioni precedenti hanno già affrontato gli stessi passaggi evolutivi e l’hanno fatto secondo modelli ricorrenti di rapporti multigenerazionali che si tramandano nel tempo, da una generazione all’altra.

Questi modelli di relazione si tramandano grazie ai vincoli di filiazione e di alleanza che legano ciascuna generazione alla successiva; la coppia è il perno centrale del sistema trigenerazionale e il luogo nel quale si incotrano questi due assi, verticale e orizzontale: il vincolo di filiazione assicura la trasmissione da una generazione all’altra dei valori affettivi e culturali; grazie a questo vincolo viene anche garantita la sopravvivenza delle persone dopo la morte fisica. Il vincolo di alleanza si stabilisce invece tra i membri di una coppia e si consolida grazie alla formazione di regole, che danno vita alla complicità di coppia e che vanno ad allentare i vincoli di filiazione di ciascuno con le rispettive famiglie di origine: delimitando quindi un confine attorno alla coppia.

Con la nascita dei figli si stabilisce un nuovo vincolo di filiazione che lega la nuova generazione alla precedente. Secondo il psicoterapia sistemico relazionale trigenerazionale la possibilità di separarsi/differenziarsi dalla Famiglia d’origine è direttamente proporzionale alla possibilità di appartenere. Quindi tutto ciò che impedisce l’incontro emozionale e la soddisfazione di bisogni fondamentali all’interno delle relazioni significative (ad esempio i traumi dell’attaccamento) mantiene un “conto” aperto con le generazioni precedenti e mina sia il senso di appartenenza che le possibilità di differenziazione dalla famiglia di origine.

In quest’ottica anche i problemi della coppia hanno sempre a che fare con difficoltà nei processi di differenziazione intergenerazionale, cioè con i processi incompiuti di appartenenza e separazione del singolo dalle famiglie di origine e di conseguenza con la difficoltà a stabilire un nuovo e funzionale vincolo di alleanza a livello di coppia.

Il grado di differenziazione del sé è uno dei concetti cardine della teoria di Bowen (1979) e definisce la possibilità di ciascun individuo di differenziarsi rispetto alla massa dell’io familiare; quando l’intensità emotiva della massa familiare è molto elevata, il livello di fusione dell’io, cioè di indifferenziazione dei suoi componenti, potrà essere così marcato da esitare in relazioni simbiotiche e patologie gravi come la schizofrenia; in casi meno estremi, ma comunque caratterizzati da alti livelli di fusionalità, incontreremo persone assorbite in un mondo di sentimenti, estremamente dipendenti dai sentimenti degli altri nei loro confronti e per questo costantemente impegnate a gestire le relazioni interpersonali in termini di conferma o rifiuto; il legame con l’altro definisce le loro possibilità di funzionamento nella misura in cui è possibile trarre forza e conferma all’interno della relazione di dipendenza emotiva, che, nel migliore dei casi, li accompagnerà per tutta la vita. Lo spazio di investimento personale in aree legate alla realizzazione personale è inesistente o molto limitato e comunque fortemente condizionato dalla dipendenza all’altro.

All’estremo opposto si trovano invece gli individui con il massimo grado di differenziazione del sé, che possono raggiungere i più alti livelli di funzionamento umano; sono coloro che hanno sviluppato una buona identità individuale, che hanno saputo investire in qualità e attività orientate verso il sé, perseguendo principi e valori nel rispetto di se stessi e degli altri, mai dogmatici o rigidi, sono emotivamente sicuri tanto da poter funzionare senza essere influenzati da lodi o critiche; i confini dell’io sono flessibili, ma non labili, tanto da permettergli di sperimentare la condivisione con l’altro o l’abbandono proprio dell’incontro emotivo o sessuale con un partner.

La maggior parte delle persone si colloca a livelli intermedi della scala di differenziazione del sé, in cui la dipendenza dall’altro definisce gradi maggiori o minori di investimento e soddisfazione in aree di realizzazione personale, professionale, relazionale, e diversi livelli di rigidità, dogmatismo, conformismo, rigidità emotiva, isolamento, conflittualità e anche malattia fisica.

Tre sono essenzialmente i meccanismi relazionali che vengono usati per gestire la tensione derivante da scarsi livelli di differenziazione tra i membri di un sistema familiare: il conflitto coniugale, la disfunzione di un coniuge e la trasmissione di un problema a uno dei figli, tramite la triangolazione.

Nel conflitto coniugale la relazione è simmetrica e ciascuno dei partner lotta per dividere in parti uguali il sé comune, senza cedere nulla all’altro; la seconda modalità di gestione del conflitto prevede che al conflitto coniugale segua la resa di uno dei due coniugi, che più frequentemente dell’altro abbandona la sua posizione e una parte del proprio sé. Una variante è quella in cui uno dei coniugi abbandona del tutto il proprio sé e offre il proprio “non sé” a sostegno del partner, da cui diviene dipendente; in questi casi il coniuge che perde il proprio sé può arrivare a livelli di funzionamento bassissimo e sviluppare patologie fisiche, psicologiche e sociali; sono questi i casi di relazioni altamente sbilanciate in cui uno dei coniugi funziona bene e l’altro è un malato cronico. Le configurazioni che deriveranno dalla messa in atto di uno o più di questi meccanismi preserveranno il funzionamento di alcuni componenti della famiglia a scapito di altri, infatti secondo Bowen la difficoltà di una relazione coniugale può essere misurata quantitativamente: il sistema agisce come se una certa quantità di immaturità dovesse essere assorbita e questo può avvenire ancorandola alla disfunzionalità di un membro della famiglia, permettendo così maggiore funzionalità agli altri. La trasmissione del problema ai figli è uno dei meccanismi più frequenti che la massa dell’io familiare mette in atto per gestire la tensione.

La triangolazione si verifica quando l’aumento della tensione relazionale tra i coniugi viene gestito e contenuto coinvolgendo uno dei figli: questa alleanza con “un altro più vulnerabile” mira alla costruzione di una relazione più stabile. La triangolazione, dispiegandosi da una generazione all’altra, rende sempre più difficile il processo di individuazione dei singoli membri della famiglia, fino ad arrivare ai casi estremi di simbiosi familiare in cui la non differenziazione del sé di ciascuno è massima. Secondo Bowen è un tipo di coazione a ripetere applicata alle generazioni, in cui ogni generazione fa ricadere la sofferenza su quella successiva (Hoffman L, 1984). L’aspetto patologico della triangolazione intergenerazionale risiede nel fatto che le risorse psicologiche ed emotive del bambino vengono utilizzate per regolare il conflitto tra adulti, a scapito dei suoi bisogni evolutivi, che per venire accolti e soddisfatti necessitano della sintonizzazione affettiva da parte degli adulti.

In questo modo si realizza un processo di delega che, di generazione in generazione, perpetua la richiesta di soddisfacimento di bisogni originari rimasti inappagati. Inoltre la posizione di funzionamento del bambino all’interno del triangolo inevitabilmente condizionerà il suo modo di pensare, sentire e agire, modellando qualitativamente il suo senso di identità e appartenenza e di conseguenza le possibilità di differenziazione dalla famiglia di origine.

Le relazioni triangolari definiranno anche la partecipazione ad altre esperienze triangolari con gli altri sottosistemi familiari (ad esempio quello dei fratelli o in generale con la famiglia allargata) e con il sistema amicale e professionale. La non differenziazione dalla famiglia di origine porterà, in un momento successivo del ciclo di vita dell’individuo, a uno spostamento sul partner della richiesta di soddisfacimento dei bisogni rimasti inappagati; quando questa richiesta di appagamento, inevitabilmente, fallirà l’ansia spingerà nuovamente alla ricerca di un’ alleanza con i figli (triangolazione).

La psicoterapia sistemico relazionale: l’approccio strutturale di Minuchin e l’importanza dei confini

Secondo l’approccio strutturale di Minuchin (pediatra, psichiatra e psicoterapeuta argentino) il sintomo è il prodotto di un mal funzionamento familiare. Una famiglia che funziona bene infatti è una famiglia in cui i confini tra le generazioni e attorno alla famiglia nucleare sono ben definiti ma funzionalmente flessibili. Inoltre un sistema funzionale e armonico a livello intergenerazionale è quello in cui ciascun individuo compie il ruolo assegnato dal suo momento evolutivo.

Dal punto di vista terapeutico quindi si devono sempre tenere presenti tre piani generazionali (la famiglia di origine, la coppia, i figli) e valutare se il bilanciamento tra appartenenza e separazione permette ai tre piani di rimanere ben distinti. Il terapeuta infatti ha il compito di notare l’angolo di deviazione tra questo modello e come la famiglia si presenta e correggerlo con manovre di tipo strutturali.

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