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Stay hungry or stay angry? That is the question. – Psicologia di Sogni e Aspirazioni

Psicologia Piano del Sogno pt. 2: a volte il sogno ideale non è realmente desiderato, spesso non si considerano le implicazioni dei nostri sogni e desideri

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 25 Feb. 2014

 

PIANO DEL SOGNO PT. 2

Stay hungry or stay angry? That is the question.

Psicologia di Sogni e Aspirazioni

MONOGRAFIA PIANO DEL SOGNO 

Piano del sogno 2. - Immagine: © Piumadaquila - Fotolia.comCapita talvolta che il sogno ideale non sia realmente desiderato. Pare una contraddizione. Forse sarebbe meglio dire che esistono sogni desiderati senza che si conoscano a pieno le implicazioni della loro realizzazione.

Come dire: vengono desiderati perché è giusto e normale desiderarli, desiderarli è un dovere.

D’altronde la nostra mente produce sogni idilliaci. Pensiamo al sogno di diventare una rock star. La gloria, il denaro, il riconoscimento non racconta nulla di quanto ci si possa sentire soli, dello sballottamento da una città all’altra, perdita dei propri riferimenti e del danno per le relazioni e la vita personale. Qualcuno amerebbe questa vita e i suoi costi. Per altri potrebbe essere un inferno di viaggi e di finti sorrisi. Il sogno è irreale in quanto non ne sono contemplate le implicazioni e confrontate con ciò che noi gustiamo della vita.

C’è anche un’altra opzione simile e in parte sovrapposta a quest’ultima: fare propri i sogni altrui. Accade talvolta che il sogno a cui siamo attaccati appartenga alla nostra cultura o alla nostra famiglia, persone che abbracciano ciò che i genitori hanno innanzitutto sognato per loro fin quasi a imporselo. Il successo (la vetta) è un sollievo dalla lotta per non essere una delusione e finalmente essere libero dalle aspettative altrui. Le difficoltà, la naturale demotivazione alzano i livelli di stress, di ruminazione mentale e conseguente riconoscimento innanzi allo specchio di essere stati una reale delusione per standard che poi neanche si voleva veramente raggiungere.

Forse in fondo quel campo da gioco lo si è sempre mal sopportato. Oppure si riesce. E allora ci si accorge che la vetta non offre la soddisfazione attesa da tanto tempo, immaginata virtualmente. Subentra il vuoto e il grigiore per cui ‘ora dovrei essere felice e non lo sono’ o a volte la tristezza ‘ho investito così tanto per qualcosa che ora mi sembra così superficiale’ oppure ancora la confusione ‘che cosa voglio realmente’. Allora s’apre una soluzione estrema: la ricerca di un nuovo sogno in cui infilarsi che garantisca, non riposo (poiché di una seconda erculea fatica si tratta) ma almeno energia, motivazione e vitalità.

Il sogno come malattia autoimmune

Certe prospettive mentali agiscono come malattie autoimmuni. Le malattie autoimmuni attaccano il normale funzionamento dell’organismo fino a danneggiarlo. Una delle funzioni mentali di adattamento alla realtà è la capacità di apprendere e di modificare il nostro comportamento, mentale e motorio, in relazione alle risposte dell’ambiente.

Il sogno è una spinta necessaria per iniziare grandi opere. Il rifugio costante nel sogno o la sua indiscriminata perseveranza può trasformarsi in un cronico volger le spalle alla realtà. Come dire, l’esperienza insegna salvo malattie autoimmuni che glielo impediscano. Queste ultime possono contribuire a una lettura distorta della realtà che salvaguardi la nostra visione.

Risultato apparente: immunità alla frustrazione. Risultato reale: danno alle nostre facoltà di apprendimento e adattamento. La frustrazione, per quanto spiacevole, favorisce l’apprendimento di nuove strategie e la flessibilità del sistema. In sintesi, aiuta a evolversi. 

Questa malattia autoimmune tende a essere degenerativa. Con il passar del tempo e degli attacchi frustranti operati dalla realtà, l’autoinganno è sempre più arduo, e l’illusione più fragile. Così, perché il sogno regga è necessario esagerare, in sostanza raccontarsela sempre più grande, aumentare gli strati di prosciutto innanzi agli occhi. L’ipotetica frustrazione è percepita come sempre più intollerabile perché sempre meno conosciuta. Un esempio. Il ragazzo che a 14 anni inizia ad anellare una serie di due di picche nei primi approcci con il gentil sesso ma continua a osare senza fuggire imbarazzo e vergogna,  forse a trenta avrà appreso che queste bastonate poi non sono così tremende e saprà anche evitarne le forme più eclatanti. Ma se lo stesso ragazzo a 14 anni inizia a ritirarsi dal rischio perché ‘meglio sprecare le proprie energie per la ragazza giusta, ideale, quella per cui vale la pena’ allora la caccia al difetto dell’altra sarà sempre un’ottima scusa a portata di mano per dire ‘non è quella giusta, non ci esponiamo’. Se anche osa e viene rifiutato, questo non è occasione per capire cosa fare meglio alla prossima occasione, ma la prova che l’altra ‘è solo una sciocca, che mi ha deluso e che non è ciò che cerco’.

Quando poi la realtà si fa  troppo evidente allora la fuga nel sogno si può trasformare in fuga dalla coscienza: non riesco più a raccontarmela, quindi trovo un modo che mi impedisca di pensare. A questo punto attività fortemente distraenti e capaci di annullare ogni riflessione o ruminazione sulla realtà come il gioco, l’alcool o il cibo divengono l’estrema ratio. L’alternativa all’immersione in stati alterati di coscienza è un doloroso bagno di realtà. E quando accade magari di anni se ne hanno 35, con l’abilità di fronteggiare le frustrazioni di un giovane quattordicenne, con l’aggiunta di non avere lo stesso supporto sociale, e di sentirsi ancor più inadeguati in un mondo dove le persone intorno nel frattempo han fatto parecchi passi avanti.

In sintesi, conviene porre attenzione che il sogno rimanga una spinta motivante e non il modo di togliere lo sguardo dalla realtà.

 

PIANO DEL SOGNO PARTE 1

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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