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Tribolazioni 17 – Perseguire o desiderare – Rubrica di Psicologia

Tribolazioni - A volte gli esseri umani si rimproverano di non impegnarsi per obiettivi che credono di volere, in realtà, vogliono solo averli come desideri

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 06 Nov. 2013

 

TRIBOLAZIONI 17

PERSEGUIRE O DESIDERARE

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Tribolazioni 17 - Perseguire o desiderare - Rubrica di Psicologia. -Immagine: © detailblick - Fotolia.comA volte gli esseri umani si svalutano e si rimproverano di non impegnarsi a sufficienza per obiettivi che credono di volere mentre, in realtà, vogliono solo averli come potenziali obiettivi (desideri).

Ad esempio “Il desiderio di avere figli” : Si è contenti di averlo come desiderio. Non si vogliono effettivamente dei figli ma si vogliono volere dei figli, che è un’altra cosa.

Nella maggior parte delle occasioni ciò che maggiormente addolora gli esseri umani non è il giudizio sul mondo, quanto piuttosto il  giudizio su sé stessi. Il sé è il pezzetto di mondo che interessa di più perchè costituisce l’elemento di mediazione con tutto il resto.

Un motivo di tribolazione è spesso la confusione tra desiderare e perseguire in quanto conduce a  giudizi negativi su di sé. L’insieme degli stati desiderati è molto più ampio di quello degli stati perseguiti che ne costituisce un sottoinsieme. Nel mondo degli stati desiderati non è necessario stabilire priorità, attribuire coefficienti di valore ai sogni. Posso desiderare di essere estremamente ricco ed estremamente generoso, ignorando l’ammonimento evangelico concernente i ricchi, i cammelli e gli aghi.

Potremmo dire che ai desideri non ci sono limiti. Possono coesistere desideri inconciliabili. Il desiderio non ha l’obbligo del confronto con la realtà. I desideri costituiscono un orizzonte verso il quale ci si muove. Sono una direzione generale, una stella polare che molto approssimativamente indica il cammino. Per dirla in termini commerciali nei desideri c’è l’apprezzamento di un certo prodotto senza nessun obbligo di una valutazione costi/benefici.

Lo si desidera, appunto, ma senza dover impegnare risorse per ottenerlo sottraendole altrove. I desideri sono un motore del comportamento soltanto a lunghissima scadenza. Addirittura alcuni desideri sono stati del mondo auspicati senza che si faccia alcunché perché si realizzino.

Sono preferenze, auspici che non vedono affatto il soggetto impegnato per la loro realizzazione. Questi desideri talvolta diventano, invece obiettivi perseguiti o, per dirla secondo la nostra terminologia “scopi attivi”. Elenchiamo quali possono essere le valutazioni che fanno si che un desiderio si trasformi in uno scopo attivo. Ipotizzo altresì che valutazioni di segno opposto possano, al contrario, trasformare uno scopo attivo in un semplice desiderio:

1. In primo luogo la valutazione che lo stato del mondo consenta con ragionevole probabilità la realizzazione dello stato desiderato (è possibile)

2. In secondo luogo la valutazione relativa a sé stessi: che si abbiano competenze e risorse sufficienti da impegnarvi senza che ciò arresti altri progetti ritenuti più importanti.

3.   In terzo luogo il rendersi disponibili nuove risorse perché scopi su cui erano precedentemente impegnate sono stati raggiunti o vi si è rinunciato. Questo meccanismo consiste in un riassestamento delle priorità motivazionali.

4. In quarto luogo possono subentrare valutazioni temporali del tipo “data di scadenza”. E’ il meccanismo per cui nel decidere di consumare un cibo presente nel frigo oltre a tutte le constatazioni circa la sua desiderabilità, ecc. ad un certo punto entra in gioco anche la data di scadenza scritta sulla confezione. Certi desideri hanno una scadenza, non sono perseguibili per sempre, o diventano scopi attivi o vi si rinuncia. Poiché in quanto desideri non motivavano direttamente il comportamento era sufficiente averli.

Ma quando arriva la data di scadenza si dovrebbe rinunciare ad averli anche come desideri. Questo provocherebbe una sorta di lutto per evitare il quale il desiderio passa dal suo stato “dormiente” a quello di scopo attivo. Un esempio esplicativo di questo fenomeno è “il desiderio di avere figli”. La maggioranza delle persone afferma di avere questo desiderio e lo mantiene tale per anni senza trasformarlo in uno scopo attivo (anzi spesso lo scopo attivo che guida il comportamento è esattamente l’opposto, una efficace e sicura contraccezione).

Si è contenti di averlo come desiderio. Non si vogliono effettivamente dei figli ma si vogliono volere dei figli, che è un’altra cosa. Poi ad un certo punto, soprattutto per le donne  scatta l’effetto “data di scadenza”. Si valuta che non solo non si ha un figlio ma che non lo si avrà mai. In aggiunta si può anche pensare che non si è fatto abbastanza per averlo. Si immagina una vita con due presunte mancanze. L’assenza di un figlio e l’assenza del desiderio di un  figlio.A quel punto il figlio non è più un desiderio e diventa uno scopo attivamente e spesso affannosamente perseguito.

Possiamo concludere immaginando l’insieme dei desideri una gamma piuttosto ampia su cui si fonda una buona fetta dell’identità personale. Da questa vasta gamma vengono di volta in volta attivati alcuni scopi in base a valutazioni di priorità, fattibilità e urgenza.

Mentre avere contemporaneamente molti scopi attivi non raggiunti costituisce una situazione di disagio rappresentando esattamente il paradigma della sofferenza normale, non è così per i desideri. Avere molti desideri, anche se non ancora realizzati, costituisce una riserva motivazionale. Arricchisce l’identità e proietta positivamente verso il futuro.

Quanto argomentato finora costituisce soltanto la premessa per la spiegazione della tribolazione che intendo esaminare. L’essenza del meccanismo consiste nel confondere i semplici desideri con gli scopi attivi. Constatando che i desideri restano tali a lungo il soggetto può iniziare a rimproverarsi e svalutarsi per un mancato impegno o una mancata competenza nel loro perseguimento. Si tratta di un tipo di sofferenza già descritta precedentemente in questo stesso lavoro. Non è connessa alla frustrazione di uno scopo sul mondo esterno quanto piuttosto allo scopo di volersi considerare un buon  perseguitore dei propri scopi.

L’errore generatore di tribolazione consiste appunto nel considerare scopi attivi dei semplici desideri e di conseguenza sé stesso incapace o colpevole.

Al contrario mantenere ben distinti l’insieme più ampio dei desideri da quello più ristretto degli scopi attivi è un meccanismo estremamente utile. Consente di avere una riserva motivazionale senza tuttavia disperdere l’impegno e le risorse su troppi fronti (vedi cap.10 “Frammentazione”) rischiando l’inconcludenza e consente di volta in volta di impegnarsi su ciò che si valuta più realizzabile e urgente. Minimizzando dunque gli insuccessi (vedi cap. 4 “Portafoglio stretto”).

Detto in altre parole a volte gli esseri umani si svalutano e si rimproverano di non impegnarsi a sufficienza per obiettivi che credono di volere mentre, in realtà, vogliono solo averli come potenziali obiettivi (desideri).

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