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Un questionario sulla Psicoterapia – Partecipa alla Ricerca!

 

Aaron T. Beck e Albert Ellis - APA 2000
Aaron T. Beck e Albert Ellis, padri fondatori della Psicoterapia Cognitiva

Cari lettori e care lettrici,

come probabilmente già sapete, la psicoterapia cognitiva ha avuto due padri: Albert Ellis (1913-2007) e Aaron T. Beck (1921). I loro modelli teorici e la loro pratica terapeutica erano simili e largamente sovrapponibili. Ma c’erano anche alcune differenze nella loro visione della sofferenza umana. Molto è stato scritto e pensato sulle loro differenze e somiglianze. È però vero non ci sono ancora sufficienti dati scientifici che veramente restituiscano un quadro empirico delle differenze tra le loro visioni.

Per questo vi chiediamo di partecipare a una ricerca pensata da alcuni nostri colleghi. Si tratta di compilare alcuni questionari cognitivi. Accanto al possibile disturbo (i questionari non sono pochi) avrete anche la possibilità di entrare personalmente in contatto con vari e interessanti concetti di terapia cognitiva semplicemente leggendo le domande. Non si tratta di domande impegnative e nemmeno particolarmente invadenti.

Potete rispondere conservando l’anonimato, e inoltre le informazioni saranno protette dal segreto professionale. La vostra partecipazione sarebbe di grande aiuto per la ricerca scientifica.

 

PARTECIPA ALLA RICERCA!

SE HAI PROBLEMI A VISUALIZZARE IL QUESTIONARIO, PUOI PARTECIPARE CLICCANDO QUESTO LINK

 

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Magia & Superstizioni – Tribolazioni Nr. 22 – Rubrica di Psicologia

Chi ha spostato il mio formaggio? Cambiare se stessi in un mondo che cambia. Recensione

Spencer Johnson

Chi ha spostato il mio formaggio?

Cambiare se stessi in un mondo che cambia

(1999) Sperling e Kupfer

 RECENSIONI

Chi ha spostato il mio formaggio? Cambiare se stessi in un mondo che cambia  Spencer Johnson   (1999)  Sperling e Kupfer - locandina

Chi ha spostato il mio formaggio? – Si tratta di una lettura che  invita, in modo leggero e spiritoso, a relazionarsi alla vita con stile innovativo, evitando di farsi eccessivamente condizionare  dalle abitudini e dalla quotidianità.  

Cosa c’entra il formaggio con il cambiamento? La risposta è in questo libro-favola che racconta di due topolini, Nasofino e Trottolino, e di due gnomi, Tentenna e Ridolino, che vivono in un imprecisato Labirinto.

Per nutrirsi ed essere felici i quattro protagonisti hanno bisogno di Formaggio, per procurarsi il quale vagano nel Labirinto fino a quando, un giorno, riescono per puro caso a trovare un enorme deposito, in cui ciascuno di loro trova il tipo di Formaggio che lo soddisfa di più.

Da quel momento la vita, grazie all’abbondanza di Formaggio, scorre tranquilla, anche se lo stile con cui i topi e gli gnomi la affrontano è diverso: i topolini vanno ogni giorno al deposito del Formaggio, ma sono sempre all’erta; notano i cambiamenti e tengono sempre le loro scarpe da ginnastica attaccate al collo per poter fare fronte, se ne presentasse la necessità, all’esigenza di dover ricominciare a correre per cercare.

Gli gnomi, invece, cominciano a considerare il deposito di Formaggio un posto dove sistemarsi e vivere senza problemi per il resto della loro esistenza. Arrivano con calma, sistemano le loro scarpe, cominciano a decorare il magazzino con scritte che lo rendano familiare e si considerano al riparo dagli imprevisti, ora che l’apparentemente inesauribile  riserva di Formaggio  è a loro disposizione.

Ma un giorno, inevitabilmente,  le cose cambiano: il Formaggio comincia a diminuire finché si esaurisce del tutto. I topolini, che avevano già intuito i segni di questo cambiamento, non vengono colti di sorpresa; senza fare drammi si adattano alla nuova situazione e si rituffano nel Labirinto, per andare alla ricerca di un nuovo deposito di Formaggio.  

Per gli gnomi le cose vanno diversamente; da bravi abitudinari essi continuano a tornare ogni mattino al magazzino aspettandosi che, una volta entrati, tutto sia tornato come prima. Sperano che il Formaggio ritorni magicamente; invece di cambiare il loro comportamento per adattarsi alla nuova situazione, rimangono passivi, nella speranza che venga restituito loro ciò che avevano.

Il tanto amato “Formaggio” simbolizza ogni sorta di desiderio umano: il Labirinto rappresenta la vita, con il suo cammino mai lineare,  e  il Formaggio costituisce ciò che è importante per vivere bene.

Il libro non contiene  concetti complessi  e il suo valore risiede proprio in questo: propone suggerimenti apparentemente scontati che, tuttavia, nei momenti in cui ci  si trova in fasi di cambiamento (in cui qualcuno o qualcosa ha spostato il Formaggio!) spesso non vengono presi in considerazione.

Ci sono persone istintive che, come il topo Nasofino, sentono arrivare i cambiamenti e sono pronte a reagire prima che gli eventi li costringano a farlo; ma ci sono anche molti che, come lo gnomo Tentenna, non guardano in faccia la realtà e, schiavi delle abitudini, rimangono prigionieri di situazioni compromesse, ostinandosi a sperare che le cose tornino magicamente come prima.

Poi ci sono persone timorose come Ridolino (non hanno l’intuito di Nasofino, né l’energia di Trottolino) che inizialmente esitano, limitati dalla paura di guardare fuori dal Labirinto, ma poi riescono a acquistare coraggio, riscoprendosi nuovamente capaci di partire alla ricerca del “Nuovo Formaggio”.

Si tratta di una lettura che  invita, in modo leggero e spiritoso, a relazionarsi alla vita con stile innovativo, evitando di farsi eccessivamente condizionare  dalle abitudini e dalla quotidianità.  

Sarebbe interessante, mentre si legge, domandarsi se ci si identifica di più con Nasofino o  Ridolino, Trottolino o Tentenna, per verificare se ciò che abbiamo ora corrisponde veramente al Formaggio che vogliamo.

Alcune regole che  Ridolino scrive su muri del Labirinto sono:

  • se noterai per tempo i piccoli cambiamenti ti sarà più facile adattarti a quelli grandi, quando arriveranno;
  • seguire una direzione nuova aiuta a trovare il Nuovo Formaggio;
  • quando superi le tue paure ti senti libero;
  • se immagini di gustare il Nuovo Formaggio già prima di trovarlo, scoprirai la via giusta per conquistarlo;
  • quanto più rapidamente abbandonerai il Vecchio Formaggio tanto prima gusterai quello nuovo;
  • è meno pericoloso affrontare il Labirinto che rimanere fermi senza  Formaggio.

Spesso risulta difficile accettare il fatto che le cose intorno a noi cambino; tuttavia, se riuscissimo ad accettare il cambiamento con serenità,  sarebbe più semplice affrontare tutto quello che la vita riserva (nel bene e nel male).  La convinzione che il cambiamento può condurre soltanto a delle cose negative (perché non conosciute) impedisce di riconoscere che esso può portare a dei miglioramenti e costituire occasione di crescita.

LEGGI:

RECENSIONILETTERATURAPSICOPATOLOGIA DELLA VITA QUOTIDIANA

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Cosa farei se vincessi alla lotteria? Sognare ad occhi aperti – Mind Wandering

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche“Cosa farei se vincessi alla lotteria?”. Probabilmente tutti almeno una volta nella vita ci siamo posti questa domanda e adesso la ricerca ci dice che forse dovremo sognare ad occhi aperti più spesso.

Per esempio, in un recente articolo pubblicato su Psychological Science, viene riportato che dopo soli 12 minuti durante i quali il compito richiesto era semplicemnte di “lasciare vagare la mente“, i soggetti erano in grado di elaborare un gran numero di idee su diversi tipi di uso alternativo di oggetti quotidiani.

Come riporta Kalina Christoff “la gente pensa che quando la nostra mente sta vagando, sia di fatto vuota. In realtà, in questi momenti, la nostra mente si trova in un grande stato di attivazione, spesso più forte di quando sta compiendo ragionamente attvi davanti a un compito complesso”.

Per mantenere attiva questa capacità di sognare ad occhi aperti (e quindi aumentare anche la capacità di produrre risposte creative) è fondamentale focalizzarsi sulla parola “farei” (cosa farei se vincessi alla lotteria/avessi a disposizione un grosso budget da spendere a piacimento ecc?).

In altre parole è importante riconoscere la fantasia come tale, in modo da non chiudere automaticamente la nostra mente nei confini imposti dalla condizione reale.

Solo immaginando di non avere confini divienta possibile superarli.

 

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SOGNARE: E’ POSSIBILE ANCHE A MENTE VUOTA

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Fox, K.C.R., Andrews-Hanna, J.R., & Christoff, K. (in preparation). Mind wandering: More than just default mode network activity? Trends in Cognitive Sciences.

Leadership negli Sport di Squadra #14: La valutazione della leadership

Leadership negli Sport di Squadra #14:

La valutazione della leadership

LEADERSHIP NEGLI SPORT DI SQUADRA – PSICOLOGIA DELLO SPORT – MONOGRAFIA

Leadership negli Sport di Squadra #14: La valutazione della leadership. -Immagine:© Ivelin Radkov - Fotolia.com I risultati delle ricerche effettuate utilizzando la Leadership Scale for Sports hanno permesso di dimostrare l’esistenza di diverse relazioni tra variabili che possono influenzare le preferenze degli atleti.

La psicologia dello sport ha elaborato, in questi ultimi anni, alcuni strumenti validi per l’analisi del comportamento del leader. In realtà, la maggior parte di questi, si sono concentrati sulla figura del leader istituzionale piuttosto che sulla leadership intima, limitandosi, quindi, all’analisi dell’efficacia del comportamento dell’allenatore rispetto alle prestazioni della squadra e alla soddisfazione dei membri del gruppo.

Questi strumenti non solo hanno permesso di analizzare il sistema delle dinamiche sociali che connette l’allenatore ai componenti della squadra e ai suoi risultati ma sono risultati essere una base indispensabile per la costruzione, come nel caso del lavoro di Smith e Smoll, di programmi di formazione e di miglioramento delle proprie capacità di leader. Questi percorsi di formazione hanno permesso all’allenatore di squadre professionistiche di apprendere quelle abilità umane necessarie, oltre alla competenza tecnica, per ottenere il massimo sforzo dai propri giocatori, e agli allenatori di squadre giovanili di comprendere l’aspetto educativo del proprio ruolo e imparare a gestirlo positivamente.

Lo strumenti che verrà preso in considerazione in questo articolo è la Leadership Scale for Sports di Chelladurai e Saleh [1980].

Leadership Scale for Sports (LSS)

Questo questionario costruito da Saleh e Chelladurai [1980] ha come base teorica il modello multidimensionale della leadership elaborato da quest’ultimo, secondo cui il ruolo di leader dipenderebbe da caratteristiche individuali, dalle richieste della situazione e da quelle dei compagni di squadra. Da questo punto di vista l’apparato teorico del modello in questione rappresenta una sintesi di tutto ciò che lo ha preceduto.

Il suo punto forte è quello, quindi, di non tralasciare nessuna categoria di variabili potenzialmente rilevante. Per questo motivo utilizzare l’LSS implica la somministrazione di tre versioni composte dagli stessi item ma orientate a soggetti diversi, attraverso una modificazione nelle istruzioni per la sua compilazione.

Le tre versioni sono rispettivamente indirizzate a misurare: a) le preferenze degli atleti per specifici comportamenti del leader (esempio: “Preferisco che il mio allenatore chieda le opinioni degli atleti su questioni importanti per l’allenamento”), b) percezioni degli atleti sul comportamento del leader (esempio: “Il mio allenatore fornisce apprezzamenti ad una atleta in seguito ad una prestazione positiva”), e c) la percezione degli allenatori relative ai propri comportamenti (esempio: “In seguito a prestazioni positive rinforzo gli atleti”) [Cei, 1998].

La struttura del questionario è costituita da 40 item divisi in cinque dimensioni comportamentali del leader che sono:

Allenamento e istruzione: che racchiude tutti i comportamenti dell’allenatore orientati a migliorare le prestazioni della squadra e alla sua preparazione tecnico/fisica nel corso dell’allenamento.

Comportamento democratico: che rappresentano eventuali comportamenti partecipativi messi in atto dall’allenatore davanti alla necessità di prendere decisioni importanti per la squadra.

Comportamento autocratico: sono i comportamenti dell’allenatore che evidenziano un forte grado di autorità e di indipendenza nel prendere decisioni importanti per la squadra.

Supporto sociale: sono i comportamenti dell’allenatore che esprimono interesse per lo stato di salute e di forma fisica e mentale degli atleti e per la condizione delle relazioni interpersonali interne alla squadra.

Feedback positivi: sono i comportamenti dell’allenatore che rinforzano l’atleta e che permettono a quest’ultimo di percepire come riconosciuto il suo sforzo e il suo risultato.

I risultati delle ricerche effettuate utilizzando la Leadership Scale for Sports hanno permesso di dimostrare l’esistenza di diverse relazioni tra variabili che possono influenzare le preferenze degli atleti. Con l’aumentare dell’età e dell’esperienza i giocatori tendano ad apprezzare maggiormente il sostegno sociale e il comportamento autocratico dell’allenatore [Chelladurai e Carron, 1983], una preferenza che, secondo Horn [1992] potrebbe essere legata più che altro a caratteristiche situazionali.

Anche il genere influenza i risultati del questionario. Tendenzialmente le femmine prediligono uno stile decisionale più democratico rispetto a i maschi, i quali però ricercano maggior supporto sociale nell’allenatore [Martin e al, 1999].

Infine il tipo di sport di squadra praticato può essere un’altra variabile importante nell’analisi delle preferenze degli atleti, in effetti, secondo gli studi di Terry e Howe [1984], quelle discipline caratterizzate da un’interazione diretta tra i membri risultano prediligere un allenatore più autocratico rispetto a quelle in cui l’interazione tra giocatori è solamente indiretta.

Una rassegna su tutte queste indagini è stata compilata da Chelladurai [1990, 1993] al fine di riconfermare le ipotesi di base del suo modello multidimensionale. I risultati ottenuti in effetti sembrerebbero avvalorare l’idea che sia le caratteristiche dei giocatori , sia quelle situazionali, sia quelle tipiche dell’allenatore incidano sulle preferenze degli atleti per il comportamento del leader e sulla sua efficienza, traducibile nell’analisi delle prestazioni e della soddisfazione della squadra.

Da questa rassegna l’autore individua due aspetti che suggerisce di prendere in considerazione nelle ricerche future attraverso l’LSS. Il primo è riconducibile al fatto che la maggior parte degli studi finora effettuati ha preso in considerazione le variabili inerenti le caratteristiche dei membri della squadra tralasciando i fattori situazionali. Il secondo riguarda un’eventuale ricostruzione del questionario attraverso item più appropriati all’ambito sportivo e derivati dalle esperienze degli atleti e degli allenatori più che dall’ambito organizzativo e industriale (da quale dipendono quelli della versione attuale).

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PSICOLOGIA DELLO SPORT –  LEADERSHIP NELLO SPORT 

 STILI DI COMUNICAZIONE 

LEADERSHIP NEGLI SPORT DI SQUADRA – PSICOLOGIA DELLO SPORT – MONOGRAFIA

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Gli amori briciola di Umberta Telfner (2013) – Recensione

 

Recensione del libro:

Gli amori briciola.

Umberta Telfner (2013)

Edizioni Magi, Roma.

 

Gli amori briciola, Umberta Telfner (2013) - LocandinaGli amori briciola – Concedono all’altro poco di loro stessi, ecco perché sono dei briciola, sia emotivamente sia a livello comportamentale; si legano, ma mai fino in fondo. 

Ogni notte Amore andava da Psiche senza mai farsi vedere in volto; voleva nascondersi per  evitare le ire della madre Venere, gelosa di Psiche. Amore aveva detto alla sua amata che era il suo sposo, ma lei non doveva chiedergli chi fosse e non doveva vederlo. Si incontravano al buio, ma Psiche poteva toccare il suo volto scoprendone grossolanamente le fattezze. Un giorno le sorelle di Psiche la istigarono a scoprire il volto del suo amato, e allora Psiche prese una lampada a olio e una spada per paura che fosse un orribile mostro. Psiche raggiunse Amore mentre dormiva e avvicinò la lampada al suo volto e rimase così incantata dalla sua bellezza che se ne innamorò. Stava per baciarlo quando lui si accorse di quello che era successo e lasciò Psiche da sola(Apuleio, 2006).

Amore, figlio di venere, meglio noto come Cupido potrebbe essere definito l’antesignano dei BRICIOLA: persone autoreferenziali che si concedono a piccole dosi, ma affascinano per charme e determinazione. Sono responsabili e adulti, prevedibili, razionali, legalisti, sposati col lavoro, non trasgressivi.

Concedono all’altro poco di loro stessi, ecco perché sono dei briciola, sia emotivamente sia a livello comportamentale; si legano, ma mai fino in fondo. 

Si tratta sia di uomini sia di donne che mostrano una intelligenza astratta, raffinata, arguta, ma fanno fatica a entrare in contatto con la parte più intima di loro stessi, troppo faticoso. Per questo non riescono a mostrarla al proprio partner, temono il coinvolgimento totale e routinario. Sono persone di successo, ma fallimentari emotivamente, passionali ma solo in alcuni momenti. I ritmi relazionali sono scanditi da regole stabilite a priori alle quali bisogna attenersi, esattamente come faceva Amore con Psiche: si vedevano al buio e lei non doveva osare di più.

Sembra che la loro vita sia molto controllata e lo spazio delle relazioni è limitato agli attimi che si concedono di regalare all’altro e di regalarsi, ma non durano mai più di un attimo. Guai ad andare oltre: l’ira funesta del briciola lo induce a terminare senza spiegazioni la relazione, Amore abbandonò Psiche.

Le relazioni sono caratterizzate dalla fugacità dettata da momenti, caratterizzati da estrema intimità che lascerebbero intuire e ambire un seguito che non si paleserà mai. L’intimità emotiva con l’altro li divora fino a farli sprofondare nel buco nero della loro affettività, consumatasi in epoca precoce in un maternage ambiguo e potente, come con Venere, appunto.

Così, oggi si celano dietro ad un lume di mistero che fa di loro degli innarrivabili briciola. Incarnano la perfezione, sia fisica sia emotiva, che nessuno mai riuscirà ad avere se non in piccoli ritagli di tempo. Inguaribili briciola!

E la povera Psiche? Chiaro, si tratta sempre di persone che in qualche modo restano incastrate nei meccanismi dei briciola, che sperano erroneamente di possedere per sempre il loro unico e inarrivabile amore. Vedono tra le briciole la relazione perfetta, ma sono briciole!

Più ci si avvicina ad un briciola più le briciole spariscono e queste persone si rifugiano nel proprio solipsismo imperturbabile. Per questo restano per sempre degli intramontabili briciola!

Tutto questo e altro, lo troverete nel nuovo libro di Uberta Telfner, “Gli amori Briciola“, edizioni Magi. Buona lettura!

LEGGI:

AMORE & RELAZIONI SENTIMENTALI RAPPORTI INTERPERSONALIRECENSIONI – LETTERATURA

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Un nuovo trattamento per ragazze adolescenti con PTSD

 

 

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Un recente studio mostra come ragazze adolescenti che hanno sviluppato un PTSD (Disturbo Post Traumatico da Stress) come conseguenza di un abuso sessuale hanno sperimentato maggior vantaggi e benessere grazie ad una terapia di esposizione prolungata, terapia che ha già mostrato effetti positivi sugli adulti, rispetto invece ad una terapia di counseling supportivo.

L’adolescenza è il principale periodo dello sviluppo ad essere maggiormente legato ad un crescente rischio di esposizione ad eventi traumatici che possono portare allo sviluppo di un PTSD”, rivela lo studio.

La terapia di esposizione prolungata è una delle più studiate tra quelle proposte per il trattamento del PTSD negli adulti, ma è stata raramente utilizzata con gli adolescenti a causa della preoccupazione che possa aggravare i sintomi del PTSD e a causa della convinzione che i pazienti debbano padroneggiare abilità di coping prima dell’esposizione.

La terapia di esposizione prolungata è una forma di Terapia Cognitivo-Comportamentale caratterizzata dal far rivivere al paziente l’evento traumatico attraverso il ricordo di esso e coinvolgerlo in quel ricordo, piuttosto che evitarlo.

La dottoressa Edna B. Foa, dell’Università della Pennsylvania, e colleghi hanno ipotizzato che un programma di esposizione prolungata, leggermente modificato per gli adolescenti (definito esposizione prolungata A), fosse più efficace di un counseling di tipo supportivo nel ridurre il grado di severità del PTSD valutato dall’intervistatore, la gravità della diagnosi, il livello di depressione correlato e nel migliorare il funzionamento generale.

Lo studio include un campione di 61 ragazze adolescenti con diagnosi di PTSD divise a random in 2 gruppi: un gruppo che ha ricevuto la terapia di esposizione prolungata e un altro gruppo che ha ricevuto un counseling di tipo supportivo. E’ stato successivamente condotto un follow-up dopo 12 mesi.

Le partecipanti che avevano ricevuto l’esposizione prolungata hanno mostrato miglioramenti nei sintomi e avevano maggior probabilità di perdere la loro diagnosi di PTSD rispetto a quelle sottoposte al counseling supportivo. In più, quelle che avevano ricevuto un’ esposizione prolungata mostrano maggiori miglioramenti nei sintomi depressivi e nel funzionamento generale. La superiorità del trattamento di esposizione prolungata è stato evidente anche al follow up dopo 12 mesi.

Gli autori affermano che un’importante implicazione clinica di questi risultati è la possibilità di diffondere e sviluppare il trattamento di esposizione prolungata A in comunità cliniche di salute mentale per gli adolescenti che sono motivati ​​a partecipare alla cura. Inoltre il trattamento di esposizione prolungata A è stato messo in atto da psicoterapeuti senza alcuna precedente formazione in trattamenti evidence-based e senza particolare supervisione da parte degli esperti. Questo significa che le strutture possono mettere a disposizione un maggior numero di risorse e di personale sufficientemente addestrato e idoneo.

Il dottor Sean Perrin, dell’Università di Lund, commenta dicendo” I risultati ottenuti dovrebbero servire a fugare le precedenti preoccupazioni dei terapisti sugli eventuali effetti nocivi della terapia di esposizione prolungata sugli adolescenti e sulla necessità di un’approfondita preparazione del paziente prima dell’esposizione. L’aumento del livello di arousal nelle giovani pazienti che accompagna l’esposizione ai ricordi traumatici durante una sessione di trattamento solitamente si dissipa nel giro di poche sedute e porta ad una rapida riduzione dei sintomi tra una sessione e l’altra. Perciò, questo aumento di eccitazione che alcuni terapeuti temono e considerano pericolosa, diventa ora parte integrante del processo di recupero”.

Ciò che gli autori auspicano per il futuro è la necessità di maggiori sforzi per aumentare la consapevolezza riguardo la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia di trattamenti come l’esposizione prolungata.

Infine, la ricerca è necessaria anche per determinare il livello minimo di formazione e supervisione dei terapisti in modo da fornire un trattamento efficace da utilizzare sia con pazienti con PTSD ma anche con altri disturbi di tipo ansioso.

 

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ADOLESCENTIDISTURBO DA STRESS POST TRAUMATICO – PTSDTRAUMA – ESPERIENZE TRAUMATICHE

MEMORIE TRAUMATICHE E MENTALIZZAZIONE (2013) – RECENSIONE 

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

La depressione materna – Psicologia

 

La depressione materna. - Immagine: ©-JackF-Fotolia.com_.jpgLa depressione è caratterizzata da sentimenti di autosvalutazione e impotenza, scarsa energia e basso coinvolgimento, rapporti interpersonali disturbati, episodica mancanza di regolazione emotiva e inaccessibilità psicologica. Disturbi di questo tipo possono contribuire a creare un ambiente di accudimento pericoloso per lo sviluppo del bambino.

Alcuni studiosi (Dawn Zinga, Shauna Dae Philips, Leslie Born, 2005) valutarono che il 25%-35% di donne sperimentino sintomi depressivi durante la gravidanza, e il 20% di donne può soddisfare il criterio di depressione.

Una terza parte dei sintomi depressivi è più alta, durante il terzo trimestre di gravidanza, piuttosto che nei sei mesi dopo il parto (Dawn Zinga, Shauna Dae Philips, Leslie Born, 2005). I disturbi psichiatrici durante la gravidanza non vengono considerati con molta attenzione nella pratica clinica. La depressione della donna durante la gravidanza è associata con una cura prenatale diminuita, una scarsa nutrizione, ciclo del sonno irregolare, abuso di alcool e stili di comportamento disfunzionali.

L’eziologia della depressione, sembra essere dovuta ai cambiamenti ormonali. Partendo già da uno stato di vulnerabilità, viene a influire anche un fattore ormonale che produce un ulteriore stato di stress per la madre e il feto.

Per molte donne, specialmente madri che partoriscono per la prima volta, la transizione alla maternità può essere difficile, soprattutto se non supportate da un ambiente facilitante. (Dawn Zinga, Shauna Dae Philips, Leslie Born, 2005).

I bambini di madri affette da depressione sono a rischio di disturbi d’ansia, disturbi di panico, agorafobia e depressione. (Pilowsky D.J., Wickramaratne P.J., Rush A.J., Hughes C.W.,et al., 2004).

I bambini di madri depresse possono presentare una predisposizione genetica allo sviluppo della sintomatologia, nonché una maggiore vulnerabilità agli eventi stressanti (Flykt et al., 2010).

Secondo Gibb et al.. (2012) i bambini di madri con una storia di depressione maggiore sono 3-4 volte più propensi a incontrare i criteri del disturbo depressivo maggiore (DDM) nella prima età adulta rispetto agli individui della popolazione generale. Inoltre, questi bambini tendono maggiormente ad adottare uno stile di risposta ruminativo incrementando i sentimenti negativi e depressivi.

Inoltre, l’influenza della depressione materna incide sui disturbi alimentari; infatti, in scambi conflittuali, la madre forza l’alimentazione del bambino e non regola l’alternanza dei turni, lasciandosi guidare soltanto dai propri sentimenti; il figlio, a sua volta, rifiuta il cibo in risposta al controllo e all’intrusività materna. Questa modalità relazionale è stata osservata da vari autori nel quadro clinico dell’anoressia infantile (Benoit, 1993).

 

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BIBLIOGRAFIA:

Il lato positivo (2012) Recensione. – Cinema & Psicologia

 

 Recensione del film

Il lato positivo

Regia di David O. Russell

(2013)

 

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Il lato positivoIl lato positivo racconta la storia di Pat (Bradeley Cooper) affetto da disturbo bipolare.

La storia del protagonista comincia quando un giorno, rientrando a casa,  scopre la moglie fedifraga in compagnia del suo amante. Coincidenza vuole che, proprio in quel momento, dallo stereo uscisse la canzone del loro matrimonio.

Pat aggredisce e picchia violentemente l’amante di sua moglie.

Per questo motivo verrà rinchiuso in una clinica psichiatrica dalla quale verrà dimesso dopo qualche anno e tornerà a vivere con i suoi genitori, a patto che sia seguito da uno psichiatra e che prenda le medicine.

Pat continua a riattivarsi in maniera violenta ogni volta che risente la canzone del suo matrimonio. Risulta chiaro che non è associata più ad un evento piacevole ma ad un evento molto negativo.

Il suo psichiatra decide di lavorare su questo, perciò quando gli dà appuntamento per riceverlo presso il suo studio, in sala d’attesa decide di fare un esperimento e di mettere come sottofondo proprio quella canzone.

La reazione di Pat è nuovamente di aggressività profonda, tanto da agirla contro i mobili dello studio.

Lo psichiatra si rende conto di quanto sia ancora forte la reattività di Pat a tale stimolo e lo invita a trovare delle strategie per poter gestire questa rabbia e farla diventare qualcosa di funzionale.

Il protagonista non riesce a darsi pace della fine del suo matrimonio e, cercando di essere positivo, decide di voler riconquistare la sua ex-moglie -vista come la perfezione-e di diventare l’uomo che lei desidera utilizzando tutte le sue risorse. Vuole diventare preciso, affidabile, concreto.

Nel frattempo, tramite degli amici in comune, Pat conosce Tiffany (Jennifer Lawrence), una ragazza problematica e molto sola.

Tiffany ha una sessualità promiscua tale da averla fatta allontanare dal suo ufficio e da meritare anche lei un trattamento farmacologico. Lei, dark e molto misteriosa, utilizza il suo corpo per ammaliare e sedurre chiunque la circondi.

Tiffany decide di aiutare Pat nell’opera di riconquista della ex-moglie perfetta. Per farlo, decide di farsi aiutare da lui nella preparazione di un ballo in coppia. Per stimolarlo, finge di avere dei contatti con la ex-moglie di lui e si offre da tramite per uno scambio epistolare tra i due ex-coniugi.

Ciò che Pat non sa, ma che dopo scoprirà, è che quelle lettere sono scritte da Tiffany e non dalla sua ex-moglie.

Il lato positivo” piace e colpisce per la delicatezza e la sensibilità con cui viene raccontata la malattia mentale.

Malato è chi esplode, reagisce, chi non è perfetto, nonostante si lasci andare a quelle che Pat chiama “vibrazioni”, ovvero le emozioni.

Colpisce perchè solo due sono considerati i matti della vicenda, i due matti che, a differenza degli altri, riconoscono le loro fragilità, la loro sofferenza, si spalleggiano e alla fine, nell’accettazione della malattia, si innamoreranno l’uno dell’altra riscoprendo la felicità, la positività.

Ciò che fa sorridere è il contorno.

Il padre di Pat (Robert De Niro), così tanto centrato su se stesso da non riconoscere di essere pieno di superstizioni. Giocatore compulsivo, scommette su qualsiasi gioco e qualsiasi partita ci sia in tv.

La madre di Pat, dallo sguardo completamente perso e impegnata a fare la brava mamma e moglie.

La coppia di amici di Pat e Tiffany, presi dal commentare e giudicare le loro follie da non guardare da vicino il loro matrimonio, perfetto all’apparenza, ma caratterizzato da un’aggressività tanto latente quanto tagliente.

Il lato positivo è uno schiaffo alla perfezione.

Spinge ad andare oltre ciò che si vede, ma a concentrarsi su ciò che si sente.

E’ tanto lontano dall’apparenza, quanto vicino alla vera sostanza: la felicità.

Una curiosità: il titolo originale, “Silver Linings Playbook”, ovvero “Fodere d’argento”, rappresentano tutte le buone intenzioni che Pat decide di mettere in atto per riconquistare l’ex-moglie. Sceglie, per questo, di registrarle su un suo diario- il Playbook, utile strumento per segnare gli obiettivi prefissati e lavorare sul come raggiungerli.

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Il sonno protegge il nostro cervello – Neuropsicologia

 

 

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

E’ opinione comune che il sonno fa bene al nostro fisico e soprattutto che non dormire fa male. Ad ulteriore conferma di quest’idea arriva una nuova ricerca messa a punto dall’Università di Uppsala (Svezia) la quale mostra che la deprivazione di sonno anche solo per una notte comporta l’aumento di concentrazione sanguigna di NSE e S100B al mattino dopo.

Queste sostanze sono due molecole che si trovano nel sangue a seguito di un danno cerebrale. La scoperta che queste molecole aumentino a seguito di una notte insonne indica che l’assenza di riposo può provocare una perdita di tessuto cerebrale, simile a quella presente in altri condizioni come una commozione cerebrale.

Lo studio è stato condotto su 15 uomini normopeso che hanno partecipato a due condizioni sperimentali: nella prima, ai soggetti è stato chiesto di non dormire per una notte intera, mentre nella seconda hanno potuto riposare per circa 8 ore di fila.

A seguito della prima condizione, i partecipanti mostrarono un aumento della concentrazione ematica di NSE e S100B al mattino seguente. Il sonno, infatti, è in grado di purificare il nostro cervello da sostanze tossiche che invece favoriscono l’aumento di NSE e S100B. Questi risultati indicano che la mancanza di riposo può facilitare processi neurodegenerativi e che questi cambiamenti a livello cerebrale risultano evidenti anche solo a seguito di una sola notte insonne.

Il dato incoraggiante, che sottolinea Christian Benedict (Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Uppsala), è rappresentato dal fatto che un buon riposo può essere invece di fondamentale importanza per mantenere la salute del nostro cervello.

 

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BIBLIOGRAFIA:

 

 

 

Chiudi gli occhi e dimmi: dove senti l’emozione? – Neuroscienze

 

La Redazione di State of Mind consiglia la lettura di questo contenuto:

 

Un recente studio svolto in Finlandia dal gruppo di ricerca di Nummenmaa sembra confermare l’ipotesi che le emozioni abbiano un correlato specifico fisico nel nostro corpo a livello di sensazione fisica.

L’ esperimento ha coinvolto  700 volontari a cui veniva richiesto di disegnare su una sagoma dove “sentivano” ognuna delle 14 emozioni prese in esame nello studio, quindi quale aree del corpo erano “attivate” dall’emozione, e quali no.

Dall’esperimento emerge come ci sia una omogeneità nelle risposte dei soggetti dell’esperimento e come effettivamente ci siano delle areee specifiche del nostro corpo che vengono attivate a seconda dell’emozione sentita.

Ad esempio amore e gioia fanno “vibrare tutto il corpo”, mentre al contrario la depressione lo rende “inattivo”, così la rabbia è una delle poche emozioni che coinvolge le braccia e la paura sia identificata con una forte sensazione al petto.

Questo studio trova anche l’approvazione di Antonio Damasio, che da anni suggerisce come non si possa parlare di emozioni ragionando unicamente in terminni di “testa” e cervello ma che sia necessario un coinvoglimento del corpo; Sono molto interessanti anche le possibili ricadute nella pratica psicoterapeutica, per comprendere ed aiutare il paziente a riconoscere quello che sta provando.


 

 

Mapping Emotions On The Body: Love Makes Us Warm All OverConsigliato dalla Redazione

Being happy is indeed a total body experience, according to maps of where people feel emotions. (…)

Tratto da: NPR.org

 

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I giorni dell’abbandono (2005) – Cinema & Psicoterapia nr.16

 

RUBRICA CINEMA & PSICOTERAPIA  #16

I giorni dell’abbandono (2005)

Proposte di visione e lettura (CorattiLorenziniScarinciSegre, 2012)

 

I giorni dell'abbandono. locandina

In molti pazienti che vivono l’abbandono con un sentimento di terrore è proprio l’accettazione dell’evento, impossibile da scongiurare, che permette di riappropriarsi di nuove risorse personali.

Info:

Film di Roberto Faenza. Interpretato da Luca Zingaretti, Margherita Buy, Goran Bregovic. Italia 2005. Tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante.

Trama: 

Olga, moglie e madre di due figli, viene abbandonata all’improvviso dal marito per una donna più giovane. Per lei inizia un periodo doloroso che la fa sprofondare nella disperazione, che la porta a non mangiare più e nemmeno a dormire, che rischia di farle perdere progressivamente il senso della realtà e del suo rapporto affettivo con i figli. Ma l’incontro con un musicista solitario che vive nel suo stesso palazzo smuove qualcosa. Olga vive un percorso interiore che la porta a capire che sta impazzendo per l’amore perso, scopre cosa significa essere imprigionata nel dolore, essere abbandonata, ma riesce a liberarsi e torna a vivere, guardando con speranza al futuro.

Motivi di interesse: 

Il film mostra le reazioni complesse nei confronti di un evento traumatico improvviso come l’abbandono. Il marito di Olga la lascia. Non c’è una vera e propria crisi tra loro. È preso da un “improvviso vuoto di senso”.

L’incomprensibilità dell’evento lo rende ancor meno accettabile, come spesso accade non è spiegabile, coglie di sorpresa, è senza ragioni. È per questo che l’incredulità e la rabbia cedono il passo al senso di colpa e la tristezza presto arriva ad avvolgere la vita e a scandire un tempo sempre uguale, privo di senso.

Olga lascia un fiore sulla tomba di Otto, il suo cane e rivolgendosi a lui:

Tu vuoi sapere come sto? 

Sto come una pianta senza acqua. Le donne senza amore muoiono da vive. Me lo diceva sempre mia madre quando vedeva passare la Poverella… 

Aveva ragione, sai?”.

Olga non avrebbe mai desiderato diventare come la poverella del suo quartiere d’infanzia che la notte svegliava tutto il paese a forza di piangere per il dolore di essere stata lasciata.

Quel dolore l’aveva disgustata. Eppure prova ora lo stesso dolore fatto di notti insonni, di vuoto nero e oscuro, di un limite che prelude ad un lasciarsi morire, di rabbia per chi la guarda con occhi compassionevoli e nei confronti di se stessa che non riesce a prendersi cura di sé.

Eppure proprio quando la protagonista inizia a prendere consapevolezza che “deve reimparare il passo tranquillo di chi crede di sapere dove sta andando e perché” inizia ad aprire gli occhi, a guardare il mondo circostante, si riappropria della forza e dell’autodeterminazione che le consentono di muoversi verso una felicità possibile, fatta di sussulti di gioia e picchi di dolore, di piacere e di sofferenza, di storie che si concludono e di nuove che nascono. Olga finalmente guarda il musicista che la corteggia con occhi diversi, finalmente lo vede.

In fin dei conti in molti pazienti che vivono l’abbandono con un sentimento di terrore è proprio l’accettazione dell’evento, impossibile da scongiurare, che permette di riappropriarsi di nuove risorse personali.

Indicazioni per l’utilizzo: 

La sequenza di scene che propone “I giorni dell’abbandono” sono utili per incrementare la consapevolezza e motivare al cambiamento.

Le ripercussioni emozionali possono rappresentare un’ottima validazione dei vissuti del paziente e la conclusione può allargare la prospettiva limitata di chi non vede una via d’uscita percorribile. Le fasi dell’elaborazione di una perdita vengono ben rappresentate nella narrazione e possono essere un riferimento per una riflessione condivisa con il paziente.

Trailer:

 

RUBRICA CINEMA & PSICOTERAPIA

ARTICOLI SU:

CINEMA – TELEVISIONE – TRAUMA – EVENTO TRAUMATICO – RECENSIONI

 

BIBLIOGRAFIA: 

La Dissociazione Traumatica: Comprenderla e Affrontarla – Recensione

La Dissociazione Traumatica- Comprenderla e Affrontarla - Recensione. -Immagine: © Jürgen Fälchle - Fotolia.comPerché leggere La Dissociazione Traumatica di O. Van der Hart, S. Boon e K. Steele? Innanzitutto perché è un manuale pratico che si rivolge sia ai terapeuti che alle persone che stanno affrontando un problema dissociativo di origine post-traumatica.

 Di Maria Paola Boldrini

 

La logica del libro è che dalla collaborazione tra terapeuta e paziente nasce la comprensione del problema, la si condivide e si percorre insieme una strada verso il fronteggiamento. Dagli autori, ma anche dai curatori italiani, questo testo è presentato come un’occasione di stimolo alla riflessione sul percorso clinico e di vita quotidiana dei pazienti che vivono le difficoltà conseguenti ai disturbi dissociativi. Da qui anche la necessità di svilupparlo come guida all’affrontare quotidianamente le traversie di questa condizione.

LEGGI ANCHE:  IL TRATTAMENTO DELLA DISSOCIAZIONE TRAUMATICA

 

Van der Hart e colleghe lo considerano la naturale prosecuzione di The Haunted Self (ndr tradotto in italiano con il titolo di Fantasmi nel Sé) e ad un lettore attento a questi temi la connessione non sfuggirà. Ma questo non pregiudica la lettura e la comprensione del nuovo testo.

Che siate pazienti o terapeuti troverete un importante viatico sull’accoglienza non giudicante, necessaria nella relazione terapeutica, non solo rispetto ai disturbi dissociativi, sulle strategie per avvicinarsi e aprire il dialogo alle parti dissociative, su come giungere all’integrazione del materiale dissociativo.

Nel libro viene sistematizzata finalmente una più chiara concettualizzazione dell’approccio terapeutico al materiale post-traumatico, da qui derivano indicazioni cliniche molto pratiche  e utili e vengono proposti gli strumenti per intervenire rispetto alla dissociazione correlata al trauma e ai comportamenti disadattivi connessi. Le indicazioni cliniche accompagneranno paziente e terapeuta verso l’elaborazione-risoluzione del materiale traumatico.

Il testo quindi è suddiviso in otto parti più un’appendice tecnica. La prima parte è incentrata sulla comprensione della dissociazione e dei disturbi legati ai traumi. Qui troviamo gli elementi per cui il concetto di dissociazione appare più preciso, rispetto a come spesso viene utilizzato in confusione tra processo, struttura intrapsichica, difesa e/o deficit.

La seconda parte descrive le abilità di base per fronteggiare la dissociazione, fornendo indicazioni concrete su come svilupparle.

Nella terza parte gli autori propongono un pacchetto di indicazioni tecniche e pratiche affinché il paziente possa migliorare la qualità del proprio quotidiano e di conseguenza anche delle persone con cui è in relazione .

La quarta parte apparentemente è il passaggio più spigoloso di questo percorso, poiché è incentrata sull’affrontare i ricordi traumatici e gli stimoli che ne innescano gli effetti disfunzionali: anche qui gli autori sono riusciti a creare un accompagnamento per terapeuti e pazienti verso una gestione serena e collaborativa di questo momento, fornendo le opportune strategie e tecniche di fronteggiamento.

La quinta parte si occupa di introdurre la comprensione e la gestione delle emozioni e dei pensieri, completando le indicazioni per l’acquisizione delle abilità necessarie a questo scopo nella parte sesta.

Non può non essere dedicato uno spazio a questo punto, al migliorare le relazioni con gli altri, aspetto sempre molto critico per questi pazienti, in questa settima parte, si trovano utili spiegazioni dello stato delle relazioni che comunemente affligge il mondo affettivo di chi soffre di problemi dissociativi, non solo ma si trovano anche le indicazioni su come fronteggiare le difficoltà.

Un valore aggiunto di questa pubblicazione si trova anche in coda, poiché l’ottava parte e le appendici forniscono un prezioso pacchetto di indicazioni per il lavoro in gruppo con questi pazienti. L’iter e le competenze del gruppo sono visti in un’ottica “formativa” e riprendono tutti i passaggi già elencati nelle precedenti parti del libro, armonizzandone gli effetti che la persona e il terapeuta dovrebbero raccogliere, in un’esperienza di gruppo che conferma quanto appreso e aiuta a mantenere gli obiettivi raggiunti e a recuperare in seguito a eventuali “ricadute”.

Che dire in chiusura? Uso le parole dei curatori, assolutamente significative rispetto a questo lavoro: “gli autori ci ripetono senza sosta che questo percorso di salute è impegnativo ma possibile: vale la pena intraprenderlo…la strada è quella di sviluppare una maggiore empatia, comunicazione e collaborazione, sia internamente tra le parti di sé che esternamente tra terapeuta e paziente e tra quest’ultimo e le persone che ha intorno”: senza dubbio La Dissociazione traumatica di Boon, Steele e Van der Hart è una buona guida per questo viaggio!

 

 

Animal Cognition: le abilità di riconoscimento dei volti nei cani – Psicologia

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

In un nuovo studio pubblicato su Animal Cognition i ricercatori hanno studiato il comportamento dei cani nel visualizzare immagini di volti familiari ed estranei studiandone nello specifico i movimenti oculari: in particolare le immagini presentate erano sia di umani che di cani familiari (appartenenti alla stessa famiglia) sia sconosciuti.

Finora il riconoscimento dei volti umani è stata considerata una abilità specie-specifica del genere umano, e al massimo dei primati non umani. D’altro canto il contatto oculare – e dunque il volto- costituiscono elementi essenziali nelle interazioni e nella comunicazione tra uomo e cane.

In un nuovo studio pubblicato su Animal Cognition i ricercatori hanno studiato il comportamento dei cani nel visualizzare immagini di volti familiari ed estranei studiandone nello specifico i movimenti oculari: in particolare le immagini presentate erano sia di umani che di cani familiari (appartenenti alla stessa famiglia) sia sconosciuti.

I risultati indicano che per prima cosa i cani fissano più a lungo le immagini dei loro conspecifici, cioè degli altri cani, indipendentemente dal fatto che siano conosciuti o meno, rispetto a quanto fissano le immagini di uomini, come fosse una sorta di effetto preferenza intraspecifico.

In secondo luogo è emerso che nel caso dei volti umani i cani fissano per una durata di tempo maggiore i volti di esseri umani a loro familiari rispetto agli estranei. 

Inoltre nel momento in cui vengono presentate immagini di volti al contrario, proprio come gli esseri umani, i cani fissano per più tempo l’area degli occhi sebbene presentata al contrario (quindi nella parte bassa dell’immagine), stando a significare che anche la percezione dei cani non si basa soltanto sulle proprietà fisiche dell’immagine ma anche su proprietà semantiche in cui il contatto oculare appare un canale relazionale centrale.

 

 LEGGI ANCHE:

LINGUAGGIO & COMUNICAZIONEESPRESSIONI FACCIALI – FACIAL EXPRESSIONS –

CONTATTO VISIVO – EYE CONTACT

PERSONALITA’. CHE TIPO SEI? CANE O GATTO?

 

BIBLIOGRAFIA:

 

Solo la rete può salvare la perdita dei dati scientifici

 

La Redazione di State of Mind consiglia la lettura di questo contenuto:

 

Da un indagine sul recupero dei dati utilizzati ai fini di ricerca scientifica è emerso come la quasi totalità dei dataset delle ricerche scientifiche vada irrimediabilmente perso in tempi relativamente brevi.

Questa indagine pubblicata su Current Biology fa riferimento ai dati di ricerche biologiche, ma se presupponiamo che anche per gli altri campi di ricerca la situazione sia simile, i dati sono allarmanti.

Lo studio parla di  500 ricerche prese in esame di cui solo il 23% dei dati sono stati recuperati. Le ricerche comprendevano uno spazio temporale recente.  Se si considerano ricerche più datate (oltre i 20 anni) i dati recuperabili sono nettamente minori.

Un indirizzo mail non più attivo, il cambio del posto di lavoro, un database non usato… mille sono i motivi per cui i dataset possono perdersi o diventare molto difficilmente recuperabili.

Arriva così la proposta più ovvia, tentare di salvare i dati in rete, on line, così da permettere a tutti di caricarli e di salvarli (in tutti i sensi).


La perdita di dati è uno spreco dei fondi per la ricerca e limita il modo in cui possiamo procedere a livello scientifico. C’è bisogno di un’azione concertata per assicurare che i dati vengano salvaguardati per la futura ricerca.

 

 

L’80 per cento dei dati scientifici va perso entro vent’anniConsigliato dalla Redazione

BANDO SELEZIONE PSICOLOGI
Mail in disuso e sistemi di archiviazioni obsoleti, la colpa è della tecnologia. Lo studio di Current Biology (…)

 

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Mutismo Selettivo: apre il primo Punto Informativo in Italia

COMUNICATO   STAMPA

 

L’Associazione Italiana Mutismo Selettivo (A.I.Mu.Se.)

INAUGURA

SABATO   18   GENNAIO   2014

alle 18.00

 

presso la sede Palazzina Ex Venchi Unica

Via F. De Sanctis 12,  a Torino

il primo PUNTO INFORMATIVO in Italia

sul Mutismo Selettivo

 

L’Associazione Italiana Mutismo Selettivo (A.I.Mu.Se. – www.aimuse.it), con sede a Torino, è l’unica associazione in Italia impegnata nell’intervento del MUTISMO SELETTIVO.

 

Il Mutismo Selettivo è un disturbo psicologico che colpisce prevalentemente i bambini. Coloro che ne sono affetti, pur non presentando alcuna disfunzione organica, non riescono ad emettere una sola parola al di fuori del contesto familiare, in presenza di estranei. In particolare, non riescono a parlare a scuola.

 

L’Associazione A.I.Mu.Se., attiva nell’intervento risolutivo per il Mutismo Selettivo, ha aperto a Torino – con il sostegno della Circoscrizione 3 – un luogo

informativo, il PUNTO INFORMA MUTISMO SELETTIVO, nell’intento di rispondere prontamente alle richieste delle famiglie e delle esigenze legate al miglioramento della qualità della vita per i bambini che ne sono affetti, offrendo informazioni e documentazione su questa patologia.

 

Sabato 18 gennaio interverranno:

 

Loredana Pilati, presidente AIMuSe

Daniele Valle, presidente della Circoscrizione 3 della Città di Torino

Ugo Cavallera, assessore alla Sanità della Regione Piemonte

Federica Trivelli, psicoterapeuta

Danilo Torrito, poeta e scrittore

 

Partecipano all’incontro:

l’Atelier di Arteterapia “Amaranto”

l’Associazione di Pet-Therapy  “Qua la zampa”

 

Seguirà aperitivo

 

 

 

PUNTO INFORMA

MUTISMO SELETTIVO

Palazzina Ex Venchi Unica

Via F. De Sanctis 12,  a Torino

(ultimo piano, saletta 2)

 

ORARIO:

ogni primo venerdì del mese

dalle 18.00 alle 20.00

 

Tel.:    331 308 68 31

Mail:   [email protected]

 

L’Associazione Italiana Mutismo Selettivo – A.I.Mu.Se. – riceve genitori, insegnanti e persone interessate, fornendo loro informazioni, ascolto e materiali specifici sul Mutismo Selettivo.

 

_____________________________________________

A.I.Mu.Se. Onlus … quando il silenzio non è doro…

Via Osasco 30 – 10141 Torino

 

www.aimuse.it

[email protected]

 

Tel. 331 308 68 31

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