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L’ipotesi della dipendenza comportamentale nell’analisi del caso Jeffrey Dahmer

Lankford e Hayes nel loro studio del 2022 hanno raccolto informazioni per esplorare l’ipotesi di dipendenza comportamentale come spiegazione del caso Dahmer

Di Francesca Naldi

Pubblicato il 21 Dic. 2022

Aggiornato il 22 Dic. 2022 12:09

Per studiare la possibilità che gli omicidi seriali di Dahmer e i crimini correlati avessero una forte componente di dipendenza, sono stati confrontati gli undici criteri del DSM-5 per il disturbo da uso di sostanze (APA, 2013) con i comportamenti e le dichiarazioni note di Dahmer.

 

Il caso Jeffrey Dahmer

 La figura del serial killer ha sempre suscitato interesse nella società umana, questo è evidente dalla sua ubiquità nella letteratura e nel settore cinematografico. Avvistamenti più recenti includono Alex DeLarge in “Arancia Meccanica”, Hannibal Lecter ne “Il silenzio degli innocenti” e Jeffrey Dahmer nella popolare serie tv su Netflix, di cui ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti non è puramente casuale, ma rimanda alla vera storia del serial killer protagonista.

La personalità di Jeffrey Dahmer e la dietrologia relativa i crimini da lui commessi sono stati oggetti di studio per numerosi anni, e la recente ricerca di Lankford e Hayes (2022) si è proposta di esaminare da vicino il noto serial killer per valutare se possa essere stato essenzialmente “dipendente” dagli omicidi seriali e dalle esperienze che ne ha tratto (ad esempio, l’appagamento di parafilie sessuali, il desiderio di controllo, ecc.). Sebbene le spiegazioni di Dahmer per le sue azioni fossero incentrate sui temi dell’ossessione e della compulsione, esse potrebbero non essere state pienamente comprese all’epoca. Dahmer ha ucciso dal 1978 al 1991, è stato condannato nel 1992 ed è stato ucciso da un compagno di cella nel 1994. Da allora, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) è stato sottoposto a molteplici revisioni, tra cui il riconoscimento formale che le dipendenze comportamentali sono simili alle dipendenze da sostanze (Moran, 2013; Potenza, 2014).

Lankford e Hayes nel loro studio del 2022, con l’obiettivo di esplorare l’ipotesi di dipendenza comportamentale per spiegare il caso Dahmer, hanno anzitutto raccolto informazioni da diverse fonti per costruire una cronologia generale della vita di Dahmer, in seguito hanno valutato l’escalation della frequenza e della gravità dei suoi crimini nel tempo. Per studiare la possibilità che gli omicidi seriali di Dahmer e i crimini correlati avessero una forte componente di dipendenza, sono stati confrontati gli undici criteri del DSM-5 per il disturbo da uso di sostanze (APA, 2013) con i comportamenti e le dichiarazioni note di Dahmer.

Dopo aver ucciso la sua prima vittima, si è astenuto dall’uccidere di nuovo per nove anni (FBI, 1991) e, nel momento in cui ha ricominciato a uccidere, il suo tasso di omicidi è aumentato drasticamente fino al suo arresto, in termini di frequenza e gravità dell’atto.

Infatti, l’escalation di gravità del comportamento di Dahmer è chiaramente visibile dalla strutturazione dei suoi omicidi (dal solo omicidio alla conservazione dei corpi o parti di essi, fino al cannibalismo).

Sebbene Dahmer sia morto quasi 20 anni prima che l’American Psychiatric Association riconoscesse formalmente che le dipendenze comportamentali sono affini alle dipendenze da sostanze, ha dichiarato esplicitamente che i suoi impulsi erano “quasi una dipendenza” e ha inoltre affermato che “ha iniziato ad avere questi pensieri ossessivi quando aveva circa 15-16 anni, e sono peggiorati sempre di più” e che “ha cercato di sopprimere i pensieri, ma alla fine ha ceduto” (Inside Edition, 1993).

Gli omicidi seriali come dipendenza

 Al di là delle sue dichiarazioni, quando si utilizzano i criteri del DSM-5 per valutare il tipo estremo di dipendenza comportamentale di Dahmer, egli sembra soddisfarli tutti e undici, ed è possibile osservare una serie di tratti che si sovrappongono tra Dahmer e le persone dipendenti da sostanze (Lankford e Hayes, 2022). Ad esempio, Lankford e Hayes (2022) fanno emergere che Dahmer mentre sperimentava una varietà di comportamenti nel tentativo di appagare i suoi desideri devianti (come alcuni tossicodipendenti sperimentano diverse sostanze o quantità per trovare la loro preferita), alla fine ha scoperto l’unica “droga” che non riusciva a smettere di usare. Per i serial killer, la “droga preferita” potrebbe essere paragonata a delle preferenze specifiche per le loro vittime. La “droga” specifica di Dahmer era costituita da uomini giovani, attraenti e in forma (Gardner, 2018, Masters, 1993). Inoltre, Dahmer portava con sé almeno il cranio di una vittima da tenere nell’armadietto del lavoro (FBI, 1991), il che riecheggia il comportamento dei tossicodipendenti che hanno sintomi di astinenza così forti durante la giornata lavorativa da assumere sostanze in luoghi di lavoro o durante la pausa pranzo. Questo suggerisce anche che la compulsione e la dipendenza di Dahmer non erano necessariamente radicate nell’atto di uccidere in sé, poiché le sue ossessioni, esperienze e rituali si estendevano ben oltre e sembrano avergli procurato un piacere significativo. Ciò sarebbe coerente con l’ipotesi di Griffiths (2019) secondo cui l’omicidio seriale potrebbe essere una dipendenza comportamentale che coinvolge fantasie, “trofei” ed esperienze correlate, nonostante tali individui non uccidano ogni giorno.

Le azioni di Dahmer, secondo gli autori dello studio (Lankford e Hayes, 2022), potrebbero essere dunque coerenti con una forte dipendenza comportamentale, e in quest’ottica la loro escalation di frequenza e gravità nel tempo costituirebbe un esempio da manuale degli sforzi di un tossicodipendente di aumentare le dosi per mantenere l’effetto desiderato.

Se l’omicidio seriale e le esperienze ad esso associate possono creare dipendenza, ciò avrebbe implicazioni anche per il modo in cui comprendiamo altri crimini analoghi, e potrebbe sollevare questioni sugli standard legali attinenti la condanna e la pena di coloro che li commettono.

 

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