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Colloquio Psicologico: Cosa Fare nel Primo Colloquio #3

Il Colloquio Psicologico: Cosa Fare nel Primo Colloquio – Parte 3

Il Colloquio Psicologico: Cosa Fare nel Primo Colloquio #3. -Immagine: © rolffimages - Fotolia.comDEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI

 LEGGI: PARTE I  – PARTE II DELL’ARTICOLO

IL COLLOQUIO PSICOLOGICO – MONOGRAFIA

Gli obiettivi individuati devono possedere alcune caratteristiche di base per poter essere realizzati: devono essere realistici, devono riferirsi al problema attuale, devono mirare a ridurre il dolore e devono contemplare un miglioramento del paziente anche al di fuori della terapia. 


“Un guerriero della luce studia con molta attenzione la posizione che intende conquistare.

Per quanto il suo obiettivo sia difficile, esiste sempre una maniera di superare gli ostacoli. Egli verifica i cammini alternativi, affila la sua spada, e cerca di colmare il proprio cuore con la perseveranza necessaria per affrontare la sfida.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.38]

Una volta che è stata raggiunta una definizione comune del problema è necessario chiarire quali sono gli obiettivi che si vogliono realizzare e cioè occorre stabilire in modo preciso lo stato ottimale che il paziente deve presentare al termine della terapia anche relativamente ai suoi stati affettivi.Come per il problema anche in questo caso il paziente si presenta con obiettivi propri da raggiungere, dai quali il terapeuta deve avviare un processo di negoziazione simile a quello ottenuto per la definizione del problema.

Il Colloquio Psicologico: Il Colloquio Tra Rogers & Carkhuff. - Immagine: © Gina Sanders - Fotolia.com
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Può capitare anche che gli obiettivi del cliente siano avversi alla terapia, può essere ad esempio giunto dal professionista con lo scopo di provare il fallimento di qualsiasi intervento psicologico. Quando il paziente si mostra ostile alla terapia è sicuramente più arduo, a tutti i livelli, cercare di negoziare qualcosa. In linea di massima il percorso seguito per poter negoziare gli obiettivi della terapia è simile a quello eseguito per la definizione del problema tant’è che queste due mete possono essere considerate parallele. Attraverso l’insight determinato da nuove prospettive emerse nel cliente grazie alle osservazioni dello psicologo si avverte l’efficacia del colloquio che assume, a volte, tratti magici per le emozioni che il soggetto sperimenta. Questo cambio di prospettiva mostra alternative, nel problema come negli obiettivi. Chi era ostile verso la terapia, nella migliore delle ipotesi,  può osservare l’esistenza di altri traguardi, positivi, rispetto al fallimento ineluttabile di qualsiasi tentativo di aiuto. In questo modo il processo di negoziazione per la definizione degli obiettivi si realizza. Esso deve comunque tener conto e coinvolgere il paziente per l’importanza delle sue aspettative e delle sue necessità.

“Per realizzare il proprio sogno, ha bisogno di una volontà salda, e di un’immensa capacità di abbandono. Sebbene egli abbia un obiettivo, il cammino per raggiungerlo non è sempre quello che immagina.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.52]

Gli obiettivi individuati devono possedere alcune caratteristiche di base per poter essere realizzati: devono essere realistici, devono riferirsi al problema attuale, devono mirare a ridurre il dolore e devono contemplare un miglioramento del paziente anche al di fuori della terapia. 

Nel corso della negoziazione possono essere individuati diversi obiettivi che richiedono interventi separati. In tal caso è necessario stabilire un ordine di priorità che deve coinvolgere anche il paziente. Tuttavia Sundel, Radin e Churchill [1985, in giallo] suggeriscono che lo psicologo tenga conto di alcuni criteri nella negoziazione per stabilire la proprietà di intervento:

 1) “La preoccupazione che il paziente esprime per prima”; occuparsi di ciò che preoccupa maggiormente il paziente appaga le sue aspettative e rafforza il rapporto di fiducia con il terapeuta, favorendo il terreno per la realizzazione degli altri obiettivi.

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2) “Il comportamento che ha le conseguenze negative più gravi per il paziente, per chi gli è vicino o per la società”; è necessario affrontare realizzare prima obiettivi che consentono di placare condizioni altamente pericolose soprattutto se la persona è a rischio di suicidio o minaccia di aggredire altre persone, magari attraverso l’immediato invio per una consultazione specialistica.

3) “La preoccupazione più immediata espressa dalla fonte di invio”; riguarda principalmente i pazienti involontari inviati per risolvere specifici problemi e sono su quelli che il colloquio deve concentrarsi.

4) “Il comportamento che è più facilmente e/o efficacemente risolvibile”; se il terapeuta mostra la sua efficacia rafforza la fiducia e la disponibilità del cliente a proseguire la terapia. Questi obiettivi particolarmente semplici possono essere risolti anche solo dando le corrette informazioni al cliente al riguardo.

5) “Il problema che va affrontato prima di poterne gestire altri”; ovviamente alcuni obiettivi possono essere requisiti minimi per affrontarne degli altri e, in tal caso dovranno essere risolti per primi.

La negoziazione assume, quindi, un ruolo importante sia nella definizione del problema, che degli obiettivi, che delle priorità da affrontare nel corso dei colloqui psicologici. Questo è un processo che non si esaurisce in uno specifico momento del colloquio ma che pervade ogni momento di incontro tra cliente e terapeuta. Sia il problema che gli obiettivi, infatti, non vengono decisi una volta per tutte ma cambiano continuamente nel corso della terapia. La negoziazione è una tappa fondamentale per giungere al cambiamento.

Tribolazioni. Di Roberto Lorenzini – No Conflict. -Immagine: © olly - Fotolia.com
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VALUTAZIONE DEI PUNTI DI FORZA DEL CLIENTE

“ Un guerriero della luce conosce i propri difetti. Ma conosce anche i propri pregi. 

Alcuni compagni si lamentano in continuazione […]. Forse hanno ragione. Ma un guerriero non si lascia paralizzare da questo. Cerca di valorizzare al massimo le proprie qualità. […]. 

Allora cerca di sapere su cosa può contare. E controlla sempre il suo equipaggiamento”.

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.39]

Oltre alle varie informazioni sul paziente, sul problema (sia sulla sua evoluzione temporale che sulle contingenze ambientali nelle quali si realizza) e sugli obiettivi, è importante che lo psicologo sia in grado di valutare i punti di forza del paziente e le risorse disponibili sia dal suo punto di vista del terapeuta che da quello del paziente.

Queste rappresentano il budget di base sul quale deve essere pianificato l’intervento, ciò che si può ottimizzare e sfruttare per raggiungere gli scopi della terapia. Questo budget si suddivide in risorse interne al cliente e risorse appartenenti all’ambiente.

Valutare i punti di forza interni al paziente vuol dire comprendere le capacità psicologiche (come la capacità di coping o di problem solving), sociali (come le capacità assertive del soggetto) ed economiche (e cioè il potenziale di investimento di denaro della persona) che possono essere utili alla terapia.

Valutare le risorse appartenenti all’ambiente implica l’analisi delle opportunità d’aiuto che lo psicologo può sfruttare all’esterno della terapia e che sono principalmente correlate alle relazioni con i membri della famiglia nucleare ed estesa, amici, vicini, enti di assistenza ecc… 

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Tutto ciò, se presente, aumenta il budget di cui dispone il terapeuta nel tentativo di aiutare il paziente e facilita il superamento di molti ostacoli.

“Un guerriero della luce non entra mai in battaglia senza conoscere i limiti del suo alleato.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.133]

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ALLEANZA TERAPEUTICA – IN TERAPIA – COLLOQUIO PSICOLOGICO

 LEGGI: PARTE I  – PARTE II DELL’ARTICOLO

IL COLLOQUIO PSICOLOGICO – MONOGRAFIA


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Terremoto dell’Aquila & Effetti Psicologici a Lungo Termine

FLASH NEWS

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Terremoto dell’Aquila: Alcuni ricercatori indagano gli effetti psicologici del terremoto dell’Aquila nelle vittime a distanza di due anni dall’evento.

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Nella propria vita può accadere di essere vittime di eventi altamente stressanti, quali violenze fisiche, abusi sessuali, disastri naturali (terremoti, alluvioni, ecc.), disastri tecnologici (incidenti chimici, nucleari, danni energetici, ecc.), guerre, torture, incidenti e rapimenti. Queste esperienze traumatiche possono comportare nelle vittime uno stress psicologico severo, che può avere conseguenze nell’immediato, ma talvolta anche a lungo termine.

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EMDR – Intervista a Isabel Fernandez
Guarda la Video-Intervista di State of Mind a Isabel Fernandez

È molto probabile che si sviluppi il disturbo da stress post-traumatico, caratterizzato dalla tendenza a rivivere l’evento traumatico, ad evitare stimoli che possano essere associati al trauma, diminuzione di interesse per attività piacevoli, senso di estraneità e di distacco dagli altri, aumento dell’arousal e sintomi di dissociazione. Possono, inoltre, comparire sintomi di ansia e depressione. Anche la qualità e la durata del sonno possono risultare compromesse, con frequenti incubi e flashback legati all’evento traumatico.

Ma questi sintomi possono persistere nelle vittime anche a distanza di anni?

 A questo proposito, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Medicina Clinica dell’Università degli Studi de L’Aquila con la collaborazione dell’Università “La Sapienza” di Roma, si è chiesto se gli effetti psicologici del terremoto dell’Aquila nel 2009 perdurassero nelle vittime a distanza di due anni dall’evento.

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Dai risultati é emerso che la popolazione che è stata esposta all’evento traumatico dopo due anni presenta ancora difficoltà legate al sonno e incubi che rievocano l’evento stressante. Più i soggetti erano vicini all’epicentro e più gravi risultano ancora oggi i disturbi e interessano soprattutto la popolazione più anziana.

E’ evidente, inoltre, come gli effetti psicologici del trauma persistano maggiormente rispetto ai sintomi fisici e coinvolgano anche persone che risiedono nelle zone limitrofe all’epicentro (anche a 70 km di distanza).

 

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 DISTURBO DA STRESS POST TRAUMATICO – PTSD – TRAUMI E ESPERIENZE TRAUMATICHE – CRONACA & ATTUALITA’ – 

 

 

BIBLIOGRAFIA:

La Terapia Sensomotoria per i Bambini – Reportage dal Workshop

Reportage dal Workshop

La terapia sensomotoria per i bambini

22-23 Febbraio Milano

LEGGI LA SCHEDA DEL WORKSHOP

Workshop – La psicoterapia Sensomotoria per i BambiniNella pratica clinica della Psicoterapia Sensomotoria viene riservata una spiccata attenzione alla consapevolezza e ai movimenti corporei, a come poter aiutare i pazienti a diventare consapevoli dei loro movimenti nel qui e ora, e ad insegnargli a seguire e ad ascoltare le loro sensazioni corporee provando a dare loro una voce, collegandole ad emozioni e vissuti interni.

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Il 22 e 23 Febbraio l‘Istituto di Scienze Cognitive, ha organizzato un workshop sulla terapia Sensomotoria per i bambini. Molto fiduciosa parto venerdì mattina all’alba sfidando la neve e ritorno a casa base sabato sera dopo un’ora di cammino sulla neve. La partecipazione a questo evento ha fornito agli psicoterapeuti molti strumenti da mettere nella “cassetta degli attrezzi”.

Le docenti la Dr. Bonnie Goldstein, Consulente psicologa per bambini e adolescenti del Lifespan Learning Institute (Los Angeles), psicoterapeuta specializzata nel trattamento dei bambini, adolescenti, famiglie e gruppi e la Dr. Esther Perez, Trainer in Trauma Focused Cognitive Behavioral Therapy e in Sandplay therapy, docente presso la University of Southern California e docente a livello internazionale di Sensorimotor Psychotherapy, si sono da subito mostrate preparate e disponibili al confronto.

Psicoterapia Sensomotoria: il Ruolo del Corpo nelle Esperienze Traumatiche. - Immagine: © Guido Vrola - Fotolia.com
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Ma facciamo un passo indietro cos’è la psicoterapia sensomotoria?

La Psicoterapia Sensomotoria (Sensorimotor Psychoterapy: Fisher & Ogden, 2009; Ogden & Minton, 2000; Ogden, Minton & Pain, 2006) è un approccio ai disturbi post-traumatici e alla psicoterapia in generale sviluppato negli anni ’80.

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Nella pratica clinica della Psicoterapia Sensomotoria viene riservata una spiccata attenzione alla consapevolezza e ai movimenti corporei, a come poter aiutare i pazienti a diventare consapevoli dei loro movimenti nel qui e ora, e ad insegnargli a seguire e ad ascoltare le loro sensazioni corporee provando a dare loro una voce, collegandole ad emozioni e vissuti interni.

Durante questo week end molti sono stati gli esempi in questo senso, soprattutto utilizzando il video di sedute in cui Pat Ogden, Esther Perez e Bonnie Goldstein, lavoravano in seduta con i bambini attraverso proposte giocose e di movimento corporeo, dando spazio in una sapiente improvvisazione terapeutica ai vissuti di quei bambini cosi ben “visibili” nel corpo, un corpo che parla se solo si riesce a dargli voce, un corpo che detiene la memoria, la memoria del trauma.

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In questi video i bambini venivano in un qualche modo invitati ad osservare la relazione tra il loro movimento, le emozioni e le convinzioni, stando nel momento presente elicitando così abilità di mindfulness. I bambini vengono guidati nell’esplorazione all’interno del setting imparando con diversi esercizi a monitorare e a modulare le proprie sensazioni fisiche, le posture e i movimenti ma soprattutto imparando a capire quanto tutto questo influenzi gli stati emotivi  e i vissuti relazionali.

La centralità dell’approccio sensomotorio sta nell’integrare gli aspetti somatici all’interno del processo terapeutico, permettendo una lettura mente-corpo, utilizzando di volta in volta a seconda dell’esigenza interventi bottom-up o interventi top-down. Nel processo terapeutico ogni cosa prende un senso e si parte dall’assunto che qualsiasi cosa propone il paziente non solo va bene ma è uno spunto per un nuovo viaggio, è l’indicazione della direzione da seguire.

In quest’ottica il terapeuta diventa facilitatore per il paziente e lavora stimolando la curiosità dello stesso verso il suo modo di percepire le risposte corporee, e soprattutto nella comprensione di come le risposte del passato continuino oggi ad emergere nel presente e ad influenzare il contesto odierno. Compito del terapeuta sarà far capire al paziente quanto un cambiamento nelle proprie risposte corporee, come un cambiamento nella postura e nella gestualità possa portare un cambiamento nel funzionamento globale dell’individuo non solo nel presente ma anche nel futuro.

Seminario di Pat Ogden: Il Trauma e il Corpo: La Terapia Sensomotoria
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All’interno del workshop grande importanza è stata, quindi, data alla regolazione diadica all’interno della relazione terapeutica, piuttosto che attraverso il solo linguaggio, attraverso quello che le relatrici chiamano “narrazione somatica” nel trattamento di bambini e adolescenti, un linguaggio del corpo che dal bambino passa al terapeuta e viceversa fatto di moltissimi ingradienti: la postura, la mimica, la vicinanza e la lontananza: il terapeuta diventa regolatore biologico.

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Dal workshop quindi emergono nuove chiavi di lettura e una cornice interpretativa che non passa unicamente dalla parola ma che usa il corpo come veicolo di emozioni e pensieri.

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PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA – TRAUMA- ESPERIENZE TRAUMATICHE – DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS – PTSD – BAMBINI E ADOLESCENTI

 

 

BIBLIOGRAFIA:

In Treatment – Psicoterapia in TV. S01E10 Gina

 

In Treatment – Psicoterapia in TV

DECIMA PUNTATA

Gina

LEGGI L’INTRODUZIONE

In Treatment – Psicoterapia in TV. S01E10 GinaPaul non è soltanto innamorato di Laura, ma è appassionato verso tutti i suoi pazienti. Mentre invece la sua vita familiare è morta, un cadavere.

LEGGI LA PRIMA SEDUTA DI GINA

LEGGI LA RUBRICA: IN TREATMENT

Paul torna da Gina. Pare che sia diventata ormai una supervisione, anche se la situazione è confusa. Troppe cose sono successe in passato tra questi due, incomprensioni accennate, delusioni dichiarate. Paul arriva sconfortato e confessa a Gina la crisi del suo matrimonio, ed esprime la sua rabbia e la sua frustrazione con un linguaggio spinto, quasi volgare.

 

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Gina rilancia, chiedendo a Paul come faccia a conoscere certi particolari scabrosi del tradimento della moglie. Quasi gli rinfaccia una curiosità da marito non solo tradito, ma anche guardone. Poi si passa a Laura, la paziente del lunedì, quella che desidera portarsi Paul a letto. La terribile Gina fa mille domande a Paul, il cui nocciolo è: confessa, piacerebbe anche a te andare a letto con Laura. Infine Paul rilancia, facendo oscure allusioni a un antico paziente di Gina, tale Charles. Pare di capire che Charles e Gina rischiarono di innamorarsi, ma Gina rifiutò l’amore del suo paziente.

 

È una puntata oscura, in cui Paul rigetta ogni coinvolgimento erotico con Laura ma poi finisce per dichiararsi deluso del fatto che Gina non ebbe il coraggio di buttarsi tra e braccia del suo paziente. 

 

LEGGI L’ULTIMA SEDUTA DI LAURA

 

È il tema di tutta la serie che prende forma, la lotta tra la regola della psicoterapia e la passione devastante di Paul per i suoi pazienti, tra Legge e Amore. Paul non è soltanto innamorato di Laura, ma è appassionato verso tutti i suoi pazienti. Mentre invece la sua vita familiare è morta, un cadavere.

 

Colgo un’analogia con il racconto che Peter Fonagy ci ha fatto della sua severissima supervisora ortodossa e viennese. Insomma, è tutta una serie sulla dialettica tra atteggiamento classico, distaccato e distanziante, e svolta relazionale, con tutti i pro e i contro di questa svolta. Gina sottolinea i rischi di un eccessivo coinvolgimento, Paul quelli di un eccessivo irrigidimento.

RECENSIONE DE LA SVOLTA RELAZIONALE

Come scritto da Mitchell nel 1993, la fermezza di un analista è rigidità per un altro analista e la flessibilità di questo secondo analista è un cedimento per il primo (Mitchell, 1993). Non abbiamo strumenti che separino nettamente i due campi e ci dicano con chiarezza quando usare l’uno o l’altro. Abbiamo delle linee guida, che però possono lasciarci comunque confusi. Come confusi sono Paul e Gina alla fine di questa puntata.

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AMORE & RELAZIONI SENTIMENTALI – PSICOANALISI

LEGGI LA PRIMA SEDUTA DI GINA

LEGGI LA RUBRICA: IN TREATMENT

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Storie di Terapie #23 – La Testa Girata di Luca

 

Nei casi clinici che seguono, l’arrosto sostanzioso dei vari pazienti è condito con il sugo della fantasia, per rendere non identificabili le persone e la lettura più avvincente. Spesso ho condensato in un solo paziente più persone e, quasi sempre ci sono scappati pezzetti di me stesso

– LEGGI L’INTRODUZIONE – 

 

Storie di Terapie #23 - La Testa Girata di Luca. - Immagine: © squadcsplayer - Fotolia.comL’unico motivo sano per fare questo lavoro è il denaro, diceva uno psicoanalista apparentemente cinico ma in realtà molto saggio.

Tutti gli altri motivi sono inquinanti: il desiderio di sentirsi buoni e la voglia di gratitudine, il voyerismo verso le vite degli altri, la necessità di sentirsi sani perché sono gli altri ad essere matti, il potere che si sente di esercitare, l’intimità che si sperimenta senza bisogno di aprirsi davvero all’altro (quella che chiamo la scopata con la scrivania in mezzo o, peggio, quella senza scrivania).

Sono tutti motivi peggiori del vile denaro.

Ma chi fa questo lavoro ha, soprattutto, bisogno di sentirsi buono, è spesso un accudente coatto.

Allora, per cercare di tenere distinte le cose, mi regolo in questo modo: normalmente lavoro per soldi, poi alcuni li vedo in regime di volontariato e, così,  mi salvo l’anima che perdo con gli altri.

Per accedere al regime di volontariato, i pazienti devono avere  due caratteristiche che si associano spesso: essere particolarmente matti e/o particolarmente poveri. L’importante è raggiungere una soglia, elevata per merito, di uno dei due addendi della sommatoria.

Luca non era ancora del tutto povero quando è arrivato da me ma lo sarebbe diventato rapidamente se avesse continuato a curarsi.

Solo nell’ultimo anno, a soli scopi diagnostici, aveva fatto tre TAC total body e cinque RMN alla colonna cervicale.

Come terapie: la posturale, due mesi di osteopatia, due ricoveri in riabilitazione intensiva, massaggi di tutte le scuole esotiche esistenti e tre mesi di Pilates.

Si era comprato tutti i possibili apparecchi riabilitativi sul mercato, ad emissione di  elettroni, positroni, raggi gamma, ultravioletti e infrarossi.

Faceva la ionoforesi con il cortisone, la massoterapia, lentamente aveva attraversato l’area della meditazione e dello yoga ed era poi approdato a guaritori e maghi di ogni risma, che toglievano malocchi e fatture senza rilasciarne mai, perché quando si sta male si provano tutte anche se non ci si crede.

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Storie Di Terapie #8. La Lagnosa Ofelia. - © Sergey Lagutin - Fotolia.com
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Aveva sfinito gli agopuntori di tutta la provincia e rischiato di intossicarsi persino con l’inerte omeopatia.

L’ostinazione della sua sofferenza l’avevano, infine, spinto ad un Centro di Salute Mentale dove si era preso una psicoterapia con una giovane tirocinante di bioenergetica e persino un ricovero in clinica psichiatrica con una bella scarica di psicofarmaci.

Arrivò da me su invio di alcuni sacerdoti esorcisti con i quali, talvolta, collaboro per tenermi buono l’aldilà, che non si sa mai. Quando lo vidi con la faccia e gli occhi gonfi di pianto mi venne in mente una scena del  film “La notte di San Lorenzo” dei fratelli Taviani, quando un partigiano, preso da pietà per il fascista compaesano che  rotola disperato intorno al corpo del figlioletto, odiosissimo fascistello, appena ucciso con una fucilata, invita il compagno ad un gesto di pietà dicendogli in toscano “O tiragli, un lo vedi come patisce!”.

Sparare immediatamente a Luca sarebbe stato un gesto di pietà, ma ho paura del botto e non tengo armi in studio, per cui mi predisposi ad ascoltarlo tra un tirar su col naso ed un singhiozzo.

Il disturbo sembrava avere un inizio precisissimo, connesso ad un evento concreto: estate di tre anni prima, lui si trova in  spiaggia  su una sdraio, a leggere il giornale sportivo. Poco distante un gruppo di coetanei scherza e ammicca alle ragazze. Tra questi Antonio, un prepotente che lo ha “bullizzato” sin dalle elementari, arrivando persino a fratturargli una gamba durante una partita di calcio. Antonio si alza per andar via e, quando gli passa accanto, gli afferra la testa tra le mani e la gira in senso orario. Gli altri ridono. Luca sente una fitta a livello del collo e torna a casa arrabbiato con Antonio, cui non dice nulla. La mattina successiva si sveglia con forti dolori alla colonna ed una evidente difficoltà a camminare. Tutti gli accertamenti immediati e susseguenti non evidenziano alcun danno, ma la sintomatologia aumenta fino a diventare invalidante perfino per il lavoro di inserviente al supermercato che Luca svolge. Inizia a pensare che la sua vita è rovinata per sempre e nulla potrà tornare come prima.

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 Al momento del consulto con me, il fastidio residuo è una sensazione di diversità, non meglio precisabile, che avverte sul cuoio capelluto nelle zone in cui è stato afferrato da Antonio.

La disperazione di Luca risiede nel fatto che nessuno crede ai suoi disturbi, non lo prendono sul serio e non gli prestano le cure adeguate pensando trattarsi di suggestione e, per questo, la sua vita resterà bloccata per sempre. Non parla d’altro che dei suoi sintomi fisici e delle possibili cure per risolverli. Qualsiasi altro argomento è sentito come una svalutazione della sua sofferenza fisica, la prova che non lo si prende sul serio.

Se il futuro appare a Luca come un calvario senza fine, il suo passato lo è stato effettivamente.

E’ venuto a vivere nel capoluogo all’età di sei anni perché il padre, tagliaboschi, aveva trovato un lavoro come usciere presso un ente provinciale dopo essersi tagliato una mano con la sega elettrica. L’incidente aveva peggiorato il suo alcolismo e la sua violenza. Mosso da una gelosia delirante, massacrava quotidianamente la moglie di botte e, altrettanto,  aveva preso a fare con Luca che riteneva complice della madre. Per due volte lo aveva spedito all’ospedale con fratture multiple alle costole ed una volta gli aveva cavato due denti  con una ginocchiata. La vita era un inferno di violenza, terrore e follia.

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Il padre, per affermare il suo dominio sulla moglie, tentava di possederla sessualmente appena tornava a casa, nella cucina, di fronte a Luca. Quando non ci riusciva, a causa dell’ubriachezza, vedeva ciò come la prova del tradimento della donna e questo scatenava una rabbia incontrollata.

Luca pregava perché il padre morisse e ne provava colpa.

Somatizzazione. - © Albix - Fotolia.com
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Nel quartiere, la famiglia del boscaiolo ubriacone e senza una mano era emarginata e derisa. Luca, in particolare, era preso in giro per i suoi modi gentili e riservati e i compagni di classe dicevano malignamente che il padre non scopasse solo la madre, ma anche con  lui, quando riusciva ad acchiapparlo con la mano buona.

L’adolescenza era stata segnata dal bullismo dei compagni e dalla paura di essere, prima o poi, ucciso dal padre.

All’età di 17 anni chiese ad un medico se esistessero farmaci per smettere di bere e questi gli prescrisse l’Antabuse, raccomandandosi però di mandargli il padre a visita per poter spiegare a lui come assumerlo. Luca era certo che il padre non sarebbe mai andato e lo avrebbe gonfiato di botte, perciò decise di agire in proprio: con un mortaio ridusse in polvere tre compresse e le mischiò alla minestra di ceci e farro che il padre adorava.

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Il padre, effettivamente, smise di bere ma anche di mangiare e di respirare. La mattina successiva giaceva in bagno, gonfio come un rospo, con la testa spaccata tra il water e il bidet.

Senza lo stipendio del padre Luca non poteva continuare a studiare per geometra e perciò, grazie ad un fratello della madre, fu assunto come magazziniere in un supermercato di Novara e partì.

Nonostante mi avesse raccontato di essere stato sempre bene, prima dell’episodio della testa girata, non era esattamente così.

A Novara aveva avuto un primo “esaurimento nervoso”, per il lavoro faticoso e la lontananza da casa. Non dormiva, mangiava pochissimo fino ad una  notte, un  quindici  agosto, che si svegliò in preda ad un incubo terrificante: lo avevano condannato a morte e la mattina seguente, per la festa di Maria, sarebbe stato bruciato su un rogo in piazza. Era certo che, della sua cattura ed esecuzione, fossero stati incaricati i cinesi. Si diede alla fuga verso il confine, prese un treno senza il biglietto, ma a Chiasso fu bloccato alla frontiera per mancanza di passaporto. Tre giorni di ricovero presso un SPDC di Milano e poi il ritorno nella sua città,  con un ambulanza.

Rientrato a casa dovette abituarsi alla presenza di Carlo, il nuovo compagno della madre, lo stesso che era stato oggetto delle gelosie del padre. Carlo era un gigante di  oltre due metri e anche lui beveva e picchiava la madre.

 Luca decise che, per il momento, non se ne sarebbe occupato. Riprese a lavorare come magazziniere in un autoricambi e si fidanzò con Marta, studentessa di Scienze della Comunicazione. Era una ragazza mite, costruita su due piedistalli, la bruttezza e la bontà, cercando di compensare con la seconda la prima.

La scelta di Luca era stata osteggiata dalla sua famiglia, ma lui era contento così.

La mattina in cui tutto ebbe inizio, Marta era stata a Tarquinia con Luca. Avevano tentato in auto, nella pineta, di avere un approccio intimo ma l’erezione era venuta a mancare nel momento decisivo. Mentre si rivestiva angosciato, Luca ricordava di aver pensato che forse non ci riusciva perché era Marta a non concedersi in quanto coinvolta con un altro.

In seduta  riuscì a ricordare che, mentre era seduto sulla sdraio al sole e sentiva ridere il gruppetto di Antonio e dei suoi amici, aveva pensato che sapessero del suo insuccesso e ridessero di lui. Era sicuro che fosse proprio Antonio, il bullo che gli aveva rotto una gamba, l’amante segreto di Marta. Nel girargli la testa aveva voluto dirgli di fronte a tutti “guardati intorno e ne vedrai delle belle!” e ancora “siccome sei un testa di cxxxo abbassa la testa così come si è abbassato il tuo …… “.

Luca aveva provato un’ umiliazione ed una rabbia forsennate ma non aveva mosso un dito, nè detto una parola. Era paralizzato dalla paura, pensava che tutti sapessero  che era un vigliacco impotente.

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ARTICOLI SU: DISFUNZIONE ERETTILE

Quando arrivò al mio studio nonostante due anni di terapie di tutti i generi e relative spese non aveva mai detto nulla al suo aggressore, né  presentato alcuna denuncia per ottenere un risarcimento.

Io pensai di dover  agire, almeno per il momento, su un piano prevalentemente comportamentale: avevo l’impressione che la vergogna e l’umiliazione fossero per Luca ancora inelaborabili su un piano intrapsichico. Gli vietai di intraprendere qualsiasi  terapia che fosse a pagamento; i soldi risparmiati li avrebbe usati per frequentare un corso di arti marziali, allo scopo di acquisire  maggior sicurezza di sé. Gli consigliai, inoltre, di  incaricare un avvocato che facesse causa ad Antonio per ottenere un risarcimento.

Il lavoro successivo, più squisitamente terapeutico, fu  dedicato allo sviluppo dell’assertività in tutte le situazioni in cui si sentiva umiliato e sopraffatto dall’altro.

Lo stato d’animo di Luca stava lentamente migliorando quando improvvisamente smise di venire.

Lo richiamai dopo un paio di settimane per capire le sue intenzioni. Mi disse che stava bene e il problema si era risolto. Antonio, con la sua automobile, non aveva frenato a sufficienza e, su un curvone, aveva abbattuto il muretto ed era finito nel fosso,  cinquanta  metri più in basso. L’auto si era incendiata, nonostante fosse una notte invernale, fredda e piovosa.

Il mio compito era finito e non volevo saperne di più, ma credo che anche Carlo prima o poi abbia smesso di bere.

 

LEGGI L’INTRODUZIONE ALLA RUBRICA “STORIE DI TERAPIE”

LEGGI GLI ARTICOLI SU: 

MEDITAZIONE – ESPERIENZE TRAUMATICHE – VIOLENZA – RAPPORTI INTERPERSONALI

Le Risposte Involontarie Riducono Lo Stress? Solo nei Maschi!

FLASH NEWS

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Risposte Involontarie & Stress: La ricerca ha dimostrato che, per certi aspetti, le donne esperiscono un maggiore livello di stress rispetto agli uomini.

LEGGI GLI ARTICOLI SU: STRESS

La ricerca ha dimostrato che, per certi aspetti, le donne esperiscono un maggiore livello di stress rispetto agli uomini e che sono più soggette a sviluppare disturbi associati allo stress, quali ansia e depressione.

Lo studio condotto da Mohiyeddini e colleghi si propone di investigare le differenze di genere rispetto alle risposte comportamentali allo stress e quanto queste strategie di coping possano risultare un fattore protettivo contro i disturbi associati ad esso.

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Negli studi precedenti, tra le reazioni allo stress sono stati considerati comportamenti affiliativi o aggressivi. In questo studio, invece, sono state considerate reazioni, come toccarsi i capelli, toccarsi il viso, mordersi il labbro ecc., cioè comportamenti involontari che sembrano non avere nessuna rilevanza ma che di fatto possono ridurre i livelli di stress.

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Hanno partecipato alla ricerca 82 soggetti sani, i quali sono stati sottoposti al Trier Social Stress Test, allo scopo di indurre nei partecipanti alti livelli di stress, e subito dopo a dei test cognitivi. Prima e dopo la somministrazione sono stati registrati i comportamenti messi in atto e il ritmo cardiaco.

 Dai risultati è emerso che gli uomini mettono in atto più frequentemente alcuni comportamenti involontari, come toccarsi i capelli, toccarsi il viso, mordersi il labbro, passare la lingua sulle labbra, e tali comportamenti si associano a livelli più bassi di stress dopo la somministrazione del test, meno errori commessi nei test cognitivi e minore risposta fisiologica allo stress. Tali associazioni non si riscontrano, però, nelle donne.

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Interessante sarebbe svelare il motivo per il quale non si riscontrano tali associazioni nelle donne e tali comportamenti sono meno frequenti. Forse le situazioni stressanti da un punto di vista sociale sono vissute con maggiore coinvolgimento dalle donne? O certi comportamenti non sono considerati appropriati ad un contesto pubblico?

 

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STRESS – ANSIA – DEPRESSIONE – GENDER STUDIES

 

BIBLIOGRAFIA:

Ruminazione Rabbiosa: Quanto Ci Costa?

 

Ruminare con Rabbia: Quanto ci costa?. - Immagine: © olly - Fotolia.com

Ruminare rabbiosamente ci consuma! Da recenti ricerche emerge come la ruminazione rabbiosa renda meno tolleranti allo stress, peggiori la capacità di controllare il comportamento ed esponga maggiormente al rischio di agire d’impulso.

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Alcuni ricercatori (Denson et al 2011) hanno condotto studi sperimentali per comprendere meglio il ruolo della ruminazione rabbiosa nel mantenere le emozioni di rabbia e nel controllare i comportamenti.

In uno studio condotto su 58 studenti volontari di un’università australiana, i ricercatori hanno invitato i partecipanti ad esporre per circa 2 minuti la loro carriera scolastica, i loro interessi e gli obiettivi per il loro futuro professionale. Dopo la presentazione, gli studenti venivano divisi casualmente in 2 gruppi, uno dove ricevevano un commento neutro dal ricercatore (gruppo di controllo), l’altro dove invece erano esposti ad un giudizio negativo nel quale veniva detto che le loro esperienze e gli obiettivi futuri erano poco interessanti e addirittura noiosi (gruppo sperimentale). A seguito del feedback, i partecipanti venivano lasciati da soli per 3 minuti prima del task successivo. Si ritiene che in questo intervallo la ruminazione rabbiosa venga spontaneamente elicitata nel gruppo sperimentale a causa della provocazione ricevuta. Infine, a tutti i partecipanti veniva chiesto di prendere parte ad un compito “spiacevole”, che richiedeva quindi una buona capacità di auto-controllo per essere eseguito: gli studenti venivano incentivati economicamente a bere il numero maggiore di bicchieri di una bevanda disgustosa.  I risultati dello studio mostrano come i soggetti insultati e impegnati poi nella ruminazione interrompevano prima il compito, bevendo quindi un numero minore di bicchieri, rispetto ai soggetti che non erano stati insultati.

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La ruminazione rabbiosa e i suoi correlati- Il modello dei sistemi multipli. - Immagine: © olly - Fotolia.com
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In conclusione, lo studio vuole dimostrare  quanto la ruminazione rabbiosa riduca la capacità di esercitare un controllo funzionale su un compito spiacevole. In poche parole, ruminare ci rende meno tolleranti a situazioni stressanti!

In uno studio successivo, condotto dagli stessi ricercatori, 187 studenti dell’Università della California sono stati sottoposti a un compito (anagramma) e successivamente ad un giudizio del ricercatore sulla prestazione. I partecipanti ricevevano in maniera casuale (a) un commento negativo/insulto (condizione sperimentale) o (b) un commento neutro (condizione di controllo). Successivamente, ai soggetti veniva richiesto di scrivere per 20 minuti (a) circa la loro esperienza con il ricercatore che li aveva insultati (ruminazione), (b) circa un’esperienza neutra (distrazione). I soggetti compilavano poi dei questionari autosomministrati che misuravano il livello di rabbia esperita e il livello di auto-controllo che ritenevano avere in quel momento. Infine, veniva chiesto agli studenti di esprimere un giudizio sul ricercatore, scritto e in forma anonima, che avrebbe poi permesso una selezione dei collaboratori, finalizzata all’esclusione di alcuni dall’incarico. Tale variabile viene utilizzata per misurare il comportamento aggressivo dei partecipanti.

 I risultati della ricerca mostrano che il gruppo che aveva avuto il giudizio negativo ed era stato destinato alla ruminazione mostrava livelli di rabbia maggiori e una minore percezione di auto-controllo, rispetto al gruppo che non aveva ricevuto l’insulto ed era stato destinato alla condizione ”distrazione”.  Inoltre, il gruppo sperimentale esprimeva maggiori giudizi negativi sul ricercatore, nonostante fosse a conoscenza che la sua valutazione avrebbe avuto un impatto sulla revoca dell’incarico. Infine, il livello di autocontrollo percepito mediava tra la ruminazione e il comportamento, risultando dunque il responsabile diretto della messa in atto del comportamento aggressivo .

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In conclusione, lo studio sottolinea come la ruminazione rabbiosa alimenti la rabbia e riduca la percezione di auto-controllo. Tale condizione sembra avere un impatto secondario sul comportamento aggressivo, messo in atto a causa di un fallimento della capacità di controllo dell’impulso rabbioso. 

Insomma, la ruminazione rabbiosa ci costa caro perché: 1) mantiene ed alimenta le emozioni di rabbia 2) riduce l’autocontrollo e la capacità di tollerare situazioni spiacevoli,  3) favorisce l’impulso a mettere in atto comportamenti aggressivi e vendicativi. 

E allora perché continuare?

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RUMINAZIONE – STRESS – IMPULSIVITA’ 

 

BIBLIOGRAFIA:

Tribolazioni 02 – Gli Esami Non Finiscono Mai. Monografia Psicologica di Roberto Lorenzini

Psicologia dello Sport: una Ricerca su Ansia e Perfezionismo nello Sport

 Di Anna Mezzena

GLI SPORTIVI LA PRENDONO SPORTIVAMENTE?

RICERCA SU ANSIA E PERFEZIONISMO NELLO SPORT

PER PARTECIPARE ALLA RICERCA:

https://www.surveymonkey.com/s/LY9CDQP

TUTTI I DATI SARANNO RACCOLTI IN FORMA RIGOROSAMENTE ANONIMA

 

Gli Sportivi La Prendono Sportivamente?. -Immagine: © fidelio - Fotolia.comQuali sono le caratteristiche di personalità dei campioni dello sport?

È ormai evidente che oltre alle doti atletiche e fisiche al di sopra della norma, il lato emotivo e cognitivo degli atleti assume sempre maggior importanza. Ciò condiziona così tanto le prestazioni, che alcuni sportivi, per quanto estremamente dotati fisicamente e tecnicamente, non raggiungono determinati livelli proprio a causa di un errato approccio psicologico alla competizione. 

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È proprio in questo spazio che si inserisce la psicologia sportiva.

Negli ultimi anni sono aumentati gli studi in psicologia dello sport volti ad indagare quali componenti cognitive-emotive condizionino positivamente (adattive) o negativamente (disadattive) i campioni. Le variabili maggiormente analizzate sono l’ansia, il perfezionismo, l’autostima e il criticismo genitoriale e dell’allenatore. All’ansia è riconosciuto un ruolo adattivo se questa rimane al di sotto di una certa soglia in quanto favorisce e facilita la concentrazione, mentre diventa limitante nel caso in cui sia troppo elevata perché blocca  l’azione.

Lance Armstrong, la prepotenza del perfezionismo - Immagine: Creative commons License © DonkeyHotey
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Il ruolo del perfezionismo è stato invece largamente dibattuto  in quanto alcuni ritengono si tratti di un fattore adattivo che caratterizza solo le performance elevate; altri al contrario sostengono che sia disadattivo in quanto, come succede per un’elevata ansia, ostacola l’esecuzione. Hewitt e Flett (2005) parlano infatti di paradosso del perfezionismo.

Gli studi effettuati hanno dimostrato che il perfezionismo è un costrutto particolarmente variegato che implica effetti controproducenti o positivi in base alla sottodimensione esaminata e alle variabili alle quali è associato. La dimensione negativa è chiaramente collegata con il perseguimento di obiettivi perfezionistici poco realistici, o comunque difficilmente mantenibili nel lungo periodo, e il timore del fallimento. La dimensione positiva è invece connessa alla ricerca costante di una prestazione migliore, che costituisce il presupposto per un continuo miglioramento.

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È in questo contesto che si inserisce lo scopo della mia ricerca presso xxxx. Inserire dettagli del contesto concreto in cui si svolge questa ricerca;

L’obiettivo primario è quello di verificare se negli sportivi agonisti il perfezionismo sia un costrutto generale o dominio specifico. Le ricerche svolte finora infatti hanno dimostrato la presenza del costrutto del perfezionismo negli sportivi, ma non hanno evidenziato in che misura questo sia una variabile di tratto (perfezionismo presente in tutti gli ambiti di vita del soggetto), o una caratteristica presente esclusivamente in ambito sportivo. Scopo della seguente indagine è quindi primariamente validare in italiano il test Multidimensional Inventory Perfectionism in Sport (MIPS) di Stoeber (2006), per poter poi verificare l’ipotesi citata.

Si analizzerà inoltre il normale livello di ansia degli atleti e lo si confronterà con l’ansia esperita prima di una competizione per verificare quanto queste variabili di stato e tratto siano collegate e dipendenti e quanto correlino con i due tipi di perfezionismo (dominio specifico vs globale).

La possibilità di indicare il tipo di sport praticato e il livello raggiunto, renderà possibile verificare se esistano differenze significative tra ansia e perfezionismo all’interno dei diversi sport.

Di seguito trovate il link per partecipare alla ricerca. Possono partecipare tutti gli sportivi, agonisti e non agonisti, praticanti qualunque tipo di sport!

Vi ringrazio per la vostra collaborazione!

PER PARTECIPARE ALLA RICERCA:

https://www.surveymonkey.com/s/LY9CDQP

TUTTI I DATI SARANNO RACCOLTI IN FORMA RIGOROSAMENTE ANONIMA

 

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PSICOLOGIA DELLO SPORT – PERFEZIONISMO – ANSIA

 

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Helicopter Parental Style: L’Impercoinvolgimento Genitoriale

FLASH NEWS

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Helicopter Parental Style – Genitori che volano in ricognizione sopra le teste e le vite dei loro figli per evitare e prevenire catastrofi.

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Secondo una nuova ricerca pubblicata sul Journal of Child and Family Studies, i ragazzi che hanno madri iperprotettive e eccessivamente coinvolte avrebbero più probabilità di essere depressi: questo stile definito Helicopter Parental Style (Cline, Fay, 1990) si riferisce a un genitore estremamente ed eccessivamente coinvolto nelle esperienze dei figli, secondo una modalità invischiante e non autonomizzante: come gli elicotteri volano costantemente in ricognizione sopra le teste e le vite dei loro figli plausibilmente con la finalità di evitare e prevenire catastrofi al posto dei figli.

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 Il Helicopter Parental Style mina il bisogno essenziale dei ragazzi di sentirsi competenti, autoefficaci e autonomi incrementando i sintomi ansiosi e depressivi. Questo è l’esito di una rilevazione che ha utilizzato una survey on-line  che ha coinvolto circa 300 ragazzi americani dai 18 ai 23 anni: oltre a una valutazione complessiva del loro benessere psicologico, ai soggetti è stato richiesto di descrivere i comportamenti delle loro madri.

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E’ stato dimostrato che l’ipercoinvolgimento deresponsabilizzante da parte della madre può portare a outcome negativi per i giovani adulti, in termini di elevati livelli di depressione e ansia e scarsa percezione di autoefficacia e di scarsa “fiducia” nei propri pensieri, desideri, emozioni.

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GENITORIALITA’ –  ATTACCAMENTO – FAMIGLIA

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Rileggendo Abraham Maslow – Le Caratteristiche dell’Individuo “Sano”

 

Di Diego Sarracino 

Rileggendo Abraham Maslow - Le caratteristiche dell’individuo “sano”. -Immagine: © Glamshot - Fotolia.com

L’approccio di Maslow ribalta completamente la prospettiva che psicologi e psicoterapeuti sono stati tradizionalmente portati ad assumere: anziché concentrarsi sui disturbi e i sintomi riportati dagli individui disadattati, Maslow propone di identificare e promuovere le qualità che caratterizzano gli individui sani e autorealizzati.

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Sono trascorsi sessant’anni dalla pubblicazione di Motivazione e Personalità, il libro in cui Abraham Maslow definiva i principi della psicologia “umanistica” o “esistenziale” – la corrente di cui, insieme a Carl Rogers, viene considerato il principale esponente. All’epoca, la psicologia umanistica costituiva la “terza forza” della psicologia, cioè un’alternativa alle due psicologie allora imperanti, la psicoanalisi classica e il comportamentismo di stampo positivistico.

L’idea centrale di quest’orientamento è il tentativo di definire un nuovo concetto di salute psichica, non necessariamente coincidente con l’assenza di sintomi e l’adattamento all’ambiente: l’individuo “sano”, per Maslow, sarebbe colui che giunge alla propria “autorealizzazione”, al pieno sviluppo delle proprie potenzialità, colui che diventa ciò che è, e non un semplice “adattato” alle richieste della società, della cultura e dell’ambiente. In un celebre passaggio contenuto in un altro libro, Verso una psicologia dell’essere, Maslow chiarisce questo principio:

Psicologia & Filosofia: Viaggio alla ricerca della Libertà. - Immagine: © gunnar3000 - Fotolia.com
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“In sostanza respingo deliberatamente la nostra presente, e troppo facile, distinzione tra malattia e salute, almeno per quanto riguarda i sintomi superficiali. Essere ammalati significa forse accusare sintomi? Ebbene, sostengo che la malattia può consistere nel non accusare alcun sintomo quando dovrei accusarlo. E la salute, significa esser privi di sintomi? Lo nego. Quale dei nazisti ad Auschwitz o a Dachau era in buona salute? Quelli con la coscienza tormentata, o quelli la cui coscienza appariva loro chiara, limpida serena? In quella condizione, una persona profondamente umana era possibile non avvertisse conflitto, sofferenza, depressione, furia e così via? In una parola, se mi direte di avere un problema di personalità, prima di avervi conosciuto meglio non sarò affatto certo se dovrò dirvi ‘bene!’ oppure ‘mi dispiace’”.

In Motivazione e Personalità, Maslow descrive una serie di caratteristiche che, a suo avviso, manifestano le persone in via di autorealizzazione, cioè coloro che vanno oltre la “normalità”, che sono realmente “sani”. Per dedicarsi al bisogno di autorealizzazione, tuttavia, è necessario che i bisogni di livello inferiore (fisiologici, di sicurezza, di appartenenza, di autostima ecc.) siano soddisfatti. Non sorprende allora che solo una piccola percentuale del genere umano, assillato dalla fame, dall’emarginazione, dall’isolamento, dalla mancanza di autostima ecc., possa considerarsi autenticamente sana e “autorealizzata” (Maslow stimava questa cifra in appena il 2 percento!).

Ma chi è, per Maslow, un individuo “sano” e autorealizzato?

Per rispondere a questa domanda, egli adotta un metodo noto come analisi biografica, che consiste nell’identificare un gruppo di personaggi storici e di conoscenti che, a un attento esame, non avevano sofferto di privazioni dei loro bisogni fondamentali di sicurezza, appartenenza, rispetto e autostima; e che, in più, erano pubblicamente riconosciuti come figure di grande statura umana; tra questi, Abraham Lincoln, Thomas Jefferson e Albert Einstein.

Leggendo le biografie, le opere e le lettere di questi individui, egli identifica una serie di caratteristiche che sembrano distinguerli dalla maggior parte di noi. Maslow le elenca:

Percezione più efficace della realtà. Le persone sane sanno giudicare meglio le situazioni, sono più accurate nelle previsioni, e non temono il futuro e l’ignoto ma, anzi, lo trovano stimolante.

Accettazione della propria natura e degli altri. Gli individui sani accettano stoicamente la loro natura umana, con i tutti suoi difetti. Non necessariamente sono pienamente soddisfatti di se stessi, ma accettano i propri limiti con lo stesso spirito con cui si accettano le caratteristiche della natura (non ci si lamenta perché l’acqua è bagnata). Vedono la natura umana così com’è e non come preferirebbero che fosse, cioè senza ricorrere a “deformazioni di vario genere, che alterino la forma o il colore della realtà”. Sono capaci di divertirsi e di soddisfare i loro bisogni senza provare rimorso, colpa o vergogna, fatta eccezione per quei difetti che considerano eliminabili (come la pigrizia, la gelosia e l’invidia).

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Spontaneità e semplicità, e relativa autonomia e indipendenza dalla cultura e dall’ambiente.  Spesso gli individui autorealizzati sono persone anticonvenzionali, ma non necessariamente ribelli, nel senso che la loro mancanza di convenzionalità non si limita alla loro condotta esteriore, ma investe  i loro bisogni e pensieri più profondi. Per evitare conflitti, possono conformarsi alle regole morali e sociali, ma senza mai cadere nell’ipocrisia e nell’affettazione.

Capacità di orientarsi sui problemi e non su se stessi. Gli individui sani in genere sono interessati ai problemi che sono al di fuori di loro. In altri termini, sono “problemacentrici” e non “egocentrici”. Fondamentalmente non si preoccupano di se stessi come le persone insicure, ma hanno “una qualche missione nella vita, un qualche compito da svolgere, un qualche problema esterno a cui dedicano la maggior parte delle loro energie”.

Scopi Esistenziali e Psicopatologia. - Immagine: © Mopic - Fotolia.com
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Apprezzamento del distacco e della solitudine. Le persone sane sono in grado di stare in solitudine, senza risentirne e senza avvilirsi. Sono capaci di mantenere la calma anche nelle circostanze più difficili. Il loro “distacco” dagli altri e dalle cose li rende più “oggettivi” e “concentrati”. “La loro intensa concentrazione dà luogo, come sottoprodotti, a fenomeni di assenza mentale, di capacità di dimenticare il mondo circostante, di avere un appetito solido, di dormire profondamente, di sorridere e ridere anche in momenti in cui si hanno problemi, preoccupazioni e responsabilità”.

Senso di “novità” nelle cose ordinarie. Queste persone “dispongono della meravigliosa capacità di apprezzare sempre qualcosa di nuovo, sempre con nuova freschezza e ingenuità, i beni fondamentali della vita”. Per loro ogni alba può essere bella come la prima, possono commuoversi a ogni nuovo ascolto di un brano musicale, e ritenersi fortunati del loro matrimonio trent’anni dopo come il primo giorno. Non si lamentano di ciò che non hanno, ma nutrono un costante sentimento di ottimismo e di gratitudine per i piaceri e i vantaggi che offre della vita.

Esperienze mistiche e “culminanti”. Le persone autorealizzate trovano stimolanti ed estatiche perfino le più ordinarie giornate di lavoro e gli eventi apparentemente più banali della vita. In alcuni casi, si tratta di sentimenti che sopravvengono occasionalmente, nei momenti più inaspettati. A volte diventano tanto forti da essere assimilabili a un’esperienza “mistica” o “culminante”: “il sentimento di un allargarsi dell’orizzonte, fino a raggiungere qualcosa come una visione […] il sentimento di essere più potenti e grandi di un attimo prima […] un senso di grande estasi, di grande meraviglia, di grande riverenza, di essere fuori del tempo e dello spazio”. Spogliata da ogni riferimento al soprannaturale e studiata come fenomeno naturale, l’esperienza mistica è considerata come qualcosa che si può presentare in gradi diversi e con frequenze diverse; negli individui più favoriti si verifica spesso, forse ogni giorno.

Sentimento comunitario e democratico. Gli individui sani nutrono un profondo senso di identificazione con il genere umano. Ciò non implica una mancanza di distinzioni. Esse contrastano apertamente e senza remore gli individui meschini e spregevoli, ma tendono a compatire queste persone, non ad attaccarli. Inoltre, gli individui autorealizzati sono profondamente democratici, nel senso che non ricercano il prestigio sociale e l’autorità sugli altri.

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Relazioni interpersonali profonde. Hanno la tendenza a essere gentili o almeno pazienti verso tutti, ma preferiscono “poche relazioni ma buone”.  Questa esclusività di devozione non è in contrasto ma coesiste con un esteso sentimento di comunione, benevolenza e amicizia.

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Capacità di distinguere fra mezzi e fini, e fra bene e male. Queste persone conoscono bene la differenza fra il giusto e l’ingiusto, e hanno dei modelli etici ben definiti, sebbene siano spesso diversi da quelli convenzionali. Analogamente, il più delle volte essi guardano ai fini e non si fissano sui mezzi; più esattamente, “considerano come fini molte esperienze e molte attività che, per altre persone sono soltanto dei mezzi”.

Umorismo benevolo, e capacità di prendere la vita “con filosofia”.  Una delle caratteristiche distintive delle persone “sane” è la loro refrattarietà a forme di umorismo “cattivo” (scherzi, prese in giro ecc.). Piuttosto, “ciò che considerano umorismo è più che altro vicino alla filosofia. Può essere anche detto umorismo della realtà, perché consiste in gran parte nel ridere degli esseri umani in generale, quando sono sciocchi, quando dimenticano il loro posto nell’universo, quando cercano di diventare grandi, mentre sono piccoli”.

Creatività. Senza eccezione, la creatività è una caratteristica di tutti gli individui sani. Essa non si riferisce necessariamente a un talento speciale, come nel caso di Mozart, ma “sembra piuttosto vicina alla creatività ingenua e universale dei bambini”. Per questo, tale creatività non si manifesta necessariamente nello scrivere libri, comporre musica o creare opere d’arte, ma “è come se […], essendo espressione di una personalità sana, si proiettasse sul mondo o toccasse tutte le attività in cui la persona è impegnata. In questo senso, possono esserci calzolai, falegnami o impiegati creativi […] È anche possibile vedere creativamente come fanno i bambini”.

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Maslow conclude la sua disamina presentando tre caratteristiche generali che distinguono gli individui sani  e autorealizzati da quelli insicuri e disturbati. La prima riguarda l’accettazione delle proprie imperfezioni. Le persone sane non sono perfette. Hanno anch’esse delle abitudini sciocche, dannose o inopportune; non sono del tutto immuni dall’orgoglio e dalla vanità. A volte, sono capaci di una freddezza straordinaria nel perseguimento dei loro obiettivi o nel superamento di una difficoltà (per esempio, quando decidono di separarsi da una persona che non amano, possono farlo con una decisione tale da apparire quasi spietata).

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La seconda caratteristica generale è la fondazione di un sistema di valori non fondati sulla gratificazione di bisogni fondamentali ma su gratificazioni più alte. Molti conflitti, molte frustrazioni e molte minacce svaniscono per le persone autorealizzate. Le differenze di genere, di classe, politiche, di religione ecc. cessano di essere un sottosuolo che alimenta ansie, timori, ostilità, atteggiamenti difensivi e gelosie; anzi tali differenze diventano fonte di soddisfazione e godimento, in quanto espressioni dell’irripetibile individualità degli esseri umani.

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Infine, nelle persone sane, i dualismi e le dicotomie svaniscono. Il dualismo fra egoismo e altruismo scompare perché per loro ogni atto è per principio insieme egoistico e altruistico. Gli individui sani sono allo stesso tempo razionali ed emotivi, coniugano dovere e piacere, sanno essere gentili e insieme determinati, pagani e spirituali, seri e frivoli, identificati con gli altri e distaccati. Questi aspetti si uniscono organicamente e si compenetrano, e non sono costantemente in conflitto come nelle persone insicure e nevrotiche. 

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In conclusione, l’approccio di Maslow è molto stimolante, perché ribalta completamente la prospettiva che psicologi e psicoterapeuti sono stati tradizionalmente portati ad assumere: anziché concentrarsi sui disturbi e i sintomi riportati dagli individui disadattati, esso propone di identificare e promuovere le qualità che caratterizzano gli individui sani e autorealizzati.

La critica principale che si può rivolgere a questo autore è l’assenza di un metodo d’indagine rigoroso e di una solida base empirica. Alcune sue idee, inoltre, sono datate e risentono di un’eccessiva influenza della cultura occidentale e, in particolare, statunitense. Altro limite risiede nella stessa definizione di autorealizzazione, che è vista come un tratto acquisito, un dono fatto a pochi eletti, più che un obiettivo terapeutico concreto (aspetto invece sviluppato da altri esponenti del movimento umanistico, come Rogers e Goldstein).

Al netto di questi limiti, alcune sue riflessioni restano attuali: per esempio, le sue considerazioni sulla “percezione” e il “distacco” degli individui autorealizzati acquistano nuovo interesse alla luce delle recenti teorie sulla mindfulness. Inoltre, la sua enfasi sull’utilità di concentrarsi sul “problema” richiama uno dei principi cardine della psicoterapia cognitiva.

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In conclusione, ai tradizionali obiettivi terapeutici promossi dai vari approcci terapeutici (remissione dei sintomi, promozione delle capacità lavorative e relazionali ecc.) andrebbe aggiunta, laddove possibile, una maggiore attenzione alle risorse creative e personali che ci consentono di realizzare il nostro potenziale umano e rendono la nostra vita degna di essere vissuta.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Il Transfert – Riflessioni sulla crisi della psicoanalisi contemporanea #4

 

Le cinque piaghe di nostra madre Psicoanalisi: 

La terza piaga: Transfert e Vita Reale.

LEGGI LA PRIMA PARTE – LEGGI LA SECONDA PARTE – LEGGI LA TERZA PARTE

 

Riflessioni sulla crisi della psicoanalisi contemporanea #4 - Il Transfert. - Immagine: © Kybele - Fotolia.com

Freud si rese conto che il transfert non solo era inevitabile ma che veniva a sostituire gli oggetti ed i conflitti della nevrosi preesistente.

Agli albori della psicoanalisi Freud scoprì che ogni paziente proietta inevitabilmente sulla persona dell’analista aspettative e rappresentazioni che traggono origine dalle interazioni con i genitori durante l’infanzia. Così, nel corso del trattamento, il paziente ama, odia, desidera, teme, invidia l’analista.

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Freud concettualizzò inizialmente il transfert come un ostacolo alla cura analitica, ma ben presto il suo punto di vista subì una netta trasformazione. Freud si rese conto che il transfert non solo era inevitabile, ma che veniva progressivamente a sostituire gli oggetti ed i conflitti della nevrosi preesistente. La nevrosi di transfert, così costituita, offriva allo psicoanalista la possibilità di affrontare in modo diretto la psicopatologia del paziente nella sua interezza: meccanismi di difesa, organizzazione libidica, ricordi infantili, rappresentazioni dei genitori, struttura del Super-io. Tutti questi elementi riemergerebbero focalizzati sulla figura dell’analista.

Il concetto di nevrosi di transfert consente all’analista di occupare una posizione del tutto singolare. Nel modello più comunemente accettato del processo psicoanalitico, la relazione di transfert rappresenterebbe lo scenario di ogni significativo scambio emotivo con potenzialità di indurre cambiamento. Nel transfert si giocherebbe la lotta tra nevrosi e salute mentale. Il concetto di nevrosi di transfert consentiva dunque a Freud di sottovalutare il ruolo delle relazioni della vita reale del paziente, ed il loro contributo alla strutturazione del mondo interno del paziente.

Freud manifestava un certo disagio rispetto ai contatti con i familiari del paziente dopo l’inizio del trattamento analitico. Egli ammetteva con molta franchezza che: “Nei trattamenti psicoanalitici l’intrusione dei congiunti costituisce appunto un pericolo, un pericolo di quelli a cui non si sa come fare fronte” (1912, p. 607).

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Le cinque piaghe di nostra madre Psicoanalisi: Riflessioni sulla crisi della psicoanalisi contemporanea. - Immagine: © hellotim - Fotolia.com
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La tecnica psicoanalitica classica ha cercato di limitare il più possibile i contatti con i congiunti del malati, riducendoli idealmente solo a situazioni eccezionali (come crisi psicotiche o grave rischio suicidario). Per decenni gli psicoanalisti hanno inseguito l’utopia di una relazione totalmente bipersonale, esclusivamente diadica. Tale intolleranza per le relazioni triangolari tradisce evidenti radici edipiche.

Anche i bisogni narcisistici dell’analista giocano senza dubbio un ruolo importante. Diamo tanto ai nostri pazienti: tempo, ascolto paziente, attenzione, sincero interesse. Ed è davvero difficile essere consapevoli fino in fondo che le sedute rappresentano una componente – senza dubbio fondamentale ma non unica – della vita emotiva del paziente. Che madri, padri, fratelli, sorelle, coniugi, amanti condividono tanto con loro: la concretezza del lavoro e della gestione dei beni, dell’organizzazione pratica della vita, i problemi della salute, la semplicità delle esperienze corporee. Ed anche la realtà dell’odio, dell’aggressività, della competizione, del controllo.

I pazienti in analisi continuano a vivere, a fare esperienze e a crescere dentro, ma anche fuori della stanza d’analisi. Abbiamo davvero bisogno di riconoscere con grande umiltà l’impatto della vita relazionale reale del paziente al di fuori del transfert e di liberarci da aspettative non realistiche rispetto ai potenziali benefici del trattamento analitico.

Noi analisti conosciamo bene il senso di frustrazione che nasce quando il lavoro analitico compiuto insieme al paziente non è seguito da paralleli cambiamenti in termini sintomatici o di maturità delle relazioni oggettuali. Nemmeno il più accurato lavoro interpretativo sugli aspetti negativi del transfert – odio, aggressività, invidia, ma anche sottomissione e paura – può realizzare quello stato di benessere fusionale di coppia che inconsciamente e regressivamente inseguiamo. La disperazione e la tristezza persistono, così come le relazioni cariche di sadomasochismo.

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 Anche Freud si rese conto che l’analisi del transfert, della nevrosi di transfert, non era spesso in grado di promuovere il cambiamento terapeutico. In questo contesto egli coniò i concetti di resistenza di transfert e di reazione terapeutica negativa.

Nella supervisione troppo spesso la causa della scarsa efficacia terapeutica viene ricercata nell’inadeguatezza dello stile e del contenuto degli interventi del candidato. Quanto più fruttuoso sarebbe prendere coscienza in modo realistico dei limiti terapeutici oggettivi della psicoanalisi!

Le relazioni sono come piante. Crescono, si sviluppano nel tempo. Le interazioni umane comportano sequenze di identificazioni proiettive ed introiettive. Seminiamo inevitabilmente nei nostri partner relazionali emozioni, così come fantasie, rappresentazioni oggettuali così come angosce superegoiche.

E’ ovvio che per l’analista desideri, paure, aspettative centrate sulla relazione di transfert sono di grandissima importanza terapeutica. Dalla capacità di comprendere ed interpretare la componente inconscia del transfert dipende la possibilità di creare e mantenere una fruttuosa relazione di collaborazione.

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Ma i pazienti vivono nel modo reale. Sono immersi in una rete di proiezioni ed identificazioni che vengono continuamente scambiate con gli oggetti reali: partner sessuali, genitori, colleghi capi insegnanti e così via. La psicoanalisi è un lavoro triangolare. Il terzo assente è sempre presente sia nella fantasia inconscia che nella vita emotiva del paziente.

Come psicoanalisti siamo chiamati a prendere piena coscienza del contributo che gli oggetti reali danno alla strutturazione della vita interiore del paziente e conseguentemente allo scenario emotivo che si dispiega momento per momento nella stanza d’analisi. E ad aiutare il paziente ad essere altrettanto cosciente della quantità di ansia e dolore che si producono nella sua vita relazionale. Il lavoro psicoanalitico, per quanto intenso e prolungato, non ha il potere di rimuovere il dolore interpersonale dalla vita del paziente. Ma la consapevolezza della durezza del vivere unita ad un’autentica condivisione da parte dell’analista può fare molto per alleviare le esperienze emotive più dolorose e consentire di tollerare meglio gli oggetti d’amore più inquietanti e disfunzionali.

 

INDICE DELLA MONOGRAFIA SULLA CRISI DELLA PSICOANALISI

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 – PSICOANALISI – INCONSCIO – TRANSFERT

 

 

APPROFONDIMENTI:

 

Raccontarsi a uno Sconosciuto: Cosa Promuove la Self Disclosure

FLASH NEWS

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Self Disclosure – Uno studio indaga se il priming impatti sulla disposizione personale a raccontare esperienze personali ad uno sconosciuto.

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Anche pensando all’empirismo collaborativo delle terapie cognitivo-comportamentali, la self disclosure del paziente rimane un ingrediente evidentemente essenziale.

Come scrive Farber (2006) “la psicoterapia è una delle rare situazioni della vita in cui parlare di sé stessi non è considerato più o meno appropriato, bensì indispensabile”. E ancora aleggia in molti “psicoterapia…come fai a parlare dei fatti tuoi con uno sconosciuto?”.

Il mancato Contatto VIsivo e i dolorosi colpi dell'indifferenza. - Immagine: © SVLuma - Fotolia.com
Articolo consigliato: Il mancato Contatto VIsivo e i dolorosi colpi dell’indifferenza.

In un nuovo studio pubblicato su Clinical Psychological Science ci si è domandati se il priming potesse impattare sulla disposizione personale a raccontare le proprie esperienze personali, pensieri ed emozioni per l’appunto a uno sconosciuto. 50 soggetti di età compresa tra i 18 e i 35 anni sono stati randomicamente assegnati a una delle due seguenti condizioni: in un primo gruppo ai soggetti è stato chiesto di ricomporre delle frasi che contenevano parole di self disclosure (ad esempio, “raccontare”, “confidare”, etc), mentre al secondo gruppo è stato richiesto di rimettere in ordine frasi contenenti parole di diffidenza, distanziamento e reticenza ad aprirsi all’altro.

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A seguito di queste condizioni di priming, tutti i partecipanti hanno scritto due brevi narrazioni riguardanti le proprie recenti esperienze personali autobiografiche. Rispetto al gruppo di controllo, i soggetti sottoposti a priming di self disclosure hanno prodotto racconti più lunghi (maggior numero di parole) e più ricchi di espressioni emotive.

 Quindi l’elicitazione  inconsapevole di significati di self disclosure attraverso attività consapevoli influenza la disposizione a parlare di sé, seppur a livello di comunicazione scritta.

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I risultati sono interessanti poiché danno credito ai processi impliciti e non consapevoli secondo cui l’esposizione a specifici stimoli sovraliminari (attenzione, sovraliminari e non subliminali) che quindi il soggetto elabora coscientemente possa influenzare il comportamento futuro dell’individuo attivando specifiche categorie mentali, aspettative e stereotipi.

Se il priming è stato finora utilizzato in ricerche di psicologia generale e psicologia cross-culturale, le sue potenzialità ancora devono essere approfondite a livello empirico nelle sue traduzioni applicative in ambito clinico.

 

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RAPPORTI INTERPERSONALI – PSICOTERAPIA COGNITIVA – COMUNICAZIONE

 

BIBLIOGRAFIA:

Effetto Mozart: Può la Musica Renderci più Intelligenti?

 

Effetto Mozart: Può la Musica Renderci più Intelligenti?. - Immagine: © daniel0 - Fotolia.comI risultati di numerose ricerche indussero i ricercatori a denominare Effetto Mozart l’influenza della musica sul ragionamento spaziale.

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Un celebre studio condotto nel 1993 da Rauscher e colleghi suggerì che l’ascolto di un brano musicale potesse promuovere un incremento delle capacità visuo-spaziali; il brano scelto per l’indagine sperimentale fu la Sonata per due pianoforti in Do Maggiore (K448) di Mozart, e i risultati ottenuti indussero i ricercatori a denominare Effetto Mozart l’influenza della musica sul ragionamento spaziale.

La tesi, da cui l’ Effetto Mozart, era che la sonata di Mozart generasse l’attivazione di pattern neuronali all’interno di aree corticali implicate in attività di ragionamento spazio-temporale, e in particolare la corteccia temporale, la corteccia dorso laterale pre-frontale, la corteccia occipitale, il cervelletto.

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Musica - © -Misha - Fotolia.com
Articolo consigliato: Musica e Universali Culturali

In seguito altri lavori hanno messo in discussione questi risultati, individuando elementi più generali che si possono considerare validi nel descrivere le prestazioni dei soggetti sperimentali. Chabris (1999) ha utilizzato due gruppi di controllo, uno nella condizione di silenzio e l’altro sottoposto a istruzioni rilassanti, e ha osservato che gli effetti della musica di Mozart si riscontravano nel secondo caso, quando le istruzioni rilassanti avevano determinato una riduzione dell’arousal. Steele (2000) è giunto alla medesima conclusione riconoscendo quali fattori decisivi nel miglioramento delle prestazioni cognitive un innalzamento del livello di attivazione e una variazione positiva dell’umore, in linea con le ipotesi confermate da Thompson et al. (2001) e Nantais e Schellenberg (1996).

 Questi ultimi alla musica di Mozart avevano affiancato l’ascolto di un brano di Stephen King, notando come le prestazioni dei soggetti fossero sì prodotte da un’attivazione superiore rispetto a quella del gruppo di controllo ma anche discriminabili in base alla preferenza soggettiva nei confronti dei due differenti stimoli sonori. La letteratura scientifica giudica, quindi, poco plausibile il modello elaborato da Rauscher, privilegiando invece aspetti più generali che indicano come il contatto con stimoli capaci di sollecitare un aumento dell’arousal e un miglioramento del tono dell’umore possa favorire la buona riuscita in compiti di intelligenza cognitiva. Barbato et al. (2007) esprimono un sostanziale accordo con le altre ricerche ma propongono uno spunto di riflessione ulteriore, poiché i loro soggetti sperimentali mostrano un arousal più elevato, sebbene in misura statisticamente non significativa, dopo l’ascolto di Mozart rispetto a un brano jazz.

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Potrebbe essere interessante approfondire se una sorta di Effetto Mozart minore sia riconducibile alle caratteristiche melodiche e armoniche di quella musica, capaci di coinvolgere in modo più sensibile le aree cerebrali deputate al controllo dell’arousal e dell’umore.

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MUSICA – INTELLIGENZA – NEUROPSICOLOGIA 

 

BIBLIOGRAFIA:

Recensione: Rigliano, Ciliberto & Ferrari (2012) – Curare i Gay?

Curare I Gay? - Copertina del Libro. Raffaello Cortina Editore
Rigliano, Ciliberto & Ferrari (2012). Curare I Gay? Oltre l’Ideologia Riparativa dell’Omosessualità – Copertina del Libro. Raffaello Cortina Editore

Recensione: Rigliano, Ciliberto & Ferrari (2012). Curare i Gay? Oltre l’ideologia riparativa dell’omosessualità. Milano: Raffaello Cortina. 

LEGGI GLI ARTICOLI SU: LGBT – LESBIAN, GAY, BISEX AND TRANSGENDER

Dal 2012, tra gli scaffali delle librerie Cortina, è possibile trovare un titolo che difficilmente manca di procurare emozioni contrastanti in chi lo legge.

Davanti agli occhi del potenziale lettore, mentre passeggia per la libreria alla ricerca di un titolo che possa suscitare il suo interesse, si materializza una scritta: Curare i Gay?

Come una sfida, questa semplice domanda obbliga a prendere il libro in mano e a prepararsi a sostenere o controbattere un interrogativo che non lascia indifferenti. Poi la lettura del sottotitolo inizia a dipanare la voluta ambiguità iniziale e inizia a chiarire l’opinione degli autori, “Oltre l’ideologia riparativa dell’omosessualità”; ma si sbaglierebbe chiunque pensasse di avere davanti un libro che voglia difendere solo un’opinione “pro omosessualità”.

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Infatti Paolo Rigliano, Jimmy Ciliberto e Federico Ferrari raccontano con cura quella parte del mondo omosessuale che raramente sale alla ribalta dei giornali e delle televisioni (limitata a qualche sporadica manifestazione che non riesce mai a fornire un quadro comprensibile della situazione) e che vede confrontarsi tre schieramenti: i sostenitori delle terapie riparative, quelli delle terapie della conversione identitaria e quelli delle terapie affermative.

Genitori Omosessuali & Affidamento Minorile. - Immagine: © beaubelle - Fotolia.com
Articolo Consigliato: Genitori Omosessuali & Affidamento Minorile.

La domanda Curare i gay? , come il più classico dei test proiettivi, suscita una reazione diversa a seconda dell’orientamento sostenuto.

Un sostenitore della terapia riparativa potrà prendere in mano il libro esclamando <Si può fare!> con la verve di Gene Wilder in Frankenstein Junior, ma senza il suo umorismo e la sua geniale capacità di prendere sul serio anche le cose più assurde. Sosterrà che si deve curare l’omosessualità come si curano gli attacchi di panico o la depressione e forse la lettura di questo libro potrà aiutarlo a modificare il proprio bisogno di curare un orientamento sessuale che non viene considerato più un disturbo dal 1973 e che vorrebbe curare con un metodo che da 12 anni le associazioni psicologiche definiscono “non etico” (APA, 2000, 2009).

LEGGI GLI ARTICOLI SU: SESSO – SESSUALITA’

Un sostenitore della terapia della conversione identitaria prenderà in mano il libro condividendo l’idea che l’omosessualità non sia una malattia, ma pensando, in nome del costruttivismo, che i pazienti possano provare sofferenza per qualunque ragione e che sia corretto aiutare chiunque lo desideri a diventare dell’orientamento che sostiene di preferire.

 Cosa cambia rispetto ai sostenitori della terapia affermativa?

I sostenitori della terapia di conversione identitaria trovandosi ad accogliere un paziente omosessuale inizieranno a lavorare sull’orientamento sessuale del paziente, mentre i sostenitori della terapia affermativa procederanno all’analisi della domanda nella ricerca del come e del perché il paziente sia arrivato in terapia con la richiesta di voler diventare eterosessuale e lo faranno facendo attenzione ad usare un linguaggio non eterosessista, provando così a costruire in terapia quella che gli autori definiscono “una cornice di liberazione dall’autoinvalidazione”.

Intervista al Dott. Paolo Rigliano
Guarda L’Intervista di State of Mind al Dott. Paolo Rigliano.

Sono metodologie di lavoro che fanno la differenza tra un lavoro commerciale ed un lavoro etico.

Come osservato da Lingiardi e Nardelli in un’intervista del 2011 a 958 psicologi del Lazio, alla domanda <se un paziente omosessuale esprimesse disagio rispetto al proprio orientamento sessuale (“omosessualità egodistonica”), pensa che possa essere utile un intervento psicologico rivolto alla modificazione dell’orientamento sessuale?>  il 2% degli psicologi risponde <Si, sempre o quasi>, il 41% risponde <Si, ma solo nel caso in cui sia il paziente/cliente a chiederlo> ed il 57% risponde <No>.

Si può sperare che il 43% degli psicologi che ha risposto <Si> leggendo questo bellissimo libro di Paolo Rigliano, Jimmy Ciliberto e Federico Ferrari possa scoprire qualcosa di nuovo di un mondo che non è facile conoscere e che questi tre autori hanno avuto la sensibilità e la professionalità di raccontarci.

E se non fosse abbastanza chiaro, alla domanda Curare i gay? la risposta giusta è NO

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LGBT – LESBIAN, GAY, BISEX AND TRANSGENDER – SOCIETA’ & ANTROPOLOGIA –  SESSO – SESSUALITA’

 

APPROFONDIMENTO: 

Report of the American Psychological Association Task Force on Appropriate Therapeutic Responses to Sexual Orientation 

 

BIBLIOGRAFIA: 

  • Rigliano, P., Ciliberto, J. Ferrari, F. (2012). Curare i gay? Oltre l’ideologia ripartiva dell’omosessualità. Milano: Raffaello Cortina. ACQUISTA ONLINE
  • Lingiardi, V., Nardelli, N. (2011). Psicologi e omosessualità. Notiziario dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, 3/2010-1/2011: 17-29.
  • American Psychiatric Association (2000). Position statement on terapie focused on attempts to change sexual orientation (reparative or conversion therapies). American Journal of Psychiatry, 157(10): 1719-1721. (READ FULL ARTICLE)
  • American Psychological Association (2009). Report of the American Psychological Association Task Force on Appropriate Therapeutic Responses to Sexual Orientation. American Psychological Association, Washington, DC. (READ FULL ARTICLE)

Strategie Mnestiche nel Trattamento della Depressione

FLASH NEWS

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Una specifica strategia mnestica per aiutare i pazienti con depressione nel recupero dei ricordi delle esperienze positive nella loro vita.

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Una nuova ricerca pubblicata su Clinical Psychological Science propone – supportandola con dati di efficacia- una specifica strategia mnestica per aiutare i pazienti con depressione nel recupero dei ricordi delle esperienze positive nella loro quotidianità.

Già precedenti studi hanno sottolineato che l’essere in grado di recuperare ricordi concreti e dettagliate legati a emozioni positive promuove l’innalzamento del tono dell’umore dei pazienti con depressione: sembrerebbe che questo tipo di ricordi vividi, dettagliati e quotidiani siano in qualche modo offuscati in coloro che soffrono di depressione.

Come i ricordi influenzano le emozioni. - Immagine: © adimas - Fotolia.com
Articolo Consigliato: Come i ricordi influenzano le emozioni

In questo nuovo studio i ricercatori si sono chiesti se un metodo molto noto nell’ambito della psicologia generale, il Metodo dei Loci, potesse essere efficace nell’aiutare i pazienti con depressione a richiamare alla memoria con maggiore facilità i ricordi di esperienze postive quotidiane. Il metodo dei loci classico consiste nell’associare specifici items target da ricordare a oggetti o a luoghi: nel momento del recupero mnestico dunque, si immaginano i diversi luoghi lungo uno strada o una sequenza di oggetti richiamando quindi anche le memorie precedentemente associate ad essi.

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Nello studio è stato chiesto ai pazienti depressi di identificare 15 ricordi a valenza positiva; a un gruppo è stato prescritto il metodo dei Loci per creare associazioni specifiche tra oggetti-luoghi e ricordi, mentre al gruppo di controllo è stata indicata una strategia più generica di rehearsal. Dopo il periodo di pratica, a brevissimo termine i due metodi si sono dimostrati entrambi efficaci: tutti i partecipanti sono stati in grado di ricordare i 15 ricordi inizialmente identificati. Il punto interessante è che con il passare del tempo si notano fenomeni differenti: a lungo termine, dopo una settimana di pratica continuata a casa, i pazienti che avevano utlizzato il metodo dei Loci ricordavano in misura significativamente maggiore le 15 esperienze positive rispetto ai pazienti del gruppo di controllo.

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 Quindi lo studio dimostra l’efficacia applicativa in ambito autobiografico del Metodo dei Loci in quanto intervento mnestico efficace per pazienti con depressione. Peccato che lo studio non abbia valutato l’andamento sintomatologico in relazione a questo effetto mnestico, e interessante sarebbel’indagine del processo di regolazione emotiva sottostante.

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DEPRESSIONE – MEMORIA – PSICOLOGIA POSITIVA

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Il Colloquio Psicologico: Cosa Fare nel Primo Colloquio #2


Il Colloquio Psicologico- Cosa Fare nel Primo Colloquio #2. -Immagine: © Sergio Hayashi - Fotolia.comIL PROBLEMA NELLO SPAZIO

E NEL TEMPO

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IL COLLOQUIO PSICOLOGICO – MONOGRAFIA

“Il guerriero non ha dubbi: segue una formula infallibile.

 <Dai frutti, conoscerai l’albero,> ha detto Gesù. Egli segue questa regola, e non sbaglia mai.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.64]

Lo psicologo ricerca connessioni tra ciò che vede e ciò che è stato detto, cioè osserva. Queste osservazioni costituiscono lo scheletro delle ipotesi sperimentali per la definizione, accordata con il paziente, del problema. Da queste prime osservazioni, legate anche all’intuito e all’esperienza del professionista, è necessario formulare nuove domande, esplorare più a fondo il problema, per trovare nuove informazioni, per cambiare o confermare le proprie intuizioni. In questa fase esistono due campi fondamentali in cui testare le proprie osservazioni e che possono offrire una grande quantità di nuove informazioni: lo spazio e il tempo. Queste costituiscono le due principali categorie di Aristotele e le due dimensioni nelle quali il problema deve essere affrontato.

Il Colloquio Psicologico - Il Colloquio di Motivazione. - Immagine: © Ivelin Radkov Fotolia.com
Articolo Consigliato: Il Colloquio Psicologico – Il Colloquio di Motivazione

Fare domande che permettano un’ analisi del problema nello spazio vuol dire cercare di comprendere in quali situazioni e in quali condizioni contingenti questo si manifesta o, se è pervasivo, in quali condizioni acquista una maggiore intensità. La relazione tra le variabili ambientali e le caratteristiche del disturbo può dire molto sulla sua entità ma anche sul modo attraverso il quale può essere affrontato. Possono essere così individuate le contingenze di rinforzo che stimolano il comportamento. In questa indagine non bisogna fermarsi all’analisi di fattori esterni all’individuo. Anche le emozioni e i pensieri che contraddistinguono quei momenti sono importanti per conoscere come i tre canali comunicativi sono associati tra loro e per avere una visione completa delle dinamiche disturbanti.

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Allo stesso modo l’analisi del problema nel tempo permette al counselor di ricostruire la storia del disturbo cogliendone l’origine. Si può giungere a comprendere quali eventi o pensieri hanno condotto il paziente a sviluppare un comportamento problematico e quali rinforzi hanno agito su di esso. Queste osservazioni ci permettono di osservare con maggior chiarezza cosa si trova dietro alle associazioni attuali tra la messa in atto del comportamento o il suo livello di intensità e le variabili ambientali che le determinano.

La storia del problema comprende anche richieste sui tentativi effettuati dal cliente per affrontare il problema e sul modo in cui sono falliti, attraverso le quali si può ulteriormente definire il rapporto tra il paziente e il proprio disturbo.

Queste informazioni sono fondamentali se si vuole raggiungere un quadro descrittivo completo del problema del cliente. Queste ci permettono di confermare o cambiare le prime osservazioni raggiungendo nuove associazioni che portano il terapeuta ad una propria definizione del problema.

LA DEFINIZIONE DEL PROBLEMA

“Questo è il Cammino del Cavaliere: un cammino facile e, nello stesso tempo, difficile, perché obbliga a tralasciare le cose inutili, e le amicizie marginali. Perciò, all’inizio, si esita lungamente prima di seguirlo.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.102]

In base alle descrizione del cliente, alle informazioni  tratte dai primi momenti del colloquio e ad un analisi del problema nello spazio e nel tempo, lo psicologo raggiunge una sua prima definizione del disturbo. Questa definizione dipende principalmente dall’orientamento teorico del terapeuta e può essere in contrasto con quella presentata dal cliente. Dal momento che è utile lasciare la conduzione del colloquio nelle mani del cliente, per favorire l’instaurarsi della fiducia e la scoperta indipendente di nuove prospettive, la definizione che possiede il terapeuta non deve essere presentata immediatamente.

Inizialmente il colloquio si orienta a seguire il problema come lo vede il paziente e carpire informazioni su come il soggetto vive il rapporto con esso. Questo evita inoltre il rischio di affrettare la conclusione permettendo di approfondire i dati sul problema prima di negoziare la definizione.In questo modo dopo le prime osservazioni, e grazie al proseguimento del colloquio guidato dal cliente, il terapeuta può effettuare domande per approfondire alcuni argomenti che portano a nuove associazioni e che permettono di chiarire ulteriormente il problema. Ciò conduce alla formulazione dell’ipotesi sperimentale, che dovrà essere verificata attraverso il colloquio e che è la base per la diagnosi del cliente.

Storie di terapia #12: La gelosia della bella Caterina. Immagine - © Antonio Gravante - Fotolia.com
Articolo Consigliato: Storie di Terapia #12: La gelosia della bella Caterina.

In questo modo lo psicologo approfondisce la sua conoscenza del problema e perfeziona la sua definizione. Tuttavia il problema aperto rimane quello di presentare al cliente una definizione diversa dalla propria. E questo ostacolo non è superabile se non dopo che un corretto rapporto di fiducia sia stato instaurato e comunque non può essere affrontato in modo diretto.

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La possibilità di cambiamento della definizione del problema non deve essere imposta ma viene raggiunta dallo stesso cliente attraverso esperienze di insight in cui, sulla base delle informazioni strategicamente trasmesse dallo psicologo al momento opportuno, scopre la presenza di diverse prospettive e di diversi punti di vista. Se vi è fiducia questa esperienza di insight costituisce l’origine di un processo di negoziazione che conduce all’accordo tra le sue aspettative e le valutazioni del terapeuta riguardo la definizione del problema.

“Il guerriero della luce conosce l’importanza dell’intuizione. […] Ma il guerriero sa che l’intuizione è l’alfabeto di Dio”.

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.65]

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ESPERIENZE TERAPEUTICHE PRECEDENTI

Se il paziente è stato inviato da un ente o da un altro professionista si possono ottenere molti dati rilevanti informandosi sull’andamento e sui risultati ottenuti nel corso delle precedenti terapie. Anche nel caso che il paziente venga di sua spontanea volontà si può chiedere se ha già effettuato altre terapie.

Può capitare che sia il paziente a fare spontaneo riferimento a terapie precedenti e può mostrare sia un comportamento ostile che adulatorio nei confronti di queste. Lo psicologo ha il compito di rimanere calmo e neutrale in entrambe le occasioni, senza sostenere il paziente o cedere alle sue provocazioni. In seguito all’esperienza accumulata in precedenti terapie questi può anche assumere l’atteggiamento da esperto parlando in gergo tecnicistico. In tal caso la migliore reazione è quella di riformulare ciò che dice in termini comuni senza imporre forti negazioni.

Quello che interessa al terapeuta è quello di valutare l’andamento della terapia e i motivi per cui è terminata e quindi perché il paziente si trova lì in quel momento. Inoltre le osservazioni di altri colleghi possono essere sempre importanti. Per questo sapere che colloqui psicologici sono già stati svolti offre allo psicologo la possibilità di avere contatti con persone che hanno conosciuto il paziente ed ampliare la sua base di conoscenze.

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ALLEANZA TERAPEUTICA – IN TERAPIA – COLLOQUIO PSICOLOGICO

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IL COLLOQUIO PSICOLOGICO – MONOGRAFIA


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Recensione: Jan Philipp Sendker – I Battiti del Cuore

 

Recensione: Jan-Philipp Sendker – L’Arte di Ascoltare i Battiti del Cuore & Gli Accordi del Cuore – Neri Pozza

“Come possiamo dire di conoscere le persone che abbiamo accanto?”

 

Recensione: Jan Philipp Sendker - I Battiti del Cuore. - Immagine: © Neri Pozza Editore
Jan Philipp Sendker – “Gli Accordi del Cuore” & “L’Arte di Ascoltare i Battiti del Cuore”. © Neri Pozza Editore.

Nel romanzo di Sendker “Gli accordi del cuore” Julia  è tormentata da una voce interiore che le pone domande imbarazzanti sulla sua vita, apparentemente di successo, in realtà solitaria ed infelice. 

LEGGI TUTTE LE RECENSIONI DI STATE OF MIND

Julia Win, protagonista di entrambi i romanzi, nel primo “L’arte di ascoltare i battiti del cuore” si trova a dover risolvere il mistero della scomparsa, imprevista ed immotivata, del padre.

Tin Win, questo il suo nome, avvocato di successo, marito fedele e padre premuroso, è scomparso improvvisamente, in un giorno qualsiasi di quattro anni prima, senza lasciare traccia, nè un cenno di commiato, niente che possa spiegare alla figlia questa sparizione.

Da allora sono passati quattro anni e Julia non si dà pace, specie dopo aver ritrovato casualmente, ordinando una soffitta, una struggente lettera d’amore indirizzata ad una donna in Birmania, paese d’origine del padre emigrato negli Stati Uniti molti anni prima.

Julia parte per la Birmania, alla scoperta dell’infanzia e della giovinezza  del padre e là, a Kalaw, incontra un uomo, anziano e malato, che le racconta la verità  e la storia di un grande amore.

 

“Ci sono ferite che il tempo non sana ma che rende così piccole da consentirci, alla fine, di continuare a vivere”

 

Nel romanzo di Sendker “Gli accordi del cuore” Julia  è tormentata da una voce interiore che le pone domande imbarazzanti sulla sua vita, apparentemente di successo, in realtà solitaria ed infelice.

Temendo una qualche forma di schizofrenia Julia si fa visitare da uno psichiatra, poi si accosta alla pratica buddista, ma la voce non sparisce anzi, insiste a chiedere.

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Aimee Bender, L’inconfondibile tristezza della torta al limone. Recensione. - Immagine: © minimum fax
Articolo Consigliato: Aimee Bender. L’inconfondibile tristezza della torta al limone. – Recensione

Così decide di partire per la Birmania e di tornare a Kalaw, dove abita il fratellastro che non incontra da oltre dieci anni e,  attraverso il racconto di un’altra storia familiare intensa, coinvolgente e anche molto dolorosa, curerà le proprie ferite e scoprirà le infinite opportunità dell’amore.

I romanzi di Sendker Non sono letture per chi voglia rimanere saldamente ancorato ad una visione razionale e logica della vita e della realtà.

Chi legge Sendker deve spogliarsi dello scetticismo tipico della cultura occidentale e anche di alcune pretestuose sicurezze: che la vita di una persona, ad esempio, abbia un senso nella misura in cui è orientata verso obiettivi quali successo e denaro, oppure  che ogni esperienza sia spiegabile, controllabile e che possa certamente essere cambiata con l’uso esclusivo della volontà individuale, oppure che sia sempre possibile evitare, negare o compensare la sofferenza.

LEGGI GLI ARTICOLI SU: SOCIETA’ & ANTROPOLOGIA

La piacevolezza della lettura di Sendker sta nel non trattarsi di una riflessione teorica, ma di un’avvincente storia la cui protagonista, brillante avvocato newyorkese in carriera, è più scettica del più materialista dei lettori e, dunque, noi viviamo con lei i passaggi da un atteggiamento incredulo, talvolta ironico, fino alla resa.

Siamo costretti, nostro malgrado e  con sottile ansia, a confrontarci con l’idea dell’obbedienza, che diventa rassegnazione, che diventa impotenza.

 

 Siamo stupiti e un po’ sprezzanti quando l’irrazionale diventa irragionevole e la superstizione prende il sopravvento ma nessuno si ribella, anche quando condiziona pesantemente le relazioni familiari e, per esempio, trasforma in rifiuto lo spontaneo accudimento di una madre verso il proprio figlio.

LEGGI GLI ARTICOLI SU: RAPPORTI INTERPERSONALI

Siamo sorpresi e un po’ angosciati  dall’idea, tutta orientale, che le cose capitano e che non tutto sia comprensibile nei termini di responsabilità individuale. L’idea di destino, che per certi versi ci sgomenta umiliando il nostro mito del controllo assoluto, alla fine ci rassicura togliendoci in parte la colpa per l’esito delle nostre vicende umane.

Ma accettazione dell’inevitabilità del dolore dell’esistenza non equivale a passività, tutt’altro. In entrambi i volumi sono raccontate storie di disgrazie incredibili da cui i personaggi si risollevano con la forza dell’amore, che è il vero protagonista della storia.  

Stoner_di_John_Williams - Copertina
Articolo Consigliato: Stoner di John Wiliams – Recensione

E sembra di poter dire che l’atteggiamento di fronte alle avversità possa essere duplice: o quello di opporvisi fieramente, rischiando di essere travolti dall’impatto con la propria impotenza, oppure quello simile al surfista che vede venirsi incontro un’onda gigantesca e la accoglie, cavalcandola.

LEGGI GLI ARTICOLI SU: MEDITAZIONE

Qui esiste un destino, una vocazione, un sentiero più o meno tracciato che possiamo rendere un po’ più comodo attraverso le varie forme della consapevolezza e dell’accettazione: la meditazione, la compassione e, soprattutto, l’amore.  Sono questi, infatti, gli strumenti che alimentano la gioia di vivere e che attuttiscono e rendono sopportabile la sofferenza nelle sue ampie manifestazioni: il dolore del distacco, l’abbandono, l’handicap, la vecchiaia, la morte. L’uso della consapevolezza amplia l’orizzonte entro cui considerare l’importanza di ogni vita che rimane, anche la più misera, comunque un dono.

LEGGI GLI ARTICOLI SU: ACT – ACCEPTANCE AND COMMITMENT THERAPY

Il dolore c’è, inevitabile, la sua origine sta nell’avidità dell’attaccamento, non avere ciò che si desidera, o nell’avversione, troppa vicinanza a ciò che non si desidera, o nella lotta per cercare di cambiare quello che non può essere cambiato.

Due libri pervasi di misticismo e di umanità, di sentimenti intensi e resa nel dolore; un’altra prospettiva, ma ne vale la pena.

LEGGI GLI ARTICOLI SU:

RECENSIONI DI STATE OF MIND – PSICOSI – SOCIETA’ & ANTROPOLOGIA – RAPPORTI INTERPERSONALI – MEDITAZIONE – ACT – ACCEPTANCE AND COMMITMENT THERAPY

BIBLIOGRAFIA:

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