Da alcuni giorni va in onda la versione italiana di In Treament, la serie televisiva israeliana dedicata all’attività di uno psicoanalista e al suo rapporto con i pazienti. La fama mondiale di questa serie è arrivata grazie alla versione americana, interpretata da Gabriel Byrne che recita nei panni dell’analista Paul Weston.
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Eppure non bisogna dimenticare che la versione originale è israeliana e si chiama “Be Tipul” (ovvero “in terapia” in ebraico) mentre il terapeuta si chiama Reuven Dagan ed è interpretato dall’attore Assi Dayan. Su questo format sono state costruite le versioni degli altri paesi: Romania, Serbia, Olanda, Argentina, Stati Uniti e molti altri paesi.
Attenzione: la versione israeliana esporta non solo il format, ma l’intera sceneggiatura quasi parola per parola. Guardando le varie versioni nei diversi paesi i dialoghi sono sempre pressoché identici, con adattamenti davvero minori. Per esempio, il paziente del martedì della prima serie, il pilota militare attanagliato da sensi di colpa per avere lanciato una bomba su una scuola uccidendo dei bambini, sia nella versione americana che in quella israeliana ha cercato “il migliore” psicoanalista per fare terapia.
Ma nella serie americana il paziente raccoglie le informazioni da fonti impersonali e professionali: curriculum, internet, altri professionisti. Nella serie israeliana ha ricevuto l’informazione attraverso ex pazienti e parenti del terapeuta. Potrebbe trattarsi di una differenza culturale tra informazione impersonale e razionale “nordica” e informazione relazionale ed emotiva “mediterranea”? Secondo Gal Szekely, psicoterapeuta e conferenziere appassionato di “In treatment” è possibile.
Nella serie italiana il terapeuta è Sergio Castellitto. Ho potuto assistere alla prima puntata, e la sceneggiatura segue fedelmente l’originale israeliano. La scena si apre con la paziente del lunedì (Sara, nella serie italiana) piangente che racconta
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la crisi della sua relazione per poi dichiarare il suo amore al terapeuta (Giovanni Mari, nella serie italiana). Identica la sceneggiatura, mentre ci sono delle modifiche di ambientazione: lo studio americano e quello italiano sono ingombri di mobili e di modellini di barche; spoglio e spartano invece lo studio del terapeuta israeliano.
Gli attori però sulla stessa sceneggiatura costruiscono personaggi differenti.
Giovanni Mari, almeno in questa prima puntata, sembra un tipo più sicuro di sé e più sereno del plumbeo Paul Weston. Gli sfuggono espressioni ironiche e distaccate mentre ascolta i racconti istrionici di Sara.
Sara, a sua volta, non sembra la belva vorace che è Laura e che sovrasta Paul fin dall’inizio. L’americana Laura, ora me ne rendo conto meglio, è davvero una persona molto dura, molto “working class”, se posso dirlo. Schiaccia con la sua sensualità violenta e feroce il funereo e depresso Paul fin dall’inizio.
L’italiana Sara è altrettanto popolare (usa un linguaggio infarcito di “cazzo!”) ma appare priva della brutalità che a tratti esprime Laura. L’effetto finale è, per ora, più realistico. In che senso? Nel senso che Sara davvero sembra una paziente fragile, come molti pazienti. Una paziente che ha idealizzato il terapeuta ed esprime, un po’ goffamente, desiderio sessuale. Un vero transfert? E Giovanni Mari, almeno per ora, non sembra eccessivamente scosso dalle avance della paziente.
Tutto il contrario nella versione americana: Laura sembra una che ha deciso di portarsi a letto l’inerme Paul e che, quando vorrà, lo farà. Paul è scosso, forse addirittura terrorizzato fin dall’inizio. Non ha il controllo della terapia ed è tentatissimo, nel suo grigiore, dalla sensualità di Laura.
Vero è che, al termine della puntata, anche Giovanni Mari inizia a slittare pericolosamente verso luoghi prossimi alla violazione delle regole. La violazione più impressionante? Cede di schianto e troppo facilmente alla richiesta di Sara di passare al tu.
D’altro canto questo è lo spirito di In Treatment, che sia israeliano, americano o italiano: un terapeuta fragile, schiacciato da ondate di relazioni terapeutiche che lo sommergono.
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