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La costruzione di Narrative Personali in Terapia Cognitiva #2

Le narrative personali: le modalità narrative e interattive implicate nel racconto di storie e nelle conversazioni autobiografiche.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 15 Giu. 2012

Aggiornato il 11 Ott. 2012 10:08

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PARTE II

La costruzione di narrative personali in terapia cognitiva. parte 2 - Immagine: © frenta Fotolia.comL’esperienza di clinici, ma prima ancora di esseri umani, ci mostra che “la narrazione di storie e in particolare il racconto di aspetti ed episodi della propria vita, e’ parte essenziale dell’esistenza di ogni persona ed e’ un processo che presenta una connotazione squisitamente sociale. Lo studio delle modalità narrative e interattive implicate nel racconto di storie e nelle conversazioni autobiografiche può contribuire a far luce sulle modalità con cui gli individui organizzano le attività della propria mente e creano coerenza all’interno di essa” (Lenzi, Bercelli, 2010, p. 119).

Bruner (1964) sostiene che la formazione della mente affonda le proprie radici nell’atto di inventare narrativamente l’io: la narrazione genera e chiarisce le relazioni esplicative tra pensieri, emozioni e comportamenti. Poiché le narrative rispettano convenzioni stilistiche e regole di genere, gli elementi fondanti di un’esperienza raccontata sono rappresentati sia dalle caratteristiche di genere e stile che la esprimono – la modalità con cui viene strutturata la narrazione, gli interlocutori cui e’ rivolta, le reazioni di questi ultimi – sia dai contenuti specifici dell’intreccio. Bruner afferma che i passaggi più importanti di un’esistenza non coincidono con accadimenti esterni al soggetto, bensì con le revisioni delle storie utilizzate per raccontare la propria esperienza.

La costruzione delle narrative personali in terapia cognitiva.
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In un’ottica cognitivista la narrazione degli eventi di vita consente di tradurli in rappresentazioni coerenti con il pensiero, l’intenzionalità e la progettualità coscienti; una delle operazioni fondamentali con cui attiviamo questo processo e’ la ricostruzione della memoria, attraverso cui miglioriamo il nostro sistema predittivo, costruiamo una modalità identitaria e ben riconoscibile di adattamento all’ambiente, modifichiamo gli automatismi di risposta agli stati emotivi e generiamo una migliore capacità di orientare evolutivamente le nostre azioni.

Le neuroscienze suggeriscono che l’elaborazione di narrative sulla propria vita favorisce molteplici processi di integrazione conoscitiva, dalla capacità di riunire le differenti categorie percettive in un ordine e in una sequenza spazio-temporale (Edelman, 1992), all’integrazione sensomotoria del sé in un continuum non frammentato tra passato, presente e futuro identificabile con quella che Wheeler e collaboratori (1997) chiamano coscienza autonoetica, fino ai meccanismi che regolano le funzioni specializzate dei due emisferi cerebrali. Le narrative assumono la funzione di modificatori della memoria (Siegel, 1999) ristrutturando i diversi sistemi nei quali si articolano le facoltà mnestiche e concentrandosi in particolare sulle memorie episodiche, che dalla riformulazione di storie traggono una maggiore armonia semantica; in questa direzione si muovono anche gli approcci cognitivisti, che pongono al centro della propria analisi il peculiare significato che il soggetto attribuisce alla propria esperienza.

Assunto di base della terapia cognitiva e’ infatti che il pensiero influenza il comportamento e può essere modificato e monitorato (Dobson, 2009); lo stile di conoscenza del paziente viene indagato dal clinico allo scopo di individuare i margini entro i quali sia possibile generare un cambiamento, e la costruzione di narrative e’ uno strumento fondamentale per rendere visibile al paziente lo stile con cui egli elabora i propri schemi, le proprie opinioni sull’ambiente. Il cognitivismo clinico si e’ sviluppato spostando l’attenzione dall’oggetto dell’elaborazione conoscitiva al suo soggetto, conferendo centralità alla conoscenza emozionale (Liotti, 2001), alle organizzazioni di significato personali (Guidano, 1987; Reda, 1984), agli aspetti metacognitivi(Semerari, 2000; Dimaggio, Semerari, 2003), alla dimensione evolutiva della conoscenza individuale (Guidano, Liotti, 1983). Il metodo della terapia cognitiva si e’ anch’esso modificato, da un lato conservando l’eredità culturale di Beck ed Ellis che introdussero un approccio più focalizzato sull’esperienza del paziente – in opposizione ai tradizionali modelli psicoanalitici che l’avevano trascurata a vantaggio delle interpretazioni oggettivanti del terapeuta (Stanghellini, 2004) – e dall’altro estendendo il concetto di attività cognitiva ad altri elementi della conoscenza personale. L’organizzazione narrativa dell’esperienza rientra a pieno titolo fra queste acquisizioni.

 

La metodologia di intervento cognitivista si dedica alla ricerca e all’analisi di elementi specifici dell’attività cognitiva che vengono poi rielaborati; si tratta di una scomposizione dell’esperienza in componenti di base che sono in seguito ricollocati all’interno di uno schema più generale in grado di spiegare il funzionamento del paziente. La costruzione di narrative può avvalersi di tecniche codificate, ad esempio la moviola, oppure svolgersi mediante una ristrutturazione di significato alla quale il terapeuta collabora con interventi che propongono una ridefinizione dell’esperienza del paziente; l’elemento comune e’ però il continuo rimbalzare tra il senso dell’esperienza immediata e la narrazione cosciente di sé. Ogni evento della vita del soggetto rientra infatti in entrambe le modalità di conoscenza; vi e’ una prima reazione comportamentale, cognitiva ed emotiva nella quale vengono applicati schemi di conoscenza del mondo, convinzioni irrazionali, ricordi di esperienze precedenti in apparenza simili, e questo livello può essere affrontato in terapia accrescendo nel paziente le capacità di auto-osservazione, collaborando con lui nell’individuazione degli aspetti disfunzionali per poi strutturare in termini razionali una o più strategie alternative di adattamento all’ambiente; la costruzione di narrative aggiunge a questo passaggio una dimensione dal contenuto più globale, che si riferisce al rapporto fra il dialogo interno e l’immagine di sé (Lenzi, 2009).

Come i ricordi influenzano le emozioni. - Immagine: © adimas - Fotolia.com
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Il paziente viene condotto ad integrare lo stato emotivo dell’esperienza immediata, la spiegazione degli eventi che egli produce monitorando introspettivamente il proprio vissuto e il significato che questo assume per lui in termini di immagine personale, identità, tema di vita. Si attivano vissuti sensoriali, motori, cenestesici, viscerali, neurovegetativi (Lenzi, Bercelli, 2010) che contribuiscono a definire il valore narrativo di un evento, il significato profondo di un’esperienza all’interno della storia peculiare con cui l’individuo rende conto del proprio esistere, del proprio mondo e del tema di vita che lo caratterizza.

Estraendo un episodio dalla vita del paziente per ristrutturarne i contenutie ricollocarlo nel flusso narrativo globale, il lavoro clinico persegue l’integrazione di memoria semantica ed episodica; il paziente, contestualizzando un evento e cogliendo di esso alcuni aspetti che aveva trascurato a causa dell’attivazione di schemi automatici, ridefinisce la qualità emotiva di quell’episodio e l’impatto sull’immagine di sé. Il contesto relazionale e’ fondamentale nel determinare contenuti e modi del racconto (Wiedemann, 1986); le modalità narrative non solo influenzano la percezione che il soggetto ha di sé, ma anche le reazioni degli altri e da esse vengono a loro volta condizionate. Come dire, raccontiamo noi stessi anche attraverso l’effetto che abbiamo suscitato nell’altro e quell’effetto e’ dovuto in parte a come ci siamo raccontati.

 

 

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