expand_lessAPRI WIDGET

Cambiamenti neuropsicologici nei pazienti depressi dopo la terapia cognitivo-comportamentale e la terapia metacognitiva

Uno studio recente (Groves et al., 2015) ha mostrato come la Terapia Metacognitiva riesce a ridurre l’umore depresso e favorisce il cambiamento positivo di funzioni neuropsicologiche come la memoria di lavoro e le funzioni esecutive. Questo risultato positivo è superiore a quello ottenuto in un gruppo di controllo sottoposto a terapia cognitivo-comportamentale.

La Terapia Metacognitiva (MCT; Wells, 2008) è una nuova forma di psicoterapia che ha lo scopo di sviluppare nuovi modi di reagire a pensieri ed emozioni negativi. È particolarmente efficace nel trattamento dei Disturbi d’Ansia e della Depressione e, nonostante le ricerche di efficacia siano ancora limitati, i primi risultati sono molto incoraggianti. Una recente meta-analisi ha mostrato come l’efficacia sia superiore a quella della terapia cognitivo comportamentale (Norman, van Emmerik & Morina, 2014).

In particolare, MCT mira ad aumentare la capacità di governare volontariamente la propria attenzione ostacolando la tendenza a focalizzarsi su segnali negativi come pensieri (es. non ce la faccio più) o sensazioni (es. senso di stanchezza) e la propensione a ruminare sulle proprie difficoltà e il proprio malessere.

Difficoltà a staccare la mente da stati mentali negativi è una delle caratteristiche principali della depressione. La depressione conduce nel tempo a maggiori difficoltà in attività cognitive come le funzioni esecutive e la flessibilità cognitiva, inclusa soprattutto la capacità di concentrarsi su qualcosa di diverso dal proprio malessere. L’esito è la tendenza a finire bloccati in un circuito depressivo.

Uno studio recente (Groves et al., 2015) ha mostrato come la Terapia Metacognitiva riesce a ridurre l’umore depresso e favorisce il cambiamento positivo di funzioni neuropsicologiche come la memoria di lavoro e le funzioni esecutive. Questo risultato positivo è superiore a quello ottenuto in un gruppo di controllo sottoposto a terapia cognitivo-comportamentale.

Questa ricerca preliminare suggerisce che MCT potrebbe avere un vantaggio su terapia cognitivo-comportamentale nel miglioramento delle funzioni esecutive, probabilmente legato al fatto di focalizzare l’intervento sull’incremento della flessibilità mentale.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Recensione di Terapia Metacognitiva dei disturbi d’ansia e della depressione (A. Wells)

 

BIBLIOGRAFIA:

Tracce del Tradimento III: Ossessioni d’amore e perdita dell’amore

RUBRICA TRACCE DEL TRADIMENTO – 03

Ossessioni d’amore e perdita dell’amore

Il dolore che arriva nei nostri studi dovuto al tradimento cercato e fatto è sicuramente ciò che ci ha portato a scrivere. La quantità e la durata della sofferenza che troviamo nelle relazioni d’amore ci colpisce sempre e -quasi- ci spezza il cuore.

Le sofferenze del sentimento rappresentano una parte importante del racconto terapeutico. Se la gelosia patologica rientra nella nosografia psichiatrica solo marginalmente (delirio di gelosia), la sofferenza d’amore, la sofferenza dovuta alla impossibilità di essere in pace in una relazione reciproca è al centro dell’intervento dei terapeuti. Anche se non è diagnosticata.

L’ossessione per la minaccia di perdita del partner è un punto importante della passione d’amore e del nostro lavoro quotidiano. La passione è sinonimo di ossessione, e dipende dalla minaccia della perdita di controllo sul partner. Solo se non c’è sicurezza, se c’è minaccia di perdita può esservi ossessione d’amore. Tuttavia non tutti di fronte alla minaccia di abbandono d’amore reagiscono allo stesso modo. Alcuni soffrono di più, sono colti da uno stupore straziante e temono di morire di questo dolore, non lo ritengono neanche affrontabile e si prestano a qualsiasi umiliazione pur di procrastinare o annullare l’abbandono del partner.

Non crediamo che la differenza sia tanto nella quantità della sofferenza e nemmeno che sia dovuta alla grandezza o alla potenza del sentimento in gioco.

Crediamo semmai che essa stia tutta nella rappresentazione che di fronte alla separazione le persone fanno di se stesse. Se essi si raccontano l’abbandono come la fine dell’esistenza o come un fallimento irrimediabile, sarà molto più difficile affrontarlo.

 

 

Da dove derivano queste diverse posizioni di fronte al vedersi abbandonato o tradito?

Gli studi sulla relazioni familiari suggeriscono che una relazione con i propri genitori, calda, emotivamente appagante e rispettosa (in termini tecnici: un attaccamento sicuro; Bowlby, 1988), sia un protettivo generico dalla costruzione di se come incapace o poco amabile o fallito di fronte al tradimento. Aver avuto dei genitori non critici, non esageratamente invadenti o trascuranti o maltrattanti non garantisce né il benessere psicologico né la felicità, ma facilita in genere la costruzione di una rappresentazione di se come persone decenti e capaci e degne di essere amate e una rappresentazione dell’altro come qualcuno con cui si possa entrare in rapporto in modo reciproco e non spaventosamente minaccioso. Un buon attaccamento non garantisce dalle sofferenze dell’amore, dalle ossessioni amorose, ma le rende curabili e superabili.

 

L’ossessione amorosa

In realtà l’esperienza dell’ossessione amorosa è pur sempre un’esperienza squisitamente umana, formativa e molto ricca. Aver mancato nella vita questa esperienza non è proprio vantaggioso. Ma sappiamo anche che questa sofferenza può essere estremamente distruttiva quando al dolore d’amore si aggiunge una idea di sé come incapace a sopravvivere, una percezione della propria fine, di incapacità ad affrontare il dopo, a ricostruirsi un’esistenza, così come può essere tragico se di fronte all’abbandono d’amore si reagisca con rabbia e ostilità e incolpando il partner dell’abbandono interpretato come un atto malevolo.

Può improvvisamente nascere un sentimento d’impossibilità alla guarigione e alla ricostruzione del futuro. Questo accade per una propria incapacità emotiva e psicologica (e nei casi estremi si può arrivare al suicidio) o per una ostilità mortale verso l’altro che abbandonandoci, non amandoci ci distrugge (e nei casi estremi si può arrivare a ucciderlo).

Di solito le cose non sono però così tragiche e quello che vediamo in terapia è una tendenza alla ripetizione di scelte sentimentali e comportamenti che procurano dolore a se stessi o al partner in modo ripetitivo ma non mortale. Chi ha imparato da qualche parte questa attitudine tende a ripeterla.

Il problema non è quindi la quantità di sofferenza per l’ossessione amorosa ma la sua ossessività correlata insieme a una costruzione di sé come privi di senso e di futuro, al di là dell’ossessione che si sta vivendo.

 

Serena era cresciuta in una famiglia di diplomatici russi che vivevano a Parigi. Un padre esplosivo e anaffettivo aveva da sempre avuto verso di lei un comportamento squalificante e umiliante, la ignorava e se lei si avvicinava per chiedere affetto si allontanava da lei con un viso pieno di disgusto. Egli non aveva però lo stesso comportamento verso sua sorella che invece amava con dolcezza e che riempiva di lodi. Serena era una persona razionale e molto contenuta, così aveva presto imparato a non contare sulla famiglia arrivando a chiedere, al momento delle iscrizioni alle scuole medie, di essere mandata in collegio. La vita di collegio l’aveva rassicurata, anche se sempre più si vedeva capace di affidarsi a se stessa più che ad altri. Aveva vissuto in collegio da sola fino alla laurea. E durante questo periodo i genitori non erano mai andati a trovarla. Si era laureata ed era andata a vivere a Roma dove aveva incontrato un uomo di cui si era infatuata, dopo un breve periodo di seduzione. Egli aveva molto spinto perché lei lasciasse le sue difese e si fidasse di lui lasciandosi andare al rapporto. Lei con grande fatica, illudendosi di aver trovato un grande amore e finalmente un appoggio nella sua vita solitaria, si era lentamente lasciata andare. Improvvisamente, però, quest’uomo, senza alcun motivo comprensibile, era divenuto fisicamente violento e aveva cominciato a tradirla con le poche amiche che lei si era fatta. Lasciando tracce dei tradimenti esplicite e indiscutibili. Tracce di rossetto sulla camicia, messaggi al cellulare. Serena aveva letto questo comportamento come una conferma del suo destino di solitudine e dell’impossibilità di “non essere soli” e aveva fatto, una sera di novembre, un tentativo di suicidio. Soltanto l’ostinazione di un lontano conoscente che non si era spiegato il suo mancato arrivo a una cena di lavoro -lei così scrupolosa e attenta a tenere con tutti rapporti formalmente ineccepibili- le aveva salvato la vita.

 

  • BOWLBY, J. (1988), A Secure Base. Routledge, Londra. Una base sicura. Tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano, 1989.

 

RUBRICA TRACCE DEL TRADIMENTO

Sindrome di Prader Willi (PWS) – Definizione Psicopedia

Con una presa in carico precoce e mirata, i soggetti con Sindrome di Prader Willi riescono a raggiungere discreti livelli di benessere e una buona qualità di vita. Nei casi di discontrollo elevato della condotta alimentare, esistono comunità residenziali specifiche per il trattamento cognitivo e comportamentale.

Malattia genetica rara caratterizzata da sintomi eterogenei sia dal punto di vista clinico che comportamentale. Venne individuata per la prima volta nel 1856 da A. Prader e H. Willi dell’Università di Zurigo, dai quali prende il nome.
La causa accertata viene annoverata ad una delezione sul braccio lungo del cromosoma 15 di derivazione paterna, ovvero a un difetto di copiatura di una parte di DNA.

GENETICA & PSICHEDISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE

L’anomalia genetica è responsabile delle disfunzioni ipotalamiche-pituitarie e dell’alterazione delle funzioni cognitive, da cui derivano diversi sintomi: iperfagia e mancanza del senso di sazietà, squilibrio ormonale con importante impoverimento dell’ormone della crescita (GH), discontrollo degli impulsi e vulnerabilità emotiva, disturbi dell’apprendimento e ritardo mentale generalmente lieve-moderato.

La caratteristica fisica principale della sindrome è l’ipotonia, già presente alla nascita, che provoca difficoltà di suzione e successivamente ritardo nello sviluppo motorio. Tende a diminuire intorno ai 3-4 anni di età.

Incidenza: è stimata 1 persona affetta su circa 10.000-15.000 nati vivi. Per ogni individuo con Sindrome di Prader Willi ce ne sono circa 15-20 con sindrome di Down, 1 con sindrome di William e meno di 1 con sindrome di Angelman.

Segni fenotipici: fronte stretta e prominente, occhi a mandorla con palpebre tendenti verso l’alto, statura bassa, ponte nasale stretto, mani e piedi piccoli.

Caratteristiche cognitive: i soggetti con Sindrome di Prader Willi tendono ad avere performance migliori nell’integrazione di stimoli visivi rispetto a quelli uditivi, la memoria a lungo termine è maggiore rispetto a quella a breve termine e mostrano particolari abilità nella composizione di puzzle.

Aspetti emotivi e comportamentali: possono essere frequenti episodi di discontrollo emotivo, difficoltà a gestire la rabbia e a tollerare frustrazioni anche lievi. Spesso mettono in atto comportamenti oppositivi.

Trattamento: data la variabilità dei sintomi, il trattamento è basato sull’integrazione di vari livelli di intervento:

– Trattamento fisioterapico per sviluppare il tono muscolare, migliorare la motricità grossolana e l’articolazione bucco-facciale.

– Trattamento farmacologico con l’ormone della crescita (GH), al fine di potenziare lo sviluppo psico-motorio e migliorare la qualità di vita dei soggetti.

– Intervento motivazionale di promozione della salute, rivolto sia all’individuo che ai familiari, finalizzato a promuovere uno stile di vita sano, a seguire una dieta equilibrata e a monitorare il comportamento iperfagico.

– Intervento logopedico se è presente un disturbo del linguaggio.

– Intervento psico-educativo precoce mirato all’acquisizione dei pre-requisiti dell’apprendimento, alla gestione dell’impulsività e al controllo della rabbia.

– Visite neuropsichiatriche periodiche in età pediatrica e psichiatriche in età adulta in caso di comorbilità con altri quadri psichiatrici. I più comuni sono: disturbo d’ansia generalizzato, depressione, disturbo ossessivo-compulsivo.

Con una presa in carico precoce e mirata, i soggetti con Sindrome di Prader Willi riescono a raggiungere discreti livelli di benessere e una buona qualità di vita. Nei casi di discontrollo elevato della condotta alimentare, esistono comunità residenziali specifiche per il trattamento cognitivo e comportamentale.

 

BIBLIOGRAFIA:

Depressione Post-Partum: la tecnologia al servizio della diagnosi

FLASH NEWS

Abbiamo già parlato di come, negli ultimi anni, si sia cominciato a pensare ad una nuova forma di trattamento della malattia mentale, che possa avvalersi dei più moderni strumenti forniti dalla tecnologia odierna. Secondo i sostenitori di questo tipo di approccio, tali forme di trattamento, definite anche di mobile healt (mHealt), costituirebbero un valido supporto alle modalità di intervento standard.

Tra i principali vantaggi, la possibilità di una più facile e veloce raccolta di informazioni cliniche. Questo il motivo che ha spinto alcuni ricercatori della University of Illinois a credere che l’utilizzo di TabletPC possa promuovere un approccio globale alla valutazione di disturbi quali la depressione post partum, anche all’interno del sistema di sanità pubblica.

CYBERPSICOLOGIA

La ricerca, nata dalla collaborazione con i responsabili del progetto Champaign-Urbana Public Health District, ha coinvolto circa 3.100 donne e prevedeva la valutazione dei sintomi di depressione post partum tramite l’utilizzo di TabletPC, ciascuno dei quali dotato di una versione dell’Edinburgh Postnatal Depression Scale, un questionario costituito da 10 item comunemente usato nella clinica.

La possibilità di utilizzare una versione elettronica del questionario, solitamente somministrato in forma cartacea, ha permesso, secondo Karen M. Tabb Dina, principale autore dello studio, di mettere in luce come l’utilizzo delle nuove tecnologie possa permettere di superare le barriere linguistiche che in una società sempre più globalizzata continuano tuttavia a persistere nel quotidiano. In questo modo, le donne che hanno preso parte allo studio sono state in grado di compilare il questionario nella lingua nella quale si sentivano più a loro agio, senza dover chiedere aiuto al proprio partner.

Ciò garantisce una migliore raccolta delle informazioni cliniche, che potrebbero altrimenti risultare parziali in quanto alcune donne potrebbero essere riluttanti nel dover chiedere aiuto ad altri per descrivere i propri sintomi.

Sulla base di recenti studi che suggeriscono un’incidenza due volte maggiore di questo disturbo nella fascia di popolazione che vive in una situazione economica più svantaggiata e con un basso livello di istruzione, l’opportunità di poter disporre di un supporto audio per la somministrazione del questionario costituirebbe un vantaggio anche nel rapporto con pazienti dalle limitate capacità di lettura, consentendo loro di rispondere al questionario in maniera autonoma.

Inoltre, la somministrazione in forma elettronica consentirebbe una più rapida elaborazione delle informazioni raccolte, permettendo così un trattamento efficace in tempi più brevi, aspetto cruciale in un contesto di assistenza sanitaria pubblica, in cui spesso il ricambio di pazienti è necessariamente molto veloce.

DEPRESSIONE POST-PARTUM

Superata l’incertezza legata al timore che le informazioni raccolte in questa maniera possano essere più facilmente diffuse ed assicurando quindi una loro memorizzazione all’interno di una banca dati digitale protetta, l’utilizzo di TabletPC potrebbe costituire un utile strumento di supporto alla diagnosi così come al trattamento di diverse forme di disturbo mentale. Senza contare il forte impatto ambientale che deriverebbe dall’implementazione di tale pratica, grazie alla riduzione nel numero di materiale cartaceo utilizzato.

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Curare la depressione post-partum tramite trattamento online

BIBLIOGRAFIA:

Come monitoriamo (male) la distanza dai nostri obiettivi!

Sembra che ci sia una generale tendenza a sovrastimare l’importanza di ogni passo “verso” il nostro scopo e a sottostimare l’importanza degli ostacoli; abbiamo la sensazione che ogni comportamento che facilita l’avvicinamento a un obiettivo abbia un maggiore impatto sull’ obiettivo stesso rispetto allo stesso passo che ci allontana dall’ obiettivo.

Siamo sempre più abituati a ragionare per obiettivi. Da una parte la situazione lavorativa e contrattuale attuale ci spinge a ragionare per step e a valutare il nostro operato sulla base del risultato che ci siamo “portati a casa” giorno per giorno.

Del resto, anche per quanto riguarda la vita privata, la società ci suggerisce caldamente delle tappe da raggiungere sulla base dell’età, del periodo di vita, della zona del mondo che abitiamo…è così che a 25 anni bisogna essere laureati, a 30 sposarsi e mettere su famiglia, a 40 avere una situazione di vita stabile, eccetera. Anche scendendo nello specifico, siamo abituati a risparmiare tot per accantonare la cifra che ci serve per le vacanze, a mangiare tot calorie per perdere quei chili che ci sentiamo di troppo, a allenarci almeno un certo periodo di tempo per mantenerci in forma. Abbiamo ben presente gli obiettivi che ci poniamo, sappiamo suddividerli nel medio e breve termine per poter definire dei sotto-obiettivi più specifici.

Ma come facciamo a valutare come siamo posizionati sulla strada verso gli obiettivi? Quali sono i parametri che utilizziamo? Anche se il monitoraggio dell’obiettivo viene considerato una componente importante per il raggiungimento dei nostri scopi, in realtà la ricerca si è interessata solo marginalmente a questo processo.

Recentemente, Margaret Campbell dell’Università del Colorado e Caleb Warren dell’Università del Texas hanno esplorato questo aspetto in 7 studi mostrando che le persone tendono a distorcere le informazioni che forniscono loro feedback rispetto al perseguimento dei propri obiettivi.

In particolare, sembra che ci sia una generale tendenza a sovrastimare l’importanza di ogni passo “verso” il nostro scopo e a sottostimare l’importanza degli ostacoli; abbiamo la sensazione che ogni comportamento che facilita l’avvicinamento a un obiettivo (risparmiare 50€) abbia un maggiore impatto sull’obiettivo stesso (arrivare a accumulare 200€) rispetto allo stesso passo che ci allontana dall’obiettivo (spendere 50€).

Inoltre, questa distorsione è mediata dalle aspettative che abbiamo rispetto alla possibilità di raggiungere il nostro scopo: più percepiamo l’obiettivo come raggiungibile, più questa distorsione sarà forte; al contrario, se facciamo riferimento a un obiettivo percepito come molto lontano e arduo da ottenere, la distorsione sarà affievolita. L’ipotesi è che questa distorsione sia maggiore se lo scopo viene percepito come più raggiungibile perché si tende a dare più peso alle informazioni (in questo caso positive) che confermano l’ipotesi implicita di riuscita certa.

Gli autori hanno raccolto questi dati in 7 studi, considerando diversi comportamenti finalizzati a un obiettivo, tra cui il risparmio economico, l’alimentazione sana, la perdita di peso e la vincita al gioco d’azzardo. Questo andamento inoltre si è confermato considerando sia obiettivi reali di perseguimento di uno scopo concreto che scopi presentati in brevi storie, sia valutando il proprio progresso che quello altrui verso l’obiettivo e sia quando si trattava di un piccolo miglioramento che quando si trattava di un grande miglioramento verso l’obiettivo.

Gli studi hanno anche indicato che, se in un primo momento questa distorsione può aumentare gli sforzi per il raggiungimento dello scopo (ho la sensazione che mangiando solo cose sane starò molto meglio), nel lungo termine può facilitare l’abbandono a causa di una calibrazione non utile degli sforzi impiegati e di una delusione delle aspettative (credevo che mangiare solo cose sane mi avrebbe fatto stare meglio di così, tanto vale smettere).

Più nello specifico, il fatto che questa distorsione sia di aiuto o sia dannosa rispetto al raggiungimento dell’obiettivo dipende da quanto questo raggiungimento sia funzione della capacità di modificare i propri sforzi in base ai feedback ricevuti piuttosto che della perseveranza a prescindere dai feedback.

Quando la motivazione è forte ma i passi per raggiungere l’obiettivo non sono chiari (come può succedere nel tentativo di perdere peso) allora la distorsione sembra danneggiare l’esito degli sforzi. Al contrario, quando i passi sono chiari ma la motivazione non è forte (come può succedere nel tentativo di raccogliere un certo numero di donazioni per una causa umanitaria), la distorsione può aiutare il perseguimento dell’obiettivo perché può farci percepire più vicini al nostro scopo finale.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Quando i nostri obiettivi in realtà ci allontanano dalla felicità

 

BIBLIOGRAFIA:

Autismo e Religione: ecco cosa ne pensa la dr.ssa Luisa di Biagio

Solo attraverso un percorso educativo sostenuto da una profonda conoscenza del funzionamento autistico è possibile guidare un autistico alla conoscenza della religione e concedergli la possibilità di accoglierla o rifiutarla criticamente e in piena libertà.

L’autismo non è una cultura nel senso antropologico stretto della parola ma funziona come una cultura in quanto incide sui modi in cui tutti gli individui autistici si comportano, comprendono e comunicano con il mondo. Da diversi anni si parla infatti di “cultura autistica” per indicare l’insieme di parametri percettivi e comunicativi che accomunano le persone autistiche di tutto il mondo. Il primo a fare uso di questi termini è stato Theo Peeters, uno dei massimi esperti di autismo al mondo e sicuramente tra i più dediti alla profonda comprensione del funzionamento della mente autistica.

È bene a tal proposito ricordare che l’autismo è uno dei tanti modi di essere persona umana, un modello di organizzazione neurologica che accoglie al suo interno manifestazioni patologiche e non. Ciò che differenzia maggiormente questo modo di essere dalla più comune organizzazione tipica è un sistema sensoriale molto più raffinato che influenza tutti i processi percettivi, compresi quelli che interessano le competenze sociali e comunicative.

Se fino a due secoli fa i criteri comunicativi permettevano alla maggior parte della popolazione autistica di inserirsi senza difficoltà nel tessuto lavorativo, affettivo, politico e sociale, negli ultimi anni i criteri comunicativi si sono ristretti, guidati da una cultura tipica che da prevalente è diventata totalizzante. Bambini che un tempo sarebbero stati ritenuti semplicemente bizzarri ora sono considerati disabili e le proposte terapeutiche a loro indirizzate ambiscono spesso a una normalizzazione di aspetti cognitivi che in realtà dovrebbero essere riconosciuti come punti di partenza per favorire il benessere dell’individuo.

Tra le differenze più marcate tra la cultura tipica e quella autistica vi è una diversa rilevanza attribuita all’implicito e al canale non verbale. Questo canale comunicativo è prioritario per i neurotipici mentre inaccessibile per la maggior parte degli autistici. 

È facile immaginare quindi come la trasmissione di contenuti religiosi, affidata in gran parte alla comunicazione implicita, precluda agli autistici l’intera mole di informazioni culturali religiose.

Altre volte potrebbe invece raggiungerli sotto forma di indottrinamento non libero con il rischio di un’interpretazione letterale di messaggi spesso metaforici, con evidenti conseguenze negative in termini di benessere e salute mentale. Pensate per esempio all’effetto che può avere un messaggio verbale come “il nonno è morto ma ti guarda da lassù” rivolto a un bambino autistico che si attiene al significato letterale della frase. Potrebbe addirittura indurre in lui comportamenti che i clinici meno esperti ricondurrebbero ad un quadro psicotico con conseguenze nefaste per il bambino e la famiglia.

Due sole le conseguenze di tale scenario: rinuncia alla possibilità di godere degli arricchimenti della religione o aderenza letterale, ai limiti del fanatismo, ai precetti religiosi codificati alla lettera senza possibilità di flessibilità o evoluzione.

La persona ne esce comunque privata della libertà di scelta e della possibilità di usufruire liberamente della ricchezza di una vita spiritualmente solida, ove ritenuto liberamente un valore.

Solo attraverso un percorso educativo sostenuto da una profonda conoscenza del funzionamento autistico è possibile guidare un autistico alla conoscenza della religione e concedergli la possibilità di accoglierla o rifiutarla criticamente e in piena libertà. Attualmente chi si occupa di veicolare i valori religiosi, a scuola così come nelle sedi religiose, lo fa secondo parametri neurotipici, ignorando completamente gli aspetti di vulnerabilità degli autistici rispetto a questi temi, tra cui il potenziale fanatismo, la tendenza al rigore normativo e l’inclinazione alla repressione fino all’autolesionismo.

Anche in questo caso la soluzione è una: l’utilizzo di criteri divulgativi fruibili anche dalla popolazione autistica, espressione di una concreta inclusione nella società delle persone con organizzazione neurologica diversa.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

L’Autismo fisiologico. L’intervista alla dr.ssa Di Biagio

 

BIBLIOGRAFIA:

Che cos’è la psicoterapia?

Sigmund Freud University - Milano - LOGO INTRODUZIONE ALLA PSICOTERAPIA (10)

 

 

La psicoterapia è un percorso di trattamento dei disturbi psicologici che si realizza in una serie di incontri con un professionista psicoterapeuta. Lo scopo della psicoterapia è promuovere un cambiamento tale da alleviare in modo stabile alcune forme di sofferenza emotiva. La psicoterapia aiuta la persona a vivere meglio.

Nel panorama nazionale e internazionale esistono molte forme di psicoterapia. Tuttavia solo alcune psicoterapie sono state sottoposte alla sperimentazione scientifica e sono considerate psicoterapie efficaci.

La ricerca in psicoterapia ha lo scopo di comprendere i disturbi psicologici, definire ipotesi di trattamento e verificarne l’efficacia attraverso metodologie rigorose. Attraverso la ricerca in psicoterapia è possibile selezionare i trattamenti che garantiscono maggiore efficacia e sostenere la qualità dei servizi offerti ai pazienti.

Il modello di psicoterapia cognitivo-comportamentale è stato riconosciuto come trattamento efficace per numerosi disturbi psicologici, tanto da essere inserito in molte linee guida nazionali e internazionali (es: USA, Gran Bretagna, Australia; NCCMH, 2011).

La psicoterapia cognitivo-comportamentale rappresenta la psicoterapia di prima scelta nella cura dei disturbi d’ansia, panico, fobia sociale, disturbo ossessivo-compulsivo e della depressione dove mostra efficacia equivalente alla terapia farmacologica con un ridotto tasso di ricaduta nel tempo.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Modelli di psicoterapia di Lorenzo Cionini (2013) – Recensione

2 Aprile: giornata mondiale dell’autismo

2 Aprile: giornata mondiale dell’autismo

Il 2 aprile si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale dell’Autismo per informare e sensibilizzare il pubblico su un disturbo che, un tempo considerato raro, occorre in 1-2 casi su 100.

L’autismo è caratterizzato da severi deficit della comunicazione sociale e comportamenti ripetitivi e stereotipati che possono avere un impatto devastante sul funzionamento psicosociale della persona. I costi diretti e indiretti per il supporto delle persone con autismo sono elevatissimi: per l’Italia non sono disponibili stime, ma ad esempio nel Regno Unito i costi diretti (quali interventi sanitari, educativi o sociali), uniti ai costi per la produttività persa, sono stimati attorno ai 28 miliardi £ (Barrett et. al. 2012).

Sappiamo dalla ricerca che interventi educativi e comportamentali precoci e percorsi di consulenza psicoeducativa per genitori e insegnanti sono metodi di trattamento efficaci che possono migliorare gli esiti a lungo termine delle persone con autismo (Magiati, Tay & Howlin 2012; Oono 2013).

Tuttavia, l’accesso al trattamento in Europa è molto limitato. Molte famiglie, particolarmente se di livello socioeconomico basso, non ricevono alcun trattamento (Salomone et. al. 2015a). Altre utilizzano trattamenti di medicina complementare ed alternativa, nella maggior parte non testati, inefficaci o pericolosi (Salomone et. al. 2015b).

In occasione della giornata mondiale dell’autismo il prestigioso Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry ha pubblicato un documento per promuovere un approccio al trattamento e all’educazione inclusivo, basato sui diritti delle persone e sulle evidenze scientifiche.

Il documento, intitolato “Disturbo dello Spettro Autistico: dieci regole di base per aiutarmi” si rivolge alle persone con autismo e alle loro famiglie, agli operatori sanitari, agli educatori e agli insegnanti, ai politici e alle istituzioni di tutto il mondo ed è disponibile in open access in 39 lingue  (Fuentes 2014, qui, traduzione italiana a cura di Salomone e Muratori, qui).

C’è ancora molto da fare per garantire l’accesso a trattamenti efficaci e fondati sull’evidenza, in Italia e nel mondo. Liste di attesa, distanza geografica dai pochi centri specializzati e mancanza di integrazione tra le agenzie coinvolte sono alcune delle difficoltà che le famiglie di bambini con autismo devono quotidianamente affrontare.

Per superare queste complessità, si stanno sperimentando in tutto il mondo modalità di erogazione del trattamento in teleassistenza, cioè tramite supporto di piattaforme online (videochiamate e accesso a materiali online).

In Piemonte, il progetto PLAY Psychology Lab for Autism in Young People ha raccolto la sfida. A breve il lancio del progetto, a cura della psicologa ricercatrice Erica Salomone e in collaborazione con le Aziende Sanitarie Locali CN1 e TO3.

Keep posted!

 

ARTICOLO CONSIGLIATO: 

Che trattamento ricevono i bambini con autismo in Europa?

 

BIBLIOGRAFIA:

5 Borse di Studio 2015/2016 per l’iscrizione alla laurea Magistrale in Psicologia Clinica

Sigmund Freud University MIlano - Corso di Laurea in Psicologia

Bando di concorso per l’assegnazione di una borsa di studio per l’esonero totale e quattro borse di studio per l’esonero parziale a studenti meritevoli ammessi al primo anno del Corso Biennale di Psicologia Clinica nell’ A. A. 2015/2016.

La Sigmund Freud University, allo scopo di favorire l’accesso degli studenti meritevoli ai corsi di studio in Psicologia presso la sede di Milano, assegna, a titolo di liberalità, 1 borsa di studio per l’esonero totale e 4 borse di studio per l’esonero parziale dal pagamento della retta annua base per l’iscrizione al primo anno del Corso di Laurea Biennale in Psicologia Clinica nell’a.a. 2015/2016.

Le borse sono assegnate ai primi 5 studenti di una graduatoria basata sul voto di laurea di un Corso Triennale di Psicologia.

La borsa sarà confermata nel secondo anno di corso agli studenti in regola con gli esami del primo anno, che abbiano ottenuto una media non inferiore a 27/30.

La retta annua base è pubblicata sul sito di Sigmund Freud University, sede di Milano, vedi: Calcolo della retta annua e modalità di pagamento.

Requisiti per la partecipazione

Saranno considerati idonei al presente concorso i candidati in possesso dei seguenti requisiti:

  • laurea in Psicologia conseguita negli anni 2014 e 2015 a seguito della frequenza di un Corso Triennale Classe L – 24 con punteggio di laurea non inferiore a 99/110.
  • attestato di reddito annuo famigliare inferiore a 70.000 Euro (l’attestato di riferimento è il certificato ISEE – Indicatore della Situazione Economica Equivalente- rilasciato da INPS. Altri documenti o modalità di attestazione del reddito saranno sottoposti alla valutazione insindacabile della Direzione)
  • esito positivo del colloquio di ammissione al primo anno del Corso di Laurea Biennale in Psicologia Clinica nell’a.a. 2015/2016

Graduatoria

La graduatoria è formata in base al voto di laurea espresso in centesimi. La laurea con lode vale 101/100. In caso di parità la precedenza in graduatoria sarà data al reddito inferiore.

Assegnazione delle Borse di Studio

La graduatoria è composta dagli studenti che sosterranno il colloquio di ammissione entro il 10 Settembre 2015.

La graduatoria sarà pubblicata il 15 Settembre sul sito online di Sigmund Freud University Milano e le borse saranno così assegnate:

  • lo studente classificato al primo posto in graduatoria avrà diritto all’esonero totale dalla retta annua base.
  • gli studenti classificati al secondo e al terzo posto avranno diritto all’esonero dal 50% della retta annua base.
  • gli studenti classificati al quarto e al quinto posto avranno diritto all’esonero dal 30% della retta annua base.

Le borse saranno confermate ai vincitori al momento dell’iscrizione che deve avvenire entro il 30 settembre 2015.

La graduatoria sarà nuovamente pubblicata il 1° Ottobre con l’esclusione dei nomi degli aventi diritto che a quella data non avranno completato l’iscrizione. La nuova graduatoria indicherà l’assegnazione definitiva delle borse a quanti, tra gli aventi diritto, avranno completato l’iscrizione.

Se, per effetto delle mancate iscrizioni degli aventi diritto, lo studente classificato entro i primi cinque nella prima graduatoria si troverà nella nuova in una posizione che comporta un esonero più consistente rispetto a quello della prima, avrà diritto all’esonero corrispondente a quest’ultima. L’eventuale differenza rispetto alla rata di iscrizione sarà rimborsata.

Agli studenti esclusi dall’esonero nella prima graduatoria e che, per effetto della mancata iscrizione di alcuni degli aventi diritto, rientreranno nei primi 5 posti della nuova graduatoria, saranno assegnati gli esoneri corrispondenti alla nuova posizione raggiunta e potranno usufruirne completando l’iscrizione entro il 15 Ottobre.

Rinnovo delle Borse per il secondo anno

La borsa ottenuta per l’a.a. 2015/2016 potrà essere confermata per il secondo anno di corso a condizione che lo studente al termine della sessione autunnale degli esami di profitto del primo anno sia in regola con gli esami previsti dal piano di studi e abbia conseguito una votazione media ponderata non inferiore a 27/30.

Per saperne di più visualizza il sito internet della Sigmund Freud University.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Prof. Philip Zimbardo – My Journey from Evil to Heroism

5 Borse di Studio 2015/2016 per l’iscrizione alla laurea Triennale in Psicologia

Sigmund Freud University MIlano - Corso di Laurea in Psicologia

Bando di concorso per l’assegnazione di una borsa di studio per l’esonero totale e quattro borse di studio per l’esonero parziale a studenti meritevoli ammessi al primo anno del Corso Triennale di Psicologia nell’ A. A. 2015/2016.

La Sigmund Freud University, allo scopo di favorire l’accesso degli studenti meritevoli ai corsi di studio in Psicologia presso la sede di Milano, assegna, a titolo di liberalità, 1 borsa di studio per l’esonero totale e 4 borse di studio per l’esonero parziale dal pagamento della retta annua base per l’iscrizione al primo anno del Corso di Laurea Triennale in Psicologia nell’a.a. 2015/2016.

Le borse sono assegnate ai primi 5 studenti di una graduatoria basata sul voto del diploma di istruzione secondaria superiore.

La borsa sarà confermata per i successivi due anni di corso agli studenti in regola con gli esami, che abbiano ottenuto una media non inferiore a 27/30.

La retta annua base è pubblicata sul sito di Sigmund Freud University, sede di Milano, vedi: Calcolo della retta annua e modalità di pagamento.

Requisiti per la partecipazione

Saranno considerati idonei al presente concorso i candidati in possesso dei seguenti requisiti:

  • diploma di istruzione secondaria superiore quinquennale (o quadriennale con un anno integrativo) conseguito nell’anno scolastico 2014/2015.
  • attestato di reddito annuo famigliare inferiore a 70.000 Euro (l’attestato di riferimento è il certificato ISEE – Indicatore della Situazione Economica Equivalente- rilasciato da INPS. Altri documenti o modalità di attestazione del reddito saranno sottoposti alla valutazione insindacabile della Direzione)
  • esito positivo del colloquio di ammissione al primo anno del Corso di Laurea Triennale in Psicologia nell’a.a. 2015/2016

Graduatoria

La graduatoria è formata in base al voto del diploma di scuola superiore, espresso in centesimi. In caso di parità la precedenza in graduatoria sarà data al reddito inferiore.

Assegnazione delle Borse di Studio

Entreranno nella graduatoria gli studenti che ne faranno richiesta in occasione del colloquio di ammissione entro il 10 Settembre 2015.

La graduatoria sarà pubblicata il 15 Settembre sul sito online di Sigmund Freud University Milano e le borse saranno così assegnate:

  • lo studente classificato al primo posto in graduatoria avrà diritto all’esonero totale dalla retta annua base.
  • gli studenti classificati al secondo e al terzo posto avranno diritto all’esonero dal 50% della retta annua base.
  • gli studenti classificati al quarto e al quinto posto avranno diritto all’esonero dal 30% della retta annua base.

Le borse saranno confermate ai vincitori al momento dell’iscrizione che deve avvenire entro il 30 settembre 2015.

La graduatoria sarà nuovamente pubblicata il 1° Ottobre con l’esclusione dei nomi degli aventi diritto che a quella data non avranno completato l’iscrizione. La nuova graduatoria indicherà l’assegnazione definitiva delle borse a quanti, tra gli aventi diritto, avranno completato l’iscrizione.

Se, per effetto delle mancate iscrizioni degli aventi diritto, lo studente classificato entro i primi cinque nella prima graduatoria si troverà nella nuova in una posizione che comporta un esonero più consistente rispetto a quello della prima, avrà diritto all’esonero corrispondente a quest’ultima. L’eventuale differenza rispetto alla rata di iscrizione sarà rimborsata.

Agli studenti esclusi dall’ esonero nella prima graduatoria e che, per effetto della mancata iscrizione di alcuni degli aventi diritto, rientreranno nei primi 5 posti della nuova graduatoria, saranno assegnati gli esoneri corrispondenti alla nuova posizione raggiunta e potranno usufruirne completando l’iscrizione entro il 15 Ottobre.

Rinnovo delle Borse negli anni successivi

La borsa ottenuta per l’a.a. 2015/2016 potrà essere confermata per i successivi due anni di corso a condizione che lo studente sia in regola con gli esami previsti dal piano di studi entro la sessione autunnale corrispondente al suo anno di corso e abbia conseguito una votazione media ponderata non inferiore a 27/30.

Per saperne di più visualizza il sito internet della Sigmund Freud University.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Corso di Perfezionamento: Comprendere e Gestire il Comportamento Criminale

ADHD: un fattore di rischio per l’obesità

FLASH NEWS

L’ADHD potrebbe essere un fattore di rischio per l’obesità. È quanto sostiene uno studio recentemente pubblicato sul Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry che evidenzia il legame tra l’essere meno propensi a impegnarsi in attività fisiche da bambini e la maggiore probabilità di diventare obesi in adolescenza.

Un’affermazione di questo tipo potrebbe sembrare contraddittoria visto che, nell’immaginario collettivo, il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) è associato all’idea di un bambino sempre in movimento, irrequieto mentre l’obesità è legata alla pigrizia e all’immobilità. Eppure Alina Rodriguez e i suoi colleghi hanno seguito 6500 bambini tra gli 8 e i 16 anni e hanno osservato che il 9% di coloro che mostravano sintomi di ADHD avevano anche una maggiore tendenza a diventare adolescenti indolenti e obesi.

Perché proprio gli iperattivi sono meno inclini all’esercizio? Secondo l’autrice dello studio i bambini con ADHD sono più “agitati” (squirmy) che vivaci quindi fanno fatica a concentrarsi e a regolare il proprio comportamento o controllare gli impulsi in funzione degli obiettivi da raggiungere, del tempo a disposizione o delle richieste esterne, è dunque per loro difficile impegnarsi con costanza nello sport e passano più tempo degli altri bambini a guardare la televisione riducendo così ulteriormente il movimento.

Ovviamente non è intento degli autori indicare questa come la causa diretta dell’obesità, ma è importante sottolineare quanto fondamentale sia l’esercizio e la pratica di un’attività costante durante l’infanzia e dunque a scuola, in un ottica non solo di prevenzione ma anche di educazione alla cura della salute fisica e mentale.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Il Disturbo da deficit dell’Attenzione con Iperattività (ADHD) nell’età evolutiva: le strategie psicopedagogiche

 

BIBLIOGRAFIA:

Premio Internazionale per Ricerche su Trauma e Disturbi della Personalità: il premio per i giovani ricercatori

Istituto di Scienze Cognitive

Premio Internazionale per Ricerche su Trauma e Disturbi della Personalità

 

In occasione del Secondo Congresso su Attaccamento e Trauma che si terrà al Teatro Brancaccio di Roma il 25, 26 e 27 settembre 2015, l’Istituto di Scienze Cognitive Isc, ha istituito un Premio internazionale per il migliore giovane ricercatore nell’ambito del Trauma e dei Disturbi della Personalità.

Il premio consiste nell’assegnazione di un fondo di 10.000 euro destinato a finanziare lo sviluppo delle attività di ricerca del vincitore. Un Comitato scientifico presieduto dallo psichiatra Antonio Onofri e composto da nomi illustri nell’ambito della psicoterapia e delle neuroscienze selezionerà i lavori per arrivare all’assegnazione entro il 5 settembre.

La ricerca prescelta verrà poi presentata al pubblico il 25 settembre, prima giornata del Congresso al Teatro Brancaccio.

Dice Alessandro Carmelita, presidente dell’Istituto di Scienze Cognitive che organizza il secondo Congresso su Attaccamento e Trauma:

Con questo Premio vogliamo stimolare i giovani psicoterapeuti a sviluppare percorsi di ricerca/terapia sempre più originali e innovativi capaci di rispondere alla complessità delle patologie che derivano dai traumi e dai disturbi dell’attaccamento. L’ iniziativa dell’ISC vuole essere coerente con la sua attività di promozione del confronto internazionale e della dialettica tra nuovi approcci psicoterapeutici.

 

Per candidarsi al Premio sono richiesti i seguenti requisiti:

  • avere non più di 40 anni compiuti (in caso di parità, il premio sarà assegnato al ricercatore più giovane);
  • avere pubblicato come primo nome almeno i dati preliminari di una ricerca riguardante l’area del trauma, dell’attaccamento e/o della personalità (si considera come pubblicazione anche un lavoro presentato e accettato da una rivista, con lettera comprovante l’impegno della rivista alla prossima pubblicazione);
  • tra i nomi della ricerca pubblicata non dovranno comparire le personalità facenti parte del Comitato Scientifico che assegnerà il premio.

 

La ricerca sarà valutata in base ai seguenti criteri:

  • correttezza metodologica dello studio;
  • significatività dei risultati;
  • originalità dell’indagine;
  • aderenza al tema dell’attaccamento, del trauma e/o della personalità;
  • rilevanza dei dati presentati per la ricerca futura e/o per le implicazioni cliniche.

I partecipanti dovranno far pervenire, attraverso raccomandata con ricevuta di ritorno, i propri elaborati alla segreteria dell’ISC, in via Carlo Felice 5, 07100, Sassari oppure via posta certificata all’indirizzo: [email protected], entro e non oltre il 10 luglio 2015. Entro il 10 settembre il Comitato scientifico renderà noto il vincitore.

 

Del Comitato Scientifico fanno parte:

Arnoud Arntz, Pat Ogden, Allan Schore, Kathy Steele, Stephen Porges, Russel Meares, Isabel Fernandez, Antonio Onofri (Presidente), Giovanni Liotti, Eckhard Roediger, Stephen Doering, Giancarlo Dimaggio, Daniel Siegel, Peter Fonagy, Edward Tronick, Fabio Veglia, Alessandro Carmelita

Per maggiori informazioni clicca qui

DALL’ARCHIVIO: CONGRESSO ATTACCAMENTO E TRAUMA 2014

 

Sigmund Freud University MIlano - Corso di Laurea in Psicologia

 

Gli articoli e le risorse su: Attaccamento
Intervista a Gianni Liotti - State of Mind - I grandi clinici italiani
Psicoterapia Cognitiva – Intervista a Gianni Liotti
State of Mind intervista Gianni Liotti, Psichiatra e Psicoterapeuta. Socio Fondatore della SITCC, Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva
Attaccamento sicuro-guadagnato: cosa permette il cambiamento
L’attaccamento sicuro-guadagnato: perché un’infanzia avversa non è un destino ineluttabile
Come fanno gli adulti con una storia di attaccamento insicuro a raggiungere un attaccamento sicuro-guadagnato? Quali condizioni lo rendono possibile?
Sistema di gratificazione: il ruolo chiave nell'interazione tra adulti e bambini
Adulti e bambini: le interazioni che gratificano
Il sistema di graficazione si attiva nel cervello di un adulto che si prende cura di un bambino, favorendo una vicinanza indispensabile alla sopravvivenza
Alessitimia: quali sono le ricadute sulla relazione terapeutica - Psicoterapia
Identikit del paziente con alessitimia – Le ricadute sulla relazione terapeutica
I pazienti con alessitimia tendono al ritiro e ad una limitata condivisione, sembrando riluttanti nell'ingaggiarsi in una relazione terapeutica.
Traditi dal cuore (2015): liberarsi dalla dipendenza affettiva - Recensione
Traditi dal cuore (2015): come può il nostro cuore trarci in inganno? Comprendere la dipendenza affettiva per curare le ferite del cuore – Recensione del libro
Nel libro Traditi dal cuore, di Luca Napoli, viene spiegato cos'è la dipendenza affettiva e come è possibile affrontare questo problema in terapia.
Attaccamento sicuro nella diade padre-bambino: uno sguardo oltre la responsività paterna 
Una recente ricerca ha esaminato l'associazione tra alcuni comportamenti paterni durante il gioco e il futuro attaccamento padre-bambino
Immagine: Fotolia_64985752_Affido familiare la sfida della co-genitorialità. Tra processo di separazione e attaccamento
Affido familiare: la sfida della co-genitorialità. Tra processo di separazione e attaccamento
L'affido consiste nell'inserimento del minore in una famiglia diversa da quella di origine in prospettiva di un rientro del minore nella famiglia di origine
Attaccamento: le conseguenze sullo sviluppo cerebrale - Neuroscienze
Genitorialità e neuroscienze: gli abbracci che danno nutrimento
Le risposte dei genitori al bisogno di attaccamento dei propri figli si ripercuotono sul loro sviluppo cerebrale e sulle connessioni sinaptiche.
Attaccamento: l'eredità dei costrutti di Bowlby - Una conversazione tra Karin Grossmann e Grazia Attili
Attaccamento: l’eredità dei costrutti di Bowlby – Una conversazione tra Karin e Klaus Grossmann e Grazia Attili – Roma, 30 ottobre 2015
Il 30 ottobre 2015 si è tenuto un seminario, al quale hanno partecipato Klaus e Karin Grossmann e Grazia Attili che si sono confrontati sull'attaccamento.
La relazione madre bambino un micro cosmo diadico. - Immagine: ©-Svetlana-Fedoseeva-Fotolia.com
La relazione Madre-Bambino: un micro-cosmo diadico
Diade madre-bambino: mondo chiuso all’esterno e ricco al suo interno definito dai confini stessi della diade in cui le prime relazioni sono fini a se stesse
Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche
Attaccamento Romantico & Stile Genitoriale
Attaccamento Romantico: Un buon partner sarà anche un buon genitore: esiste una relazione tra attaccamento romantico e stile genitoriale?
Attaccamento e trauma 2015
Attaccamento e Trauma 2015 – La cronaca del Convegno
Nel corso del convegno Attaccamento e Trauma innumerevoli esperti si sono alternati sul palco: il loro contributo è stato di ispirazione per il pubblico.
Genitorialità e attaccamento i cambiamenti legati alla nascita di un figlio
Tra genitorialità e attaccamento
La genitorialità non coincide con la nascita di un figlio, ma è il risultato dell'elaborazione e riorganizzazione delle proprie esperienze di vita e vissuti
Stili di attaccamento: la loro influenza sulle decisioni finanziarie
La correlazione che non ci si aspetta: come gli stili di attaccamento influenzano le decisioni finanziarie
Gli stili di attaccamento influenzano in modo decisivo le nostre vite, ma come si possono mettere in relazione con i comportamenti finanziari?
Alessitimia e psicopatologia: un'analisi evolutiva - L’alessitimia in età evolutiva - Immagine: 79577625
Alessitimia e psicopatologia: un’analisi evolutiva – L’alessitimia in età evolutiva
I bambini, come gli adolescenti e gli adulti alessitimici, hanno una relazione con sé e con il mondo esterno che esclude ogni riferimento a stati emotivi. %%page%%
Attaccamento e Trauma nuove frontiere della ricerca e della pratica clinica
Attaccamento e Trauma: le nuove frontiere della ricerca e della pratica clinica – Congresso 2022
Congresso "Attaccamento e Trauma": da Venerdì 30 Settembre a Domenica 2 Ottobre 2022. Evento dal vivo e in diretta streaming. Accreditamento ECM
Poster Assisi Costanzo Frau
Stili di attaccamento, sintomi dissociativi e credenze psicopatologiche relative all’ansia – Assisi 2013
Stili di attaccamento, sintomi dissociativi e credenze psicopatologiche relative all’ansia: uno studio correlazionale. Lavoro presentato ad Assisi 2013
Attaccamento, attenzione e regolazione emotiva
Attaccamento, attenzione e regolazione emotiva: cosa guardo di ciò che vedo?
Gli individui con attaccamento insicuro possono utilizzare, di fronte alle minacce, strategie iper-attivanti o de-attivanti per regolare il tema doloroso.
Ruolo dell’ attaccamento e del temperamento nello sviluppo di dipendenze patologiche - Forum di Assisi 2015
Ruolo dell’ attaccamento e del temperamento nello sviluppo di dipendenze patologiche – Forum di Assisi 2015
Obiettivo del presente studio è indagare l'attaccamento e il temperamento come caratteristiche protettive o favorenti lo sviluppo di dipendenze patologiche
Sistemi motivazionali interpersonali: osservarli attraverso il tango
It takes two to tango: i sistemi motivazionali interpersonali, in Milonga
La danza come espressione della natura umana ci consente di osservare alcuni importanti processi psicologici come i sistemi motivazionali interpersonali
Carica altro

Clinical Neuropsychiatry Award: premio in palio per il miglior contributo di ricerca alla pratica clinica psichiatrica

Clinical Neuropsychiatry

Clinical Neuropsychiatry Award

 

Il Premio Internazionale dell’importo di 2000 Euro, messo in palio dalla Giovanni Fioriti Editore, verrà assegnato all’autore dell’articolo che abbia dato il più importante contributo alla pratica clinica psichiatrica. 

Gli articoli da segnalare devono essere stati pubblicati nel periodo dal 1° Novembre 2014 al 31 Maggio 2015 su Journal of Clinical Neuropsychiatry.

Per maggiori informazioni consultare il sito internet www.clinicalneuropsychiatry.org

La locandina del Premio:

 

Sigmund Freud University MIlano - Corso di Laurea in Psicologia

Neuroscienze:
PNEI: Psiconeuroendocrinoimmunologia. Intervista a Francesco Bottaccioli
Alla scoperta della PNEI. Intervista a Francesco Bottaccioli
La psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) è la disciplina che studia le relazioni bidirezionali tra psiche e sistemi biologici.
Schizofrenia e neuroni: il ruolo della vitamina D
La carenza di vitamina D può influire negativamente sulla crescita dei neuroni dopaminergici e aumentare il rischio di schizofrenia
La regolazione emotiva nella depressione quali aree cerebrali sono attivate? - Immagine: 69491454
La regolazione emotiva nella depressione: quali aree cerebrali sono attivate?
Neuroscienze: le caratteristiche neurocognitive di due modalità di regolazione emotiva, il reappraisal e l'accettazione emotiva, in pazienti depressi.
L'ADHD e i suoi sottotipi il contributo delle più recenti tecniche di neuroimmagine - Immagine: 77919065
L’ADHD e i suoi sottotipi: il contributo delle più recenti tecniche di neuroimaging
Un'innovazione è rappresentata dallo studio della sostanza bianca che consente di creare immagini 3D particolarmente vivide delle connessioni cerebrali
Il funzionamento cognitivo nella sclerosi multipla
Il funzionamento cognitivo nella sclerosi multipla
Tra i sintomi clinici della sclerosi multipla rientra anche la compromissione degli aspetti cognitivi, tra cui attenzione, funzioni esecutive e memoria
Lucidità paradossale e demenza: la consapevolezza prima della morte
Un momento di consapevolezza prima della morte: la lucidità paradossale nei pazienti con demenza
La lucidità paradossale è un episodio di lucidità inaspettata, spontanea e rilevante in un paziente con demenza che a volte si manifesta prima della morte
Verso una nuova critica d'arte. Immagine ©z6q6hcopertina Missana per sito
BOOKTRAILER: Verso una nuova critica d’arte – La neuroestetica e Kandinsky di Barbara Missana (2014)
BOOKTRAILER: Verso una nuova critica d'arte - La neuroestetica e Kandinsky: studio della neuroestetica. (2014) di Barbara Missana - Estetica - Neuroscienze
Genetica e neuroscienze nei lungimiranti brani di Franco Battiato
Battiato ai tempi delle Neuroscienze
Già nel 1971 Franco Battiato cantava le prospettive della manipolazione genetica sull’essere umano. In che direzione proseguono gli studi sul genoma?
La Deprivazione di Sonno influenza l’Espressione Genica. -Immagine:© Ljupco Smokovski - Fotolia.com
La Deprivazione di Sonno influenza l’Espressione Genica
Una quantità insufficiente di sonno si ripercuote sui meccanismi fisiologici di reazione allo stress, sulla risposta immunitaria e su quella infiammatoria.
Disturbi alimentari: il ruolo del circuito di reward nella restrizione alimentare
Disturbi alimentari e anomalie nel circuito del reward
Disturbi alimentari: Frank, DeGuzman e colleghi, con uno studio recentemente pubblicato su JAMA Psychiatry, hanno cercato di capire meglio i circuiti neurali coinvolti nei disturbi dell'alimentazione. Il circuito del reward sembra avere un ruolo centrale
Lettura e neurobiologia: cosa accade nel nostro cervello mentre leggiamo
Neurobiologia della lettura: nuove tracce da scoprire pagina dopo pagina
La lettura riflette un’abilità tipicamente umana, che richiede il funzionamento di numerose aree del cervello, confermando un significativo salto evolutivo
Il disturbo ossessivo compulsivo: le ricerche genetiche, neurobiologiche ed immunologiche
Si ritiene che il disturbo ossessivo-compulsivo abbia eziologia multifattoriale, coinvolgendo fattori genetici, neurobiologici, psicologici e immunologici
State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicoogiche - Flash News
La qualità del sonno e le cure genitoriali ricevute influenzano le funzioni esecutive nel bambino
Secondo lo studio, una buona qualità del sonno del bambino e delle cure genitoriali ricevute influenzano positivamente le funzioni esecutive dei figli
Anche i papà possono essere brave mamme - Immagine: Fotolia_53631569
Anche i papà possono essere brave mamme
L'esperienza di accudimento dei figli mobilita anche nel padre le stesse reti cerebrali che si attivano nella madre, sia pure con alcune differenze minori.
stimolazione cerebrale non invasiva per la bulimia nervosa
­­La stimolazione cerebrale non invasiva può alleviare la sintomatologia bulimica
La stimolazione cerebrale non invasiva - tDCS - `e in grado di diminuire, se non proprio sopprimere, i sintomi della bulimia nervosa.
Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche
L’ Autoconsapevolezza di Sé dipende da Network Neuronali
L’ autoconsapevolezza corrisponde a processi neuronali che non possono essere localizzati in una o più regioni distinte del cervello
Alzheimer: verso nuove terapie per rallentarne il decorso - Neuroscienze
Siamo vicini a trovare nuove terapie per rallentare il decorso dell’Alzheimer?
I ricercatori affermano che migliorare la trasmissione sinaptica sarà la chiave per risolvere la cognizione compromessa nella malattia di Alzheimer.
Orientamento spaziale: scoperto un nuovo neurone che consente di orientarsi
La scoperta di un neurone “di quartiere” che favorisce l’orientamento
Un team di ricerca ha identificato un neurone che potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nelle capacità di orientamento spaziale dell'uomo.
Attività fisica: può ridurre i sintomi motori del morbo di Parkinson
L’ attività fisica riduce i sintomi motori del morbo di Parkinson
Uno studio ha dimostrato che se i pazienti affetti dal morbo di Parkinson svolgono regolarmente attività fisica si riducono i sintomi motori della malattia.
Neurodiversità: significato e nascita del termine e il relativo dibattito
Neurodiversità: verso la valorizzare delle risorse, nel rispetto delle differenze. Dalla storia del termine all’odierno dibattito
La neurodiversità spiega, nel suo senso più ampio, lo sviluppo neurologico atipico come una normale variazione naturale del cervello umano
Carica altro

Dopo il disastro aereo Germanwings: Aerofobia e Depressione

Il suicidio di Lubitz è una perversa protesta finale contro la vita, un modo di imporre al mondo la propria sofferenza che non è un congedo dalla vita.

 

Già ci hanno pensato sulle pagine de Il Post a chiarire che dare del “depresso” a Andreas Lubitz non ci aiuta a capire quel che è successo. Noi nella disgrazia del volo Germanwings vediamo piuttosto una grande perdita di controllo, non solo pratico, ma soprattutto emotivo. Un intervento che si fa spesso con chi ha la fobia degli aerei e del volo (aerofobia o aviofobia) con chi ci chiede un trattamento perché da anni non riesce più a prendere l’areo, è far notare come, in termini di sicurezza, l’aereo sia il mezzo di trasporto più sicuro. Viaggiare in auto è dalle quattro alle dodici volte più pericoloso, e un passeggero dovrebbe effettuare una media di circa 5,3 milioni di voli prima di imbattersi in un incidente (International Air Transport Association).  

Questo intervento razionalizzante ha senso a inizio terapia per familiarizzare con il cliente e iniziare a normalizzare l’ansia, ma raramente è questo l’intervento decisivo. La valutazione razionale dei rischi certamente aiuta. Il lato emotivo del problema però è un altro paio di maniche.

Sarà il distacco da terra, la situazione di clausura e di completo affidamento a degli estranei, il personale di volo. Chi soffre di aerofobia va incontro a due situazioni ansiose: il timore dei giorni precedenti il volo, o anche dei mesi precedenti, dalla decisione iniziale di volare ai giorni immediatamente precedenti. Oppure uno stato di ansia acuta durante il volo, legato alla sensazione di costrizione.

Il primo caso appartiene per lo più a un quadro di disturbo di ansia generalizzato o di agorafobia, il secondo a un disturbo di panico. Nel primo caso si ha più una focalizzazione cognitiva del pensiero sul timore di volare, nel secondo uno spavento acuto con forti aspetti fisiologici: battito cardiaco, sudorazione, tremore, perdita di sensi.

Il trattamento è più sulla gestione degli stati emotivi che sull’analisi razionale dei rischi. L’esposizione al volo, sia virtuale che poi concreta, è un momento fondamentale della terapia. L’esposizione virtuale può essere effettuata sia verbalmente dal terapista, sia utilizzando software con simulatori di volo e videogiochi. Si tratta di apprendere a gestire la sensazione di perdita di controllo e di allentamento dall’ambiente normale e sicuro (Triscari e Van Gerwen, 2011).

Tornando a Lubitz, su di lui si possono fare tutte le ipotesi psicologiche. La depressione non è sufficiente a comprendere un atto che ha coinvolto altre 149 persone, rendendole vittime del suo malessere. Per quanto in ogni suicidio ci sia un aspetto dimostrativo, il suicidio depressivo è un atto di definitivo congedo dalla vita, di definitivo nascondimento.

LEGGI ARTICOLI SUL TEMA DEL SUICIDIO / IDEAZIONE SUICIDARIA

Il suicidio di Lubitz, invece, è una perversa protesta finale contro la vita, un modo di imporre al mondo la propria sofferenza che non è un congedo dalla vita. Possiamo immaginare una personalità narcisista dietro l’estremo desiderio di lasciare dietro di sé una traccia così forte. O anche una personalità paranoidea, una tendenza a sentirsi perseguitato, osservato e deriso, che ha generato questa protesta finale.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Incidente aereo di Tenerife: le dinamiche di gruppo e l’influenza della cultura organizzativa

 

BIBLIOGRAFIA:

I Disturbi del Comportamento Alimentare: Report dal congresso SOPSI 2015, Milano

Speciale SOPSI 2015

Report dal Corso ECM precongressuale:

I disordini del Comportamento Alimentare: aspetti psicopatologici e clinici specifici e aspecifici

 

Difficile, ancora, parlare di guarigione e il criterio di remissione più importante rimane il recupero del peso, ma non può essere l’unico dato, come conferma l’esperienza clinica. Il miglioramento deve essere anche funzionale: cognitivo, relazionale e sociale. Difficile anche parlare di dimissione e sospensione della terapia.

La psiconeuroendocrinologa F. Brambilla ha moderato il corso sui DCA che si è svolto la prima giornata del 19esimo Congresso della Società Italiana di Psicopatologia (SOPSI) tenutosi a Milano.

Le esposizioni hanno avuto come filo conduttore i fattori specifici e aspecifici che intervengono durante l’esordio, il decorso, il mantenimento e nella remissione dei Disturbi del Comportamento Alimentare, in un’ottica psicopatologica, neurobiologica, medica, cognitiva e terapeutica. A chiusura una review su un Disturbo Alimentare di cui si conosce ancora poco: l’Anoressia Riversa o Bigoressia.

G. Abbate – Daga, “La psicopatologia dei disordini del comportamento alimentare in relazione alle psicopatologie maggiori”.

Il rapporto tra DCA e psicopatologie è un rapporto complesso, influenzato dalla storia clinica del paziente, dal livello di malnutrizione e dal decorso. Dalla letteratura emergono dati preoccupanti: i sintomi precipitanti la diagnosi di DA sembrerebbero essere l’iperattività, l’abuso di diuretici e lassativi, la ritualizzazione dei comportamenti e il purging estremo. La qualità di vita in questa popolazione sarebbe compromessa al pari di quella di pazienti con patologie cardiovascolari e addirittura peggiore rispetto ai pazienti psicotici.

Non stupisce invece che i disturbi psicopatologici più significativamente rappresentati siano i disturbi dell’umore, seguiti da quelli di ansia. Considerati i diversi fattori coinvolti è difficile stabilire se gli aspetti psicopatologici che affiancano il DA siano un danno della malattia o la radice del disturbo. La ricerca non offre ancora certezze: a seconda degli studi, precederebbero l’esordio del DA dal 25 al 71% dei casi.

Tratti personologici del cluster B e C del DSM IV-TR inoltre, affiancano spesso i sintomi psicopatologi e in alcuni casi le convinzioni su cibo e forma corporea possono assumere carattere delirante. L’alta comorbilità ha serie implicazioni nel decorso e nell’esito dei DA: favorisce lo switch della diagnosi dal continuum restrittivo a quello del discontrollo degli impulsi, i sintomi psicopatologici non rispondono efficacemente ai farmaci d’elezione e spesso permangono anche dopo la remissione della sintomatologia alimentare, infine vi è una correlazione più alta col rischio suicidario. Ne consegue l’importanza di una valutazione che sia attenta alla gerarchia dei sintomi, in modo da far seguire un trattamento che integri i diversi modelli di intervento.

A. Tortorella, “Aspetti neurobiologici specifici e aspecifici dei DCA”.

La ricerca scientifica non ha ancora trovato evidenze definitive che confermino l’associazione tra determinati geni e DCA, tuttavia, sembra che i geni del recettore 5-HT2A e del fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (BDNF) siano implicati nel determinismo della vulnerabilità biologica ereditaria dell’Anoressia Nervosa. Questi polimorfismi portebbero a un’iperstimolazione del meccanismo che riduce il senso di sazietà. I modulatori dei meccanismi genetici, inoltre, influirebbero anche sui livelli di ansia, sull’umore, sul comportamento impulsivo e sui processi cognitivi.

Dalle ricerche che utilizzano il Brain Imaging, sono emerse differenze funzionali a livello dei circuiti dopaminergici e serotoninergici, dovute ad alterazioni in differenti zone cerebrali, come la corteccia frontale, l’insula, l’amigdala e il nucleo striato. Rimane difficile, se non impossibile stabilire se queste alterazioni, per esempio quella evidenziata a carico del circuito della ricompensa nell’AN, siano una conseguenza del disturbo o se siano legati a fattori che precedono l’esordio, come ad esempio la malnutrizione, perchè l’espressione genetica è ambiente dipendente. Per quanto numerosi, i risultati attualmente non sono omogenei per una serie di criticità: la numerosità dei campioni, l’eterogeneità clinica delle diagnosi, le differenze metodologiche alla base delle ricerche, gli studi ormai datati, perchè mai replicati o ampliati.

F. Brambilla, “Complicanze organiche nei DCA”

Le alterazioni fisiche nei DA non influiscono solo sui parametri vitali, ma anche sulla strutturazione del pensiero, come illustrerà la dr.ssa Favaro nel suo intervento. Per questo è fondamentale intervenire sul sottopeso e la malnutrizione prima di poter intervenire con un intervento psicoterapeutico. I danni possono essere conseguenti alla malnutrizione sia quantitativa, che qualitativa: mentre le AN eliminano i cibi “ingrassanti”, BN e BED tendono a scegliere cibi che piacciano, piuttosto che cibi nutritivi. I danni organici possono essere anche una conseguenza dei comportamenti compensatori, che portano ad una compromissione nelle pazienti AN di tutti i sistemi, nelle BN più compromessi risultano il sistema elettrolitico, renale, cardiaco, gastoesofageo, dentale e polmonare. Nel BED, che a partire dal DSM 5 è entrato a far parte dei DA, i danni sono invece correlati all’obesità: diabete, patologie cardiovascolari, osteoartrosi, colelitiasi, insufficienza respiratorie e malattie neoplastiche. Più è precoce l’esordio, più frequenti sono le complicanze mediche. La mortalità è del 15-18%, nelle AN.

C. Segura Garcia, “Aspetti terapeutici specifici e aspecifici dei DCA”.

Le linee guida attualmente non offrono indicazioni su una terapia elettiva nel trattamento dei DCA. Il gold standard rimane l’integrazione di un intervento individuale associato alla possibilità di confronto di gruppo e a un intervento sulla famiglia, specie se l’età dei soggetti è giovane. Tra quelle utilizzate, si sono dimostrate più indicate la terapia cognitivo – comportamentale, la terapia interpersonale, quelle di stampo psicoanalitico e la terapia familiare.

Gli studi presenti in letteratura risentono comunque di varie criticità come la scarsità di studi randomizzati, la numerosità dei campioni, la durata delle terapia, i follow up e l’identificazione di criteri specifici della guarigione.
La terapia deve articolarsi su diversi livelli di trattamento a seconda della fase di malattia, della diagnosi e dell’età del soggetto, a partire dalla scelta del setting, forse l’aspetto più specifico nel trattamento dei DCA. La gestione ambulatoriale si è dimostrato il setting migliore dal punto di vista costo efficacia rispetto a quella ospedaliera, che però si rende necessaria in caso di frequenti condotte di abbuffate con purging, complicanze organiche o presenza di un ambiente sociale sfavorevole. Il ricovero (fino a 90 giorni) sembra essere più efficace all’esordio del DA, ma bisogna motivare adeguatamente il paziente ad affrontare questo tipo di percorso, dalle statistiche sui TSO si evidenzia, infatti, una risposta al trattamento peggiore nei due anni successivi. Il dato non stupisce: i soggetti risultano più gravi dal punto di vista psichiatrico, più complessi per un’elevata comorbilità con altri disturbi, hanno una rete sociale più povera e un maggiore tasso di mortalità a 5 anni dalla dimissione. Alla degenza è importante far seguire appuntamenti in regime di Day Hospital per mantenere una continuità terapeutica.

E’ di primaria importanza stabilizzare le pazienti AN con una terapia nutrizionale mirata, da somministrarsi, a seconda della necessità, attraverso pasti sorvegliati, integratori orali, sondino nasogastrico o nutrizione parenterale, che preveda un aumento graduale delle calorie, a cui affiancare terapie mediche specifiche per le complicazioni organiche a carico dei diversi sistemi. Un fattore aspecifico è sicuramente la terapia psicofarmacologica sui sintomi che precedono l’esordio del DCA. I farmaci impiegati sono gli SSRI, citalopram, fluoxetina e stabilizzanti dell’umore.

La psicoterapia rappresenta un altro intervento fondamentale per la cura dei DCA. Ogni intervento deve essere personalizzato, in considerazione della gravità clinica e delle caratteristiche personologiche. E’ necessario inoltre affiancare all’intervento individuale, una terapia gruppale, sia espressiva, che supportiva e il coinvolgimento dei familiari nel percorso terapeutico.

La dr.ssa Segura cita le tecniche più recenti impiegate nel trattamento dei DCA, buoni risultati sta ottenendo la Cognitive Remedation Therapy, volta al potenziamento di funzioni neurocognitive come: attenzione, memoria di lavoro, flessibilità cognitiva, pianificazione e delle funzioni esecutive connesse al funzionamento sociale, che nei DCA vanno incontro a compromissione.  Questo tipo di terapia viene impiegata con buoni risultati in soggetti con lesioni cerebrali e schizofrenici. E’ mportante anche la prevenzione primaria con interventi mirati su adolescenti che promuovano l’autostima, a partire dai 15 anni di età e che coinvolgano i soggetti in maniera interattiva.

A. Favaro, “Brain Imaging e funzioni cognitive nelle pazienti Anoressiche”.

Le funzioni cognitive nell’AN sono rigide e alterate, probabilmente a causa dello stato di malnutrizione, connesso all’atrofia cerebrale, in particolare della sostanza bianca. Le alterazioni sono numerose: vi è una difficoltà a disimparare qualcosa di imparato (reversal learning). E’ presente un deficit di coerenza centrale ovvero un’incapacità di pensare al globale, per una fissazione sul dettaglio. La memoria visiva è povera. Le capacità decisionali sono scarse, in particolare queste pazienti prediligerebbero la scelta di soluzioni che portano a ricompense nel breve termine, piuttosto che utilizzare strategie per ottenere un vantaggio maggiore a lungo termine. Le soluzioni al problema sono caratterizzate da perseveranza, non permettono quindi una curva di apprendimento.

Anche il ritiro sociale e le difficoltà relazioni sono aspetti connessi all’alterazione dei processi funzionali adattativi: non terrebbero conto, infatti, del contesto esterno, ma si baserebbero solo sul contesto interno, motivo per il quale è difficile arrivare a una ristrutturazione cognitiva in terapia. Vi è una carenza di empatia, determinata dalla malnutrizione, che porta a uno stile di pensiero top-down e una disfunzione libica significativa, anche se i risultati delle ricerche sono discordanti su quest’ultimo dato, che comunque rimane poco indagato. L’unico fattore ad essersi dimostrato predittivo rispetto al decorso dell’AN sarebbe quello della flessibilità cognitiva: ovvero la capacità di ristrutturare spontaneamente le proprie conoscenze in modo da adattarsi all’ambiente.

Per quanto alcune di queste funzioni, tendano a  migliorare con l’aumentare del peso, altre invece sembrerebbero essere indipendenti nell’AN e rimarrebbero compromesse, per un miglioramento bisogna utilizzare tecniche specifiche, come la già citata Remediation Therapy, che permette di modificare la metacognizione e migliorare la risposta al trattamento.

S. Bertelli, “I disordini del comportamento alimentare nel sesso maschile”

L’AN maschile, conosciuta anche come Anoressia Riversa o Bigoressia è un disturbo la cui prevalenza è in aumento. Fino al DSM IV-TR l’83 % di diagnosi di AN maschile ricadeva nella categoria NAS, nel nuovo manuale è stata fatta rientrare nella categoria “Disturbo Evitante/Restrittivo dell’assunzione di cibo” insieme al disturbo dell’Ortoressia.

I criteri indicati nel DSM V per il Disturbo Evitante/Restrittivo dell’assunzione di cibo sono i seguenti:

A. Una anomalia dell’alimentazione e della nutrizione (ad es. assenza di interesse per l’alimentazione o per il cibo; evitamento basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo) che si manifesta attraverso una persistente incapacità di assumere un adeguato apporto nutrizionale e/o energetico associata con una o più delle seguenti:

1) Significativa perdita di peso o nei bambini incapacità a raggiungere il peso relativo alla crescita.

2) Significativa carenza nutrizionale

3) Dipendenza dalla nutrizione enterale o da supplementi nutrizionali orali.

4) Marcata interferenza col funzionamento psicosociale.

B. Il disturbo non è connesso con la mancanza di cibo o associato a pratiche culturali.

C. Il disturbo non si manifesta esclusivamente nel corso di anoressia o bulimia nervosa e non vi è evidenza di anomalia nel modo in cui è percepito il peso e la forma del proprio corpo.

D. L’anomalia non è meglio attribuibile a una condizione medica o ad un altro disturbo mentale. Se il disturbo alimentare si manifesta nel corso di un altro disturbo, la sua importanza supera quella del disturbo di base e richiede attenzione clinica.

A cui si aggiungono i criteri specifici per l’Anoressia Riversa:

– Autopercezione di gracilità, eminentemente maschile.

– Comportamento alimentare alterato.

– Abuso di integratori, anabolizzanti e diete iperproteiche.

– Esercizio fisico compulsivo.

L’esperienza clinica è su questo disturbo ancora scarsa, i soggetti non arrivano nei centri specializzati, forse a causa del doppio stigma: soffrire di un disturbo psichiatrico considerato femminile oppure per maggiore accettazione sociale. Dalla letteratura è emerso un aumento, negli ultimi anni, del 10%, di problemi legati alla nutrizione in bambini e adolescenti maschi. Rispetto alle femmine non sembra preponderante l’alterazione dell’immagine corporea o la ricerca della magrezza, quanto il desiderio di un corpo delineato e muscoloso e una riduzione della massa grassa. Ne deriverebbe un’alimentazione più selettività, che restrittiva o il digiuno.

L’insoddisfazione corporea si tradurrebbe in un attività sportiva intensa. I DCA differiscono tra uomini e donne anche per fattori di rischio, presentazione clinica e comorbilitá. Sui fattori causali, nell’esordio maschile, peserebbero maggiormente l’influenzamento da parte dei mass media e le esperienze di derisione.

Altri fattori di rischio nei maschi sarebbero parametri biologici come altezza, peso e pubertà. Il BMI ideale all’esordio sarebbe più basso. Vi sarebbero meno sintomi somatici, DOC e ansia, ma maggiori livelli di depressione e livelli di autostima più bassi. Tra le caratteristiche personologiche: alti punteggi nella Novelty Seeking e punteggi più bassi in Harm Avoidance, Reward Dependance e Cooperativeness. Sull’esordio potrebbe pesare anche un evento traumatico: nei veterani e persone con PTSD vi è, infatti, un’incidenza maggiore di DCA.

Anche se non è stata riscontrata nessuna differenza sui metodi di compensazione, la gravità clinica sarebbe maggiore, i dati sulla mortalità sembrerebbero comunque sovrapponibili. Studi recenti ipotizzano che uno dei fattori coinvolti potrebbe essere l’orientamento omosessuale o una difficoltà di orientamento sessuale, con una prevalenza che andrebbe dal 15 al 50% dei casi, ma il dato non è stato confermato in tutti gli studi. In misura maggiore rispetto al campione femminile ne risulterebbe negli uomini un calo di prestazione sessuale (anche autoerotica), che potrebbe essere però  legata all’uso di sostanze steroidee e anabolizzanti.

L’aumento della prevalenza del disturbo alimentare nel sesso maschile ha portato non solo a nuove categorie diagnostiche, ma anche alla necessità di codificare nuovi strumenti, visto che quelli attuali sono tarati sulla popolazione femminile. E’ del 2012 il primo strumento per porre la diagnosi nei maschi: l’Eating Disorder Assessment for Men EDAM; Stanford SC, Lamberg R.

Dal corso emerge una concordanza nel riconfermare la difficoltà e la complessità di cura di questi pazienti, che non rispondono adeguatamente ai farmaci, ma bisognano di un trattamento integrato che in contemporanea agisca sulla sintomatologia psicopatologica e sulla malnutrizione.

Difficile, ancora, parlare di guarigione e il criterio di remissione più importante rimane il recupero del peso, ma non può essere l’unico dato, come conferma l’esperienza clinica. Il miglioramento deve essere anche funzionale: cognitivo, relazionale e sociale. Difficile anche parlare di dimissione e sospensione della terapia. La prof. Brambilla conclude i lavori ricordando alla sala che la cura dei Disturbi della Condotta Alimentare richiede molta energia, molta passione e una grande tolleranza alla frustrazione.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

I disordini del comportamento alimentare nelle diverse età della vita – SOPSI 2014

Adolescenza, emozioni e competenze per la vita: Life Skills

Se è vero che le life skills sono competenze necessarie ed essenziali durante tutto il ciclo di vita, è anche vero che è soprattutto in adolescenza, periodo di enorme crescita globale dell’individuo e ricerca di senso oltre che di Sé, che queste competenze hanno bisogno di essere monitorate dagli adulti, implementate e valorizzate.

Quante volte sentiamo insegnanti e genitori dire ai propri alunni o ai propri figli Pensa con la tua testa! o anche Ragiona di prima di agire! oppure Mettici un po’ di immaginazione, un po’ di fantasia in quello che scrivi!

In quel caso, gli adulti stanno chiedendo agli adolescenti di attivare alcune delle loro life skills: competenze ampie, complesse, trasversali, che coinvolgono le emozioni, il ragionamento logico ed astratto, le capacità di analisi e di presa di decisone. Si tratta infatti di competenze di vita, in quanto favoriscono durante tutto l’arco di vita l’adattamento delle persone al proprio contesto socio-culturale (cfr. Skills for health: An important entry-point for health promoting/child-friendly schools, OMS, 2004).

Sono passati quasi 20 anni da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato Life skills education for children and adolescents in school (OMS, 1997) ma le life skills rimangono un elemento fondamentale di buona parte degli interventi psicopedagogici rivolti agli adolescenti dentro e fuori alle mura scolastiche.

Se è vero che le life skills sono competenze necessarie ed essenziali durante tutto il ciclo di vita, è anche vero che è soprattutto in adolescenza, periodo di enorme crescita globale dell’individuo e ricerca di senso oltre che di Sé, che queste competenze hanno bisogno di essere monitorate dagli adulti, implementate e valorizzate.

Le Life skills investono prima di tutto l’ambito emotivo: consapevolezza di sè, gestione delle emozioni e gestione dello stress sono quelle competenze che consentono all’individuo di avere coscienza dei propri stati emotivi, dei propri vissuti interiori e dei propri pensieri, favorendo la capacità di mettere in atto strategie, interne o esterne, di conseguente regolazione dei propri comportamenti e azioni.

In adolescenza, alcune emozioni complesse vengono sperimentate per la prima volta mentre altre esperienze emotive, già conosciute nelle precedenti fasi di sviluppo, si colorano di nuove sfumature: basti pensare all’enorme, spesso spropositato, investimento emotivo ed affettivo rivolto al mondo dei pari, non più compagni di gioco ma compagni di vita, ricercati come specchi della propria immagine, desiderati per riempire buchi di autostima, temuti come giudici di popolarità. L’adolescenza è anche l’età dell’ambivalenza emotiva; mai come in questa fase della vita gli affetti sono polarizzati, quasi manichei (Palmonari, 2001), e coesistenti nel qui ed ora.

I labirinti dell’universo affettivo e la fluidità con cui le emozioni si trasformano anche in breve tempo, rendono gli adolescenti meno preparati alla gestione efficace di questa complessità e quindi più bisognosi di strumenti per riconoscere e comunicare le emozioni.

Spesso la prima difficoltà riguarda proprio il lessico emotivo, in quanto gli adolescenti confondono agitazione con ansia oppure la tristezza con la preoccupazione (Goleman, 1995; Nussbaum, 2004). Nel narrare episodi conflittuali tra pari, gli adolescenti spesso descrivono con parole simili a queste la conclusione dei fatti: Era molto arrabbiato con me, e io con lui, quindi, forse, non siamo più amici. E’ chiaro da queste semplici parole, la facilità con cui gli adolescenti confondono l’emozione contingente a un evento specifico e limitato nel tempo, la rabbia, con l’annullamento o la compromissione di un affetto più profondo e quindi più duraturo, come l’amicizia.

Vissuti emotivi passeggeri ma profondi possono generare confusione, in un circolo vizioso di emozioni, pensieri negativi e comportamenti a rischio messi in atto come tentativo di controllo della situazione; Lewinsohn e collaboratori (1998) hanno stimato che circa il 28% degli adolescenti americani sotto i 19 anni ha sperimentato almeno un episodio di depressione maggiore, con aumento del rischio di comportamenti autolesivi, violenti o suicidari.

Gli ultimi 15 anni di ricerca empirica sui risultati ottenuti dai programmi di prevenzione life skills-based hanno dimostrato la validità a breve e medio tempo di tali programmi in diversi ambiti di intervento con gli adolescenti: dalla prevenzione dell’uso di tabacco, alcol e sostanze psicotrope alla prevenzione del bullismo, all’implementazione delle competenze scolastiche e della motivazione allo studio (Botvin & Griffn, 2004; Unicef, 2012)

Aiutare gli adolescenti a leggere e comprendere le sfumature del mondo emotivo, così come a distinguere emozioni transitorie da affetti consolidati, significa allenarli a una migliore coscienza del proprio mondo interiore, alla tolleranza emotiva e alla resistenza allo stress (Marmocchi, Dall’Aglio & Zannini, 2004), competenze trasversali, adattive e quindi utili in tutto l’arco di vita.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Il mondo degli adolescenti: la transizione dall’infanzia all’età adulta – Psicologia

 

BIBLIOGRAFIA:

La profezia che si auto-avvera – Introduzione alla Psicologia Nr.09

Sigmund Freud University - Milano - LOGO  INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA (09)

 

 

Si chiama self fulfilling prophecy, meglio nota come profezia che si auto-avvera, o che si auto-adempie, insomma, è una sorta di magia fattibile da tutti e attuabile con una serie azioni che portano inevitabilmente a farla avverare.

 

Come fare? Ecco le istruzioni: provate a pensare a un qualcosa che volente non si verifichi in questo momento, continuate a pensare a questa cosa concentrandovi esclusivamente su essa, poi lasciatevi invadere dall’emozione che possa realmente verificarsi, quando l’ansia sale provate a cercate una soluzione. Ben presto sarete consci che si sta attuando proprio quale comportamento insensato che determina il compiersi della profezia.

La profezia che si auto-avvera è uno dei fenomeni più noti e più studiati in psicologia sociale. Il sociologo Merton ne parlò per la prima volta negli anni ‘70, ed è stata anche riprodotta sperimentalmente a dimostrazione dell’influenza che esercitano le convinzioni sulla costruzione della realtà. Infatti, pensiamo agli effetti dell’ipnosi sulla comunicazione di massa o all’effetto placebo, succede che chi subisce questo comportamento ottiene esattamente quello che vorrebbe si verificasse, a conferma della grande potenza della suggestionabilità umana.

In sostanza, le profezie auto-avveranti incidono significativamente sulla visione che gli individui hanno di loro stessi, del loro modo di apparire con gli altri e con il mondo. Per questo si creano schemi stabili, rigidi, di comportamento che ovviamente si ripeteranno nel tempo confermando la propria visione delle cose.

Ad esempio:

  • La Sig.ra X pensa che prima o poi il suo matrimonio finirà. Quindi si comporta come se fosse già finito, e così lo fa effettivamente finire perché mette in atto una serie di comportamenti che portano alla lite e generano discordia al punto da mettere una reale fine allo stesso.
  • Il Sig. Y si convince di non essere in grado di passare un esame. Studia, ma al momento dell’esame è così agitato che non riesce a rispondere neanche alle domande più facili, e chiaramente non supera l’esame.

Lo stesso meccanismo funziona anche con i gruppi e le collettività. A esempio qualche mese fa i media comunicarono che i titoli di stato non avevano più la stessa rendita di un tempo e la gente si affrettò a vendere quello che aveva. A quel punto non valevano realmente più nulla.

La profezia che si auto-avvera, però, funziona anche in senso positivo. Per esempio, con i sondaggi preelettorali: si dà per vincente o in crescita un partito, questo fatto incoraggia alla preferenza e i voti crescono fino a poter raggiungere la vetta della vittoria.

Funziona anche nella scuola: i docenti utilizzano comportamenti più funzionali nei confronti di studenti promettenti che seguiranno con maggiore enfasi e il risultato sarà riuscire a ottenere migliori rendimenti in seguito a una maggiore autostima sviluppata.

La profezia che si auto-avvera ricorre spesso nel nostro immaginario: dalla leggenda di Edipo al Macbeth di Shakespeare tutte storie dall’esito già annunciato. Ma sono situazioni che si presentano spesso, infatti, a tutti è capitato di percepire una situazione come problematica e di mettere in atto comportamenti che portavano esattamente alla conferma della pericolosità della situazione.

Insomma, le definizioni di una situazione e i comportamenti attuati, fanno parte della situazione stessa che ci sta spaventando e può portare all’epilogo famigerato. Infatti, quelli che a noi sembrano solo conseguenza sono, in realtà, le cause che permettono di far percepire noi stessi come responsabili nel momento in cui continuiamo a evocare i comportamenti dannosi che porteranno alla concretizzazione della paura.

 

 

RUBRICA: INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA

Sigmund Freud University - Milano - LOGO

Come ansia e senso di colpa influenzano la tua lista delle cose da fare

FLASH NEWS

La chiave per raggiungere con successo gli obiettivi della nostra lista di cose da fare, risiede nell’essere consapevoli dell’energia che possiamo investire per ciascuno dei nostri progetti, grandi o piccoli che siano. Dobbiamo concedere tanta attenzione ad ogni progetto, senza sensi di colpa o rimorso.

Avete un elenco delle cose da fare? La vostra lista sembra non finire? A tutti sarà successo almeno una volta di aver appuntato una serie di cose da fare come “mandare mail”, “comprare gli ingredienti per l’insalata” che poi finiscono a far parte della lista di domani. Siamo sicuri che il non aver adempiuto le attività prefissate e il rimandarle siano dati dalla mancanza di tempo? Potremmo aver pensato anche che il tempo di un giorno è troppo poco.

Uno studio pubblicato sul Journal of Marketing Research, dà notizie incoraggianti per coloro che come noi sentono di non aver fatto proprio tutto come ci si era promessi.

Gli autori sostengono che non è la mancanza di tempo che non consente di fare tutto ma una sorta di riequilibrio emotivo. Nello specifico se si scomponessero  tutti gli item segnati nella lista di cose da fare in minuti o ore, probabilmente si troverebbe che, in termini di durata, si potrebbe fare tutto in questa settimana.

Potrebbe per esempio accadere che in quei 45 minuti rimandi  lo yoga a domani sera, quindi hai intenzione di stare a casa perché ti senti emotivamente vuoto, o peggio, oppure ti senti in colpa perché potresti usare quel tempo a scrivere e mandare  il tuo c v. o peggio che i soldi che stai spendendo in lezioni di yoga potrebbero essere più utili per comprare nuove tende per la stanza dei tuoi bambini?

Secondo gli autori, è nelle situazioni come queste in cui sei emotivamente in conflitto che l’ansia prende il sopravvento facendoti credere di non avere tempo necessario per fare tutto.

Alcune emozioni, in particolare provare sensi di colpa per il modo in cui spendiamo il nostro tempo o provare paura per un eventuale perdita di denaro, generano uno stress tale da far sentire la pressione del tempo più di quanto effettivamente sia. Questa pressione per il tempo può avere molte conseguenze negative come la difficoltà a dormire e la depressione.

Se la gente si concedesse una pausa per respirare o una forma di evasione dalla fonte di stress affrontandola con luce più positiva, si potrebbe godere del tempo in modo più felice e salutare.

Per lo studio, i ricercatori hanno chiesto ai partecipanti di elencare i compiti che potrebbero impegnare del tempo considerevole e poi immaginare di completare questi compiti. Quando i partecipanti sentivano che certe attività erano in conflitto con altre (anche solo emotivamente o economicamente), l’ansia aumentava  per cui sentivano di essere più a corto di tempo.

Gli autori notarono che l’ansia aumentava in presenza di un conflitto, sia in situazioni in cui in realtà si riscontrava una carenza di tempo, sia in situazioni in cui il tempo a disposizione era sufficiente.

La chiave, dunque, per raggiungere con successo gli obiettivi della nostra lista di cose da fare, risiede nell’essere consapevoli dell’energia che possiamo investire per ciascuno dei nostri progetti, grandi o piccoli che siano. Dobbiamo concedere tanta attenzione ad ogni progetto, senza sensi di colpa o rimorso.

I ricercatori hanno suggerito ai partecipanti della ricerca due semplici strategie utili per ridurre i sentimenti di pressione dati dalle scadenze e dal tempo a disposizione: respirare lentamente e ricanalizzare alcuni sentimenti di stress lavorativo in emozioni più produttive come l’eccitazione. Entrambe le tecniche hanno aiutato i partecipanti a sentirsi meno prigionieri del tempo.

Gli autori concludono suggerendo di guardare con attenzione ad ogni elemento della nostra lista subito dopo averla stilata e chiedersi quanta energia emotiva sarebbe necessaria per ciascuno di essi.

Il tutto si potrebbe fare decidendo di non sentirsi in colpa. Ad esempio, se volessimo mettere da parte 20 minuti domani per piegare la biancheria,  dovremmo dedicarci completamente a farlo, pensando che si sta facendo qualcosa di valore ed evitando di impiegare la nostra energia pensando a cosa si potrebbe fare in alternativa.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Sei sotto stress? Potresti assumere comportamenti rischiosi alla guida!

 

BIBLIOGRAFIA:

cancel