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Attaccamento, attenzione e regolazione emotiva: cosa guardo di ciò che vedo?

Gli individui con attaccamento insicuro possono utilizzare, di fronte alle minacce, strategie iper-attivanti o de-attivanti per regolare il tema doloroso.

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 30 Mar. 2015

Quale ruolo ha l’attenzione nella regolazione emotiva e più propriamente nelle strategie iper-attivanti e de-attivanti? In poche parole, cosa le persone con attaccamento insicuro imparano a guardare di ciò che vedono?

Ciò che noi guardiamo della realtà che ci circonda (come usiamo la nostra attenzione) ha un peso sui processi che hanno a che fare con la regolazione emotiva.

Le Teorie dell’Attaccamento (Bowlby, 1973; 1980; 1982) descrivono come le strategie di regolazione emotiva siano influenzate dalla relazione con la figura d’attaccamento (FdA). La strategia primaria di regolazione emotiva è la ricerca di prossimità con la figura d’attaccamento.

Quando la prima strategia fallisce, strategie secondarie entrano in campo (Mikulincer et al., 2003). Gli individui con atteggiamento insicuro hanno imparato da esperienze infantili che la ricerca della prossimità con l’altro non allevia il disagio, quindi provano altre strategie. Queste strategie secondarie si dividono in due categorie: (1) strategie iper-attivanti e (2) strategie de-attivanti (Mikulincer et al., 2003; Malik, Wells & Wittkowski, 2015).

Individui con attaccamento ansioso utilizzano strategie iper-attivanti in risposta a una figura di attaccamento ambivalente. Le strategie iper-attivanti tipiche dell’attaccamento ansioso riguardano la pretesa di prossimità e cura da parte delle figure di attaccamento con espressioni emotive drammatiche, ipervigilanza rispetto alle minacce e alla separazione dalla FdA, processi cognitivi di rimuginio e ruminazione che mantengono vivi stati emotivi di allarme e disagio.

Per individui con attaccamento evitante, la ricerca della prossimità con una figura di attaccamento è costantemente frustrata poiché assente e incapace di una prossimità emotiva. Ridurre la ricerca e bastare a se stessi permette di allontanare l’esperienza dolorosa della frustrazione. Le strategie de-attivanti tipiche dell’attaccamento evitante coinvolgono: creare una distanza emotiva dagli altri, scarsa attenzione alle proprie vulnerabilità e ai segnali di minaccia a breve, medio e lungo termine, soppressione di pensieri e dei ricordi stressanti, lotta e fuga dal rischio di dipendere dagli altri.

Strategie iper-attivanti e de-attivanti hanno un impatto diretto sulla regolazione emotiva. Nel primo caso l’emotività è drammatizzata, nel secondo è ridotta al minimo se non totalmente annullata.

Ma quale ruolo ha l’attenzione nella regolazione emotiva e più propriamente nelle strategie iper-attivanti e de-attivanti? In poche parole, cosa le persone con attaccamento insicuro imparano a guardare di ciò che vedono? Su questo tema non esiste a oggi molta ricerca sperimentale. Tuttavia gli studi su attaccamento e attenzione possono comunque offrire suggerimenti per nuove prospettive di ricerca e suggeriscono una propensione a una rigida fissazione attentiva.

Nelle strategie iper-attivanti l’attenzione è cronicamente focalizzata sulla minaccia. Gli individui sono costantemente vigili e tesi a monitorare potenziali segnali di minaccia sia rispetto ai propri stati interni (emozioni e pensieri negativi) sia rispetto a relazioni interpersonali (segni di rifiuto, disapprovazione, abbandono). Questo piano di gestione dei propri stati interni li rende dei natural threat monitorers (NTM; Malik, Wells & Wittkowski, 2015). Il risultato di questo costante utilizzo dell’attenzione, indipendentemente da una reale condizione di minaccia, genera uno stato di tensione e sofferenza emotiva. Gli individui con attaccamento ansioso guardano ciò che può essere minaccioso e cercano di reagire per prevenire uno stato mentale doloroso conseguente alla realizzazione della minaccia.

Nelle strategie de-attivanti l’attenzione è cronicamente focalizzata sul mantenimento delle condizioni di sicurezza e su stimoli che possono garantirla. Solitamente si tratta di contesti relazionali e intrapersonali che sono conosciuti e che garantiscono la sensazione di essere a posto con se stessi. L’attenzione è volta a monitorare questi segnali per accertarsi della loro presenza e lo sforzo teso a mantenerli. Talvolta il contesto di sicurezza è garantito dall’adesione a rigide regole oppure a una immagine pubblica (es. vincente).

In altre situazioni il contesto di sicurezza è conferito da uno stato alterato di coscienza, figlio dell’uso di sostanze o di attività assorbenti. Il raggiungimento di queste condizioni è garantito dalla presenza di stimoli interni o esterni e sono questi su cui l’individuo con attaccamento evitante si focalizza. Non c’è spazio per l’esplorazione, stimoli inerenti la minaccia, esterna o interna, vengono ignorati mantenendo l’attenzione focalizzata nella direzione opposta (natural threat suppressors, NTS; Moss et al., 2015).

Entrambi i piani di uso dell’attenzione hanno similitudini poichè rappresentano due modi diversi di evitare il dolore emotivo del percepirsi inconsolabili o destabilizzati da una minaccia che soverchia le proprie risorse e senza la prossimità di una figura di supporto. Questo tipo di sofferenza che può avere coloriture differenti a seconda della storia di vita può essere definito come tema doloroso (Ruggiero & Sassaroli, 2013).

Vediamo di descriverli con una metafora, quella del semaforo. Il tema doloroso è rappresentato dalla luce rossa. I Natural Threat Monitorer sono fissati sulle luci gialle, segnale che il tema doloroso potrebbe scattare da un momento all’altro se non si interviene per passare oltre (oppure per smontare il semaforo). I Natural Threat Soppressor sono fissati sulle luci verdi per cercare di mantenersi costantemente in prossimità di questa zona di comfort. Il disagio emerge improvviso e destabilizzante nel momento in cui la luce verde si spegne o si perdono questi segnali attivando una spasmodica attività di ricerca mentale e fisica.

NTM e NTS condividono alcune caratteristiche: (1) l’uso dell’attenzione è rigido, persistente e pervasivo, (2) sono entrambi piani di regolazione del tema doloroso, (3) ostacolano l’apprendimento di una adeguata regolazione emotiva che potrebbe avvenire solo attraverso l’esplorazione di altri piani d’uso dell’attenzione. Nuovi piani di utilizzo dell’attenzione possono favorire il cambiamento delle credenze circa la terribilità della luce rossa, la necessità di prevenire, monitorare, evitare, sopprimere questa esperienza interna, l’utilità delle strategie di monitoraggio e soppressione della minaccia rispettivamente.

Questo uso rigido dell’attenzione ostacola la possibilità di elaborare nuove informazioni, alternative rispetto a quelle costruite nella relazione con la figura di attaccamento. Quindi ostacola nuove esperienze di apprendimento. Per esempio che da adulti l’esperienza non è così dolorosa, che non tutte le persone sono uguali, che le risorse a disposizione sono cambiate rispetto a quando si era piccini, che le emozioni e i pensieri non sono sempre affidabili per valutare la realtà e che tendenzialmente si autoregolano da soli.

I monitorer si contraddistinguono per un maggiore stress percepito e consapevolezza degli stati emotivi e delle caratteristiche della luce rossa, poiché sono costantemente rivolti in quella direzione.  I suppressor si contraddistinguono per una ridotta consapevolezza della propria vulnerabilità e delle proprie emozioni e un disagio vago, talvolta ridotto che può esplodere improvvisamente quando non si riesce a mantenere la luce verde o non si percepisce l’impossibilità di ricercarla.

Molte di queste considerazioni sono ancora a un livello speculativo e ipotetico ma possono fornire interessanti spunti per future ricerche nell’ambito dell’attenzione e della regolazione emotiva. Quindi, che cosa guardiamo di ciò che vediamo?

 

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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