Il bisogno di attaccamento è un bisogno innato ed evolutivamente preordinato che spinge ogni neonato a ricercare la vicinanza con il proprio caregiver. L’assenza di una risposta adeguata da parte dei genitori comporta importanti conseguenze sullo sviluppo del bambino.
Il neonato è messo al mondo senza gli strumenti necessari per fronteggiarlo, presenta un’immaturità psichica e fisiologica (Gardner, 1996). Il suo cervello è solo un quinto del cervello umano adulto, che si svilupperà in un processo maturazionale lungo oltre i quindici anni (Giedd, 2004). La specificità dell’ambiente con la quale interagisce deciderà quali connessioni neurali saranno formate e rinforzate (Edelman e Tononi, 2000), darà modo alle potenzialità latenti del bambino di svilupparsi (Gardner, 1996).
Lo stato d’impotenza e vulnerabilità che caratterizza il neonato comporta un bisogno di protezione, vicinanza, ovvero un bisogno di attaccamento (Bowlby, 1982). Il legame di attaccamento è appunto quella relazione stabile che si crea tra bambino e adulto utile a garantire al piccolo benessere, protezione, e in generale la possibilità di sopravvivere (Wiggins, 2000). Bowlby ipotizza l’esistenza di una predisposizione innata del cucciolo di umano alla vicinanza dell’adulto, utile alla sua sopravvivenza, e dall’altra parte una propensione dell’adulto all’accudimento, al prendersi cura del piccolo (De Coro, 2010). L’ attaccamento e l’accudimento sono concepiti come sistemi motivazionali o comportamenti innati, selezionati poiché adattivi in termini evoluzionistici (McLean, 1984).
L’ attaccamento come bisogno fondamentale dell’individuo
Il ruolo fondamentale della vicinanza al neonato di un adulto si osserva in diversi studi di cui possiamo considerare Spitz un pioniere. Tra il 1945 e il 1946, René Spitz, psicoanalista austriaco, osservò gli effetti devastanti della separazione del bambino da chi se ne prendeva cura. Nel suo studio (Spitz, 1945; Spitz, 1946) prese in considerazione 91 bambini di un orfanotrofio, osservando che i primi mesi di protesta, con pianti e lamentele, lasciavano gradualmente il posto a uno stato letargico, e che circa il 37% dei quali morì entro il secondo anno di vita (Spitz, 1972). Le cure materiali dell’orfanotrofio erano dunque necessarie ma non sufficienti per un sano sviluppo dell’infante. Spitz definì “ospedalismo” i disturbi fisici e psicologici conseguenti a una totale assenza di un rapporto del piccolo con la madre, e parlò di “depressione anaclitica” per descrivere la sintomatologia infantile nel caso in cui il rapporto con la figura materna c’è stato per un breve periodo per poi interrompersi, come ad esempio in seguito alla morte materna (Spitz, 1972).
Bambini che possono godere di un contatto fisico con figure significative, presi in braccio, toccati, sviluppano un cervello più grande, con connessioni più forti tra le cellule cerebrali rispetto ai bambini deprivati (Wiggins, 2000; Kandel, 2005). La stimolazione da parte dell’ambiente esterno influenza i sistemi cerebrali che si occupano della regolazione emozionale, questi ultimi influenzano a loro volta la secrezione ormonale e la produzione di neurotrasmettitori. La regolazione emozionale del bambino inizialmente è controllata dall’ambiente esterno, dal caregiver, successivamente il bambino sarà capace di un auto-controllo (Shore, 1994). È proprio tramite l’apprendimento, inoltre, che si sviluppano le connessioni sinaptiche (Kandel, 2005). Tale stimolazione esterna incide sulla dimensione stessa del cervello (Thompson, 1990). In studi su animali, è stato osservato che ratti allevati in un ambiente stimolante, caratterizzato dalla presenza di giocattoli o altri topi, sviluppavano un cervello di dimensioni maggiori rispetto a ratti abbandonati in gabbie vuote (Gopnik, Meltzoff e Kuhl, 1999). Caratteristica che si trasmetteva a livello intergenerazionale, i ratti cresciuti in ambienti stimolanti generavano una prole con una corteccia più spessa (Gopnik, Meltzoff e Kuhl, 1999).
Attaccamento e sviluppo della personalità, le conseguenze di cure genitoriali inadeguate
Le ripercussioni psicologiche di cure genitoriali inadeguate o del sentirsi completamente rifiutati dalle proprie figure significative sullo sviluppo della personalità del soggetto possono essere diverse: dall’ostilità, all’aggressività, bassa autostima e autoefficacia, insensibilità o assenza di una risposta emozionale, così come illustrato dalla teoria dell’Accettazione – Rifiuto di Rohner (Rohner e Carrasco, 2014). L’attivazione cerebrale al rifiuto è sovrapponibile alle aree che si attivano in risposta al dolore fisico nel soggetto (Khaleque e Rohner, 2012), con una differenza sostanziale; come ci sottolinea lo stesso Rohner, differentemente dal dolore fisico, il dolore emotivo conseguente al rifiuto si riverbera negli anni, può tornare alla memoria ed essere rivissuto in continuazione nell’intero ciclo di vita del soggetto (Khaleque e Rohner, 2012). La meta analisi di Rohner e Khaleque permette di ridimensionare il ruolo predominante dato alla figura materna nello sviluppo sano del bambino sottolineando come anche il padre rivesta un ruolo importante. L’influenza di un rifiuto da parte della figura paterna sembra addirittura maggiore rispetto all’influenza di un rifiuto da parte della madre (Khaleque e Rohner, 2012).
In conclusione
L’essere genitori o caregiver di un neonato rappresenta, quindi, una funzione determinante di estrema importanza, oltre che complessa, nella regolazione dello sviluppo fisico e psichico del bambino.