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Attaccamento e Trauma 2015 – La cronaca del Convegno

Nel corso del convegno Attaccamento e Trauma innumerevoli esperti si sono alternati sul palco: il loro contributo è stato di ispirazione per il pubblico.

Di Eleonora Natalini

Pubblicato il 07 Ott. 2015

Aggiornato il 18 Apr. 2016 09:53

Eleonora Natalini – Tinnitus Center – European Hospital, Roma

 

Sembra la notte degli Oscar per chi è del mestiere. Le stelle si alternano sul palco a ritirare applausi ed ammirazione. Non siamo al Dolby Theatre di Hollywood, ma al teatro Brancaccio di Roma. E non è notte qui, ma sono le 8 del mattino di un venerdì autunnale. Dopo una fila piuttosto impegnativa per la registrazione inizia lo show. 

Su State of Mind abbiamo parlato delle diverse giornate del convegno Attaccamento e Trauma: abbiamo scritto della prima giornata e dell’Importanza della contingenza nello sviluppo infantile; abbiamo inoltre riportato quanto detto nella seconda giornata del convegno a proposito di Fiducia Epistemica, resilienza e resistenza al cambiamento. Abbiamo infine pubblicato il report della terza giornata, incentrata sul Ruolo dell’ emisfero destro, la regressione in terapia e la Schema Therapy (NdR).

 

Presentazione iniziale in grande stile. Le bandiere che rappresentano i paesi da cui provengono gli oltre 1200 spettatori, si alternano sul grande schermo. Alessandro Carmelita è il presentatore ufficiale dell’evento, ottimo padrone di casa e mediatore.

Daniel Siegel apre i battenti per la sfilata sul tappeto rosso. Parla di attaccamento, riprendendo l’ormai nota ricerca sulla Strange Situation, di energia, informazione, possibilità, neurobiologia interpersonale e ovviamente Mindfulness. Sono confusa? Forse si, la neurobiologia mi confonde. Le idee diventano però più chiare quando rimango incantata nel vederlo fare esercizi di stretching mentre ascolta le altre presentazioni. E’ lì in piedi e resto ammaliata nell’osservare quei movimenti lenti. Predica bene e razzola bene mi viene da pensare. Vederlo mi avvicina alle sue idee sull’interconnessione, l’attenzione al presente e al corpo. E per questo mi conquista.

Dopo il coffee break un po’ ritardato, Edward Tronick porta dati, statistiche, grafici e psicobiologia. A tratti mi distraggo, assetata di psicoterapia e pratica clinica. Le osservazioni sono ottime, ma non del tutto innovative. Parla della correlazione tra stress acuto continuo (senza riparazione) e trauma nel sistema di attaccamento tra il bambino e il caregiver, durante il quale non vengono a formarsi stati diadici di coscienza necessari alla creazione del significato sul proprio sé. Questo in maniera semplice si osserva nel video della Still Face in cui vediamo come uno stress lieve è generato dalla mancata risposta dell’Altro. In pochi attimi il bambino è in uno stato di disagio effettivo; nel video ovviamente avviene la riparazione (riunione); facile immaginare cosa può accadere in contesti simili ripetuti e senza compensazione.

Il post pranzo si apre con la presentazione molto bella di Pat Odgen. Ovvio parla di trauma e corpo, e in maniera del tutto chiara. Ci ha stupiti quando ha indossato una maschera bianca dimostrandoci come il solo movimento corporeo ci fa intuire le espressioni facciali e, di conseguenza, lo stato d’animo della persona. Diretto e semplice. Il messaggio è arrivato. Trovo la Psicoterapia Sensomotoria una buona base da cui iniziare nei trattamenti, specialmente per i pazienti gravemente compromessi e con scarse abilità metacognitive. Mi porterò dietro una riflessione importante della Odgen per la pratica clinica: sono più accessibili i ricordi in sintonia con la posizione assunta dal paziente.

Il sabato, con il sole romano, ha portato splendide presentazioni. Apre la giornata Peter Fonagy, ironico e divertente, e ci mostra chiaramente cosa vuol dire mentalizzare. E’ in ogni sua parola, immagine, slide. Mostra una foto di lui, sorella e genitori con i pensieri di ognuno a fumetto. Vari punti di vista, abbiamo letto nella mente dell’Altro, abbiamo mentalizzato insieme. Il discorso si sofferma poi sulla fiducia epistemica. Il paziente con disturbo di personalità ne è carente, non si fida, è ipervigilante. La comunicazione e l’apprendimento, a causa di maltrattamento o abuso, sono falliti. Il lavoro clinico deve tenere tutto questo in considerazione e la mentalizzazione, ovviamente, ci viene in aiuto.

Kathy Steele parla dei pazienti altamente resistenti ed è interessante la correlazione che fa tra il trauma e l’evitamento fobico –mindflight-. Questo significa che il paziente teme tutto ciò che reputa eccessivamente travolgente per prenderne consapevolezza. La Steele tiene a precisare che la resistenza che porta il paziente, o una sua parte dissociata, stimola reazioni diverse sul terapeuta che può, a sua volta, rispondere con una nociva controresistenza da monitorare costantemente per non caderne intrappolati.

Per pochi attimi, favoriti dal luogo che ci ospita, sembra di assistere ad una vera e propria audizione. Brillante, e bonariamente provocatorio, Giancarlo Dimaggio si esibisce nel ballo e nella recitazione. Sul canto non è dato sapere. Sulle sue capacità di terapeuta non ci sono dubbi. La videoregistrazione di un suo role-playing girato in Australia ne è la prova: il paziente cambia volto, postura e quindi stato d’animo in pochi minuti, tutto durante la magistrale autoapertura del terapeuta. Da manuale. Dimaggio conferma che le tecniche della Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) funzionano. Stanno raccogliendo dati di efficacia e siamo soltanto in trepida attesa.

Molto visibile la Schema Therapy. Chiude la giornata Arnoud Arntz che ci presenta i dati, quelli che servono a validare, a far dire a tutti ‘ok, questo funziona’.

Eckhard Roediger parla il giorno seguente e ci presenta i fatti: il video di una sua seduta con una coppia in crisi. Interessante e molto. Ci mostra i modi, le sedie su cui farli sedere (carina l’idea di averle di colori diversi in studio), ma anche il corpo, la prossimità o la lontananza e l’importanza di questo. Ovvio c’è l’esposizione immaginativa. E se la fai bene vinci. E lui ha vinto.

Difficile rimanere attenti durante l’ultima giornata. Apre le presentazioni Allan Schore e ci dice (o meglio legge) che nella psicoterapia il cervello destro è dominante, poiché rappresenta la parte creativa in grado di direzionare il trattamento dei traumi di attaccamento. Proprio quella creatività associata all’ apertura mentale dei Big Five. A me è venuto in mente il pilastro della Mindfulness che fa riferimento alla mente del principiante: sguardo curioso e interessato al paziente come se fosse ogni volta uno sconosciuto da esplorare. Tanta, troppa teoria però, infinite citazioni, e il mio cervello destro non ha stimoli nuovi da elaborare e si addormenta miseramente.

Si riprende con l’intervento di Roediger, prima descritto, ma ricrolla spaventosamente con Stephan Doering che parla della Psicoterapia Focalizzata sul Transfert (TFP). Il trattamento, empiricamente validato, è specifico per il disturbo borderline di personalità. Mi perdo nei discorsi. C’è il transfert e il controtranfert questo è chiaro. Mi viene in mente la resistenza e la controresistenza della Steele…che ci siano delle somiglianze? Curioso come spesso si associa la terapia ad una danza, per dare l’idea della collaborazione, e poi con la terminologia facciamo riferimento, invece, alla lotta, alla sfida (contro). Curioso. Avrei forse dovuto chiedere spiegazioni a Russell Meares che, con il suo Modello Conversazionale nel trattamento del trauma relazionale, pone l’attenzione sulle parole e la struttura della conversazione terapeutica. Il linguaggio del dialogo interiore è di tipo analogico. Ci fa ascoltare uno scambio. Il terapeuta interviene poco, quando lo fa spesso completa le frasi della paziente o fa in modo che lo faccia lei. Approccio bel lontano dall’attenzione al corpo a cui eravamo stati abituati con gli interventi precedenti.

Chairmen delle tavole rotonde, che concludono ogni giornata, sono Onofri, Liotti e Veglia. Il primo inizia portando l’attenzione sul corpo, protagonista indiscusso degli interventi della giornata; il secondo chiedendo ai relatori di trovare differenze e somiglianze sui loro approcci; il terzo narrando un caso clinico personale da discutere.

Gli argomenti trattati sono stati stimolanti, ma il tempo a disposizione non ha aiutato nella gestione delle domande da parte del pubblico. Nell’ultima giornata le mani alzate sono rimaste tali. Il consiglio che posso dare, a chi non ha avuto risposte, è quello di accettare senza giudizio, rimanendo nel momento presente, facendo si che l’adulto sano consoli il bambino vulnerabile, cercando soluzioni alternative con il cervello destro, ponendo attenzione al corpo e ai suoi movimenti, utilizzando tutte le abilità metacognitive a disposizione, senza porre resistenze inutili e attendere le prossime nomination perché, come promette fortunatamente Carmelita, see you next year!

 

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