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Psicopatologia dello sviluppo

La psicopatologia dello sviluppo nasce dall’integrazione tra varie discipline tra cui neuroscienze, etologia, psicologia clinica, psicologia dell’età evolutiva

Aggiornato il 25 ago. 2023

Introduzione

La psicopatologia dello sviluppo nasce dall’integrazione tra diverse discipline e aree di studio, tra cui l’embriologia, le neuroscienze, l’etologia, la psicologia clinica, la psicologia dell’età evolutiva, la psicologia sperimentale, e la neuropsichiatria. Tra i pionieri dell’approccio della psicopatologia dello sviluppo rtiroviamo alcuni psicoanalisti tra cui Anna Freud, Melanine Klein, Erik Erikson, Donald Winnicott e John Bowlby che con i loro studi furono tra i primi a contribuire alla comprensione dei processi dello sviluppo normale e patologico dei soggetti in eta’ evolutiva.

I disturbi dell’età evolutiva (o Disturbi del Neurosviluppo) hanno la caratteristica di esordire nelle prime fasi  dello sviluppo della persona. Generalmente implicano una compromissione del funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo.

Di seguito verranno elencati alcuni tra i disturbi mentali più comuni relativi all’infanzia e all’adolescenza in riferimento al DSM-5 (American Psychiatric Association).

I disturbi d’ansia in età evolutiva

All’interno della psicopatologia dello sviluppo, i disturbi d’ansia rappresentano la patologia psichiatrica più comune in età evolutiva (MeriKangas et al., 2010; Kessler, Avenevoli, Costello, 2012) e si stima che un terzo degli adolescenti soddisferà i criteri per un disturbo d’ansia all’età di 18 anni (MeriKangas et al., 2010). In letteratura il dibattito sul peso dei fattori ambientali e dei fattori genetici nel determinare lo sviluppo dei disturbi d’ansia è particolarmente acceso. Secondo R.Rapee (2001) i fattori in grado di determinare l’insorgenza e il mantenimento dei disturbi d’ansia in età evolutiva sono tre:

  • i fattori genetici
  • il temperamento del bambino
  • i fattori ambientali, i quali comprendono lo stile educativo genitoriale ed eventualmente l’ansia del genitore.

Il DSM 5 descrive i disturbi d’ansia in una categoria specifica, e lungo il continuum del ciclo di vita: le medesime categorie sono riferite all’infanzia, all’adolescenza e all’età adulta.

I disturbi d’ansia sono caratterizzati da sentimenti pervasivi di preoccupazione o ansia con evidenti sintomi fisici, difficili da controllare e che si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno sei mesi.

Nei bambini e negli adolescenti l’ansia si manifesta principalmente con preoccupazioni relative agli impegni scolastici o alle prestazioni in generale, come gli impegni sportivi, o gli impegni sociali.

L’ansia, la preoccupazione o i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, scolastico, o di altre aree importanti. Il bambino ansioso, infatti, vive costantemente un vago sentimento d’oppressione, “un peso”, associato a un atteggiamento di attesa di un avvenimento vissuto come spiacevole e imprevisto. Il DSM 5 identifica le seguenti categorie diagnostiche per i disturbi d’ansia:

  • Disturbo d’ansia di separazione
  • Mutismo selettivo
  • Fobia specifica
  • Disturbo d’ansia sociale
  • Disturbo di panico
  • Agorafobia
  • Disturbo d’ansia generalizzata
  • Disturbo d’ansia indotto da sostanze/farmaci
  • Disturbo d’ansia dovuto a un’altra condizione medica
  • Disturbo d’ansia con altra specificazione
  • Disturbo d’ansia senza specificazione.

I disturbi dell’umore in età evolutiva

Nell’ambito della psicopatologia dello sviluppo riguardante i disturbi dell’umore, il Disturbo depressivo maggiore (DDM) è la forma più diffusa di depressione nei bambini e negli adolescenti. Per soddisfare la diagnosi, devono essere presenti almeno cinque sintomi per almeno due settimane, che indichino un cambiamento significativo rispetto al funzionamento precedente. I possibili sintomi sono: umore depresso (o irritabilità); marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività; significativa perdita o aumento di peso oppure aumento o diminuzione dell’appetito (nei bambini anche incapacità di raggiungere i normali livelli ponderali); insonnia o ipersonnia; agitazione o rallentamento psicomotorio; faticabilità o mancanza di energia; sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati; ridotta capacità di pensare o concentrarsi o indecisione; pensieri ricorrenti di morte; ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico o un tentativo di suicidio o un piano specifico per commettere suicidio. I sintomi devono causare disagio clinicamente significativo o una compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

Il Disturbo depressivo persistente (Distimia) è un forma di depressione meno grave. Nel DSM-5, i criteri per bambini e adolescenti sottolineano che deve essere presente un umore depresso o irritabile per almeno un anno, durante il quale il bambino o l’adolescente presenta due o più dei seguenti sintomi: scarso appetito o iperfagia; insonnia o ipersonnia; scarsa energia o astenia; bassa autostima; difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni; sentimenti di disperazione.

Nei soggetti in eta’ evolutiva la sintomatologia si presenta secondo modalita’ peculiari e differenti rispetto all’eta’ adulta: ad esempio l’anedonia nei bambini puo’ manifestarsi nella diminuzione dell’attività di gioco; la difficolta’ nella concentrazione concentrarsi puo’ rendersi evidente in un calo del rendimento scolastico. L’irritabilità e’ rilevante quando il bambino, inizia ad avere maggiori conflitti con i pari oppure presenta comportamenti oppositivi.

Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD)

L’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione Iperattività) rientra nella categoria dei Disturbi del Neurosviluppo, gruppo di condizioni che esordiscono nel periodo dello sviluppo e si caratterizzano per un deficit che causa una compromissione nel funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo.

L’ADHD è caratterizzato da livelli invalidanti di disattenzione, disorganizzazione e/o iperattività-impulsività.  Nella fascia della fanciullezza, l’ADHD si sovrappone spesso a disturbi quali il Disturbo Oppositivo-Provocatorio e il Disturbo della Condotta. Spesso, inoltre, permane in età adulta, causando compromissione del funzionamento in ambito sociale, scolastico e lavorativo. La presenza di ADHD è stimata in circa il 5% dei bambini ed il 2,5% degli adulti.

La caratteristica fondamentale dell’ADHD è la persistente presenza di un quadro caratterizzato da disattenzione e/o iperattività-impulsività che interferisce con lo sviluppo e il funzionamento. La disattenzione si evidenzia, sul piano comportamentale, con divagazione dal compito, mancanza di perseveranza, difficoltà nel mantenimento dell’attenzione, disorganizzazione non imputabili ad atteggiamenti di sfida o da mancata comprensione. L’iperattività implica un’eccessiva attività motoria, un dimenarsi, la sensazione che il bambino sia “sotto pressione”, tamburellamenti, loquacità; tali comportamenti si manifestano in momenti e situazioni in cui non sono appropriati.

L’impulsività si manifesta con azioni estremamente affrettate e che avvengono all’istante, spesso con elevato rischio per l’individuo. L’impulsività può esprimere un desiderio di immediata ricompensa, manifestandosi anche con comportamenti invadenti, come interrompere gli altri in modo eccessivo, o prendere decisioni importanti senza riflettere sulle possibili conseguenze nel lungo termine.

Il trattamento dell’ADHD prevede un intervento multimodale in grado di combinare interventi di tipo farmacologico, psico-educativo e psicoterapeutico.

Affinché vi siano miglioramenti durevoli nel tempo è fondamentale affiancare al trattamento farmacologico un percorso combinato di strategie cognitive e comportamentali che aiutino bambino, genitori e insegnanti a raggiungere una piena comprensione del problema e nella gestione dei comportamenti problematici presenti.

I programmi cognitivo-comportamentali di provata efficacia per l’ADHD prevedono vari livelli d’intervento tra loro interconnessi che coinvolgono: la famiglia, l’ambito scolastico, il trattamento individuale del bambino.

Disturbi dello spettro dell’autismo

Il disturbo dello spettro dell’autismo è un disturbo con esordio in età evolutiva. Rappresenta una condizione che colpisce circa l’1% della popolazione, con stime simili in campioni di bambini e adulti; gli studi fatti su tutta la popolazione, e non solo su quella che accede ai servizi, danno stime di 1 su 50.

Nel DMS 5 l’autismo è stato inquadrato secondo un nuovo orientamento diagnostico (2013) che oltre a sostituire l’espressione “Disturbi pervasivi (o generalizzati) dello sviluppo” con il termine “Disturbi dello spettro dell’autismo”, elimina anche la presenza dei differenti sottotipi della patologia o forme di autismo: sindrome di Asperger, disturbo pervasivo non altrimenti specificato, disturbo disintegrativo, sindrome di Rett (grave patologia neurologica di origine genetica, ora inserita nei disturbi genetici).

Questa nuova dicitura richiama l’attenzione sul concetto dimensionale dell’autismo, caratterizzato da comportamenti che si estendono senza soluzione di continuità tra normalità e malattia, ma che si differenziano perché la frequenza e l’intensità di quel sintomo non consentono di adattarsi al contesto, di sviluppare le risorse cognitive, di acquisire e di mantenere le relazioni sociali.

Il fatto che il disturbo venga considerato all’interno di uno “spettro” significa che la distribuzione della frequenza di un dato comportamento problematico varia nel tempo e nell’intensità della sua manifestazione. Questo comporta che all’interno delle dimensioni, o sintomi dell’autismo, si racchiudono persone con caratteristiche cliniche eterogenee nella compromissione sociale e nella presenza di comportamenti ripetitivi e di interessi ristretti.

I soggetti affetti da disturbi dello spettro dell’autismo condividerebbero la compromissione delle funzioni sociali e comunicative associate a interessi ristretti e comportamenti stereotipati. Tuttavia, la presenza di disabilità intellettiva (secondo ultime ricerche nel 30% dei soggetti) e la presenza di sintomi associati, tra cui instabilità motoria e attentiva, e di altri disturbi del comportamento, ipersensibilità ai suoni ed elevata soglia del dolore, contribuiscono all’ampia eterogeneità clinica.

Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA)

I disturbi specifici di apprendimento (DSA) sono caratterizzati dalla persistente difficoltà di apprendimento delle abilità scolastiche chiave per almeno 6 mesi tra lettura delle parole lenta o imprecisa e faticosa, difficoltà nella comprensione del significato di ciò che viene letto, difficoltà nello spelling, difficoltà con l’espressione scritta, difficoltà nel padroneggiare il concetto di numero, i dati numerici o il calcolo, difficoltà nel ragionamento matematico. Negli adulti, una difficoltà persistente si riferisce a difficoltà continuative nel leggere e nello scrivere o nelle abilità di calcolo. Le abilità scolastiche sono al di sotto di quelle attese per età e causano interferenza con il rendimento scolastico o lavorativo. Le difficoltà di apprendimento iniziano durante gli anni scolastici e non solo influenzano le abilità scolastiche, ma possono anche ostacolare l’apprendimento di altre materie; questi problemi sono attribuiti alle difficoltà di apprendimento delle abilità scolastiche sottostanti.

La prevalenza dei disturbi specifici di apprendimento (DSA) nell’ambito di lettura, scrittura e calcolo è pari al 5-15% tra i bambini in età scolare trasversalmente a linguaggi e culture differenti. La prevalenza negli adulti sembra essere del 4%.

I disturbi specifici di apprendimento (DSA) si distinguono in:

  • Dislessia. Compromissione della lettura, in particolare nell’accuratezza nella lettura delle parole, nella velocità o fluenza della lettura e comprensione del testo;
  • Disgrafia. Compromissione dell’espressione scritta, dell’accuratezza nello spelling e nella grammatica e nella punteggiatura;
  • Discalculia. Compromissione del calcolo: concetto di numero, memorizzazione di fatti aritmetici, calcolo accurato o fluente e ragionamento matematico corretto.

Disturbo Oppositivo Provocatorio

Il disturbo oppositivo provocatorio rientra nella categoria dei Disturbi da Comportamento Dirompente, del Controllo degli Impulsi e della Condotta, caratterizzati da condizioni che implicano problemi di autocontrollo delle proprie emozioni e dei comportamenti. In tali disturbi i problemi descritti si esprimono attraverso comportamenti che violano i diritti altrui, come nel caso di aggressioni, distruzione della proprietà, o che pongono la persona in netto contrasto con le norme sociali o con figure che rappresentano l’autorità.

Nel disturbo oppositivo provocatorio prevalgono emozioni quali la rabbia e l’irritazione, unitamente a comportamenti di polemica e sfida.

La prevalenza del disturbo varia tra l’1 e l’11%, con una stima media del 3,3% circa. L’incidenza può subire variazioni a seconda dell’età e del genere del bambino. Nelle fasce di età precedenti all’adolescenza, il disturbo sembra presentarsi con più frequenza nei maschi, piuttosto che nelle femmine (1,4:1), tale predominanza maschile non è, tuttavia, sempre riscontrata nella fascia adolescente e adulta.

La frequenza del disturbo oppositivo provocatorio risulta maggiore nelle famiglie in cui un genitore presenta un disturbo antisociale ed è più comune nei figli di genitori biologici con dipendenze da alcool, disturbi dell’umore, schizofrenia, o di genitori con una storia di disturbo da deficit di attenzione e iperattività o di disturbo della condotta.

Il disturbo oppositivo provocatorio si caratterizza per la presenza frequente e persistente di umore collerico/irritabile (va spesso in collera, è spesso permaloso o contrariato, è spesso adirato e risentito), comportamento polemico/provocatorio (litiga spesso con persone che rappresentano l’autorità, sfida spesso apertamente o rifiuta di rispettare le regole, irrita deliberatamente gli altri, accusa gli altri per i propri errori), vendicatività. Tali sintomi devono presentarsi nell’interagire con almeno una persona diversa da un fratello e sono, spesso, parte di modalità di interazione problematiche con gli altri.

In letteratura è stato dimostrato come interventi sistematici e multimodali abbiano maggiore efficacia nel trattamento dei comportamenti aggressivi (Southam-Gerow & Kendall, 1997) cercando di intervenire su più fronti e prevedendo interventi individuali, familiari ed extra-familiari, ed eventualmente anche psicofarmacologici.

La Terapia Cognitivo-Comportamentale si centra sulle percezioni e i pensieri del bambino con disturbo oppositivo provocatorio nel fronteggiare situazioni da lui percepite come frustranti o provocatorie. Obiettivi cardine che guidano il processo terapeutico sono l’intervento sulle distorsioni nella rappresentazione cognitiva di ciò che accade e la regolazione emotiva, in particolare della rabbia. L’intervento prevede, sullo specifico aspetto di gestione della rabbia, l’insegnamento di strategie di autocontrollo, che aiutino il bambino ad utilizzare i processi cognitivi per modificare i comportamenti disfunzionali e sviluppare strategie alternative per fronteggiare le situazioni.

Oltre ai sopraelencati disturbi, nell’ambito della psicopatologia evolutiva si riscontrano anche i Disturbi del Comportamento Alimentare in eta’ evolutiva, come l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il Binge Eating Disorder in età evolutiva.

Il disturbo ossessivo compulsivo in età evolutiva

Il Disturbo Ossessivo Compulsivo è un quadro clinico fortemente invalidante. È caratterizzato dalla presenza di pensieri intrusivi e ripetitivi (ossessioni) associati ad alti livelli d’ansia e spesso accompagnati da prolungati comportamenti volti a neutralizzare il pensiero ossessivo e l’ansia (compulsioni).

Le manifestazioni sintomatiche si associano ad un elevato grado di disagio e di limitazione nel funzionamento sociale, lavorativo e affettivo. La persona che soffre del Disturbo Ossessivo Compulsivo riconosce la natura patologica del proprio disagio e che le proprie ossessioni e compulsioni sono eccessive e irragionevoli.

I temi più frequenti delle ossessioni riguardano lo sporco, i germi e/o le sostanze disgustose; le persone con il Disturbo Ossessivo Compulsivo possono temere di procurare inavvertitamente danni a sé o ad altri, di poter perdere il controllo, di diventare impulsivi, aggressivi, perversi ecc.. Possono avere dubbi persistenti rispetto al proprio orientamento sessuale, rispetto alle decisioni da prendere, ecc. Inoltre altri temi frequenti delle ossessioni sono l’ordine e la simmetria, la religione e possono assumere anche una “veste” magico-scaramantica. Le compulsioni riguardano principalmente: controllo, lavaggio e pulizia, iterazione di parole o frasi, iterazione di movimenti specifici, ordine e simmetria.

In età evolutiva, l’esordio si ha tra i 9 e 11 anni. Il decorso è cronico, con peggioramento della sintomatologia in seguito a eventi stressanti e il tasso di remissione spontanea è minimo.

I disturbi da Tic

I disturbi da tic comprendono secondo il nuovo orientamento diagnostico DSM-5 (2013) quattro categorie diagnostiche:

  • Disturbo di Tourette
  • Disturbo persistente da tic motori o vocali
  • Disturbo transitorio da tic
  • Disturbo da tic con altra specificazione o senza specificazione.

I tic sono movimenti o vocalizzazioni improvvisi, rapidi, ricorrenti, motori non ritmici. La diagnosi si basa sulla presenza di tic motori e/o vocali, sulla durata dei sintomi, sull’età di esordio e sull’assenza di una qualsiasi causa nota come altra condizione medica o di uso di sostanze. Un individuo può avere diversi sintomi nel corso del tempo, ma in qualunque momento il repertorio si ripresenta in modo caratteristico. I tic motori semplici sono di breve durata. Quelli motori complessi sono di più lunga durata.

L’esordio deve verificarsi prima dei 18 anni di età. I disturbi iniziano nel periodo della pubertà, con un’età media di esordio tra i 4 e i 6 anni e la sua prevalenza può raggiungere il 20% della popolazione in età scolare.I sintomi sono peggiorati dalla presenza di ansia, eccitazione e stanchezza e migliorano nei momenti di calma o quando gli individui sono impegnati in compiti scolastici o lavorativi o quando si rilassano a casa dopo a scuola o di sera.

I trattamenti nell’ambito dei disturbi dell’età evolutiva

Negli ultimi anni gli psicologi e i professionisti della salute mentale che si occupano di sofferenza in età evolutiva (bambini e adolescenti) riconoscono la necessità di riferirsi ad un modello teorico multifattoriale che tenga conto di:

  • Conoscenze delle tappe dello sviluppo normale del bambino
  • Continuità tra salute e patologia
  • Continuità tra fanciullezza e vita adulta
  • Collegamento con elementi del contesto di vita del bambino, in linea con l’approccio bio-psico-sociale
  • Individuazione dei fattori di rischio della psicopatologia e fattori protettivi
  • Individuazione precoce di pattern di comportamento prodromici di difficoltà di adattamento e disagio giovanile.

Inoltre sempre più gli stessi clinici che si occupano di sofferenza dei bambini e degli adolescenti insistono nello sviluppo e realizzazione di programmi d’informazione e prevenzione della psicopatologia in età evolutiva. Molti sono gli studi scientifici che indicano la terapia cognitivo comportamentale (CBT) come un trattamento psicoterapico con elevata efficacia per numerosi disturbi psicologici a esordio infantile.

La letteratura scientifica indica anche che l’efficacia dei trattamenti di psicoterapia cognitivo-comportamentale aumenta la propria efficacia se prevede il coinvolgimento dei genitori. Un contributo fondamentale nello studio della psicopatologia in età evolutiva è certamente la teoria dell’attaccamento (J.Bowlby) che sottolinea l’importanza del legame affettivo–relazionale tra mamma e bambino nello sviluppo successivo del bambino. I genitori devono quindi essere sostenuti nel loro ruolo educativo e affettivo in quanto sono loro i veri esperti del loro bambino, sia quando sta bene sia quando soffre.

Gli interventi psicologici in età evolutiva comprendono pertanto:

  • consulenza alla genitorialità
  • supporto psicopedagogico ai genitori
  • psicoterapia con i bambini (individuale o di gruppo)
  • percorsi psicoeducativi.

Per la progettazione dell’intervento psicologico più utile per un bambino specifico è necessario un percorso di assessment psicodiagnostico che preveda:

  • colloqui con i genitori;
  • compilazione di interviste e questionari sia per i per i genitori sia per i bambini ed eventualmente per i loro insegnanti;
  • colloqui con il bambino;
  • sedute osservazione di gioco;
  • valutazione del livello cognitivo ed eventuali approfondimenti neuropsicologici.

Diversi sono i protocolli CBT evidence based per la terapia della psicopatologia infantile, ad esempio:

  • il Cool Kids Program (R.Rapee) per la terapia dei disturbi d’ansia;
  • il Coping Power Program (Lockart) per il trattamento dei disturbi del comportamento

Il Cool Kids Program

Il programma si basa sul modello d’ ansia sviluppato da Rapee e collaboratori, in cui fattori genetici, stile genitoriale, vulnerabilità individuale e eventi esterni concorrono a generare il disturbo d’ansia; per ognuno dei fattori, il protocollo prevede una tranche di terapia, che va a lavorare sugli elementi disfunzionali. La vulnerabilità individuale, ad esempio, viene affrontata con la ristrutturazione cognitiva e l’esposizione, gli stressor esterni vengono affrontati attraverso l’insegnamento di abilità sociali, la parte che riguarda il lavoro con i genitori prevede un intervento che riduca l’iperprotettività verso il figlio e favorisca il supporto all’esposizione, e via dicendo. A questo proposito, il punto su cui Rapee torna spesso, e sottolinea come principale, è la centralità dell’esposizione alle situazioni ansiogene; se abbiamo pochi incontri, il nostro lavoro deve vertere quasi esclusivamente sull’esposizione.

Il Cool Kids Program include i genitori nel trattamento in modo diretto e in modo indiretto.I genitori partecipano attivamente con una modalità che Rapee chiama “Together, separate, together”, riferendosi ai momenti del lavoro per ogni sessione: inizialmente i genitori entrano nella stanza con i bambini (together) per le chiacchiere di rito sull’andamento della settimana trascorsa e il controllo degli homework, successivamente escono e il bambino rimane da solo a lavorare con il terapeuta (separate) e alla fine della seduta tornano per condividere il lavoro svolto (together).

Nelle terapia di gruppo, si osserva una modalità indiretta di  partecipazione degli adulti che ha inaspettati effetti benefici: Rapee racconta che i genitori, rinchiusi nella stanza affianco ad aspettare la fine delle due ore di terapia dei figli, si trasformano in un gruppo di mutuo auto aiuto, con esiti sorprendenti.

Per saperne di più: COME CURARE L’ANSIA DEL BAMBINO

I principi basilari – inclusi anche nel Cool Kids Program- della terapia cognitiva per i disturbi d’ansia con i bambini e con gli adolescenti sono i seguenti:

  • Introdurre i genitori e il bambino al concetto di legame tra situazioni – pensieri – emozioni;
  • Insegnare a monitorare e identificare i pensieri ansiosi;
  • Spiegare l’effetto delle distorsioni cognitive tipiche del pensiero ansioso;
  • Insegnare tecniche per trovare prove contro le proprie previsioni, sulla base dell’esperienza passata e della conoscenza generale.
  • Insegnare a identificare e mettere in discussione le conseguenze dell’evento temuto e insegnare la capacità di generare “pensieri calmanti” basati su una valutazione realistica dell’evento ansiogeno.
  • Esposizione graduale e riduzione delle condotte di evitamento

Il Coping Power Program

Il Coping Power Program (CPP) (Lochman e Wells, 2002) è un programma di intervento di prevenzione secondaria e trattamento multimodale di comprovata efficacia (Lochman e Wells, 2004; van de Wiel et al., 2007; Zonnevyelle-Bender et al., 2007) rivolto alle famiglie e ai bambini di età compresa tra i 7 e i 14 anni per la gestione ed il controllo dell’aggressività, dell’impulsività e della rabbia.

Le basi teoriche del Coping Power Program, di matrice cognitivo-comportamentale e derivato dagli studi sull’eziologia dell’aggressività, sono fondate sul Contextual Social-Cognitive Model (Lochman e Wells, 2002). Secondo questo modello i fattori di rischio biologici (fattori genetici, complicanze neonatali, anomalie neurotrasmettitoriali, fattori genetici e temperamentali ecc) conducono allo sviluppo di un disturbo del comportamento dirompente in età evolutiva, esclusivamente se associati ai fattori di rischio ambientali sopracitati.

L’iterazione dei fattori di rischio biologici ed ambientali predispongono lo sviluppo di una modalità di elaborazione dell’informazione sociale distorta e deficitaria che induce il bambino (prevalentemente) a percepire e valutare i segnali sociali interpersonali come ostili e a reagirvi con condotte comportamentali aggressive (Lochman e Dodge, 1994); e inoltre a sviluppare delle strategie di Problem Solving interpersonale scarse ed inefficaci che gli inducono a valutare l’aggressività come l’unica e la più efficace possibilità da utilizzare per la modulazione emotiva e per la regolazione delle relazioni interpersonali (Lochman e Lenhart, 1993; Lochman e Wells, 2003).

Il Coping Power Program è un trattamento multimodale effettuato in setting di gruppo. Per quanto riguarda la struttura degli interventi con i bambini, il Coping Power Program si propone di sostenere i bambini nel modulare i segnali fisiologici delle emozioni e in particolare della rabbia, nel riconoscere il punto di vista altrui (perspective taking) nell’acquisire strategie per un maggior autocontrollo nel risolvere in modo adeguato situazioni conflittuali attraverso l’apprendimento di abilità sociali e di problem solving. Inoltre è previsto l’utilizzo di contratti comportamentali (chiamati “traguardi”) in cui vengono stabiliti obiettivi minimi scolastici (individuati durante gli incontri con insegnanti) al cui raggiungimento è associato un sistema a premi.

Tra i principali strumenti che vengono impiegati dal Coping Power Program si annoverano l’interazione di ogni partecipante con il gruppo dei pari e il role-playing. In particolar modo, il percorso di trattamento si basa su numerose attività di “provocazione strutturata” in cui i membri del gruppo fungono da attivatori emotivi per il bambino che in quel momento si sta esercitando nell’applicazione, ad esempio, di una tecnica di auto-controllo al fine di incrementare in vivo, durante una situazione in cui il bambino è emotivamente attivato, l’apprendimento delle tecniche di gestione della rabbia.

La componente dedicata ai genitori, invece, è strutturata in incontri di gruppo strutturati in sessioni di Parent Training che hanno l’obiettivo di sviluppare e potenziare le competenze genitoriali relative a diverse aree quali: la promozione dell’organizzazione e delle abilità di studio, la modulazione dello stress genitoriale, l’utilizzo di appropriate pratiche educative, l’incremento della comunicazione famigliare e la progettazione di momenti di condivisione con i figli.

Per saperne di più: IL COPING POWER PROGRAM PER IL TRATTAMENTO MULTIMODALE DEL BAMBINO DIFFICILE

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