Il mutismo selettivo è un disturbo caratterizzato dall’incapacità di parlare in determinate situazioni sociali nonostante lo sviluppo del linguaggio sia normale. Il disturbo è diffuso prevalentemente in età infantile ma può essere presente anche in età adulta.
Mutismo selettivo: definizione
Il mutismo selettivo (MS) è un disturbo d’ansia che impedisce al bambino di esprimersi attraverso una normale verbalizzazione: la caratteristica principale del disturbo è la costante incapacità di parlare in situazioni sociali nelle quali ci si aspetta che l’eloquio sia presente seppur questo sia normale e avvenga liberamente in altri contesti considerati familiari.
Il termine “selettivo” indica che il bambino riesce ad esprimersi solo con determinate persone delle quali si fida e in alcune circostanze nelle quali si sente sereno (solitamente l’ambiente familiare) ma mostra difficoltà in ambienti sociali in cui non si sente a proprio agio (in particolar modo nel contesto scolastico poiché è il luogo principale in cui il bambino è esposto a frequenti domande e richieste di prestazione). La selezione degli interlocutori può essere più o meno ampia fino ad arrivare anche ad un solo genitore.
Il grado di persistenza è variabile: può verificarsi per alcuni mesi oppure mantenersi per diversi anni. Una remissione completa del disturbo è presente nella maggior parte dei casi, tuttavia possono permanere difficoltà comunicative e relazionali.
Mutismo selettivo: storia e classificazione
I primi studi risalgono alla seconda metà dell’800 quando Kussmaul pubblicò un resoconto su tre soggetti incapaci di parlare in determinate situazioni pur avendone le capacità, definendolo con il termine “afasia volontaria” pensando quindi fosse causato da una decisione del soggetto. Tramer nel 1934 introduce per la prima volta il termine di “mutismo elettivo” per indicare la scelta del bambino che pur sapendo parlare rimaneva in silenzio; è solo nel 1983 con Hasselman che si inizia a parlare di “mutismo selettivo” per indicare la condizione del bambino incapace di esprimersi solo in determinate circostanze in risposta ad un ambiente vissuto come pauroso.
I primi manuali diagnostici DSM III-R e ICD 10 descrivono il disturbo come un persistente rifiuto di parlare da parte del bambino; nel DSM IV e nel DSM IV-TR il silenzio viene invece concettualizzato come “incapacità” di parlare. La vera rivoluzione è rappresentata dall’ultima versione del manuale americano (DSM 5) che elimina il disturbo dalla sezione “Altri disturbi dell’Infanzia, della fanciullezza o dell’adolescenza” inserendolo nella sezione “Disturbi d’ansia” in seguito alle diverse evidenze scientifiche che identificano l’ansia come una delle caratteristiche principali all’interno del quadro clinico del disturbo.
I criteri diagnostici del mutismo selettivo (F94.0) sono i seguenti (DSM 5):
- A. Costante incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche in cui ci si aspetta che si parli (per es. a scuola), nonostante si sia in grado di parlare in altre situazioni.
- B. La condizione interferisce con i risultati scolastici o lavorativi o con la comunicazione sociale.
- C. La durata della condizione è di almeno 1 mese (non limitato al primo mese di scuola).
- D. L’incapacità di parlare non è dovuta al fatto che non si conosce, o non si è a proprio agio con il tipo di linguaggio richiesto dalla situazione sociale.
- E. La condizione non è meglio spiegata da un disturbo della comunicazione (per es. disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia) e non si manifesta esclusivamente durante il decorso di disturbi dello spettro dell’autismo, schizofrenia o altri disturbi psicotici (APA, 2013).
Le manifestazioni associate al mutismo selettivo possono includere eccessiva timidezza, paura di imbarazzo sociale, isolamento sociale e ritiro, clinging, tratti compulsivi, negativismo, accessi di collera o comportamenti lievemente oppositivi.
Una gran percentuale di questi bambini, circa il 90% di essi, presenta in associazione al mutismo selettivo un quadro di fobia sociale Istituto Beck).
Mutismo selettivo: diffusione
Il Mutismo Selettivo è un disturbo relativamente raro: il tasso di prevalenza nei bambini oscilla tra lo 0,2% e lo 0,8% anche se negli ultimi anni la percentuale sembra in aumento. La difficoltà a stabilire con precisione una stima è dovuta alla mancanza di un modello univoco circa le cause e gli strumenti di valutazione.
Il disturbo si presenta in prevalenza nel sesso femminile probabilmente perché le bambine sono più inclini all’ansia, con un rapporto femmine-maschi di 2:1, rappresentando un’eccezione rispetto agli altri disturbi dell’età evolutiva nei quali si riscontra una prevalenza del sesso maschile.
Il Mutismo Selettivo ha un esordio precoce, tra i 2 e i 4 anni infatti emergono i primi sintomi quali timidezza, rifiuto di parlare in certe situazioni e comportamento riservato. Il disturbo è riconoscibile in modo chiaro solamente quando il bambino inizia a frequentare la scuola materna o la primaria poiché questi tendenzialmente rappresentano i primi contesti al di fuori dell’ambiente familiare in cui il bambino deve parlare.
Mutismo selettivo: cause e fattori correlati
Le cause responsabili del Mutismo Selettivo sono ad oggi poco chiare poiché le spiegazioni presenti in letteratura sono varie e ampiamente diversificate. L’ipotesi più accreditata è che il disturbo sia una condizione eterogenea determinata da diversi fattori, in primis fattori genetici e ambientali.
Ad oggi i fattori di rischio che più di altri possono giocare un ruolo nella comparsa del mutismo selettivo in età evolutiva sembrano essere:
- fattori temperamentali e ambientali: nei genitori si riscontra: affettività negativa, inibizione comportamentale, timidezza, isolamento e ansia sociale
- fattori legati al linguaggio: lievi o pregressi disturbi del linguaggio
- fattori fisiologici e genetici: ereditarietà con i disturbi d’ansia (APA, 2013)
Il mutismo selettivo sarebbe più frequente in bambini che vivono in famiglie socialmente isolate, in famiglie bilingui, che appartengono a minoranze etniche, o laddove siano presenti altri componenti della famiglia ansiosi, timidi o che presentino difficoltà nelle relazioni sociali (A.I.Mu.Se.).
Secondo il modello bio-psico-sociale, l’evidenza di tratti temperamentali costanti nei bambini con Mutismo Selettivo e la presenza di tratti simili nei genitori porta ad ipotizzare un ruolo dei fattori neurobiologici e genetico-familiari all’origine del disturbo. Accanto all’ipotesi neurobiologica risulta di fondamentale importanza il ruolo dei fattori psicologici e sociali, tuttavia contrariamente a quanto si potrebbe pensare ricerche recenti non supportano l’idea secondo la quale esperienze traumatiche vissute dai bambini siano da considerarsi potenziale causa d’insorgenza del disturbo. Un potenziale fattore di rischio è rappresentato dalla migrazione del nucleo familiare: il rischio di sviluppare la patologia in questi bambini è tre volte superiore rispetto alla popolazione nativa, tuttavia in questi casi la diagnosi è più complessa perché un periodo caratterizzato dall’assenza di comunicazione verbale è tipico in questi bambini.
Diversi modelli psicologici hanno cercato di rintracciare le cause del disturbo: secondo il modello psicodinamico l’origine del Mutismo Selettivo è da ricondursi a problematiche nell’ambito dell’oralità in rapporto ad un rigido legame con la madre. La prospettiva sistemico familiare dal canto suo chiama in causa rapporti familiari difficili, attribuendo grande peso alla relazione genitore-figlio. Il modello psicologico ad oggi maggiormente diffuso è quello cognitivo-comportamentale che vede il disturbo come il risultato di esperienze di apprendimento rinforzate negativamente: il silenzio è utilizzato come strumento per controllare e gestire l’ansia.
Il Mutismo Selettivo presenta diverse manifestazioni correlate ad altri disturbi dello sviluppo: alcuni soggetti presentano disturbi specifici o ritardi del linguaggio mentre altre ricerche hanno riscontrato difficoltà nella coordinazione motoria genarle e in quella manuale nonché deficit di processazione uditiva. La nuova categorizzazione diagnostica suggerisce comorbilità con i disturbi internalizzanti, in particolar modo la sintomatologia ansiosa risulta essere il pattern di disturbi maggiormente correlato.
In alcuni casi, sopratutto negli individui con disturbo d’ansia sociale, il mutismo selettivo può scomparire, ma permangono i sintomi del disturbo d’ansia sociale.
Il mutismo selettivo può portare a compromissione sociale, dato che i bambini possono essere troppo ansiosi per impegnarsi nell’interazione sociale con altri bambini. Nel corso della crescita, i bambini con mutismo selettivo possono andare incontro ad un crescente isolamento sociale (APA, 2013).
Caratteristiche dei bambini con mutismo selettivo
Spesso questo fenomeno è stato interpretato quasi esclusivamente come un sintomo di situazioni a rischio, di bambini in condizioni di disagio, abusi o traumi; in realtà la maggior parte dei bambini affetti da mutismo selettivo sono solo bambini ipersensibili, estremamente fragili e ricettivi, limitati nella parola da un esasperato stato d’ansia (Shipon-Blum, 2014).
L’idea comune a chi si trova di fronte ad un bambino selettivamente muto è che il suo comportamento sia provocatorio e di sfida, tuttavia è di fondamentale importanza comprendere che l’assenza della parola è dettata dall’ansia e dalla conseguente paura che il bambino riesce a controllare solamente tacendo.
Questi bambini sono consapevoli della loro difficoltà, provando molta sofferenza e frustrazione perché desiderano fortemente riuscire a parlare e giocare con gli amici. A causa della forte paura che le interazioni sociali suscitano in questi bambini le loro espressioni facciali risultano inespressive, vi è difficoltà a mantenere il contatto visivo con l’interlocutore e elevata sensibilità per l’ambiente circostante. Il linguaggio del corpo è impacciato e goffo quando si rivolge loro attenzione, è tipico di questi bambini voltare la testa o guardare a terra durante una conversazione, toccarsi i capelli (segnale di un elevato livello di ansia) oppure nascondersi.
Molto spesso i bambini lamentano sintomi fisici quali: mal di stomaco, mal di testa, nausea, manifestazioni di pianto o di collera; con l’aumentare dell’età i sintomi si modificano in palpitazioni cardiache, svenimenti, tremori ed eccessiva sudorazione. A scuola molti bambini hanno difficoltà a chiedere di andare al bagno e a mangiare: i bambini rifiutano di nutrirsi, nascondono il cibo o attendono che i compagni abbiano terminato il pranzo e se ne siano andati.
Mutismo selettivo: valutazione diagnostica
La valutazione deve essere compiuta nel modo più completo possibile, ricorrendo ad un approccio diagnostico multimodale e considerando i possibili fattori di comorbilità. Compiere un’anamnesi dettagliata della storia di vita del bambino appare fondamentale perché alcuni segnali di allarme del disturbo possono essere rintracciati durante lo sviluppo: fattori biologici-temperamentali (difficoltà di addormentamento, disturbi del sonno, irrequietezza), fattori cognitivi-affettivi (vulnerabilità, vergogna) e fattori socio-culturali e familiari (stile educativo ansioso, scarse competenze sociali della famiglia).
Il primo passo da compiere è un colloquio approfondito con i genitori a cui seguirà l’incontro con il bambino. In questa fase l’osservazione dei disegni, del gioco libero e del linguaggio corporeo risulta molto utile. Uno strumento utile per valutare la capacità di comunicazione del bambino è la Selective Mutism Stages Communication Comfort Scale. La scala illustra in 3 livelli le diverse fasi che conducono alla comunicazione verbale. Al fine di attuare un intervento e valutarne i progressi è necessario collocare il bambino all’interno di uno di questi livelli.
Il clinico deve compiere un’analisi funzionale del comportamento del bambino per giungere alla formulazione di un percorso di trattamento il più idoneo possibile al bambino e all’ambiente in cui vive. Ciò che si può affermare con certezza è che quanto prima il disturbo viene diagnosticato e trattato nel modo corretto tanto maggiore sarà la possibilità di superare il problema.
Mutismo selettivo: il trattamento
Trovare un trattamento valido per tutti i bambini è un’impresa quasi impossibile, ogni bambino rappresenta un caso particolare e il trattamento deve essere individualizzato.
Il mutismo selettivo è inteso come un’ansia da comunicazione e la terapia non dovrà mai essere finalizzata a far parlare il bambino immediatamente, ma dovrà aiutarlo a progredire attraverso tappe graduali di comunicazione, per ridurre la sua ansia, aumentare l’autostima e accrescere la fiducia e la comunicazione in situazioni di carattere sociale. Il grado di ansia del bambino in una data situazione, determina la sua capacità a comunicare in quel preciso momento. Più sarà rilassato, più riuscirà a comunicare. Meno sarà rilassato e più intuirà l’aspettativa da parte degli altri che lui parli, più sarà difficile per lui comunicare. L’aspettativa genera un aumento dell’ansia e questo spiega la ragione per cui la maggior parte dei bambini affetti da mutismo selettivo può magari parlare con degli estranei (Shipon-Blum, 2014).
Sul versante della psicoterapia, negli ultimi anni l’approccio più citato in letteratura è sicuramente quello cognitivo-comportamentale. In questo caso lo scopo è quello di diminuire i livelli di ansia e incrementare la verbalizzazione. Le tecniche maggiormente utilizzate sono quelli di stampo comportamentale, visto che si lavora nella maggior parte di casi con bambini, spesso coinvolgendo anche altre figure significativi quali le insegnanti.
La terapia psicoanalitica sembra essere il trattamento più adatto per bambini in età prescolare (3-5 anni) perché utilizza primariamente come strumenti d’indagine il disegno e il gioco.
In alcuni casi, il supporto psicologico messo in atto precocemente solo con la coppia genitoriale si rivela molto utile conducendo ad ottimi risultati.
Recenti studi suggeriscono l’idea di considerare il trattamento farmacologico in aggiunta a quello terapeutico nel caso in cui quest’ultimo non conduca a risultati evidenti. I farmaci di prima scelta nel trattamento del MS sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), comunemente usati nel trattamento di disturbi d’ansia e dell’umore. Il meccanismo grazie al quale questi farmaci producono miglioramenti in questo disturbo non ad oggi del tutto chiaro, ad ogni modo sembrerebbero ridurre i livelli d’ansia provati dal bambino rendendo più facile il trattamento terapeutico.
L’intervento cognitivo-comportamentale per bambini con mutismo selettivo
Sebbene non ci siano in letteratura studi sistematici sull’efficacia dei diversi protocolli e programmi di intervento con i bambini con mutismo selettivo, come già anticipato, le ricerche presenti e i dati clinici suggeriscono una notevole efficacia dell’approccio comportamentale e cognitivo e ciò è spiegato anche dal fatto che lo stesso modello sembra funzionare molto bene nelle terapie per i disturbi d’ansia in età evolutiva (Capobianco, 2009).
Il trattamento più efficace per il mutismo selettivo sembra, infatti, quello orientato primariamente alla riduzione dell’ansia sociale di questi bambini e per questo diventa importante individuare in primo luogo le specifiche dinamiche comportamentali e cognitive che caratterizzano il mutismo di ogni singolo bambino (Capobianco, 2009).
Può essere utile, inoltre, programmare un’osservazione sistematica e un’analisi funzionale nei vari contesti di vita del bambino. In questo modo sarà possibile comprendere con precisione gli antecedenti e le modalità con cui il mutismo selettivo del bambino si manifesta e si mantiene. Tale processo permetterà allo specialista di mettere in relazione i comportamenti di interazione sociale con tutte quelle dinamiche che sembrano provocarli. È importante sottolineare come una diagnosi precoce e corretta del disturbo si associ a una migliore risposta al trattamento e, dunque, a una buona prognosi (Istituto Beck).
Gli obiettivi che la terapia cognitivo-comportamentale si propone di raggiungere sono:
- Non “far parlare il bambino” (quanto meno all’inizio), ma consentirgli di sentirsi più rilassato e a suo agio con il terapeuta e con gli adulti che lo circondano (Capobianco, 2009).
- Ottenere una condizione di sufficiente tranquillità nel contesto sociale problematico per il bambino.
- Fornire strategie per stabilire e mantenere relazioni interpersonali.
- Stimolare l’espressione (non necessariamente in modo verbale) di pensieri, emozioni e bisogni.
- Elevare l’autostima e i sentimenti di sicurezza.
Una delle componenti essenziali della prospettiva comportamentale è l’impiego di strategie basate primariamente sulla gestione delle conseguenze dei comportamenti mediante tecniche di rinforzo positivo al fine di incrementare la probabilità di comparsa dei comportamenti comunicativi desiderati (Capobianco, 2009). I rinforzi positivi sono importanti quando il bambino tenta di comunicare (verbalmente o non) con gli estranei ma è importante anche non mostrare eccessivo entusiasmo che focalizza l’attenzione su di lui (Capobianco, 2009).
Le tecniche di rinforzo consistono nella presentazione di gratificazioni come sistema per incrementare la probabilità di comparsa dei sintomi desiderati (D’Ambrosio e Coletti , 2002).
Le tecniche di rinforzo sono:
- Rinforzo positivo. Un rinforzo è un evento che quando compare immediatamente dopo un comportamento induce l’aumento della frequenza di quel comportamento o della probabilità della sua scomparsa (Di Pietro & Bassi, 2015). Vi sono varie tipologie di rinforzo. I rinforzi socio-affettivi sono scambi sociali e manifestazioni di affetto (lodi, complimenti, sorrisi, contatto fisico). I rinforzi tangibili sono gratificazioni concrete (oggetti, cibo, ecc). I rinforzi simbolici sono qualcosa che simboleggia il conseguimento di una gratificazione concreta o dinamica (buoni premi, gettoni, bollini). I rinforzi dinamici prevedono la possibilità di svolgere un’attività piacevole o di avere un privilegio particolare (fare una gita, giocare con un videogioco, stare alzato fino a tardi ecc) (Di Pietro & Bassi, 2015).
- Lo shaping: i criteri di rinforzo diventano via via sempre più selettivi. Inizialmente includono tutte le forme di comunicazione utili che il bambino sceglie (scrittura, disegni, gesti), poi il criterio di rinforzo diventa sempre più ristretto mirando al sostegno esclusivo con voce sonora (D’Ambrosio & Coletti, 2002).
- La generalizzazione: consiste nell’estensione a nuovi stimoli delle condotte comunicative corrette.
- L’estinzione: si tratta di una procedura orientata a ridurre la frequenza di un comportamento attraverso la sottrazione di rinforzi ad esso associato. Può essere utilizzata per ridurre l’interloquire indirettamente con gli altri sussurrando all’orecchio del genitore.
- L’autorinforzo: nella fase finale del trattamento i bambini vengono istruiti a valutarsi positivamente ogni qual volta riescono a parlare con una persona non ancora inclusa con gli interlocutori abituali (D’Ambrosio & Coletti, 2002).
Le tecniche più propriamente cognitive hanno l’obiettivo principale di modificare il pensiero disfunzionale (convinzioni irrazionali) sottostante il disturbo emotivo e comportamentale del bambino con mutismo selettivo (ristrutturazione e modificazione delle strutture cognitive) e di conseguenza di ridurre gli stati mentali di catastrofizzazione, generalizzazione e attenzione selettiva alla base dell’interpretazione degli eventi (Capobianco, 2009). Attraverso situazioni “role-playing” e simulazione di diverse situazioni reali o immaginarie che provocano disagio nel bambino si possono proporre interpretazioni e conseguenze alternative rispetto ad eventi e stati mentali propri e altrui (Capobianco, 2009).
Data l’inibizione verbale, solo attraverso tecniche di gioco e/o con il disegno il terapeuta può esplorare le reali e sottostanti emozioni e credenze. Spesso i bambini con mutismo selettivo presentano una povertà nell’attribuzione delle emozioni proprie e altrui, mostrando un repertorio molto ridotto per descrivere le emozioni percepite (Capobianco, 2009).
Mutismo selettivo: il ruolo della famiglia
Famiglia e scuola rappresentano i due ambienti principali in cui il bambino vive, affinché si possa realizzare un intervento efficace la psicoeducazione dei genitori e degli insegnanti è fondamentale.
Nella maggior parte dei casi, i bambini selettivamente muti intrattengono una normale conversazione nell’ambiente domestico provocando confusione nei genitori posti davanti al mutismo dei figli negli altri contesti. I genitori e i famigliari devono capire e accettare il disturbo, evitando di focalizzare l’attenzione sulla mancanza della parola. È necessario che i genitori comprendano il disagio del figlio e mettano in atto strategie per diminuire lo stato ansioso: avere una routine fissa può essere d’aiuto a questi bambini soprattutto in momenti particolari della giornata come la mattina prima della scuola. Per aiutare i propri figli i genitori dovrebbero incoraggiare le interazioni sociali, magari organizzando incontri con l’amico di scuola con cui il bambino si trova più a suo agio.
Cosa può fare un’insegnante in classe?
La scuola rappresenta per i bambini con MS un luogo in cui si sentono moto a disagio. Le maestre non devono forzare i bambini a parlare, ai docenti è richiesta una grande attenzione e preparazione nel saper cogliere i segnali di malessere del bambino. La maestra deve essere comprensiva e disponibile e permettere la comunicazione non verbale; è possibile e necessario valutare le conoscenze apprese come qualsiasi altro alunno ricordando però che l’ansia influenza la prestazione scolastica: è consigliabile utilizzare test non verbali senza limiti di tempo durante lo svolgimento delle prove di verifica.
Il mutismo selettivo ha un esordio precoce: in genere si presenta all’inserimento nella scuola dell’infanzia o nel primo periodo della scolarizzazione, poiché nell’ambiente scolastico aumentano le aspettative e la pressione affinché il bambino parli (A.I.Mu.Se.).
È importante considerare che nel primo mese di scuola dell’infanzia o primaria i bambini possono essere timidi o riluttanti a parlare. È necessario aspettare che questo periodo iniziale sia passato, prima di ipotizzare la presenza di mutismo selettivo.
Capita però che gli insegnanti tardino a segnalare ai genitori che il bambino a scuola non parla, scambiando il mutismo selettivo per semplice timidezza. Se dopo il primo mese di scuola il bambino non ha mai parlato, è bene segnalarlo ai genitori. È importante che gli insegnanti osservino attentamente questi bambini silenziosi e dedichino loro particolare attenzione in quanto, non riuscendo a parlare, essi non riescono ad esprimere neanche i bisogni primari, come quello di andare al bagno o di non sentirsi bene. Il mutismo selettivo a volte impedisce ai bambini di emettere qualsiasi tipo di suono, anche un lamento o il pianto, per cui è importante che l’insegnante sia attenta ai segnali non verbali che provengono dal bambino (A.I.Mu.Se.).
Per il bambino affetto da mutismo selettivo l’atto del parlare davanti al gruppo classe può essere un momento nel quale perde le sue capacità. È consigliabile allenare il bambino a “far vedere” piuttosto che parlare, possibilmente in un gruppo ristretto. Alcuni bambini che non riescono a mostrare qualcosa in piccolo gruppo devono essere incoraggiati a portare a scuola degli oggetti, scelti da loro, ed esporli in un angolo della classe a loro destinato, per esempio sul davanzale della finestra (Shipon-Blum, 2014). Alcuni metodi per aiutare il bambino ad adattarsi alla vita scolastica sono:
- Alleviare l’ansia in classe, creando un clima disteso e rilassato in cui il bambino si senta più possibile a proprio agio.
- Non considerare oppositivo il comportamento del bambino con mutismo selettivo: non c’è intenzionalità nel non parlare anzi, al contrario, il bambino vorrebbe riuscire, ma l’ansia gli impedisce di farlo, bloccandogli le parole in gola.
- Non mettere sotto pressione il bambino e non ingannarlo con promesse o ricatti perché parli. Rispettare i suoi tempi (A.I.Mu.Se.).
- Farlo partecipare ad attività svolte in piccoli gruppi.
- Iniziare con solo uno o due bambini scelti da lui stesso e con i quali si sente a suo agio; in seguito aumentare il gruppo, aggiungendo un bambino per volta.
- Nel caso di un bambino con un alto livello di ansia, far intervenire e coinvolgere uno dei due genitori in un ambiente più isolato, in presenza di poche persone in classe, per far si che l’attività sia eseguita dal bambino in modo più sereno.
- Determinare altri sistemi di comunicazione attraverso i quali il bambino può esprimersi. Nel caso di comunicazione non verbale, per esempio si potrebbe fargli utilizzare la scrittura o indurlo a fare si e no con la testa, oppure indicare con un dito o tramite gesti. In alcuni casi sussurrare qualcosa all’orecchio di qualcuno (intermediario verbale) può risultare un modo per trasmettere la comunicazione attraverso le persone (Shipon-Blum, 2014).
- Poiché il mutismo selettivo è un disturbo legato all’ansia, è quest’ansia che deve essere presa in considerazione in maniera prioritaria. Affinché il bambino riesca a superare con successo il suo mutismo, occorre che siano messi in atto, in classe, alcuni accorgimenti per diminuire l’ansia del bambino, rafforzarne l’autostima, aumentare la sua fiducia e la sua capacità di comunicare. Ad esempio, ridurre il più possibile il contatto visivo con il bambino permette di diminuire sia la sua ansia, sia la sensazione di essere sotto pressione (Shipon-Blum, 2014).
- Tenere presente che se il bambino parla una volta, non è detto che poi parlerà sempre. È anche importante controllare le reazioni quando il bambino pronuncia qualche parola: non bisogna mostrare eccessivo entusiasmo per l’accaduto (“Maestra, X ha parlato!!!”). È probabile che il bambino inizi a parlare con un suo pari piuttosto che con l’insegnante; in questo caso evitate di dire che avete sentito la sua voce (A.I.Mu.Se.).
Mutismo selettivo in età adulta
La maggior parte delle volte il mutismo selettivo si risolve prima dell’età adulta, tuttavia ci sono casi in cui il disturbo continua in adolescenza e oltre.
Un adolescente muto selettivo quasi certamente convive con il disturbo da molti anni nel corso dei quali ha sviluppato e rinforzato meccanismi di comportamento errato per gestire l’ansia, affrontando ogni situazione ansiogena con il silenzio. A differenza dei bambini più piccoli, i ragazzi con mutismo selettivo sono pienamente consapevoli della loro situazione e nel corso degli anni hanno imparato a mascherare i segnali d’ansia. I vissuti di questi ragazzi sono caratterizzati per la maggior parte da isolamento e solitudine.
Poca considerazione è stata riservata alla presenza del disturbo in età adulta. Dall’analisi dei dati presenti non è possibile ottenere una stima dell’incidenza del disturbo riferita a quest’età, si può ipotizzare però che la diffusione negli adulti sia inferiore all’1% in quanto, generalmente, il disturbo presenta completa risoluzione nell’infanzia. In linea generale si può affermare che soggetti adulta con una storia presente o passata di mutismo selettivo presentano disturbi principalmente legati alla sintomatologia ansiosa, in particolar modo disturbo d’ansia sociale e difficoltà relazionali.
Bibliografia:
- American Psychiatric Association (APA) (2013). DSM-5 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore.
- Associazione italiana mutismo selettivo (Aimuse). Consultato in data 20/07/2018. www.aimuse.it
- Capobianco, M. (2009). Il mutismo selettivo: diagnosi, eziologia, comorbilità e trattamento. Cognitivismo clinico 6, 2 211-228
- D’Ambrosio, M., Coletti, B. (2002). L’intervento cognitivo-comportamentale nel trattamento del mutismo selettivo. Pubblicato su “I care” n. 27:3 pag. 97-103.
- Di Pietro, M., Bassi, E. (2015). L’intervento cognitivo-comportamentale per l’età evolutiva. Erickson.
- Istituto Beck. Terapia cognitivo-comportamentali. www.istitutobeck.it. Consultato in data 30/07/2018.
- Shipon-Blum, E. (2014). Comprendere il mutismo selettivo. Guida per genitori, insegnanti e terapeuti. Edizioni la Meridiana partenze
- Blum, S., Shipon-Blum, E. (2013). Unspoken Words: a child’s view of Selective Mutism. Createspace